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PRIMA SERIE

AVVERTENZA

l. Nel riprendere, con il vol. VIII, la pubblicazione della I serie dei Documenti Diplomatici Italiani, il pensiero non può non andare a coloro che ne furono i primi curatori: il prof. Walter Maturi, editore dei volumi I e II, e il prof. Ruggero Moscati, editore dei volumi dal III al VII. Nel loro ampio lavoro i due studiosi definirono i criteri, i caratteri e i limUi della scelta che doveva essere compiuta, indicando in tal modo una linea precisa per tutta la serie. La quale, del resto, viene proseguita, con questo volume, sulla base di una ricerca già avviata dal prof. Moscati, e che in prevalenza ha dovuto essere soltanto sottoposta a un lavoro di completamento, controllo e riscontro. È questa la ragione

che induce dunque a dedicare il presente volume alla memoria dello stesso prof. Moscati il quale, ben a ragione, di esso può essere considerato uno dei curatori. Lo scrupolo di èhi riprende il discorso, raccogliendo il filo di un lavoro precocemente interrotto dal destino, è dunque quello di attenersi ai criteri già dettati, adattandoli solo alle esigenze delle circostanze.

2. Il vol. VIII della I serie dei Documenti Diplomatici Italiani abbraccia 11 periodo dall'8 novembre 1866 al 15 giugno 1867. Esso documenta dunque 11 periodo relativo all'applicazione del trattato di pace con l'Austria sino alle prime avvìsaglie della crisi di Mentana. Risaltano, in questo arco di tempo, oltre alle questioni tecniche e politiche relative all'applicazione del trattato di Vienna, due altri temi: la missione del consigliere di stato Tonello a Roma, in vista del tentativo di raggiungere con la Santa Sede una serie di accordi tecnici e accordi relativi alla copertura di una serie di sedi vescovili e arcivescovili vacanti in Ita:lià; e la crisi europea, suscitata dalla questione lussemburghese e superata nel tnaggi"o 1867, grazie alla convocazione della conferenza di Londra, delle cinque grandi potenze interessate. L'inclusione dell'Italia nel gruppo delle po

_tenze .con_vocate rappresentò infatti un momento importante per la definizione qel ruolo internazionale del nuovo paese e per il riconoscimento di un rango (quello appunto di «grande potenza») che se non sanciv·a ancora un dato di fatto, poneva in linea di principio uno dei temi dominanti la politica estera italiana degli anni successivi.

3. Il volume si basa principalmente, come i precedenti, sulla documenta

zione conservata nell'Archivio Storico del Ministero degli Affari Esteri nelle .serie seguenti:.

I. Gabinetto e Segretariato Generale: a) registri copialettere di corrispondenza confidenziale e miscellanea; b). istruzioni per missioni all'estero (buste 18-21); c) corrispondenza telegrafica;

d) carteggio confidenziale e riservato (buste 202, 215, 217, 219, 220, 221, 222, 225 e 226).

IX

II. Divisione delle Legazioni e Divisione Consolare: a) registri copialettere delle note inviate alle legazioni estere nella capitale; b) registri copialettere dei dispacci inviati alle legazioni nazionali all'estero; c) registri copialettere dei dispacci inviati ai consolati nazionali all'estero; d) note delle autorità straniere e delle rappresentanze diplomatiche e consolari estere accreditate nel Regno;

e) rapporti delle rappresentanze diplomatiche italiane all'estero; f) rapporti delle rappresentanze consolari italiane all'estero.

III. Carte delle Ambasciate a Berlino, Londra, Parigi e Vienna.

IV. Carte Blanc.

4. -Alcuni documenti sono tratti anche dall'Archivio Centrale dello Stato (Ministero dell'Interno, Gabinetto, missioni diplomatiche), dall'Archivio di Casa Reale, dall'Archivio Visconti Venosta di Santena e dalle Carte Minghetti conservate presso la Biblioteca Comunale dell'Archiginnasio di Bologna. 5. -Data l'importanza del periodo, varii documenti erano già editi, integralmente o parzialmente, nelle seguenti pubblicazioni (tra parentesi l'abbreviazione usata nel testo):

Libro Verde n. 9, Documenti Diplomatici presentati al Parlamento dal Ministro degli Affari Esteri il 31 dicembre 1866 (LV 9);

Libro Verde n. 10, Documenti relativi alle negoziazioni con la Corte di Roma, tornata del 15 luglio 1867 (LV 10);

Libro Verde n. 11, Documenti Diplomatici concernenti la questione del Lussemburgo presentati dal Ministro degli Affari Esteri Di Campello nella tornata del 5 giugno 1867 (LV 11);

Libro Verde n. 13, Documenti presentati dal Presidente del Consiglio, Ministro degli Affari Esteri Menabrea (questione romana) nella tornata del 9 dicembre 1867 (LV 13);

Lettere e documenti del Barone Bettino Ricasoli, a cura di M. TABARRINI e A. GOTTI, vol. IX, Firenze, 1894 (Lettere Ricasoli);

H. BASTGEN, Die Romische Frage, vol. II, Freiburg im Breisgau, 1918 (BASTGEN);

Les origines diplomatiques de la guerre de 1870-1871, vol. XVI, Parigi, 1925 (Origines diplomatiques);

A. Luzm, Aspromonte e Mentana, Firenze, 1935 (Luzio);

Le lettere di Vittorio Emanuele II, raccolte da F. COGNAsso, vol. II, Torino, 1966 (Lettere Vittorio Emanuele Il);

E. DEL VECCHIO, La missione Tonello, in «Studi romani~. anno XVI, n. 3, lugliosettembre 1968 (DEL VECCHIO);

x

R. MORI, Il tramonto del potere temporale 1866-1870, Roma, 1967 (MORI);

Carteggi di Bettino Ricasoli, vol. XXIV, a cura di S. CAMERANI e G. ARFÈ, Roma, 1970 e vol. XXV, a cura di S. CAMERANI, Roma, 1971 (Carteggi Ricasoli).

6. Alla preparazione di questo volume hanno collaborato la dott. Emma Ghilsalberti per le ricerche e la messa a punto per la stampa, la signora Fiorella Giordano e la dott. Luana Michell per la correzione delle bozze e la compilazione degli indici. Ad esse va il più vivo ringraziamento per la competenza e la solerzia con cui hanno svolto il loro lavoro.

ENNIO DI NOLFO


DOCUMENTI
1

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AL MINISTRO A PARIGI, NIGRA

r. 774. Venezia, 8 novembre 1866, ore 17.

Le ministre de France m'a dit qu'il avait instruction de réclamer contre la prétendue complicité de quelques autorités italiennes dans les désertions de la légion d'Antibes. J'ai nié catégoriquement cette complicité alléguée sans preuves. Si un fonctionnaire italien s'en rendait coupable il serait considéré comme manquant à ses devoirs et traité en conséquence. J'ai ajouté que nous ne pouvions pas comme M. de Moustier le suggérait rendre les déserteurs soit au Pape soit à la France, notre droit public s'y opposant, mais qu'ils seraient traités exactement comme le sont chez nous tous les autres déserteurs.

2

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AL MINISTRO A PARIGI, NIGRA

T. 775. Venezia, 8 novembre 1866, ore 17.

Je n'ai pas encore reçu vos dépéches. Veuillez me dire si le général Fleury part de suite de Paris ou s'il attend pour rejoindre le Roi à son retour à Florence (l).

3

IL CONSOLE GENERALE A BELGRADO, SCOVASSO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. R. S. N. Belgrado, 8 novembre 1866 (per. il 25).

Il Pascià governatore di questa fortezza porse oggi al signor Garachanine in una lettera particolare la notizia della sottomissione di Creta in questi termini «Omer Pascià mi scrive che l'insurrezione di Creta è vinta, che l'isola è pacificata, sapendo il piacere che deve farvi questa notizia m'affretto a porgervela ». Tanta ironia non mi sembra né cortese né politica. Creta dunque è sottomessa. L'infelice esito della insurrezione, dice il signor Garachanine, ha avuto questo di buono, d'aver provato una volta di più che non si devono

sprecare le forze dei cristiani in insurrezioni parziali, perché non potranno mai trionfare; ed ha dimostrato all'Europa la debolezza della Turchia alla quale abbisognarono 40 mila uomini e dei mesi per vincere 10 mila insorti non esercitati nell'armi e male armati.

Ma l'impressione fatta in questo paese è dolorosa e sfavorevole alla Francia. Il popolo dice che i cristiani della Turchia non possono sperare ajuto che dalla Russia, perché la Francia e la politica delle potenze occidentali in generale sono favorevolri. alla Turchia e contrarie ai cristiani.

Il Governo invece si consola in parte della disfatta dei Cretesi, considerando che se Candia resisteva sino alla primavera l'incendio si sarebbe propagato in tutte le provincie cristiane dell'Impero, le quali da quanto sembra non sono ancor ben preparate per l'azione; mentre ora si potrà meglio preparare un'insurrezione generale che scoppierà quando tutto sarà pronto, e l'occasione sarà propizia; non sono più gli avvenimenti che forzeranno i cristiani ad un'azione intempestiva, ma saranno i cristiani che sceglieranno l'occasione favorevole.

La sottomissione di Creta ha quindi, da quanto a me sembra, allontanato il pericolo che vi era di veder nella prossima primavera la Grecia spinta alla guerra contro i Turchi, e con essa la Tessaglia e l'Epiro e forse una parte della Macedonia e dell'Albania ed allora il Montenegro, l'Erzegovina, la Bosnia e la Servia ed una frazione della Bulgaria preparate o non avrebbero risposto al grido di guerra dei Greci ed il movimento sarebbe stato generale sì, ma essendo male coordinato, perché intempestivo, la vittoria sarebbe stata dubbiosa. Ora invece i Serbi si ripromettono di fare camminare le cose diversamente, lavorando con alacrità a conciliare gl'interessi diversi per un'azione comune e contemporanea. Io non credo che questa tela sia già terminata; troppe sono le difficoltà che l'abile Garachanine deve sormontare, e neppure conosco a che punto essa si trovi, però in mancanza di dati positivi mi permetto di esporre all'E. V. la mia modesta opinione sullo stato delle cose.

In Bosnia il nerbo della popolazione si compone dei nipoti dell'antica aristocrazia serbiana i cui avi si sono fatti musulmani per conservare le loro sostanze ed i loro privilegi, questi ultimi però gli sono stati d'assai diminuiti, se non ne furono del tutto spogliati, dopo la rivolta che fu vinta da Ornar Pascià nel 1851, e che costò loro non solo privilegi ma moltissimo sangue e molte sostanze.

Questa popolazione di Bey è da quanto mi fu detto, malcontenta della dominazione turca, quanto quella composta dai rajà cristiani. Il signor Garachanine tenta quindi di persuadere i primi a far causa comune con essi e colle altre provincie cristiane, promettendo di rispettare i loro averi ed i loro privilegi, ma credo che questo non basti. La Bosnia si ricorda d'aver avuto i suoi Zupan e vorrà probabilmente governarsi da sola. Vi è poii. in Bosnia ragguardevole numero di Cattolici e questi io presumo sarebbero forse più contenti di unirsi ai Croati che non ai Serbi. Io ignoro quale probabilità di riuscita abbiano queste pratiche ma i Serbi si lusingano d'un pieno successo.

L'Erzegovina e la Vecchia Servia, che hanno gli occhi rivolti verso il Principe Michele dal quale tutto sperano, entreranno volonterose nel movimento; quanto al Montenegro egli ascolta i consigli del Governo serbo, si lascia pienamente dirigere da lui, attende con impazienza l'ora della pugna, e vi si prepara con ardore. Restano i Bulgari, qui le pratiche saranno più difficili, popolo agricolo e commerciale ed alquanto industrioso si occupa assai più io credo di accrescere il suo benessere materiale che della sua indipendenza, a me non sembra che la maggioranza di questo popolo sia capace d'azione vigorosa. Non bisogna però disconoscere che anche fra questo popolo l'idea dell'indipendenza ha fatto dei progressi, e che esistono relazioni segrete fra il Governo serbo ed i patrioti Bulgari, il numero dei quali si aumenta ogni giorno più col contingente della gioventù reduce dalle scuole di Francia, Allemagna etc., ma non credo, all'ora in cui scrivo, che queste pratiche abbiano ottenuto un risultato decisivo, sembra però che non si farà molto aspettare.

La Serbia quindi non deve avere finita la sua tela, e non ha positivamente ancor bene preparate le sue forze per la guerra. Essa si accinge a fornire nuovi fucili al Montenegro il quale, mercé gl'istruttori inviati dal Governo serbo, potrà fra qualche mese avere un esercito regolare di forse 6 a 8 mila uomini appoggiato da 8 cannoni di montagna rigati, e da altri 2 lisci, questi presi ai turchi nel combattimento di Grahovo, serviti tutti da buoni artiglieri; deve munire d'armi anche la Bulgaria, la Bosnia e l'Erzegovina ed io non credo che ne abbia a sufficienza. Il governo di Sua Altezza si studia di provvedere a tutto senza far debiti, e credo che tratti in questo momento di acquistare nuovi fucili in Austria, forse di quelli che gli furono offerti in vendita dal Governo austriaco a 7 fiorini cadauno, o meno, secondo la quantità che ne avrebbe comprata.

Il signor Garachanine intrattiene anche attivissime pratiche con la Grecia, le quali non sono ancora finite, ma mi disse in segreto ch'era soddisfattissimo dell'andamento delle medesime, e che sperava avrebbero un pieno successo.

Conchiudo quindi che le pratiche per concilliare le cose e combinare un movimento generale dei popoli Greco-Slavi e forse Latini della Turchia, il quale abbia a scoppiare ad un tempo su tutti i punti con perfetta unità d'azione non mi sembrano ancora finite e che per ben prepararsi alla guerra e per riunire le armi necessarie la Serbia ha bisogno ancora di parecchi mesi, a meno che non trovi nelle province cristiane della Turchia anche dei soccorsi pecuniari. D'ogni modo io mi inclino a credere che, se nessuna circostanza verrà a precipitare gli avvenimenti, passerà la primavera e forse l'estate in perfetta calma, quantunque il Console Austriaco, il Console Inglese, il gerente il Consolato Francese siano d'avviso contrario, cioè che il movimento avrà luogo nella primavera. E se la Porta si decidesse a cedere alla Serbia le fortezze ed il Mali Swornik io sono persuaso che potrebbe allontanare alquanto il pericolo che le sovrasta.

Ora ammesso che il movimento generale possa combinarsi a seconda dei desideri della Serbia, e che l'insurrezione esca trionfante dalla lotta contro i Turchi cosa succederà? L'avvenire solo potrà dircelo con esattezza. Io mi limito alle seguenti considerazioni.

La vecchia Serbia e l'Erzegovina non farebbero forse difficoltà malgrado le possibili opposizioni del Montenegro, (il signor Garachanine mi disse che il Montenegro non farebbe opposizione alcuna) ad unirsi alla Serbia. Si po

trebbe per avventura giungere altresì a persuadere la Bosnia a fare parte integrante del Principato Serbo. Ma cosa si darà al Montenegro?

La Bulgaria non vuole unirsi alla Serbia, e la Serbia gli dice «combattiamo assieme il nemico comune e dopo la vittoria conserverete la vostra lingua, la vostra indipendenza e troveremo un legame che ci unirà negli interessi comuni». I Bulgari non potranno discontentare i Serbi, non potranno isolarsi perché avranno tosto o tardi a combattere l'ambizione dei Greci sul versante dei Balkani.

La Serbia potrà dunque costituirsi in un regno che conterà un po' più di due milioni e mezzo d'abitanti? E la Bulgaria in un altro che conterà dai quattro ai cinque milioni?

Io non lo credo perché sarebbero troppo evidenti i pericoli che ne risulterebbero; la Russia solo potrebbe desiderare una simile soluzione della questione d'Oriente. Che si farà allora? A me sembra che di tutte le soluzioni possibili la più semplice, quella che presenta meno difficoltà e nel tempo stesso la più ragionevole, e quella che pare sorridere maggiormente ai Serbi è questa, cioè di formare dei paesi slavi-turchi una forte confederazione, nella quale potrà entrare la Romania, e fors'anca col tempo i Serbi austriaci, i Magiari e la Croazia. Ma qui mi cade in acconcio di osservare, che riguardo alla Croazia, un potente partito capitanato dal Strossmayer, che ha per organo il giornale Pozor, che si stampa in Agraam, sembra desiderare l'Erzegovina e la Bosnia. Esso dice che le rive slave dell'Adriatico hanno bisogno dei paesi slavi-turchi. Il giornale Vidovdan di Belgrado gli risponde, che le provincie slave-turche, scosso il giogo della Turchia, avranno invece bisogno delle rive slave dell'Adriatico per respirare, per dare uno sfogo al loro commercio, alla loro industria (in oggi è assai insignificante). Mi dicono che in Erzegovina ed in Bosnia si contano in tutto presso a poco un centinajo e mezzo di migliaja di cristiani cattolici, i quali sono piuttosto nemici che amici degli Ortodossi, e questi probabilmente favorirebbero le ambizioni del partito di Strossmayer. Si pretende anche che queste discussioni non sono la vera espressione dell'opinione del Strossmayer, ma una specie di commedia per ingannare il Governo austriaco; comunque si sia mi sembra che esse sono inopportune e dannose, e questo metodo è pericoloso, egli deviando l'opinione pubblica semina la zizzania fra i due rami della razza serba, e potrebbe invece riuscire a cambiare la commedia in tragedia. Il fatto sta che se l'Austria si determina a farsi potenza slava, i Croati e fors'anca i Serbi austriaci l'ajuteranno ad assorbire le province slaveturche. Qui sta il pericolo per i Serbi-Orientali. Però la dichiarazione recentemente fatta fare dal marchese De Moustier al Governo del Principe sembra rassicurarli alquanto su questo punto. Si parla anche d'un'alleanza russoprussiana contro Francia ed Austria e fors'anca contro l'Italia, se questa avrà luogo e che ne segua la guerra, la Prussia ajuterà i Grenzer, i Serbi dell'Austria, i Croati e gl'Ungheresi ad insorgere contro l'Austria, che non avrà avuto tempo, o non avrà voluto risolversi a scontentare i germani del suo impero per favorire i suoi Slavi e questi saranno sostenuti dagli Jugo-Slavi della Turchia. Per scongiurare questo pericolo converrebbe allora che l'Italia e la Francia, visto che mal si può sostenere un impero caduco, minato da ogni parte, permettessero ai Cristiani d'Oriente di combattere per la loro indipen

denza, ed in caso di bisogno li appoggiassero, di questo modo mi sembra che si eviterebbe di farli cadere nelle braccia della Russia, e si estirperebbe l'influenza Russa dall'Oriente, che sarebbe surrogata dall'influenza Italiana e Francese, influenza benefica e civilizzatrice.

Perdoni Eccellenza, se, quantunque allo scuro come sono della politica europea, osai sottometterle le incomplete considerazioni di cui sopra deducendole unicamente dallo stato di cose che mi è dato di osservare in questo paese.

(l) Per la risposta cfr. n. 5.

4

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AL MINISTRO A PARIGI, NIGRA

L. P. Venezia, 9 novembre 1866.

Ho ricevuto oggi il dispaccio nel quale mi riferite la vostra conveus~zione col Marchese di Moustier (l). Il Barone di Malaret mi parlò, qualche giorno fa, nel senso istesso del Ministro Imperiale ( 2). Ecco presso a poco cosa io gli risposi.

Il Governo Italiano, Governo di una nazione cattolica, non si rifiuta certo in principio a trattare e discutere delle questioni religiose col Capo della Cattolicità. Ottenere la pacificazione delle coscienze in Italia, è uno degli scopi della nostra politica. Ma noi abbiamo innanzi a noi l'esperienza della missione Vegezzi. Una negoziazione che dovesse naufragare e interrompersi ai primi passi otterrebbe un risultato contrario all'intento di conciliazione che ci proponiamo. Se il Governo negozia lo fa col desiderio che si giunga ad un accordo. Ora io osservavo al Barone di Malaret che noi stiamo ora applicando la legge sui conventi. Se ci si domandasse, al principio di una trattativa, che l'applicazione di questa legge fosse interrotta o modificata, noi non potremmo assolutamente acconsentirvi. Mi domandavo dunque se non era meglio attendere che la soppressione e la conversione dei beni non fossero passate nel dominio dei fatti irrevocabili. Bisognava preparare alle trattative religiose un terreno favorevole e noi speravamo di riuscirvi applicando a' nostri rapporti colla Chiesa e col Clero i principii di libertà e di legalità. Con questo intento, vincendo non solo molti pregiudizii, ma anche molte resistenze che avevano la loro origine in un sentimento rispettabile, quando si pensa alla condotta e agli antecedenti di taluni rappresentanti del clero, il Governo aveva disposto pel ritorno della maggior parte dei Vescovi nelle loro diocesi e preparava il ritorno degli altri. Se nella situazione religiosa in Italia v'era ora qualche fatto che ritraesse d'un periodo di lotte o di rappresaglie, noi intendevamo farlo sparire, applicando in tutto il regime del diritto comune. Anzi aggiunsi al Barone di Malaret che il Governo avrebbe riassunto i risultati della missione

Vegezzi e esaminato se, per atti di legislazione interna, si potevano togliere alcune delle difficoltà contro cui quella missione andò a naufragare. Questo dissi al Barone di Malaret, esprimendo le osservazioni che mi erano a prima vista suggerite dal problema, che il Governo Francese ci poneva dinanzi.

Per esprimervi poi completamente il mio pensiero vi dirò che se ci giungesse da Roma qualche ouverture del genere di quella che precedette la missione Vegezzi, la quistione dell'opportunità dominerebbe le altre e noi non declineremmo certo l'invito. Ma del resto io preferirei d'assai d'appianare le quistioni per atti spontanei di legislazione interna, procedendo nell'applicazione dei principii di libertà e di separazione della Chiesa dallo Stato, per regolare poi con probabilità di successo col Papa le quistioni che esigono un accordo, come l'istituzione di nuovi Vescovi, la riduzione delle Diocesi ecc. ecc. Il Governo Francese ci consiglia anche a trattare pei Consoli, l'estradizione, l'unione doganale, la banca, e ci assicura che un negoziatore italiano sarebbe accolto dal Papa.

!.Estradizione. È questa per noi una quistione di moralità e null'altro. Qualunque mezzo che assicuri il corso della giustizia de' due rispettivi Stati, saremo sempre pronti ad accoglierlo.

2. -Consoli. Il ristabilimento dei Consoli, nelle condizioni attuali, offrirà molte difficoltà e nessun vantaggio. L'esperienza mi prova che quando esistevano i Consoli Pontificii i rapporti privati non ricevevano facilità maggiori e vi erano di continuo conflitti di cui ora non si parla. I Consoli Pontificii, per esempio si rifiutavano di visare i passaporti italiani e davano ai sudditi italiani che si recavano a Roma dei passaporti pontificii e anche a coloro che non si recavano a Roma. Volendo ristabilirsi i Consoli come si farà colle patenti e cogli exequatur? Possiamo noi mandare a Roma un console che s'intitoli Console di Sardegna e non d'Italia? 3. -Banca. Qui si tratta d'una quistione di interessi privati. Il Ministro delle Finanze ha già pregato i Direttori della Banca di studiare la questione. 4. -Unione doganale. Anche su questo argomento non ci rifiuteremo a trattare. Ma questa quistione implica quella di un implicito riconoscimento de' confini. Per noi non è una difficoltà poiché colla Convenzione del Settembre abbiamo riconosciuto i confini pontifici. Ma lo vorrà il Papa e lo potrà? Io duro fatica a crederlo.
(l) -Cfr. Serie I, vol. VII, n. 709. (2) -Cfr. In Les origines diplomatiques de la guerre de 1870-71, vol. XIII, pp. 105-106 un rapporto di Malaret a Moustier del 16 novembre su questo argomento.
5

IL MINISTRO A PARIGI, NIGRA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 1074. Parigi, 10 novembre 1866, ore 12,50 (per. ore 18,30).

Fleury pour éviter d'aUer en Vénétie a retardé son départ (l). Il se rendra à Florence et y attendra Sa Majesté. Son départ doit avoir lieu le 15 courant.

(l) Cfr. n. 2.

6

IL MINISTRO A PARIGI, NIGRA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 1075. Parigi, 10 novembre 1866, ore 13,35 (per. ore 16,20).

Impression produite sur moi par la lecture des documents diplomatiques n'est pas bonne. Ces documents vont réveiller des sentiments d'irritation en France et en Prusse. Mon avis est que vous devriez vous borner à présenter seulement le tra;ité avec un rapport ainsi que l'a fait la Prusse, mais si publication a lieu, il faudrait retrancher quelques passages et en modifier quelques autres (1). Je vous écrirai là-dessus en renvoyant les pièces (2). Blanc n'est pas arrivé.

7

IL MINISTRO AD ATENE, DELLA MINERVA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 47. Atene, 10 novembre 1866 (per. il17).

V. E. sarà stata diligentemente informata dal R. Console in Corfù del passaggio in quell'isola di un certo numero di volontari Italiani a destinazione di Atene e Sira. Nel poscritto del mio rapporto n. 44 (3) io La informavo del loro arrivo in Atene in numero di trenta circa.

Questi vennero arruolati da un certo Colonnello Bisantio ed avviati martedì a Sira ove dovevano incontrarsi con altri volontari Italiani e con maggior numero di volontari Greci per poi dirigersri. con occasioni favorevoli per Candia. All'arrivo però in Pireo del vapore Greco « Panellinio » proveniente da quell'isola fallita la sua spedizione, si credette per un momento che l'invio di questi volontari sarebbe sospeso, ma dopo giunte le ultime notizie venne decisa la loro partenza e le disposizioni opportune furono mandate in Sira.

Posso assicurare che né il Ministro di Turchia né alcuno de miei Colleghi ravvisa in questa presenza di volontari Italiani la benché menoma ombra d'ingerenza neppure indiretta per parte del R. Governo o di alcuno de' suoi Agenti; ma il fatto viene considerato come conseguenza inevitabile della dissoluzione d1 un numeroso corpo di volontari alcuni dei quali sono spinti dalla loro natura irrequieta a gettarsi nelle avventure più disperate.

Io ho informato il signor Colucci del probabile arrivo in Candia di un certo numero di volontari Italiani e gli ho raccomandato la più grande riserva a tale riguardo, osservando che mettendosi essi nei ranghi degl'insorti egli dovrebbe riguardarli come individui che si espongono a totale rischio e pericolo alle tristi conseguenze che potrebbero loro derivare.

Parlando con questo Ministro Turco ebbi la soddisfazione di convincermi che Alì Pascià, il quale più volte gli scrisse, riguardo ad intrighi di alcuni Consoli esteri pel fatto dell'insurrezione di Candia, non gli fece mai cenno che il Console Italiano fosse sospettato di parzialità a danno degli interessi Ottomani.

(l) -Cfr. in LV 9, pp. 631 e segg. documenti pubblicati sulla questione veneta il 21 dicembre. (2) -Cfr. n. 11. (3) -Non pubblicato.
8

IL MINISTRO A LONDRA, D'AZEGLIO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. CONFIDENZIALE 137. Londra, 10 novembre 1866 (per. tl 14).

Ieri sera incontrai Lord Stanley il quale mi domandò in conversazione se sapessi più altro riguardo alla gita del signor Gladstone a Roma e risposi di no fuorché lettere venute qua sia da lui che dai principali dignitarj della Corte Romana indicavano che erasi creduto da ambo le parti che l'altra avrebbe principiato di entrare in materia, e così nessuno aveva parlato. Sperando così i Monsignori di pretendersi condotti e forzati a parlare, e non avere messo i primi le questioni in campo. Lord Stanley mi ripetè quanto aveva detto prima cioè che aveva raccomandato all'Odo Russell di starsene in fuori da codeste trattative. E diffatti il Manning anche prima che ripartisse Russell averlo di nuovo interpellato per sapere al caso che volesse il Papa andare a Malta cosa gli si risponderebbe. E l'Odo aveva detto essere senza istruzioni locché equivaleva a negativa. Quindi avendone riferito a lord Stanley questo avevagli detto d'aver risposto saviamente.

Lord Stanley mi ripetè che egli teneva il papato per un anacronismo, ma benché non fossero questi affari loro, però era loro desiderio che questo non si cambiasse in imbroglio europeo.

Indicai a lord Stanley che eravi q\lalche motivo di credere che i comitati borbonici mandassero di qua e da Malta armi e denaro in Italia. Egli mi disse che quanto era avvenuto ai tempi di Garibaldi poteva forse farsi attualmente nell'altro senso. Ma aggiunse subito che ove qualcosa fosse avvenuto a mia cognizione ledendo i rapporti internazionali glielo facessi conoscere, e vi avrebbe dato tutta la sua attenzione.

Ma lo pregai a non fraintendermi che non volevo punto mischiare il Governo, ma semplicemente alludere alle mene dei partiti.

Del resto devo fare a questo riguardo osservare a V. E. in risposta al Dispaccio confidenziale del 5 corrente n. 553 (l) che questa questione rientra in quanto non ha mai potuto combinarsi finora, cioè un sistema per invigilare su questi cospiratori. Ho soventi domandato si prendesse qualche misura col manda:r una persona d'Italia, un agente segreto di cui il Governo sappia potersi fidare. Poiché qua la cosa è impossibile. Il Governo Inglese non vuol impacciarsi di simili affari. E quegli agenti che si offrirono sono essi stessi gente pessima che dà informazioni

di nessuna utilità; ed anche queste qualche volta furono date a noi ed alle questure in Italia con doppio pagamento. E quando cercammo di sapere se, queste informazioni essendosi provate utili, eravamo autorizzati a spender denaro ci si rispose di no o non ci si rispose affatto.

Io dunque posso pregare l'Ambasciatore di Francia di far fare qualche ricerca dagli agenti di polizia segreta Francese e raccomandare ai consoli d'invigilare. Ma tutto questo non significherà gran cosa. E se realmente ne val la pena sarebbe sempre meglio mandare qui un agente che combinandosi colla polizia francese possa rendere varj servizj. Oppure anche chiedere per mezzo del Cavaliere Nigra alla polizia francese di far qualche aggiustamento onde fornire al Governo quei ragguagli che lo potessero interessare a questo riguardo.

(l) Non pubblicato.

9

L'INCARICATO D'AFFARI A VIENNA, RATI OPIZZONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. CONFIDENZIALE l. Vienna, 11 novembre 1866 (per. il 15).

L'Empereur François-Joseph est rentré à Vienne vendredi soir, la ville était illuminée sur le passage de Sa Majesté.

Malgré le langage tenu par les journaux prussiens, tout le monde aussi bien à Vienne qu'à Berlin est persuadé que la politique qui sera suivie par M. de Beust, sera une politique exclusivement intérieure et conciliante. Ce Ministre entend accepter le programme formulé par Deak. Ce programme demande qu'il y ait parité absolue entre les pays composant la couronne de St. Etienne et les autres pays de la Monarchie. Je me réserve dans une prochaine dépéche politique de détailler à V. E. ce projet de Deak sur les différentes branches militaires, administratives et financières, ici je me borne à marquer en passant que ce projet établirait le principe d'un dualisme véritable, puisque par les pays composant la couronne de St. Etienne on entend la Hongrie. la Croatie et la Transylvanie.

M. de Beust est favorable à ce projet et la presse au-delà de la Leitha a salué avec faveur son entrée au Ministère.

S'arranger coùte que coùte avec la Hongrie est le seul moyen pratique qui sa présente à l'Autriche après la position qui lui a été faite par les derniers événements. Le Gouvernement Impérial fortifié par une entente véritable avec la Hongrie peut assez bien se passer du concours bienveillant des autres pays de la couronne, car ces pays finiront toujours par se grouper autour de lui, tandis qu'il ne lui servirait à rien avoir tout à fait de son c6té ces mémes pays, si le triple Royaume continuait encore dans son opposition systhématique. Comme acheminement à cette entente la Diète hongroise sera convoquée le 19 du mois prochain et neuf jours avant Sa Majesté se rendra en Hongrie.

Ainsi la direction intérieure que va prendre la politique autrichienne, me parait, pour le moment, la pousser plut6t à une politique anti-russe que non à une politique anti-prussienne. Dans cette voie où le Cabinet de Vienne sera fermement entrainé, la question des personnes jouera un ròle qui ne me parait pas devoir faciliter les rapports entre le Ministère Impérial et cette Légation de Russie. Le langage de M. de Stackelberg et meme celui des membres de sa Légation renferme beaucoup d'aigreur sur le Cabinet autrichien; aigreur qui du moins ne perce pas dans le langage de M. de Werther.

Quant aux bruits d'un accord entre la Russie et la Prusse sur l'éventualité des événements qui peuvent et, dirais-je presque doivent surgir en Allemagne et en Orient, il me parait oiseux de vouloir sonder si un pareil accord existe textuellement oui ou non; pour ma part je ne le crois pas, bien que les deux Légations de Prusse et de Russie se donnent presque les airs de l'aiDcher. Mais en meme temps il n'est pas difficile de prédire, qu'aussitòt que ces deux questions allemande et orientale surgiront, cet accord s'accomplira de fait. Il est dans la force et la logique des choses, et les deux Cabinets de Berlin et de S. Pétersbourg seront poussés dans les bras l'un de l'autre. Air.si vu la phase incertaine et mal définie où se trouve la France la politique de M. de Beust sera d'autant plus intérieure et expectante, et à moins que l'on y soit entrainé par des provocations évidentes ou par des dangers d'existence, on se gardera bien de risquer la fortune de l'Autriche dans des aventures politiques.

Ici donc l'on dirige ses vues sur la Hong,r:ie, sur les finances et sur les questions intérieures. Ces occupations sont pacifiques n'ont de contrepoids que dans les mesures qui regardent l'armée. Le succès des armées prussiennes exerce son influence. On veut maintenant organiser l'armée autmchienne sur le pied de l'armée prussiEnne, tant à l'égard de l'armement qu'à l'égard de la constitution et de la formation de l'armée elle-meme. Pour l'armement c'est tout bonnement l'affaire de savoir se décider a temps pour un bon choix sur les différents systèmes de fusils qui se présentent. Ce n'est donc que l'embarras du choix et de l'argent nécessaire pour se les procurer. Mais quant à vouloir en Autriche une armée constituée et organisée à la prussienne, la chose est-elle possible? L'Autriche n'est pas composée d'une seule nationalité comme la Prusse; les populations non allemandes de cet Empire sont encore bien loin d'avoir atteint la civilisation des populations prussiennes. Les personnes compétentes doutent donc beaucoup de la bonne réussite d'une pareille mesure. Je sais que l'Attaché militaire Russe d'ici s'en frotte les mains, et avec une ironie maligne il a déjà défini la mesure actuelle par ces mots adressés à St. Pétersbourg: « on organise en Autriche la désorganisation de l'armée ».

Je crois que le choix de M. de Beust pour le futur Ministre d'Autriche à Florence s'est fiixé sur le Baron de Kubeck: j'ignore encore quand la nomination aura lieu. Ce choix ne peut qu'entretenir davantage les bonnes rélations entre les deux pays.

Ce matin M. Gualtieri est arrivé et m'a apporté les décorations qui lui ont été remises. Comme il m'a paru qu'il y avait un oubli, je me suis permis de m'adresser par télégraphe à V. E. (1). Au demeurant on pourrait en parler au Comte Menabrea, car je puis très bien m'etre trompé. Dans le doute j'ai pensé bien faire de m'adresser à V. E.

lO

(l) Non pubblicato.

10

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AL MINISTRO A PARIGI, NIGRA

T. 786. Venezia, 12 novembre 1866, ore 17.

Je préfère aussi la publication d'un rapport à celle des documents (l) et je tacherai de faire prévaloir cet avis. Cependant je vous prie de vous entendre avec Blanc pour les modifications à introduire dans les documents s'il fallait les publier. Veuillez dire à Blanc que je serai à Florence le quinze et que je le prie de hàter son retour autant que possible.

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IL MINISTRO A PARIGI, NIGRA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA (AVV, ed., in Carteggi Ricasoli, vol. XXIV, pp. 275-276) (2)

L. P. Parigi, 13 novembre 1866.

Ho letto attentamente le carte che m'avete spedito e che sarebbero destinate ad una pubblicazione uftlciale per uso del Parlamento. Vi ringrazio di avermi domandato il mio avviso in proposito. Ve lo dò sinceramente, come soglio.

L'impressione che si ricava da quella lettura è triste e cattiva. Ne risulta che l'Italia, per i rovesci sofferti in terra ed in mare ed in seguito alla politica sconnessa e sconsigliata della Francia, e delle paure esagerate della Prussia, fu successivamente abbandonata dalla Prussia e dalla Francia, e riuscì dopo infiniti travagli ad avere molto tempo dopo una pace che senza quelle circostanze avrebbe ottenuto prima e con risparmio di denaro e di considerazione. Questa pubblicazione richiamando di nuovo la pubblica attenzione sui fatti di Nikolsburg, sulle domande intempestive della Francia, sull'incidente del nostro armistizio, altrettanto doloroso per noi quanto indecoroso per la Francia, creerebbe nuove freddure fra l'Italia e la Prussia, fra l'Italia e la Francia, fra la Prussia e la Francia; sarebbe l'occasione di recriminazioni infinite nel giornalismo europeo, e darebbe nuove armi in mano all'opposizione sì in Francia che in Italia. Ora io domando alla vostra coscienza, se per giustificare il Ministero che non ha bisogno d'essere giustificato, se per dare alla Camera ed al paese spiegazioni che non domandano, convenga il dare alle nostre relazioni internazionali un nuovo colpo e più violento. A me pare che non sarebbe cosa assennata il farlo. Oramai il paese ha tirato un velo su quei dolorosi incidenti. Perché metterli di nuovo a nudo? Gli oppositori del Governo non mancheranno di accusarlo d'aver piuttosto provveduto alla propria responsabilità che all'interesse dello Stato.

Non posso a meno perciò di consigliarvi quanto so e posso ad usare ogni mezzo per convincere i vostri colleghi dell'inopportunità, e degli inconvenienti

6 -Documenti diplomatici -Serle I -Vol. VIII

di questa pubblicazione. Fate valere sopratutto la considerazione del bisogno che abbiamo di conservare le nostre alleanze naturali. E fra queste non comprendo l'Austria, destinata a sfasciarsi, o a passare per una lunga serie di mutazioni che la renderanno impotente o quasi, per molto tratto di tempo.

A mio giudizio, ecco il modo di procedere che dovrebbe essere scelto in ciò. Presenterei il trattato di pace preceduto da una relazione storica. Per dar poi una certa soddisfazione ai diritti del Parlamento, comunicherei, ma in via confidenziale alla Commissione della Camera ed all'Ufficio Centrale del Senato i documenti che m'avete spedito. Il Governo otterrebbe a questo modo il doppio scopo di giustificare l'operato dinanzi al Parlamento rappresentato dalle sue commissioni, e d'evitare i gravi inconvenienti, interni ed esterni, d'una pubblicazione ufficiale. All'occorrenza il Ministro degli Affari Esteri potrebbe fornire verbalmente nella discussione in seno alla Commissione o dinanzi al Parlamento le spiegazioni di cui fosse riconosciuta la convenienza.

Se la Prussia potesse essere citata ad esempio in cose costituzionali, potrei anche rammentarvi il modo di procedere seguito da quel Governo nella votazione dé suoi trattati di pace.

Ho fatto ad ogni buon fine, d'accordo con Blanc, che partì ieri per Chambéry, alcune soppressioni, alcune modificazioni, e qualche addizione, che sottometto alla vostra approvazione (1).

P. S. Quando giunse il vostro telegramma che richiamava Blanc a Firenze (2), questi era già ripartito da Parigi per Chambéry. Gli spedii un telegramma subito per informarlo del desiderio che m'avevate incaricato di fargli conoscere (3).

(l) -Cfr. n. 6. (2) -In Carteggi Ricasoli la lettera è edita come diretta a Rlcasoll.
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IL MINISTRO A PARIGI, NIGRA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA (4)

T. 1078. Parigi, 14 novembre 1866, ore 16,30 (per. ore 19,55).

Question de la dette pontificale s'aggrave. Dans le conseil des ministres d'hier Empereur a décidé que les troupes resteraient à Rome si cette question n'est pas réglée. Il faut absolument empecher que le général Fleury porte un ultimatum péremptoire à Florence. M. Rouher m'en a prévenu confidentiellement, il a cherché avec moi une solution qui serait la suivante: «Le Pape empruntera douze millions à une maison française sur dépòt de rentes pontificales. Dans la convention le Gouvernement italien s'engage à dégager les rentes pontificales

au moyen d'un dépòt de rentes italiennes dans le délai de 6 ou 8 mois. La Convention portera quittance conditd.onnelle de somme de douze millions sur les soixante-treize d'arrérages; les soixante et un millions restants seraient capitalisés comme il a été convenu ». Je m'engage à faire accepter par l'Empereur et par M. Fould cette combinaison que je trouve acceptable. La question au fond n'est pas de principe mais de mode de payement. Je vous engage vivement à faire accepter cette proposition par le ministre des finances et à me télégraphier de suite. Il est important que la question soit réglée avant arrivée du général Fleury. Cette combinaison ne se réfère pas au sémestre courant dont le payement resterait à la charge de l'Italie, mais on pourrait étendre l'arrangement au semestre courant en portant chiffre de l'opération à dix-huit millions au lieu de douze.

(l) -Cfr. !l seguente brano d! una Lp. di Rlcasoll a Visconti Venosta del 21 novembre (AVV, ed. !n Lettere Ricasoli, vol. IX, pp. 38-39 e !n Carteggi Ricasoli, vol. XXIV, pp. 322-323: «Rimetto la lettera del Ministro Nigra. Sarebbe vero cattivo gusto se si tenesse a rinfuocolare delle cose amarissime, quando tutti fossero disposti a !asciarle da parte, e quando !n specie fa più d'uopo di quiete politica. cosicché lo non sono alleno da seguire il sistema proposto; ma è però conveniente d! avere pronto quanto occorre a schiarire la verità del fatti». (2) -Cfr. n. 10. (3) -Il poscritto non è edito. (4) -una copia del t. che è conservata nell'Archivio d! Gabinetto reca: «Au Ministre des Affaires Etrangères ou, en son absence, au Président du Conseil ». Su tale copia vi è la seguente annotazione: «Questo dispaccio non poté essere tradotto che questa mane, 16 novembre, ore 9 antimeridiane, momento in cui giunse da Venezia la cifra d! Parigi che era presso Il Ministro degli Aliari Esteri ».
13

IL MINISTRO DELLE FINANZE, SCIALOJA, AL MINISTRO A PARIGI, NIGRA

T. 791. Firenze, 16 novembre 1866, ore 18,10.

Par votre dépéche 31 octobre (l) la France demandait à l'Italie arrérages jusqu'au 31 décembre, en commençant paiement direct par premier semestre 1867 selon nos désirs. Elle proposait seulement paiement deux semestres arrérages, c'est-à-dire, 12 à 13 millions en argent ou en valeurs tels que titres au porteur ou bons du trésor. Par votre dernière dépéche (2) dont la traduction a été retardée attendu que chiffre se trouvait à Venise, on demande 12 millions et paiement second semestre 1866, ou 18 mililons.

C'est revenir sur propositions déjà posées. Par déférence personnelle à l'Empereur Ministère condescend paier deux semestres argent comptant, et ministre finances offre de les paier directement en argent sans dépòt ou autres opérations semblables. Mais on demande de rester dans les termes arrétés et qui déjà sont très graves et très embarrassants pour le Gouvernement italien.

Notre intention est de régler la question de la dette, et d'observer en tout et pour tout la convention. Nous ne pouvons pas accepter le doute que Gouvernement français veuille trouver prétexte pour ne pas l'observer de son còté: cela est impossible.

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L'INCARICATO D'AFFARI A COSTANTINOPOLI, DELLA CROCE, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. CONFIDENZIALE 19. Costantinopoli, 16 novembre 1866 (per. il 24).

Dopo le ultime notizie di Creta qui ricevute e che io trasmetto all'E. V. il Generale Ignatiew ha quasi smesso ogni ritegno. Senza cunfessare una diretta

partecipazione della Russia a quei moti egli proclama altamente le sue simpatie per gl'insorgenti, dice che questi potranno resistere tutto l'inverno, e che alla primavera la quistione d'Oriente sarà aperta.

A più riprese egli fece meco allusione alla parte che è riservata all'Italia in questa quistione, all'alleanza che essa dovrà contrarre colla Russia, ed all'appoggio che la causa greca troverebbe fra gl'Italiani.

Ebbi sempre cura di dichiarare al Ministro di Russia (seguendo le istruzioni ricevute) che nelle attuali circostanze il Governo del Re aveva conservato e intendeva ancora conservare la più stretta neutralità; che se per parte nostra non si poteva rinnegare il principio delle nazionalità, principio sul quale basava la rigenerazione del nostro paese, dall'altro lato però noi non intendevamo suscitare imbarazzi ad un Governo col quale eravamo in buoni rapporti, favoreggiando moti insurrezionali, a nostro credere inopportuni, le cui conseguenze avrebbero potuto esser funeste ai Greci stessi, e pericolose per noi.

Il Generale Ignatiew accoglieva sempre con incredulità queste mie dichiarazioni, ed oggi mi annunziava quasi trionfante, che un corpo di Garibaldini era sbarcato nell'isola.

Io non so quanto di vero possa esservi in questa notizia del Generale, né mi è noto quale fosse il numero dei volontari radunatist a Corfù, dei quali feci parola a V. E. col mio dispaccio confidenziale n. 18 (1), e che saranno probabilmente quelli che approdarono a Creta.

Ad ogni modo però mi sarebbe ora necessario l'avere qualche informazione, e qualche ulteriore istruzione per regolare viemeglio la mia condotta ed il mio linguaggio, sia con Aalì Pacha, sia coi Rappresentanti delle varie Potenze. Fra essi quegli che si mostra sempre più favorevole ai Turchi è l'Incaricato d'Affari di Francia. A lui si accosta nella stessa comunità d'idee il Barone Prokesch Internunzio d'Austria già filelleno in gioventù, ora filoturco. Lord Lyons riservatissimo sempre, e parco oltre ogni modo di parole, seguendo la politica del Gabinetto Inglese nutre però in fondo al cuore pei Greci non poche simpatie, che egli si studia di celare. Lancia spezzata del Generale Ignatiew, e potente strumento nelle sue mani è il signor Morris Ministro degli Stati Uniti. Il signor Delyanni Ministro di Grecia, invisibile a tutti, cerca di fare scordare la sua presenza a Costantinopoli.

(l) -Cfr. Serie I, vol. VII, n. 700. (2) -Cfr. n. 12.
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L'INCARICATO D'AFFARI A COSTANTINOPOLI, DELLA CROCE, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 56. Costantinopoli, 16 novembre 1866 (per. il 24).

* Il signor Ristich, Agente del Principe Michele, di ritorno a Costantinopoli da pochi giorni, fu incaricato di chiedere ufficialmente alla Sublime Porta lo sgombero delle fortezze di Serbia ancora occupate dai Turchi. Allo scopo di non

risvegliare le suscettibilità del Governo Ottomano, il Governo Serbo credette miglior partito l'agire in questa circostanza, senza ricorrere a verun intermediario, e senza domandare neppure l'appoggio di alcuna fra le Grandi Potenze * (l). ,.-1.

Non fu se non in via ufficiosa e confidenziale, che il signor Ristich m'informò di quanto erasi fatto da lui.

* Il Gran Vizir avrebbe accolto la nota Serba senza troppa ripugnanza, ascoltando benevolmente le spiegazioni verbali che gli venivano date, in aggiunta a quanto era espresso nel documento.

L'idea di fare di questa vertenza una questione puramente interna, evitando così l'intervento delle Potenze garanti, non poteva * (2) certamente non sollecitare la vanità di questi Governanti, ai qual[ oramai non è più permesso di muovere passo, senza il consenso dei loro tutori.

Ma non per questo si può credere che anche questa questione sia per ricevere un pronto scioglimento. Benché si tratti di fortezze di nessuna importanza, costa troppo ai Turchi il cancellare colle loro stesse mani l'ultimo vestigio del loro dominio in quelle provincie.

Queste risoluzioni penose sono da essi sempre rimesse alla dimane, quando appunto non è più possibile schivare la pressione straniera. È quindi probabile che anche di questa questione dovranno occuparsi nuovamente le Potenze garanti.

La Russia sarà manifestamente favorevole ai Serbi. Anche alla Francia sarà di!lìcile il seguire altra via. Il Marchese di Moustier poi fu sempre personalmente benevolo verso questa nazione, nè credo possa mutare d'opinioni.

Savia politica del resto parrebbemi che le Potenze occidentali sostenendo l'indipendenza, ed i diritti dei Serbi, e favorendone così lo sviluppo impediscano in tal modo alla Russia di fare di quel popolo valoroso l'avanguardia del suo esercito d'operazione in Oriente.

A questa linea di condotta io mi atterrò se contrarie istruzioni non mi pervengano dall'E. V.

(l) Non pubblicato.

16

IL MINISTRO A PARIGI, NIGRA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 1084. Parigi, 18 novembre 1866, ore 15 (per. ore 16,25).

Le télégramme que Mancardi vous a envoyé le 31 octobre (3) est le résultat d'un malentendu avec M. Faugère, qui, à ce qu'il parait, ne s'est pas bien expliqué. Le fait est que le Gouvernement français n'a pas cessé de réclamer deux

semestres en argent outre le semestre courant. Le marquis de Moustier, à qui j'ai communiqué votre dernière proposition (l) persiste dans la demande de 9 semestres en argent en comprenant le semestre courant.

(l) -I brani fra asterischi sono editi In LV 9, p. 405. (2) -In LV 9 !l testo prosegue così: «non riuscir grata alla Sublime Porta. Però sarebbe difficile affermare che la vertenza sia per essere condotta così ad una prossima soluzione ». (3) -Cfr. Serle I, vol. VII, n. 700.
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L'INCARICATO D'AFFARI A BERLINO, QUIGINI PULIGA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 4. Berlino, 18 novembre 1866 (per. il 22).

Le Gouvernement Autrichien vient d'adresser en date du 5 de ce mois une Note au Gouvernement Prussien par la quelle, se rapportant à l'article 13 du traité de Prague, l'Autriche exprime le désir de procéder sans retard à une révision du traité de Commerce entre l'Autriche et le Zollverein conclu en Avril de l'année dernière. Cette démarche de M. de Beust, qui est interprétée par les journaux Prussiens comme un indice précurseur de meilleures rélations à établir entre les deux pays, aurait été, d'après les renseignemens que j'ai pu recueillir, uniquement inspirée au Cabinet Autrichien par la considération que la Prusse proftterait seule des diminutions de tarif que l'Autrlche va accorder à la France dans le traité de Commerce, dont les négociations sont arrivées presqu'à terme. La situation politique entre l'Autriche et la Prusse continuera donc à avoir pour le moment le meme degré de tension qu'on a remarqué jusqu'à présent.

Depuis quelques jours il se fait ici grand bruit, tant dans le corps diplomatique, comme dans la presse, d'une prétendue alliance Prusso-Russe. L'envol du Prince Royal à Pétersbourg, la position assez isolée de la Russie, qui a tiré parti de cette circonstance pour donner à cette marque de courtoisie un caractère politique plus accentué, paraissaient donner une certaine consistance à ces bruits. On compamit le langage du Représentant Russe ici avant son voyage à Pétersbourg à celui qu'il tient depuis son retour: autant, avant son départ, M. d'Oubril ne se faisait pas faute de blamer ouvertement les mesures du Gouvernement Prussien envers les vaincus et les annexés, autant il était aigre presqu'emporté, autant il est maintenant réservé et doux dans ses appréciations.

Ce changement de langage devait etre, et il a été remarqué, et interprété dans le sens d'une alliance, sinon conclue, du morins projetée. J'ai été aux informatli.ons à mon tour, j'ai recueilli l'avis de mes collègues, et j'ai acquis la conviction que cette alliance n'existe pas pour le moment. Il est évident que la Russie n'a aucun intéret à se brouiller avec sa puissante voisine, camme il est clair que la Prusse a assez à faire pour digérer ses nouvelles conquetes, sans aller chercher noise à la Russie.

La situation est donc parfaitement établie, et l'on désire des deux còtés rester en de bons termes, mais de là à conclure une alliance, dans la quelle on engagerait l'avenir, et on toucherait à de certaines éventualités en Orient, il y a loin.

Le Gouvernement Anglais vient de supprimer la Légation de S. M. Britannique à Dresde: par contre le Ministre Saxon à Londres, ayant demandé et obtenu un

long congé, vient de confier la protéction des sujets Saxons à l'Ambassade de Prusse, d'après les dispositions du traité de paix entre la Prusse et la Saxe. Le curieux de ceci c'est que, d'après ce qu'on m'assure de la manière la plus positive. ces deux faits sont entièrement indépendants l'un de l'autre. Le Gouvernement Anglais a supprimè le poste par des raisons d'économie: Lord Loftus m'a pourtant dit qu'il espérait voir à la suite de cette augmentation de jurisdiction, ses appointement portés de 125 mille francs à 200 mille.

Le Ministère Saxon n'a pas pensé qu'accordant le congé demandé par son Ministre, et n'envoyant pas de Secrétaire à Londres, il pouvait, jusqu'à un certain point, préjuger à la question de représentation diplomatique qui doit etre décidée dans le prochain Parlament du Nord.

(l) Cfr. n. 13.

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L'INCARICATO A WASHINGTON, CANTAGALLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. CONFIDENZIALE S.N. Washington, 19 novembre 1866 (per. il 3 dicembre).

Contuttoché io mi sia finora astenuto dal conferire in modo speciale coll'E. V. intorno alle cose Messicane, delle quali il Ministero è meglio in grado di venir dettagliatamente informato per altre fonti, non voglio tuttavia tralasciare l'occasione di far parte all'E.V. di ciò che mi venne dato conoscere in modo tutto confidenziale, delle intenzioni di questo Governo, in quanto alla parte che gli avvenimenti possono riserbargli nel Messico, o cui, per avventura, vengono dirette le mire del Gabinetto di Washington.

Nel mio ultimo rapporto all'E. V. (n. 294) (l) io mi limitavo ad annunzLarle la partenza per la Vera-Cruz del plenipotenziario degli Stati Uniti, Signor Campbell, accompagnato in quella missione dal Generale Sherman, lo stesso che tanto si distinse nelle guerre combattute per l'Unione.

L'aver dato per compagno all'Onorevole Campbell questo valent'uomo di guerra, e sopratutto, in momenti di grave tensione, e per circostanze di natura così delicata, dié luogo nei circoli politici e diplomatici, a varie interpretazioni, cui la pubblica stampa diversamente riprodusse, tentando spiegare nel modo che più si affà alle tendenze di questi repubblicani, le vedute probabili del Governo federale, nella contingenza in discorso.

E, per tacere di tali opinioni, che poco meritano in giornata l'attenzione della

E. V., se le vedute anzidette debbano giudicarsi dalle istruzioni che questo Segretario di Stato, rimetteva in sul partire al Rappresentante Americano nel Messico, non sarà forse così agevole per ora il ravvisarne l'obiettivo, ove non se ne cerchi la ragione segreta nelle condizioni interne, non men che nelle esterne, dl questo paese, la cui politica internazionale ebbe mai sempre a risentirsi del vario indirizzo cui gli uomini di Stato, ed anco i politicanti, direttamente o per isbieco, riuscirono a dare agli andamenti interni e al giuoco delle parti.

Queste istruzioni, come già dissi all'E. V., comunicatemi confidenzialmente, e delle quali non ebbi che il tempo di prendere attenta a ponderata lettura, non offrono forse tutto quell'interesse che nell'attuai congiuntura potriasi aspettare da un documento di tal natura.

Enumererò per sommi capi ed in succinto i punti principali, sui quali il Segretario di Stato pone le norme della condotta da seguirsi, ed invita la diligenza e lo zelo speciale dell'Inviato.

Il Segretario di Stato dopo aver riassunto gli avvenimenti in seguito ai quali fu stabilito fra i due Governi, il ritiro delle truppe francesi doversi eseguire in tre epoche, per guisa da venir completato entro il Novembre 1867, esprime francamente la convinzione del Governo federale che le promesse fatte dal Governo dell'Imperatore riguardo all'evacuazione verrebbero fedelmente mantenute. Anzi, a questo proposito aggiunge: «aver ragione di credere che il Gabinetto francese erasi seriamente occupato di due questioni: I. Se convenisse procurare che l'abdicazione dell'Imperatore Massimiliano precedesse l'evacuazione totale o finale delle truppe. II. Se tale evacuazione non potesse meglio effettuarsi in massa, e prima che spirasse l'epoca a ciò pattuita. Con tutto ciò, e quantunque tali quistioni sieno di per sé estranee alla parte assunta dagli Stati Uniti nella quistione principale, il Presidente non potrebbe che veder di buon occhio l'affrettata maturazione della ricevuta promessa in quanto tocca l'evacuazione delle truppe, secondo già ne fu espresso il desiderio in via puramente amichevole. Dietro tali considerazioni, procede a dimostrare il Segretario di Stato, e stante che vi sia motivo di ritenere che il corpo d'occupazione sarà presto richiamato in patria, incombe di parare in tempo agli avvenimenti dei quali il Messico potria per avventura divenire il teatro, non appena cessi l'intervento estero militare in quelle contrade. Prescrive quindi al Signor Campbell di recarsi tosto entro i confini del paese, o in luogo convenientemente vicino, per guisa da potersi mettere al più presto in relazione colle autorità presso le quali viene accreditato. «Non è dato il prevedere, dice il Signor Seward, qual sarà l'attitudine, e quale la condotta tenuta sia dal principe Massimiliano, sia dal Juarez, sia dai capi delle varie fazioni di che il Messico è travagliato, tosto che abbia fine l'occupazione straniera, doversi quindi necessariamente ed in gran parte confidare allo zelo di lui (Signor Campbell) e alla sua discrezione rilasciare di barcamenarsi per modo, da poter conformarsi nell'esercizio del suo mandato ai tre punti seguenti: I. Che essendo egli accreditato presso il Presidente Juarez, nella sua qualità di Capo Magistrato della Repubblica Messicana, il Signor Campbell non dovrà conferire umcialmente, molto men riconoscere il principe Massimiliano, che si chiama Imperatore, o qualsiasi altra persona esercente autorità che non emani da quella del nominato Juarez. II. Che supposta l'intenzione del Governo francese di ritirare le truppe proprie dal territorio messicano giusta i termini dell'accordo, le navi da guerra e le forze terrestri degli Stati Uniti, dovranno astenersi dal molestarne l'uscita. III. Che l'intenzione del Governo federale a riguardo del Messico, non è già quella di ottenere vantaggi di sorta, mirando all'ingrandimento dell'Unione per via di concessioni di territorio, e simili, ma il solo desiderio di veder ristabilita nel Messico la pace, l'or

dine, e la sicurezza, sotto quelle istituzioni che l'intervenzione straniera ha cer

cato di rovesciare; non voler d'altronde per nessuna guisa intromettersi nelle

misure dirette a rendere al paese l'aspetto interno che verrà consentito dalle

circostanze; spettare ai soli Messicani il decidere sotto qual forma di Governo

lor convenga vivere; né potersi gli Stati Uniti opporre alla decisione, qualunque

ella sia, che verrà presa a questo rapporto.

Le simpatie del Governo federale portandolo tuttavia a veder di buon occhio

e favorevolmente l'impianto de' reggimenti repubblicani, segue a dire il Segre

tario di Stato, gli Stati Uniti saranno ben lieti d'interporre i loro buoni ufficii,

ed anco ove lo richieda il Presidente Juarez a far uso di mezzi più efficaci onde

assisterlo nell'opera di pacificazione, e di consolidazione interna del Governo

del quale egli è Capo. Non è nemmeno improbabile, che considerazioni di diversa

natura possano consigliare l'impiego delle forze di terra o di mare degli Stati

Uniti, nel fine indipendente e nell'interesse del ristabilimento dell'ordine in un

paese perturbato dalle fazioni».

Il Signor Campbell dovrà conferire appena gli venga dato cogli agenti auto

rizzati ed officiali del Governo presso il quale è accreditato; tuttavia è in sua

discrezione, ove lo stimi indispensabile, di comunicare altresì, ma non official

mente (informally) con altri agenti, o persone appartenenti ad altri partiti,

e di tali conferenze dovrà rendere esatto conto al Dipartimento di Stato.

In vista poi dei pericoli del periodo di transizione cui sarà in breve esposto il Messico, passando da uno stato di resistenza armata all'intervenzione straniera, alla condizione di paese che deve fidare nelle proprie forze, (conchiudono le istruzioni) il Presidente ha creduto dover dare per compagno al Signor Campbell in questa missione, il Generale Sherman, la cui vasta esperienza militare potrà tornargli di gran giovamento. Imperocché non potendosi prevedere quale aspetto assumeranno le cose, ad un'epoca così critica e non lontana, si reputò opportuna la presenza di un uomo rivestito di carattere speciale, e di sperimentata abilità che potesse trovarsi in grado di dirigere con frutto quelle operazioni cui la cessazione dell'intervento estero renderebbe eventualmente utili o necessarie, per le suesposte ragioni, non meno che per contenere nei limiti concilievoli cogli obblighi assunti l'attività delle truppe federali disposte sulle frontiere.

Ho tentato di attenermi esattamente al senso ed anco alle parole usate dal Segretario di Stato nelle istruzioni date al Campbell, per quanto mi soccorreva la memoria della lettura fattane; quello che ho potuto infrattanto riferirne, basterà all'E. V. per dirsi informato in tempo, e trovarsi. in grado di completare, in quanto è possibile coi dati testé forniti il concetto della situazione. Il linguaggio talora vago, confuso, e spesso contraddittorio delle istruzioni che più apparisce tale nell'originai documento, ha colpito al pari di me, la distinta persona che me ne dié lettura. E se non fosse che meglio viene intesa per la pubblicità che in suo tempo avrà nelle due Camere, e nella stampa, di quello che per servir di scorta all'Inviato degli Stati Uniti, il fare sconnesso, talora conciliante e pacifico, ora aggressivo e risoluto che vi si riscontra, renderebbe arduo

davvero il capire di quale spirito fosse informato il redattore di questa singolare elucubrazione; la quale avrà però il vantaggio di soddisfare la generalità ove venga conosciuta, e di piacere ai Rappresentanti de' varii Governi; mentre dall'altro lato le assicurazioni che vi sono interpolate dalle intenzioni puramente filantropiche, e della risoluzione di attenersi ai limiti dei proprii doveri, onde il Segretario di Stato fa eloquente sfoggio, debbano alla lor volta contentare gli interessati.

Non è da prevedere fin d'ora nello stato incerto della situazione nel Messico quale effetto abbia per avere sugli avvenimenti l'iniziativa or presa dagli Stati Uniti. Non mancherò di tenerne al corrente l'E.V. Intanto La prego di non volermi male dell'avere sì lungo tempo trattenuto l'E. V. su questo soggetto.

(l) Non pubblicato.

19

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, ALL'ONOREVOLE MINGHETTI (BCB, Carte Minghetti)

L.P. Firenze, 19 novembre 1866.

A Milano rimasi quache ora soltanto e ripartii per Firenze dove giunsi stamane. Il tuo viaggio a Parigi mi pare un'eccellente occasione. Ne parlai a Ricasoli ed egli pure desidera che tu venga prima a Firenze e si parli un po' insieme delle cose di Roma.

A Parigi tu vedrai l'Imperatore, e una conversazione su Roma coll'Imperatore, dopo aver tu discusso la quistione con noi, mi pare assai opportuna. A Parigi, al punto di ritirare le truppe, s'è assai spaventati di quello che può succedere a Roma. V'è ora, a Parigi, sulla quistione romana una tendenza assai conservatrice che bisogna scongiurare con pazienza e condiscendenza. È di somma importanza che a Roma e nel territorio le popolazioni rimangano per ora tranquille. Ricasoli ne è ammirato ed è in disposizioni assai moderate.

Il Governo francese vorrebbe far rinnovare qualche trattativa diretta fra noi e Roma sia sulle quistioni religiose, sia su qualche quistione di interessi materiali. È mio avviso che bisogna non rifiutare, e far mostra di uno spirito conciliante, purché la quistione principale non sia compromessa.

A quanto mi scrive Nigra il Generale Fleury non dovrebbe aver altra missione. Lo spero e l'attendo con ansietà. Finora sembra che il Papa si rifiuti ai consigli di chi lo vorrebbe far partire. Ma se fuggisse? Poi, la tranquillità a Roma, la conservazione dello statu qua non possono esser eterne.

Il potere temporale com'è evidentemente non potrà reggere. Quelle famose eventualità non previste dalla Convenzione io col Generale Fleury se non ci sono costretto, non le discuterò. Ma vorrei che tu ne parlassi coll'Imperatore.

Il Generale Fleury arriva posdomani; il Re sarà a Firenze il 21, credo, o il 22. Il mio desiderio è che tu venissi a Firenze dopo l'arrtvo del Re. Ma se al giunger di Fleury vedo che le cose s'imbrogliano, ti mando un telegramma perché vorrei avere i tuoi consigli.

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IL MINISTRO A PARIGI, NIGRA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 1087. Parigi, 21 novembre 1866, ore 15 (per. ore 16,15).

Gouvernement français n'a pas accepté proposition de payer en argent les deux semestres de l'année courante. Il persiste à demander payement de deux semestres outre le semestre courant. Veuillez me dire quand le ministre des finances pourrait exécuter le payement direct en argent.

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IL MINISTRO A PIETROBURGO, DE LAUNAY, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. CONFIDENZIALE 146. Pietroburgo, 21 novembre 1866 (per. il 28)

Le Prince de Prusse est parti le 18 pour Berlin, en emportant tous les suffrages, gràce à son tact parfait. Il m'a longuement entretenu sur la dernière guerre. Son Altesse Royale se montrait très fière des succès de l'armée prussienne. Elle rendait aussi justice à la bravoure de nos troupes, auxquelles le temps avait manqué pour se signaler davantage. Elle exprimait en meme temps le regret de n'avoir pas partagé la bonne fortune de Monseigneur le Prince Amédée, glorieusement blessé en combattant pour son Pays.

Des organes plus ou moins autorisés de la presse autrichienne et française persistent à s'occuper d'une prétendue alliance entre la Prusse et la Russie, alliance scellée par la présence de ce Prince à la Cour du Tsar.

Je ne puis que me référer à mes rapports précédents sur ce sujet. Sans doute cette dernière guerre, bien qu'elle ait été rapidement menée, a tout remué en Europe. Si le noeud des affaires a été délié en Italie, il s'est resserré sur d'autres points. Les perplexités de l'opinion publique ont donc leur raison d'étre.

La situation de l'Allemagne est mal définie. La France, malgré le mot d'ordre de dissimuler ses sentiments, est jalouse, pour ne pas dire inquiète, des agrandissements de la Prusse. Elle cherchera peut-etre à les contrebalancer par une entente intime avec l'Autriche. Les Polonais voudraient attacher le grelot en Galicie. La question d'Orient fermente. «L'installation d'un Prince étranger à Bucharest serait le commencement de la fin». La prédiction en a été faite dans ces propres termes par Aali-Pacha lui-meme, quand il fut informé de la candidature du Prince de Hohenzollern. D'après ce jugement, la reconnaissance du nouvel hospodar ne marquerait tout au plus qu'un temps de répit. La Serbie. encouragée par les faveurs accordées aux Moldo-Valaques, adresse des sommations, soi-disant respectueuses, à Constantinople, pour demander que Ies garnisons turques évacuent les forteresses de son territoire. M. Marinowitch, président du Sénat à Belgrade, se trouve précisément à St. Pétersbourg pour solliciter l'appui du Gouvernement Impérial dans ses réclamations. Si cet Envoyé ne reçoit pas d'encouragement officiel, je doute fort du moins qu'on ferme toute issue secrète pour la réussite de ses démarches. Elles sont contrecarrées par la Légation de la Sublime Porte, mais le Prince Gortchacow semble faire bon marché de son ingérence. Le fait est que Marinowitch s'est présenté lui-meme et a été accueilli sans aucun intermédiaire, absolument camme le délégué d'un Etat souverain. L'insurrection est étouffée, et non éteinte, en Crète. Le feu couve sous la cendre, et meme, d'après un télégramme du général Ignatieff, les révoltés peuvent se tenir longtemps encore sur la défensive. .

Mais il serait malaisé, dans ces circonstances, de percer l'obscurité où plongent encore ces difficiles questions. Il convient d'etre sobre dans ses prévisions, et réservé dans ses conjectures.

Je me bornerai à quelques observations sur la Prusse et la Russie.

Elles doivent, l'une et l'autre, se demander jusqu'où ira l'ébranlement donné aux intérets et aux esprits en Europe, et quelle influence les événements récents exerceront sur les relations réciproques des Grands Etats. L'une et l'autre doivent évidemment chercher à se ménager une bonne piace dans la réconstitution des alliances. Mais leur position est loin d'etre identique.

La Prusse dispose de finances bien réglées. Son armement et la prodigieuse mobilité de ses troupes ne laissent rien à désirer. On ne saurait se la représenter camme étant isolée en présence des rancunes de l'Autriche et des défiances de la France, car l'Allemagne entière se rangerait sous sa bannière en cas de danger. D'un autre còté, elle désire se vouer au travail d'organisation intérieure, sans provoquer les ombrages de son voisin d'outre-Rhin. Une extreme prudence est de mise. Elle n'a aucun motif urgent de s'engager vis-à-vis de la Russie. En effet, dans le cas d'une guerre défensive contre une Puissance étrangère, la France par exemple, l'aide de la Russie n'est pas strictement nécessaire au Cabinet de Berlin, parcequ'il peut compter sur les populations du Sud, aussi bien que du Nord, de l'Allemagne. Aurait-il meme, ce qui pour le moment n'est guère admissible, des vues agressives, alors une alliance avec la Russie nuirait, plus qu'elle ne profiterait, à son préstige aux yeux de l'opinion libérale.

La Russie aurait certainement un intéret majeur à s'assurer des appuis éventuels, soit pour prévenir tout mouvement vers ses f,rontières occidentales, soit pour se préparer des renforts dans un règlement des affaires orientales. On pourrait par conséquent supposer qu'elle serait prete à signer, hic et nunc, des engagements avec le Gouvernement Prussien. J'ignore si des ouvertures ont été faites. Mais je doute fort qu'elles aient été sérieusement accueillies. La Cour de Berlin n'est plus sous tutelle. Elle s'était déjà émancipée dans ces derniè· res années. Elle traite maintenant d'égal à égal avec l'Empereur Alexandre. Par les motifs énumérés plus haut, elle n'a aucun intéret pressant à sacrifier la liberté de ses allures, en prévision d'éventualités qui n'ont pas encore acquis un degré suffisant de probabilité. Elle connait au reste la situation intérieure de cet Empire, qui ne lui permettra pas de sitòt une action très énergique.

Son trésor est toujours dans de graves embarras. Un nouvel emprunt 5 %. de 70 millions 800 mille ftorins de Hollande, ou de 6 millions de livres sterlings, vient d'étre conclu par l'entremise des Maisons de Banque Hope et Compagnie, d'Amsterdam, et Baring frères et Compagnie, de Londres. On ignore eneo re à quel taux. Cette somme est destinée à payer des intéréts et l'amortissement annuel d'emprunts antérieurs. Et voilà les économies annoncées naguère par le Ministre des Finances. Il est vrai que le Ministre de la Guerre se refuse à diminuer l'effectif de l'Armée bien au dessous de l'état normal prescrit en temps de paix. Le rapport politique n. 60 (l) donne des détails sur le recrutement ordonné il y a quelques jours. Il est loin d'avoir l'importance que les journaux se plaisaient à lui attribuer de prime abord. Je ne parle pas des dépenses que nécessitera la transformation des fusils.

Je reviens à la Prusse. Elle est en outre assez perspicace pour se rendre compte que, à un moment donné, la Russie ne passerait pas dans le cam:r> ennemi. Et, si l'Autriche faisait mine de combiner son action avec la France, ne pourrait-on pas espérer à Berlin que le Tsar s'accorderait le malin plaisir d'échelonner des troupes vers la Galicie et Cracovie, pour rendre la pareille à l'Autriche pour son attitude durant la campagne de Crimée?

D'après ces prémisses, quelles que soient les intentions ou les velléités de la Russie, tout porterait à croire que le Cabinet de Berlin, en restant sur le qui-vive, ne précipitera rien et attendra le cours des événements. Il maintien-· drait, bien entendu, entre les deux Pays, un système réciproque de bon vouloir, à utiliser au besoin, mais sans concert préalable, sans programme arrété dès-à.. présent. En un mot, il se ménagerait une porte ouverte, mais il n'en franchirait le seuil qu'à bon escient.

Durant les fétes qui se succèdent à la Cour de Russie, j'ai eu l'occasion de rendre mes devoirs à l'Empereur Alexandre. Sa Majesté m'a demandé, à deux reprises, des nouvelles de Notre Auguste Souverain, en me répétant de vive voix combien Elle avait été sensible à ses félicitations pour le mariage du Grand Due Héritier.

D'autres membres de la Famille Impériale, je citerai entre autres le Grand Due Constantin et Grande Duchesse Marie de Leuchtenberg, ont témoigné de leur regret de n'avoir pas vu de leurs propres yeux les solemnités patriotiques dont Venise a été le théatre splendide. La Grande Duchesse Marie repartira bientòt pour Florence, où elle sera suivie, à dix ou douze jours de distance, par sa fille la Princesse Eugénie.

Je terminerai ce rapport en réferant un propos du Prince Gortchacow: « Où s'arrétera, disait-il, l'Italie? Je serais tenté de lui appliquer la divise qui se lisait autour des armoiries de Fouquet, armoiries portant un écureuil rampant: quo non ascendam! ».

J'ai répondu au Vice Chancelier que je prenais acte avec plaisir d'une allusion qui semblait prouver qu'il nous laissait eneo re de la marge; mais, puisqu'll me parlait de la devise du célèbre surintendant des finances sous Louis XIV, je c'itarais celle de ce Souverain: << nec pluribus impar ».

l l

(l) Non pubblicato.

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IL MINISTRO A MADRID, CARACCIOLO DI BELLA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. CONFIDENZIALE 13. Madrid, 22 novembre 1866 (per. il 28).

La notizia della partenza di una squadra spagnuola per Malta fu già smentita, non che da altri fogli, dalla Gazzetta Ufficiale del Regno, onde non fa il caso di più parlarne: aggiungerò solamente che avendo interrogato ieri il Ministro di Stato su questa eventualità, ed in generale sui disegni del Governo di Madrid quanto a Roma, egli mi rispose che un bastimento da guerra era già presso Civitavecchia a ricevere il Santo Padre in caso di sommossa a cui un'altra nave forse s'accompagnerebbe più tardi e forse ancora con qualche truppa di sbarco, del che il Governo Italiano non avrebbe potuto maravigliarsi stanteché erano nelle acque di Civitavecchia a questi giorni legni appartenenti alla marineria militare di molte altre nazioni che prendeano interesse alle future sorti del Papa, e che vi sarebbero tra breve anche quelli d'Italia. Io persisto a malgrado di questa dichiarazione nel credere che tutti questi tentativi di politica oltramontana della Corte di Madrid resteranno vuoti di effetto, e che non siena nel pensiero stesso dei presenti Ministri della Regina destinati ad altro che a covrir lo expediente, come qui suol dirsi, cioè a contentare senza prendere impegno effettivo le pretese eccessive dei neocattolici e della Camarilla.

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IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AL MINISTRO A PARIGI, NIGRA (Ed. in Lettere Ricasoli vol. IX, p. 40 e in Carteggi Ricasoli, vol. XXIV, p. 349)

T. 796. Firenze, 25 novembre 1866, ore 15,45.

Dans nos conversations avec le président du Conseil et moi le général Fleury a exposé la situation intérieure de la France et la nécessité d'éviter à tout prix que le Pape sorte de Rome. Nous avons déclaré que nous désirons également écarter cette éventualité. Président du Conseil a tenu langage très conciliant et modéré. Jusqu'à présent général Fleury a seulement proposé de reprendre négociations avec le S. Père par l'entremise de M. Vegezzi. De notre còté nous n'avons aucune observation à cela pourvu que le Pape y consente. M. Vegezzi a été à cet effet appelé à Florence. J'ignore si général Fleury a encore quelque autre chose à nous proposer *. Dites-moi quand vous allez à Compiègne * (1).

(l) La frase fra asterischi non è edita. Sulla missione Fleury cfr. anche Les origines diplomatiques de la guerre 1870-71, vol. XIII, pp. 149-150, 157-160, 171-173, 190-191, 196, 210-212, 221-223, 229-230, 237, 240-241, 261, 283-287, 307-310.

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L'INCARICATO D'AFFARI A VIENNA, RATI OPIZZONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. CONFIDENZIALE 2. Vienna, 25 novembre 1866 (per. il 30).

Les deux grands partis en Hongrie s'étant décidés à tenir séparément des conférences préparatoires, cette mésure est jugée ici comme favorable à un arrangement. Au moins telles sont les appréciations des hommes politiques du Gouvernement. Pour ma part les renseignements qui me parviennent ne sont pas si favorables à une entente. Par ce que j'ai pu apprendre les partis en Hongrie vont redemander les lois et les constitutions de 1848 et 1849. Cette demande est-elle juste? Franchement je ne le crois pas. Mais en méme temps il sera assez hasardé pour ce Gouvenement de répondre à des pareilles prétentions, si elles se présentent, par un refus péremptoire et sans réserve. Les concessions que le Rescript Impérial fait à la Hongrie sont larges, la Hongrie osait à peine les formuler elle-méme il y a un an; à présent ces concessions risquent fortement d'arriver trop tard.

Au demeurant pour se reconnaitre dans tout ce va et vient de suppositions à propos de la Hongrie, il faudra attendre le résultat de ces conférences préparatoires. Par là on pourra voir si le parti Deak, parti sur lequel compte le Gouvernement, dispose réellement de la majorité. A ce sujet donc je me réserve de m'adresser plus tard à V. E.

Ces préoccupations du Gouvernement autrichien sont rendues plus graves par les alarmes qui viennent de l'Orient. Les rapports de tous les consuls signalent l'agitation croissante des races chrétiennes de l'Empire turc. Les rapports que V. E. recevra de St. Pétersbourg doivent contenir à cet égard des données positives sur le travail du Cabinet russe. Si un fait imprévu quelconque vient donner le branle à ce grand mouvement des races chrétiennes, le ròle de la Sainte Russie sera très facile. Il lui sufiira de l'aider secrètement par l'argent, (ce qui échappe au contròle) et d'attendre le résultat des armes que l'argent fournit à ces races. Quelle sera la puissance européenne qui osera intervenir pour les Tures contre les Chrétiens, du moment que leur lutte sera apparemment localisée entre eux deux?

*A moins qu'un coup de main heureux du sort ne le réanime en face de ces événements et de la tension de ses races, allemande, bohéme, slave et magiare, l'Empire d'Autriche m'atout à fait l'air d'un Etat qui se décompose * (1).

ANNESSO CIFRATO ALLEGATO

Il y a quelques jours s'est presenté chez mai un ingemeur vénitien d'ici nommé Barison pour me faire remarquer un très beau album qui renferme deux feuilles de parchemin sur lesquels cet ingénieur a dessiné deux dessins relatifs à l'Italie avec les armes des différentes ville de la Vénétie. 11 m'a dit que des italiens d'ici les lui avaient commandés, et que un ou deux d'entre eux comptaient se rendre plus tard en Italie pour les présenter à Sa Majesté. Avant-hier cet ingénieur s'est presenté de nouveau chez mai pour me lire la dédicace qu'il entendait mettre dans la première de ces deux fenilles. Cette dédicace à Sa Majesté contenant en toutes lettres la demande que le Tyrol et

l'Istrie soient annexés à l'Italie, j'ai dit à l'ingénieur que je ne voulais aucunement prendre connai5:>ance d'une dédicace semblable, dédicace que je désapprouvais formellement et en méme temps je l'ai prié de ne pas repasser chez moi pour me parler de cette affaire. Avant tout j'ai voulu couper court à cette affaire pour ne pas fausser ni notre loyauté ni la bonne pos~tion qu'a ici l<t Légation de Sa Majesté. En méme temps je crois devoir en informer V. E. car je ne sais pas si l'ingénieur et ses amis donneront sui te oui ou non à leur projet de présentation à Sa Majesté. Je chiffre pour ne pas compromettre 'ci ce bon homme d'lngénieur dans le cas où il serait de bonne foi

(l) Il brano fra asterischi fu trasmesso in cifra.

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IL MINISTRO A PARIGI, NIGRA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 1094. Parigi, 26 novembre 1866, ore 15,27 (per. ore 17,10)

Le but de la mission du général Fleury est indiqué dans ma dépeche polittque du 5 novembre (1). Je ne crois pas qu'il ait d'autre mission. Le voyage de l'impératrice à Rome n'est pas impossible, mais il n'est pas arrété: le but de ce voyage serait de rassurer clergé français qui se montre très mécontent, et d'enga,5er Pape à se rapprocher de l'Italie. J'irai à Compiègne le 7 ou le 8 ùécembre.

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IL DIRETTORE DEL DEBITO PUBBLICO AL MINISTERO DELLE FINANZE, MANCARDI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 1095. Parigi, 27 novembre 1866, ore 15,45 (per. ore 19,05).

Gouvernement franc;ais a présenté un nouvel état de partage qui porte une augmentation de rente annuelle pour l'Italie de huit-cent dix-neuf mille francs, et conséquemment augmente le montant de l'arriéré. Je vous ai transmis ce nouvel état hier, en disant qu'il me parait acceptable. J'ai demandé les intéréts payés par l'Italie sur les cautionnements en numéraire, mais il faudrait savoir taux de ces intéréts et la somme totale payée chaque année. Veuillez me répondre à ce sujet par le télégraphe et me dire en méme temps si les semestres des arrérages qui sont à payer en argent <>eront payés comptant à la date de la signature de la Convention ou à quelle epoque.

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IL COMMISSARIO MILITARE NELLE PROVINCE VENETE, DI REVEL, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. CONFIDENZIALE S.N. Venezia, 30 novembre 1866 (per. zl 2 dicembre).

Destinato dal Governo di Sua Maestà a Commissario Militare nelle province Venete, mi portai il giorno 19 settembre in Venezia, per abboccarmi coi Generali Le Boeuf e Moering Commissarii, francese il primo, austriaco il secondo.

Nella conferenza del 20, si fissò la definizione del materiale trasportabile, e non trasportabile dovendosi questo acquistare dall'Italia con arbitraggio della Francia in caso di dissentimento nei prezzi. Pel trasportabile era faco!tativo l'acquisto dall'Italia, e la vendita dall'Austria. Il Generale Le Boeuf essendosi offerto di ottenere dall'Austria la vendita dei cannoni rigati, lo ringraziai dicendo che avevamo materiale soprabbondante coi nostri parchi d'assedio e quello delle piazze di Bologna, Piacenza, Pavia, Cremona e Pizzighettone, ormai inutili col possesso del quadrilatero. Che quanto meno si vendeva dall'Austria, sarebbe stato meglio per l'Italia.

Combinassi pure il sistema di Sotto-commissioni nelle piazze di Venezia, Verona, Peschiera, Palmanova e Mantova tenendo quest'ultima anche per Legnago. Più due Sotto-Commissioni marittime, una per Venezia, e l'altra per Peschiera e Mantova. Queste Sotto-Commissioni erano presiedute rispettivamente dal Generale Moering e da me.

Portatomi a Padova ov'eransi riuniti tutti gli UIDciali destinati a far parte della Commissione, diedi loro le istruzioni necessarie ed il giorno 24, ciascuna Sotto-Commissione si recava a destinazione. L'accoglienza fatta dalle popolazioni agl'UIDciali Italiani fu un'ovazione a malgrado la massima riserva usata da questi e la prudenza raccomandata alle popomzioni.

Ben presto s'affacciò l'impossibilità di aderire alla pretesa del Generale Le Boeuf che nessun soldato Italiano entrasse nelle piazze prima che queste fossero completamente evacuate dagli Austriaci. Come mai procedere alla consegna di tanto materiale ceduto all'ltalia, ed esportazione del rimanente, se Austriaci ed Italiani non dovevansi incontrare assieme? Sulle prime il Generale Moering s'opponeva anche lui. Ma convenne poi con me, quando dichiarai che non avressimo pag,ato se non quello che ci sarebbe stato consegnato, e che declinavo ogni responsabilità di tutte le sottrazioni e devastazioni che avrebbero sofferto i magazzeni, nell'intervallo che resterebbero non custoditi, la mia osservazione essere nell'interesse dell'Austria, poiché a noi sarebbe rimasto tanto meno da pagare. Dopo lungo dibattimento proposi che si facessero entrare preventivamente nelle piazze degl'uomini d'Artiglieria e del Genio. Questa proposta fu accettata, e, successivamente, che questi distaccamenti fossero compagnie d'Artiglieria e del Genio co' rispettivi umciali ed armati. Onde ottenere quest'importante precedente, offrivo di concedere agli Austriaci dopo l'evacuazione quanto ci sarebbe stato concesso prima. Interessato cosi il Generale Moering n'ebbi l'appoggio e si ammise l'entrata preventiva dal Generale Le Boeuf. Senonché, mi dissero che avrebbero enunciata la cosa nella convenzione che stavano trattando tra loro. Risposi esplicitamente che accetterei nessuna condizione contenuta in una convenzione fatta senza il mio intervento, e che il Governo Italiano si riguarderebbe libero da qualunque obbligo vi fosse espresso a suo riguardo. Sapevo difatti che nel progetto stava che gli Austriaci evacuerebbero per tappa, a spese del Governo Italiano, il quale avrebbe dovuto provvedere a tutto, e che si accennava, dovessero le guardie civiche fare il servizio delle piazze sino al plebiscito cosa contraria alle istruzioni del Generale Le Boeuf.

6 -Documenti diplomatici -Serie I -Vol. VIII

I Commissarii, Austriaco e Francese, avendo firmata la loro convenzione dovettero farne un'altra con me, nella quale non facendo alcuna menzione della prima, si stipulò, che le truppe Austriache dovendo passare pel territorio assegnato all'Esercito Italiano dall'armistizio, lo farebbero in ferrovia, avrebbero potuto marciare per tappa. Gli ammalati militari austriaci rimasti negl'ospedali, sarebbero curati a spese nostre. Rimarrebbero distaccamenti austriaci pell'esportazione del loro materiale. Al Commissario Italiano spettava l'incarico di disporre, che le truppe Italiane potessero entrare nelle piazze tosto che le municipalità gliene facessero domanda. Seguivano altre disposizioni sul materiale. Intanto il Generale Alemann vedendo l'efferscenenza della popolazione venne a domandarmi il concorso della mia influenza onde persuaderla a star calma. Ottenni così di armare la Guardia Nazionale, !asciargli portare il distintivo del berretto, pattugliare per la città, ed il ritiro dei poliziotti. Prima d'allora il Generale Le Boeuf avea chiesto, e gli eran stati promessi, 3000 fucili per armare la Guardia, ma all'ultimo momento gli furon negati, locché lo irritò molto. Mi offerse di riceverli a bordo del suo vapore s'io ne faceva venire. Non volendo di una tale ingerenza preferii farli ritirare in un magazzeno di cui rispondeva il municipio, e due giorni dopo eran distribuiti alla Guardia.

Erasi firmata la pace ed il Generale Alemann si sentiva esautorato al punto di pregarmi di andare a Chioggia col suo vaporino per calmare quella popolazione che minacciava il presidio. Vi fui, e si può dire che fu una presa di possesso. A Venezia comandavo per mezzo dei comitati di sestiere, poco potendo il municipio, per motivi che dirò più sotto.

Il Generale Le Boeuf non potendo trovare i tre notabili, riconobbe dovere in ciò dipendere dal Governo Italiano, e mi pregò di designargli chi credevo. Si trattava di trovare tre persone degne, le quali però aderissero a fare la comparsa e poi sparire. Mi parve opportuno sceglierle in tre municipii perché così riempita la formalità sarebbero immediatamente restituite al loro posto, e sparivano del tutto i notabili. Proposi quindi il Conte Luigi Michiel che doveva poi fare le veci di Podestà di Venezia, il Cavaliere Betta podestà di Verona, ed il Cavaliere Emikelder assessore di Mantova.

L'evacuazione delle fortezze avrebbe potuto cominciare il 7, giorno in cui si conobbe telegraficamente a Vienna la ratifica data al trattato dal Re. Tale era almeno la communicazione fatta dal ministro di Francia a Vienna. Ma ordini di Vienna la ritardarono al 9. Il 6 mi recai a Verona, e viddi parte delle lamentevoli scene che misero quella città nello stato della più dura repressione militare. Pelottoni di fanteria percorrevano le vie ordinate come se entrassero di forza. Gran Guardie alle piazze e ponti, con posti occupati e vedette. Alle 8 di sera ogni porta e finestra doveva essere chiusa. Il Generale Jacobs domandò a Vienna autorizzazione di far entrare i nostri Battaglioni, a misura che uno degli austriaci usciva, talmente temeva un attacco della popolazione. L'Arciduca Alberto rispose immediatamente di sì, ma non potei dal canto mio aderire a tale domanda se non era concertato coi Generali Le Boeuf e Moering. Questi giunti il 7 dichiararono opporvisi. Anzi il Generale Le Boeuf voleva contromandata l'entrata nelle piazze delle nostre Compagnie d'Artiglieria e Genio fissata per quel giorno. Risposi esser troppo tardi, so:o potrei arrestare quelle avviate a Verona e Venezia,

e fu così. Intanto dopo una visita del Gcnemle Jacobs consigliai al municipio di pubblicare un manifesto per raccomandare la rassegnazione ancora per pochi giorni, parlai a capi popolani influenti, protestai col Generale Le Boeuf contro lo stato precario in cui travasi Verona pel ritardo apposto alla consegna, e scrissi al Generale Jacobs col quale avevo fissato convegno che non mi vi recherei onde non dar luogo colla vista del mio uniforme a manifestazioni nazionali irresistibili che avrebbero esposto qualche infelice, ai rigori stativi da lui promulgati.

Il 9 fu rimessa Peschiera. In quest'operazione il Generale Le Boeuf avendo voluto lasciare un intervallo tra le consegne al municipio e l'entrata delle nostre truppe, perché tutti gli austriaci non s'erano ritirati, ed anche avendo chiesto pel medesimo motivo che la bandiera Italiana non fosse inalberata sino a completa evacuazione, ne presi motivo per protestare. Gli scrissi che non potevo ammettere tali precedenti, essere le stipmazioni precise, e dal momento che la piazza era rimessa al municipio, nessun'altra autorità poteva impedire le truppe Ita1iane di entrare.

Il Giorno 11 furono rimesse Mantova e Legnago. Il Giorno 12 ottenevo dal Generale Le Boeuf che desistesse dall'opposizione all'entrata delle nostre Compagnie in Verona e Venezia.

Il 13 si rimise Palmanova. Erasi fissato il 16 per Verona. Mi vi portai anticipatamente per antivenire ogni sconcerto. Fatta la cessione alle 11, il podestà venne immediatamente a prendermi per presenziare la rimessione della bandiera alla Guardia Nazionale, indi partimmo all'incontro della Divisione Medici. Fu una festa popolare talmente entusiastica che avea quasi della frenesia. Tutto si passò col massimo ordine.

Ritornato a Venezia trovai 1.500 copie d'un decreto Reale che il Marchese d'Afflitto Commissario del Re a Treviso mi mandava onde fossero pubblicate. La data del Decreto mi dissuase dal farlo in tal modo. Tolsi l'intestazione, la chiusi colla data e firma, cosicché rimanevano semplici norme, e la mandai così al Municipio di Venezia, onde la comprendesse in un proclama da pubblicarsi il 19 dopo la cessione. A Chioggia poi e Murano si pubblicasse semplicemente il decreto tal quale.

Al mattino del 17 venne il Generale Le Boeuf aveva un giornale in mano, su cui stava stampato il Decreto Reale. Era fuori di sé, gridando che questa era una violazione del trattato, un insulto alla Francia. Cercai a calmarlo dicendogli che mi sarei informato della cosa, che probabilmente non erano che disposizioni preparatorie, alle quali egli avea non solo aderito, ma anzi le desiderava onde impedire una votazione per acclamazione od un'astensione. Che la situazione era talmente tesa che bisognava finirla. Egli avea potuto vedere lo stato delle cose. Il nostro Governo aver sufficientemente dimostrato il suo desiderio di calmare le popolazioni e render possibile il plebiscito e la soluzione dei notabili.

Egli non volle intendere a niente, e partitosi mi mandò poco dopo una protesta che non avrebbe rimesso Venezia né il Veneto. Gliene accusai ricevuta ritentando di calmarlo, e fargli apprezzare la gravità della situazione ch'egli creava.

Ricevuto il telegramma del Ministro degli Esteri che constatava non esservi stata pubblicazione ufficiale d'alcun decreto, scrissi in senso analogo al Generale Le Boeuf onde ritirasse la protesta. Era la sera tarda, il domattina venne a dirmi che ritirava la protesta dietro la mia dichiarazione.

Parlò poi di precisare la funzione dell'indomani cioè la cessione del Veneto ai notabili. Egli mi avea soventi volte parlato di ciò, della sua intenzione che si facesse nel palazzo ducale, con numeroso intervento del suo Stato Maggiore e delle corporazioni, domandava anche la Guardia Nazionale per far ala.

Voleva poi che i notabili gli facessero una risposta. Su tutto questo io m'ero sempre astenuto di pronunciarmi, deciso di valermi di qualche incidente, ed all'uopo farlo nascere, per ridurre al nulla la vagheggiata funzione. L'occasione era propizia. Presi a testimonio il Generale stesso che io non m'ero mai opposto a che questa funzione fosse solenne, solo diceva che non ci sarei intervenuto, e lui capiva bene la convenienza della astensione. Ora poi io doveva porlo in avvertenza che la sua protesta del giorno prima avea commossa la città; la popolazione era indignata che volesse !asciarla ancora sotto il giogo Austriaco; il Municipio irritato del pericolo in cui lo metteva non !asciandogli chiamare le truppe Italiane; i notabili spaventati dalla responsabilità non volevano più saperne; la guardia civica si rifiuterebbe a qualunque servizio; e con molta pena avea impedito la sera prima una dimostrazione contro di Lui; le corporazioni non interverrebbero; insomma gli dichiarai che la mia buona volontà era impotente d'avanti l'irritazione prodotta dalle sue improntitudini, non dovevo nascondergli che temevo dei fischi e delle grida insultanti se si faceva una funzione pubblica, e me ne protestavo irresponsabile non avendo autorità ufficiale, tanto più che era stato lui a provocare il malcontento pubblico.

Il Generale Le Boeuf dovette convenire meco nell'intimità delle mie buone disposizioni. Si rassegnò a fare la cessione in casa sua, purché io impedissi qualunque dimostrazione contro di lui, e non lo lasciassi nell'impossibilità d'agire se mancavano i notabili. Glielo promisi.

Riuniti i notabili si concertò la risposta che dovevano fare dopo la lettura della lettera dell'Imperatore a Sua Maestà. Si stabilì che alle 9 s'innalzerebbero i stendardi nazionali alle antenne della piazza S. Marco, e quindi andrei coi facenti funzione di podestà all'incontro della divisione già riunita nella stazione e pronta ad entrare in tre colonne una in barca pel Canal Grande, le altre due per diversa via, ma concordanti tutte tre alla piazza S. Marco.

L'indomani alle 8 si faceva cessione e retrocessione in una sala dell'Albergo d'Europa ave alloggiava Le Boeuf; e dopo questa non si fece più parola dei notabili. Alle 9 sventolò la bandiera Italiana in mezzo ad un'emozione indescrivibile. L'entrata delle truppe, la parata e lo sfilare in piazza S. Marco e pella riva de Schiavoni fu un'ovazione entusiastica.

Fu immediatamente pubblicato il proclama del Municipio indicante le norme, l'epoca e la formala del plebiscito. Tutto fu alacremente disposto per la sua esecuzione.

Quando giunsi a Venezia, eravi in funzione un Municipio che avrebbe dovuto scadere, ed un altro eletto dal consiglio e non confermato dal Governo Austriaco lacchè impediva il suo installamento. L'antico era impopolare, il nuovo non era riconosciuto. Gravi dissidi sussistevano tra i due. La ditlicoltà era di avere un Municipio che togliesse pretesto al Governo Austriaco di fare lo sfregio di delegare un Commissario, e d'altra parte che avesse influenza sulla popolazione. Dopo non pochi diverbi e progetti fu convenuto che l'antico municipio rimarrebbe titolarmente, e per le cose amministrative, che farebbe una lettera collettiva in cui si obbligava di rimettere la sua rinuncia nelle mie mani, come prima autorità Italiana, costituita in Venezia, appena fatta la cessione dell'Austria alla Francia, e che il nuovo municipio sarebbe allora chiamato ad entrare in funzione mentre intanto sedendo nel palazzo Municipale dirigerebbe la parte politica e di sicurezza. Questa combinazione riuscì perfettamente. Il 19 alle ore 8,30 l'antico municipio rassegnava la sua rinuncia ed io chiamava in funzione l'eletto dal consiglio, essendo l'assessore più ricco di voti, il Conte Luigi Michiel a fare le veci di podestà.

Quest'ultimo cittadino che assieme ai suoi colleghi Donà, Fornoni, Papadopoli, Boldù e Ricco, dirigeva già da tanto tempo le cose municipali, s'aggiunse, secondo l'autorizzazione datagli, altri sei distinti Cittadini, e le disposizioni del plebiscito furono così ben prese da condurre allo splendido risultato che si ottenne.

Distaccamenti Austriaci dovendo rimanere pella consegna del materiale, il municipio dapprima e poi io pubblicai un avviso onde fossero i Militari Austriaci riguardati come ospiti e quindi rispettatì. In pari tempo con un ordine del giorno ingiungevo alla truppa non solo di rispettare ma di proteggere a qualunque costo questi militari. Le popolazioni capacitate della cosa li lasciarono liberamente circolare per la città.

Il Governo Austriaco avea dapprima idea che si comprasse tutto il materiale trasportabile o no con una somma fissa la quale potea ascendere fino a 35 milioni. Dopo la conferenza del 20 settembre il Generale Moering mi parlò ancora di combinare questa vendita en bloc, e lasciava sottintendere che il suo governo avrebbe deciso di far prima evacuare il materiale e poi dopo le truppe. Questa minaccia mal celata, poteva recare per Io meno difficoltà nello stipulare le condizioni d'evacuazione. Non respinsi quindi l'idea e proposi di combinare dei coetlicienti di riduzione di ogni categoria onde schivare un estimo in dettaglio che sarebbe stato troppo lungo. Dopo molte conferenze potei presentare una proposta d'acquisto in massa con una lista di coefficienti di cui parte erano già combinati col Generale Moering, e quelli che concernevano forti quantità da acquistare erano stati ridotti. Onde rendere poi questa mia proposta illusoria infatti, dichiarai che non la mantenevo se non in quanto fosse completamente e prontamente accettata. Eran queste condizioni impossibili col sistema dilatorio e sospettoso del Ministero della Guerra a Vienna.

Venne infatti quantità d'obbiezioni e d'eccezioni di ogni genere. Il tempo trascorreva ed il 16 in cui Verona era stata rimessa, potei dire che riguardavo la mia proposta come respinta dal momento che non era stata accettata come era condizionata. Il 19 poi dopo rimesso il Veneto dimostrai al Generai Moering non poteva più sussistere colle difficoltà fatte e colle robbe già esportate dal Governo Austriaco. Dichiarai libero l'acquisto come la vendita. I coefficienti proposti essere riducibili. Gli affusti e munizioni delle bocche a fuoco esportate doversi con

siderare come fuori uso e quindi al prezzo di ferraglia, o legno da ardere; e così per alcuni oggetti, come i projetti cavi carichi, si portò il coefficiente del primo costo da 1/3 a 1/150. I viveri che sommavano a cifre enormi non si presero e la somma totale dell'acquisto può calcolarsi a circa 5 milioni.

Il Generale Moering le cui viste erano state contrariate dal Ministero a Vienna non poté a meno che ammettere le mie dichiarazioni. La quistione del materiale non trasportabile che avrebbe potuto presentare delle difficoltà per l'obbligo che avevamo d'acquistarlo coll'arbitraggio eventuale della Francia fu sciolta colla stipulazione di una somma fissa stipulata nel trattato. Ne fu però conseguenza un'anomalia, cioè che gli Austriaci pretendevano come trasportabili tante cose che prima volevano non trasportabili. Citerò un fatto fra gli altri. Il Panificio di Verona era stato dichiarato non trasportabile e si era compresi anche tutte le parti di macchine ed attrezzi che vi fossero destinati ancorché non collocati. Venuta la seconda fase, il Generai Moering trovava assurdo di considerare come non trasportabili degli oggetti che non solo non erano fissati a posto ma non erano nemmeno stati scaricati dai vagoni, né pagati dal Governo Austriaco. L'abbiezione sarebbe stata giusta se non si fossero elevate prima pre-' tese in tal senso, e fatte stlpulazioni analoghe. Il Generale Jacobs si univa col Generale Moering per non ammettere le mie pretese, ma avevo nelle mani un inventario dettagliato del panificio in cui erano compresi come materiale non trasportabile tutti gli oggetti che ora non si volevano consegnare. Mi limitai a dir loro che facevo mie le loro pretese e li feci duramente ricredere presentando loro le proprie domande.

Sarebbesi risparmiata non piccola somma se fossi stato avvertito in tempo che il Generale Menabrea avrebbe incluso il prezzo del materiale non trasportabile nell'indennità generale, poiché avvece di ridurlo, avrei secondato il Generale Moering nell'aumentarlo. Attualmente ogni cosa è fissata, e tutto si riduce a constatare l'esattezza degl'inventari, la regolarità dei prezzi, e formolare il credito dell'Austria. Questi inventari firmati dai membri delle rispettive SottoCommissioni e controfirmati dai generali Presidenti, saranno trasmessi ai rispettivi governi come carte finanziarie, e la loro liquidazione si farà fra i due Ministeri di Finanze. Il Generale Moering insistette lungamente perché i pagamenti fossero invece ordinati da me e fatti eseguire immediatamente alla cassa centrale Militare in Trieste. Fondandomi sul carattere amministrativo e contabile di questa operazione al quale era totalmente estraneo, mi rifiutai costantemente ed egli vi aderì convinto della convenienza di non mischiare operazioni contabili alla nostra missione. In tal modo vi sarà risparmio pel Governo Italiano, mercé il ritardo nel pagamento e la possibilità di detrarne l'importo delle reclamazioni mosse dai comuni contro il Governo Austriaco. A tal effetto eccitai i Comuni Veneti a sporgere i loro reclami al nostro Governo.

Fu pure stabilito che i pesi e redditi di ogni piazza sarebbero assunti dal Governo Italiano col giorno successivo alla rimessione: che egualmente sarebbesi operato per le altre città calcolando il giorno del loro abbandono per parte della armata Austriaca: che ogni materiale di qualunque specie lasciato dagli Austriaci nel ritirarsi prima dell'armistizio, sarebbe considerato di proprietà del Governo Italiano ancorché consegnato ai Municipii: che non si accettava carico di debiti

od altri pesi provenienti da imprese di lavori di fortificazioni o strade militari eseguiti antecedentemente al trattato di pace, e che trattandosi di opere in costruzione pelle quali vi fosse contratto obbligatorio di continuare, il Governo Austriaco debba pagare quanto fu fatto sino a tutto il giorno della rimessione, e l'Italiano sosterrà le spese ulteriori di quanto l'impresario abbia diritto di continuare.

Venne pure cerziorato l'importo dei depositi militari esportati dall'Austria onde ripeterne la restituzione.

Ora tutto è stabilito nel Veneto sovra un piede normale, ogni servizio procede, e l'accoglienza fatta all'Augusto Sovrano coronò degnamente questo episodio nazionale.

La mia missione non è ancora del tutto compiuta, ma siami lecito di far risultare fin d'ora che il mio compito era di cercare per quanto possibile ad accelerare l'évacuazione delle fortezze, escludere l'azione apparente della Francia in questa trasmissione annullare la gestione dei tre notabili, e ridurre i pagamenti da farsi dall'Italia all'Austria.

Quanto vengo di esporre indicherà se abbia eseguito l'incumbenze affidatemi.

(l) Cfr. Serie I, vol. VII, n. 709.

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L'AGENTE E CONSOLE GENERALE A BUCAREST, TECCIO DI BAYO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 79. Bucarest, 30 novembre 1866 (per. l'8 dicembre).

Il Signor Cantacuzeno, incaricato del portafoglio degli Affari Esteri, nella assenza del signor Stirbey è venuto testé a farmi una comunicazione, sulla quale mi affretto a chiamare l'attenzione della E.V., annuendo in tal modo eziandio al desiderio che il Governo rumeno mi ha per di lui mezzo manifestato.

Egli mi partecipò essere a sua conoscenza che la Porta aveva trasmesso al suo rappresentante a Parigi copia del Firmano d'investitura del Principe di Hohenzollern al trono di Romania, perché venisse rimessa al Governo dell'Imperatore, con preghiera di prenderne atto nella prossima riunione, che la Conferenza terrà a Parigi o a Costantinopoli, per formale riconoscimento della prefata Altezza Sua, aggiungendomi aver motivo di credere, che eguale comunicazione, debba già essere stata fatta alle altre Potenze garanti pel medesimo oggetto.

Il Signor Ministro non si peritò d'osservarmi siccome il Governo Rumeno, ed il Principe particolarmente, vedrebbero con ripugnanza, che la Conferenza si decidesse ad accondiscendere al desiderio della Porta, parendo loro già sufficiente l'atto di vassallaggio prestato dalla Altezza Sua a S.M.I. il Sultano, col recarsi a Costantinopoli a riceverne l'investitura, senza che venga eziandio accettato e compreso nelle decisioni della medesima il Firmano imperiale che la sanziona: mi aggiunse che in questo si fa pure menzione delle lettere state precedentemente scambiate tra il Principe Carlo ed il Gran Vizir, sulle condizioni del suo riconoscimento, e che ne riporta anzi il loro sunto, per cui diversificando le medesime troppo tra loro, si aggraverebbe in certo qual modo l'umiliazione subita dalla Altezza Sua nel sottomettersi a condizioni, che non era punto inclinato ad accettare.

Mi dichiarò per ultimo, che simile comunicazione egli aveva pur fatto al Barone d'Avril, Agente e Console Generale di Francia, e che questi già aveva scritto in proposito al suo Governo, nel senso delle intenzioni esternategli da quello dei Principati, alle di cui viste mostrava accostarsi.

Senza arrestarmi in alcuna considerazione a tal riguardo, mi basterà di aver portato quanto sopra a cognizione della E.V., per quelle disposizioni, che Ella crederà dover adottare, sia per accertarsi del vero intendimento del Governo di Francia in così delicata questione, come per l'azione, che il R. Governo vorrà nella medesima esercitare.

Per parte mia mi sono limitato ad assicurare il signor Ministro, che ne avrei immediatamente riferito alla E. V., ed a ripetergli, che le intenzioni del Governo del Re non hanno mai cessato di essere delle più benevole per le prospere sorti della nazione rumena, e del giovane Principe chiamato a reggerle, e che se la politica dell'Italia non le consiglia di prendere in simili vertenze una iniziativa essa si associerà però sempre, nella conferenza, a quelle deliberazioni di carattere conciliante, che siano per riescire più simpatiche al Governo dei Principati.

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IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AL GENERALE FLEURY

NOTA VERBALE Firenze, 1° dicembre 1866.

D'après le désir qui a été exprimé par S. E. le Général Fleury au nom de l'Empereur, le Gouvernement italien s'est déclaré pret à reprendre des négociations avec S. S. le Pape sur les questions qui ont formé l'objet de la mission de

M. Vegezzi à Rome. Pour qu'aucun doute ne piìt etre soulevé à Rome sur les intentions sincères de conciliation qui inspirent cette démarche, le Président du Consei! fut d'avis que M. Vegezzi pourrait retourner à Rome et y reprendre les négociations dont il s'agit. Vegezzi fut à cet effet appelé à Florence où il eut une conférence avec les Ministres de l'Intérieur, des Affaires Etrangères et de la Justice.

Mais se trouvant indisposé M. Vegezzi ne voulut pas se décider à aller à Rome sans avoir d'abord consulté à Turin le medecin qui le soigne habituellement; et il vient de faire connaitre par télégraphe que l'état de sa santé l'empeche de reprendre cette mission et de rendre ce nouveau service au Roi.

Le Gouvernement italien regrette vivement d'etre dans la nécessité de faire un autre choix. Cependant il croit que M. Tonello Conseiller d'Etat pourrait mériter ainsi que M. Vegezzi la conflance du Saint-Père. M. Tonello est un hornme dont personne ne peut contester l'esprit modéré et les convinctions profondément religieuses. Quoiqu'il se soit toujours tenu à l'écart de la scène politique

M. Tonello jouit de la considération générale et son aptitude particullère dans la science du droit canon doit etre bien connue à Rome. Le Ministre des Affaires Etrangères s'empresse d'informer S. E. le Général Fleury que M. Tonello est disposé à se charger de cette mission, et qu'il partira pour Rome aussitòt qu'il aura la certitude que S. S. le Pape consentira à le recevoir.

Le Ministre des Affaires Etrangères prie S. E. le Général Fleury de vouloir bien transmettre cette communication au Gouvernement de l'Empereur et lui faire savoir au plus tòt si ce choix sera agréé par Sa Sainteté.

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IL MINISTRO DELLE FINANZE, SCIALOJA, AL DIRETTORE DEL DEBITO PUBBLICO AL MINISTERO DELLE FINANZE, MANCARDI, A PARIGI

T. 804. Firenze, 2 dicembre 1866, ore 17.

Le nouvel état de répartition promis par vous n'est pas arrivé. Malgré cela vous étes autorisé à signer la convention sur la dette, mais veuillez y ajouter la formule habituelle «La présente convention sera soumise à l'approbation du Parlement italien ». Vous pouvez déclarer, mème dans un protocole séparé, que le Gouvernement du Roi est disposé à payer les trois semestres d'arrérages en argent comptant aussitòt que la convention aura été approuvée par les Chambres. A cet effet on pourrait méme au moment de l'échange des ratifications remettre au plénipotentiaire français un bon du trésor pour la somme des trois semestres, payable à Paris huit jours après l'approbation du Parlement. On pourrait aussi en dernière extrémité promettre l'intérét de 5% sur cette somme à compter du 1•r janvier, jusqu'au jour du payement s'il sera retardé au delà de cette date. Comme il s'agit d'engagements financiers, l'approbation des Chambres est une condition sine qua non. Il ne s'agit pas de manque d'argent, mais de défaut de pouvoir légal. Cet obstacle existerait également si on voulait faire contracter au Pape un emprunt, sauf à le rembourser: car l'engagement de rembourser une somme vaut autant que la payer. Tàchez aussi de remplacer les mots « pensions de toute nature» par les suivants: « pensions qui auront été régulièrement liquidées d'après les lois en vigueur ».

31

IL CONSOLE A SCUT ARI, BOSIO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 1106. Scutari, 2 dicembre 1866, ore 21 (per. ore 19,30 del 3).

Je m'empresse de vous informer que le prince de Monténégro, en dehors d'une dépéche pour vous et une dépéche pour moi, m'a fait l'honneur de m'inviter très chaleureusement de me rendre à Cettinié, impatient faire ma connaissance. Mon collègue de France, mandé secrètement par le prince Monténégro, est retourné hier de Cettinié chargé particulièrement insister auprès de moi pour accepter invltation. Dois-je aller? J'ai lieu de croire que prince de Monténégro a intention sonder les Cours. Je viens d'apprendre d'une source digne de foi que prince du Monténégro désireux de se débarrasser bateau à vapeur reçu en cadeau du Sultan, espère Roi d'Italie l'achète pour Venise; bateau splendide fait faire par Sultan en Angleterre. Prince Monténégro veut vendre moitié prix car entretien trop cher pour sa bourse. Je saisis cette occasion pour assurer V. E. influence italienne solidement établie ici auprès du pacha de Scutari et prince Monténégro. J'écris par poste. Choléra douze heures loin de Scutari. Ville et alentour santé parfalte (l).

32

IL DIRETTORE DEL DEBITO PUBBLICO AL MINISTERO DELLE FINANZE, MANCARDI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 1107. Parigi, 3 dicembre 1866, ore 23 (per. ore 2,50 del 4).

Gouvernement français déclare qu'illui est tout à fait impossible de souscrire à un artlcle portant que « la convention sera soumise à l'approbation du Parlement » c'est au Gouvernement italien, me dit-on, à faire ce qu'il juge convenable à cet égard, mais la France ne saurait, suivant M. Rouher et marquis de Moustier, retlrer ses troupes que lorsque la disposition relative au payement des trois semestres aura reçu son exécution soit par le versement immédiat en argent des vingt millions soit par le dépòt immédiat de bons du trésor à échéance fixe et de 500/m francs chacun, jusqu'à concurrence de la mème somme. Commissaire français est d'ailleurs d'avis que ce règlement matériel de la questlon et le payement ne sont que des mesures exécutives le Parlement italien ayant déjà approuvé en principe la charge relative pour le trésor italien par l'adoption de l'article 4 de la convention. Article sur les pensions a été modifié selon vos vues. Veuillez répondre sans retard.

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IL COMMISSARIO MILITARE NELLE PROVINCE VENETE, DI REVEL, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. CONFIDENZIALE 800. Venezia, 3 dicembre 1866.

Avendo rilevato da varie fonti che il Governo Austriaco era irritato contro quello Italiano per tutte le provocazioni ed eccitazioni che si fanno all'Istria ed al Tirolo da comitati che si dicono appoggiati dalle nostre autorità, ne parlai incidentalmente col Generale Moering. Questi mi disse essere il suo Governo malcontento della agitazione che si crea nel Trentina. Aver ricevuti rimproveri di troppa credulità dal suo Governo perché avea scritto in un senso pacifico e

rassicurante dopo le due udienze avute da Sua Maestà ed i suoi colloquii con alti personaggi. L'influenza irritante dell'Arciduca Alberto aumentare con questo contegno provocatore dell'Italia.

L'Austria non poter assolutamente esistere senza Trieste, quale sbocco nei mari Meridionali. Nelle varie conversazioni avute con lui, e dalla conoscenza di documenti ed istruzioni mandati dal Ministero degli esteri al Maggiore Korwin delegato per segnare i confini, credo aver potuto rilevare che il Signor di Beust avrebbe idea di rettificare le frontiere, e specialmente tentare di scambiare i così detti sette comuni ove si parla tedesco, con una parte del Trentina. Gli proposi ridendo di stabilire questa futura frontiera del Tirolo; egli mi confessò avervi studiato sopra, e non poter trovare un confine naturale e quindi stabile. «Ebbene andiamo alla linea naturale, alla cima delle Alpi», gli dissi. «Oh! mai, la casa d'Hasbourg sacrificherà il Tirolo! ».

Ho creduto bene riferire alla S. V. Illustrissima queste impressioni.

Aggiungerò che il Governo di Vienna inoltrerà per via diplomatica un reclamo per oggetti lasciati a Vicenza nell'evacuare quella città durante la guerra. A simil reclamo già fattomi dal Generale Moering risposi essere ciò una preda di guerra, ed egli si tenne soddisfatto, ma non così il suo Governo, pare.

(l) Con t. 809 del 4 dicembre Bosio fu autorizzato a recarsi a Cettlgne.

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L'ADDETTO AL VICE CONSOLATO DI GRAN BRETAGNA A CIVITA VECCHIA, SPERANDIO, AL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, CERRUTI <AVV)

Civitavecchia, 3 dicembre 1866.

Il Reggimento Francese n. 85 è stato imbarcato poc'anzi sulla Fregata a vapore « Gomez » che partirà questa sera dal nostro porto per ricondurlo in Francia.

Si attende domani il « Descartes » per ricevere a bordo il Reggimento n. 29 e per il 9 corrente sono annunziati altri tre per imbarcare i residuali tre Reggimenti, e le frazioni degli altri corpi d'armata.

Le voci corse sulla venuta del Papa a Civitavecchia pel 5 corrente, e del Memorandum da mandarsi fuori dalla Corte di Roma pel giorno della Concezione sembrano prive di fondamento, e relativamente alla seconda so di positivo che il Cardinale Di Pietro l'ha formalmente smentita ad un suo e mio amico non più tardi di ieri l'altro.

Il vapore Portoghese « Mindello » non è peranco giunto, ma lo si attende senza meno, tanto è vero che già gli è stato preparato il posto per ancorarsi. Per la via di Nunziatella è arrivato questa mattina il Marchese di Saldanha ambasciatore o Ministro di Portogallo presso la Corte Papale.

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IL MINISTRO DELLA PUBBLICA ISTRUZIONE, BERTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

(AVV)

L. P. ... 3 dicembre 1866.

Vi mando la lettera di Boncompagni. Credo che voi dobbiate operare con rapidità fulminea in questa quistione. Mi pare che non convenga aspettare gli eventi ma anticiparli. È una campagna di genere nuovo che si apre davanti a Voi. Non avete generali che vi abbiano preceduto o carte strategiche che vi indirizzino; dovete trarre tutto dal vostro cervello. Impedire la partenza del Pontefice, impedire i disordini. Non si può impedire la partenza del Pontefice senza che egli sia sicuro che può star tranquillo in Roma, non si possono impedire i disordini senza la presenza dei nostri soldati e della nostra bandiera. Non v'è altro partito che sia pratico e pronto. Da buon generale fate il vostro disegno di campagna e seguitelo con costanza.

ALLEGATO

BONCOMPAGNI A BERTI

L.P. 2 dicembre 1866.

Ecco il sugo del mio colloquio col generale Fleury. La Francia dic'egli, farà una grandissima pressione sul Papa, per ottenere delle riforme su d'una larga base. L'Italia deve (s'intende che è un amichevole consiglio) influire sui Romani, perché conservino il potere temporale. L'Imperatore ha promesso al Papa di continuare a proteggerlo. Risposi che certo l'Italia non avrebbe essa distrutto il potere temporale, anzi avrebbe dato ai Romani de' consigli di moderazione, «ma volete voi, che noi lo imponiamo per forza?». Generale -«no certo, anche a me non piace il potere temporale, ma bisognerebbe che durasse, finché vive il Papa. Se dovessi darvi un consiglio sarebbe quello di modificare qualche cosa al vostro programma. Se le cose andassero proprio male a Roma, l'Imperatore sarebbe costretto ad intervenire, quantunque non ne abbia punto voglia». Risposta mia. «Che cosa c'è da mutare nel nostro programma: la parte più essenziale di esso porta l'applicazione del non intervento a Roma da farsi di concerto tra la Francia e l'Italia. V'incresce che siasi parlato di Roma Capitale acclamata. Il meglio di tutto è lasciare che si taccia di questa quistione. La sollevate? Si suscitano tutte le passioni più pericolose, e Roma capitale diviene il segnale di un'opposizione pericolosa. Il maggiore di tutti i pericoli potrebbe sorgere da un nuovo intervento straniero. Un primo intervento rese impossibile la potenza temporale del Papa; un secondo rende·· rebbe probabilmente impossibile il suo soggiorno in Roma. Il solo intervento che possa pacificare i Romani è quello dell'Italia». Non trovai il generale ripugnante a questa idea, ma esso non ammette assolutamente che ciò possa effettuarsi ora. « In questo momento ciò che vi si chiede, mi disse, egli è che voi ci aiutiate a superare le difficoltà. che lo sgombero di Roma potrebbe suscitare all'Imperatore dei Francesi, e che perciò adoperiate la vostra autorità morale a quietare i partiti nello Stato e in Roma».

Tale è il sunto del mio dialogo col generale Fleury, il quale mi parve in complesso un uomo di pasta un po' grossa, la cui politica in sostanza si riduce ad una idea sola. « Non bisogna mettere di malumore l'Imperatore». In quanto a me continuo a credere che l'occupazione italiana in Roma sarebbe il modo più sicuro di preservare l'Italia da una nuova occupazione francese in Roma, la quale sarebbe la massima delle sventure. Ma nello stato attuale delle cose, credo che quest'idea non può tradursi a pratica se non precede un lavoro diplomatico. Credo in secondo luogo che noi non possiamo andare in Roma per farci la stessa parte che fecero i Francesi: scusabili essi perché stranieri, e perché risparmiarono almeno all'Italia l'onta e il danno di un'occupazione austriaca in Roma, certo non saremmo scusabili in Roma. Finché non si riesce ad un intervento italiano in Roma, il quale senza far sorgere ditncoltà diplomaiche, sia accettabile ed accettato dai Romani, la questione romana si trova nelle condizioni in cui si trovò quella dell'Italia centrale nel 1859 dopo Villafranca. La cosa riuscl bene perché tutti ebbero giudizio. Oggi se qualcuno farà una pazzia siamo tutti ...ottuti.

36

IL DIRETTORE DEL DEBITO PUBBLICO AL MINISTERO DELLE FINANZE, MANCARDI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 1109. Parigi, 4 dicembre 1866, ore 22,35 (per. ore 4,55 del 5).

Chevalier Minghetti (l) vous fait la réponse suivante: «Les exigences de la France sont injustes, mais je crois que tout est préférable à ce que les français restent à Rome lors meme que l'on devrait demander un bill d'indemnité au Parlement. On peut lutter encore ici et aller jusqu'à l'Empereur, mais les minutes sont comptées, il faut que votre négociateur ait plein pouvoir pour conclure pour le mieux. Voilà mon opinion «si vous croyez pouvoir passer outre et renoncer à la clause de l'approbation du Parlement veuillez me dire très nettement dans quelles conditions vous voulez E:ffectuer le payement des trois semestres. Si vous voulez faire ce payement en bons du trésor, je pourrai tàcher d'obtenir les échéances indiquées dans l'article addiitionnel proposé en écartant naturellement l'opération du dépot de rentes pontificales, mais à l'heure qu'il est et n'admettant pas la dite opération je ne vous réponds pas qu'on ne demande une échéance plus rapprochée. Je tàcherai d'obtenir le plus grand délai possible pour l'échange des ratifications attendu que la remise des bons devra se faire au moment de cet échange, c'est-à-dire lorsque l'évacuation de Rome devrait déjà etre un fait accompli.

37

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, ALL'INCARICATO D'AFFARI A PARIGI, BOYL

T. 810. Firenze, 5 dicembre 1866, ore 15,05.

Le conseil des ministres prie le commandeur Minghetti de voir M. Rouher et s'il est possible l'Empereur, de lui représenter qu'il ne s'agit de ditlìculté finan

cière du payement, car les fonds sont déjà prets, mais le payement ou la livraison actuelle de bons du trésor, pour les 3 semestres d'arriérés de la dette pontificale excède les pouvoirs du Ministère. Ce serait un acte d'exécution d'un engagement financier non encore approuvé par la Chambre. La constitution s'y oppose et le président de la Cour des Comptes juge impossible de surmonter la difficulté. On ne peut exiger que nous violions la constitution. Le Gouvernement prend sur lui d'obtenir l'approbation de la convention par les Chambres, puisqu'il échange les ratifications. Mais le statut veut qu'entre la conclusion de la convention et le payement effectif il y ait temps et piace pour l'approbation d'ailleurs certaine de la Chambre. Voici ce que nous proposons:

«Que dans la convention meme on indique le jour dans lequel le payement des 3 semetres devra etre fait (p. ex. 15 février) Vous pouvez aussi assurer le Gouvernement français que le Gouvernement italien qui a à sa disposition la somme de 43 millions dans la caisse du Crédit agricole, disposera que 21 millions soient laissés en dép6t dans la meme caisse pour faire face au payement. Par ce moyen on laisserait aux Chambres le temps pour voter sans avoir l'air de les informer d'une exécution déjà faite contrairement à la constitution ».

(l) Mancardi era stato invitato con t. 806, pari data, a chiedere il parere di Minghetti che si trovava a Parigi.

38

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, ALL'INCARICATO D'AFFARI A PARIGI, BOYL

T. 811. Firenze, 5 dicembre 1866, ore 17.

Il est entendu que si l'an accepte le mode de procéder proposé dans mon dernier télégramme (l) nous consentons à supprimer la clause expresse que le traité sera soumis à l'approbation de la Chambre.

39

L'ONOREVOLE MINGHETTI AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA CAVV)

L. P. (2). Parigi, 5 dicembre 1866.

lo m'accingevo a scriverti le mie prime impressioni di Parigi, quando ieri il tuo telegramma (3) mandava a me Mancardi. Allorché penso a questo povero diavolo in presenza di Rouher, di Fould, e di Moustier, in verità non posso immaginare che rinnoverà la scena di Orazio coi Curiazi. Alla natural confusione della sua testa si aggiunge la stanchezza sicché lo strumento è poco efficace.

Ora a me par strano che l'art. 4 della Convenzione voglia interpretarsi nel senso che se la questione del debito non è assestata la Francia non adempirà il suo impegno. Mi par strano, e certo è ingiusto. Ed a me pare che il Mancardi avrebbe dovuto scartare sempre questo punto come quello che non lo riguardava. Pure bisogna considerare che questa gente è invasa da tali terrori sulla questione Romana che ogni esorbitanza diviene possibile. Bisogna tar loro ogni prete:sLu, ed io comincio dal dire che in extremis beverò l'amaro calice. Egli è certo che una Convenzione di tal genere richiede l'assenso del Parlamento, e non era neppur necessario esprimerlo perché rimaneva sottinteso. Tutto lo sforzo adunque doveva essere di riportare il pagamento a tale epoca che il Parlamento avesse potuto pronunziarsi. Oggi a quanto mi dice il Mancardi codesti Signori mettono appunto l'impegno a che dei boni negoziabili siano rilasciati immediatamente. Se questo è inevitabile, io vorrei pur nondimeno, e lo dichiarerei in modo esplicito, non consegnarli che dopo la partenza dei Francesi, e se non piace di esprimerlo spiattellatamente, vi è il modo di giungervi per via indiretta promettendo i boni dopu w scambio delle ratifiche, e prendendo a tal fine dodici o quindici giorni, la qual cosa mi pare che non potranno in guisa alcuna negare. Quanto poi al Parlamento se anche doveste chiedere un bill d'indennità dicendo la verità sull'intesa, io credo che l'avreste pienamente favorevole anche con lode; perché lo ripeto tutto è meno male dell'indugio dei francesi a partire.

Ho avuto un momento l'idea di offerirti di andare a Compiègne dall'Imperatore io stesso e parlarne, e tal era il consiglio del Principe Napoleone dal quale pranzai ieri; ma poi ho pensato che la cosa è già troppo avanzata, che ciò susciterebbe la gelosia e l'ira del Mancardi, e che l'Imperatore stesso pare in questo momento sotto il medesimo timor panico dell'universale.

Del resto tutti riconoscono il buon volere del Governo Italiano in questa que

stione di Roma, e tutti gli uomini di senso capiscono che se per alcuni mesi è

utile e necessaria la quiete in Roma non si può sperare che vi si stabilisca uno

stato durevole. Persino Sartiges lo sente, ma vorrebbe rimandare la querela dei

Romani alla morte del Papa attuale. Ad ogni modo se un po' di tempo passa

tranquillo, anche tutte queste apprensioni passeranno, perché i parossismi non

durano. E inoltre tieni per fermo che non hanno alcun piano per l'avvenire, nes

suna idea preconcetta, nessuna disposizione preparata. La libertà d'azione si tra

durrà nel governarsi alla giornata. Il che torna a sommo nostro vantaggio se

sappiamo quel che vogliamo, e dirigiamo i mezzi al fine con risolutezza.

Quanto alle idee da esprimere in quel tal discorso, due principalmente vorrei

vedervi. La prima è quella del non intervento la quale precorra l'avvenire, e ci

metta in posizione di resistere a qualunque pretesa. La seconda è che se vi è

popolo che senta e voglia l'indipendenza del Pontefice, la libertà della Chiesa, e

la tranquillità delle coscienze dei credenti egli è certo il popolo d'Italia. E il Re

che fu propugnatore costante dei suoi diritti è pronto a tutto che a sì nobil fine

possa condurre.

La carta finisce ed io con essa.

(ll Cfr. n. 21.

(l) -Cfr. n. 37. (2) -La lettera reca l'indicazione «preme». (3) -Cfr. n. 36, nota.
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IL MINISTRO A PIETROBURGO, DE LAUNAY, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. CONFIDENZIALE 153. Pietroburgo, 5 dicembre 1866 (per. il 12).

M. Marinowitch, dont j'ai déjà signalé la mission à St. Pétersbourg (1), est reparti pour Belgrade. Il m'a fait visite, et j'ai eu plusieurs fois l'occasion de le rencontrer à la Cour. Il n'était point chargé d'invoquer l'appui spécial de la Russie. Il devait seulement préparer le terrain. La meme chose aurait été faite, nommément à Paris et à Londres. Le Gouvernement Serbe se réserve toute démarche ultérieure, dans le cas où la Sublime Porte repousserait ses instances contre le maintien des garnisons turques à Castel, à Sakar et Zvornik, et meme dans la forteresse de Belgrade, dont les ouvrages dirigés contre la ville, entretiennent le Pays dans de continuelles appréhensions.

Le Prince Gortchacow aurait montré une certaine réserve, surtout après avoir été informé que telle avait été l'attitude des Cabinets de Paris et de Londres. Mais je crois savoir que le Général Ignatieff aurait été autorisé à appuyer of!icieusement à Constantinople les réclamations de la Serbie.

J'ajouterai que M. Marinowitch m'a fait les plus grands éloges de M. le Chevalier Scovasso, qui, par une franchise alliée à un tact parfait, a su concilier les sympathies du Gouvernement Serbe à sa personne et à notre Pays.

Relativement à la Moldo-Valachie, ma dépeche n. 150 (2) indiquait à V. E. de quelle manière le Cabinet de St. Pétersbourg avait donné son assentiment à la reconnaissance du Prince de Hohenzollern par le Sultan. La France eut préféré que cet acte fut proclamé par un document émané de la Conférence de Paris, mais le Prince Gortchacow a répondu au Baron de Talleyrand que, à ses yeux, cette conférence ayant cessé de vivre, la Russie ne saurait recourir à son entremise. Le Cabinet de St. Pétersbourg fait du reste bonne mine à mauvais jeu. Du moins, dans les sphères ministérielles, on entend dire que l'intronisation en Roumanie d'un Prince étranger avait toujours été dans ses vues, mais qu'il avait du les cacher pour mieux en assurer la réalisation!

J'ai l'honneur de vous remercier, M. le Ministre, de la dépeche que vous avez bien voulu m'adresser, en date du 25 Novembre échu, n. 50, Cabinet (2). Je regrette que mes rapports confidentiels n. 142, 143 e 144, tous trois datés du 7 Novembre (3), ne vous soient point encore parvenus. Je les ava:is expédiés sous double enveloppe à Turin, à mon fondé de pouvoirs, M. Carignani, en le priant de leur donner cours, soit pour Florence, soit pour Venise, selon que V. E. se trouverait dans l'une ou l'autre de ces villes. Je suis certain qu'il se sera conformé avec sa ponctualité ordinaire à mon désir. Il faut donc que les plis se soient égarés dans nos bureaux de poste. J'écris par ce courrier à M. Carignani d'in

former le Ministère du jour, où, et pour où, il a mis ce pli à la poste, pour qu'on puisse procéder aux investigations nécessaires. En attendant, je joins ici les duplicata de cette expédition.

P. S. Pour ne pas trop grossir cet envoi, je mets les duplicata dans un pii séparé. Ci joint ma lettre pour mon fondé de pouvoirs.

(l) -Cfr. n. 21. (2) -Non pubblicato. (3) -Cfr. Serie I, vol. VII, n. 713. I rapporti n. 143 e 144 non sono pubblicati.
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L'INCARICATO D'AFFARI A PARIGI, BOYL, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 1114. Parigi, 6 dicembre 1866, ore 11,40 (per. ore 14,30).

Minghetti vous télégraphie ce qui suit: «J'ai parlé à M. Rouher. Je crois tout arrangé. Dans la convention on indique le jour dans lequel le payement des trois semetres devra etre fait quinze mars. Maintenant nous ferons dépòt purement et simplement volontaire somme caisse dépòts et consignations; celle-ci, pour son propre compte sans aucune responsabilité ni participation du Gouvernement italien, prete somme au Pape. Toute la difficulté était trouver promptement argent pour Pape. Si vous préférez délégation 15 mars sur crédit agricole au lieu de dépòts, je l'obtiendrai; mais autorisez Mancardi signer ce soir car je ne vous garantis pas demain nouvelles prétentions ».

42

L'INCARICATO D'AFFARI A PARIGI, BOYL, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 1116. Parigi, 6 dicembre 1866, ore 14,45 (per. ore 16,25).

Minghetti vous télégraphie ce qui suit: «On demande intérets jusqu'au 15 mars. Je vous propose de laisser à Mancardi faculté de transiger. Autorisation signer impatiemment attendue M. Rouher s'est engagé à faire patienter l'Empereur Napoléon toute cette journée. Ma proposition est tellement conforme à vos instructions que je ne doute pas que vous l'approuverez ».

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IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, ALL'INCARICATO D'AFFARI A PARIGI, BOYL

T. 812. Firenze, 6 dicembre 1866, ore 18,30.

Conseil remercie M. Minghetti. Communiquez d'urgence à Mancardi dépeche suivante: «Si comme M. Minghetti le dit, on indique seulement dans la conven

7 -Documenti diplomatici -Serie I -Vol. VIII

tion le 15 mars pour payement somme équivalente trois semestres c'est-à-dirt> environ 20 à 21 millions, si on acce:pte dépòt purement et simplement volontaire à la Caisse dépòts et consignations, et si celle-ci pour son propre compte sans aucune participation ni responsabilité de notre part, prete somme au Pape, Mancardi peut signer convention. Pour écarter toute équivoque et pour faciliter opération, si on vous le demande on peut accorder d'une part engagement pratocole séparé qu'on ne retirerait pas dépòt volontaire avant 15 mars, quoique notre parole devrait suffire, et de l'autre il faudrait tàcher d'obtenir que nous n'aurons à payer aucun intéret jusqu'au 15 mars, ou au moins qu'ils soient compensés par les intérets que la caisse devrait nous payer. A la dernière extrémité transigez. Nous répoussons délégation sur Caisse crédit agricole quoique plus favorable pour payement intérets, car cet acte équivaudrait à un bon ou à une lettre de change que nous ne pouvons pas livrer. En tout cas sachiez que nous ne pouvons verser la somme de 21 millions environs à la caisse dépòts avant le 16 décembre, attendu que les tonas exlstams au Crédit agricole doivent y rester jusqu'au 15. Scialoja $,

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!L MIN!:STHO DI GRAZIA E GIUSTIZIA E DEI CULTI, BORGATTI, AL CONSIGLIERE DI STATO, TONELLO (l) (Ed. in LV 10, pp. 1-6)

Firenze, 6 dicembre 1866.

Il Governo del h'.e s1 e reputato a debito di aderire al desiderio che, per mezzo di autorevoli personaggi e aegm dì piena fede, la Santità di Papa Pio IX ha espresso di napnre 1e negozmz10n1 mtraprese e non riuscite a conclusione nel 1865 circa i pum;ì e~press1 nella lettera autografa che in data del 6 marzo di quell'anno vemva aa1 l::>ommo .i:'ontefice indirizzata alla Maestà di Re Vittorio Emanuele II.

A ciò lo mosse l'intendimento che ha comune col precedente Gabinetto d'attestare la sua reverenza al Uapo della Chiesa Cattolica, di mostrarsi sollecito a secondarne i desiden m quanw ~nano rivolti a rafforzare nel Regno la pace religiosa e la qmete aeue co~c1en:t.e e lll nmuovere ogni ostacolo onde possa essere impedito o sturbato 11 ìeglttlmo e~erclzio della podestà ecclesiastica nell'ordine spirituale. E tanto p1u 1.11 ouon graao Vl si indusse, essendo entrato nella speranza che la Santa Sede coltivi partiti conciliativi, dappoiché nel decorso intervallo di tempo, a non toccare delle mutate condizioni politiche d'Italia, essa ha avuto campo di riconoscere che il Governo italiano se non si diparte da quei propositi che, nell'interesse dell'universalità dei cittadini, ha solennemente professati, e dalla conseguente distinzione dallo Stato di ciascuna associazione religiosa, non lascia in pari tempo di garantire l'indipendenza, così della Chiesa Cattolica, come delle altre comunità religiose ammesse nello Stato, assicurando ad essa tutta

quella libertà che è conforme alle leggi del Regno ed ai principii proclamati, e di che essa ha bisogno all'adempimento della sua spirituale missione.

Ora dovendosi, per ispontanea iniziativa del Sommo Pontefice, riprendere le sospese negoziazioni e la ma! ferma salute non consentendo al Comm. Vegezzi di continuare neua sua missione, il Governo del Re è ben lieto che la S. V. OnoreVO!issima per sentimento di devozione a! Re ed al Paese vog1ia toglier sopra di sè il delicato incarico; ed è certo che Eua nell'adempimento di esso si gioverà di que11a dottrna ed esperienza di cui diede già prove non dubbie in a1tre s1m111 circostanze.

Egli è necessario però che Le sieno dichiarate le norme alle quali il Governo intende che Eua si attenga nel corso delia sua missione.

Per tutto ciò che concerne all'indole del suo incarico e al tenore delle sue comunicazioni sia col Santo Padre e col Cardinale Segretario di Stato, sia coi Rappresentanti degli Stati aHeati od amici presso la Santa Sede, sia co1 Governo, Eua adoprerà per modo che 1a sua missione non debba, neppure dalle apparenze, essere giudicata diversamente da ciò che è indicato nelle presenti istruzioni; e se queste in quatche caso Le sembrassero insufficienti, EHa farà le sue riserve e ne riferirà tosto al Governo.

In generale Ella si asterrà dal fare proposte ed accetterà o respingerà quelle che Le saranno fatte, studiandosi di contrapporvi altrettante dichiarazioni dei principii che il Governo del Re intende seguire nella materia, finché non si riesca a trarne qua1che espressa conc1usione. Siccome il punto di partenza è la lettera del Santo Padre del 4 Marzo lllo5, così Eua potrà innanzi tutto osservare che uno dei tre punti indicati nella medesima, cioè il ritorno dei Vescovi alle loro sedi, è ora to1to di mezzo dagli Ultimi provvedimenti del Governo. ln tale proposito EHa non mancherà di far notare come il Governo desse indizio delle sue leali disposizioni co1 determinare il ritorno alla sede dell'Arcivescovo di liag,iari, e come fosse impedito dal far luogo ad altri provvedimenti parziali di simil genere a cagione della guerra che scoppiò nel corso di quest'anno; insisterà nel qualificare la natura del generale provvedimento onde fu fatto lecito il ritorno alle loro sedi anche di parecchi Vescovi notoriamente avversi al Governo e invisi alle popolazioni e ne dedurrà un argomento a prova degli spiriti conciliativi del Governo stesso, il quale non dubita di affrontare un pericolo di turbamento dell'ordine pubblico, perché sia convenevolmente provveduto al reggimento spirituale delle dioc~si e venga dimostrata coi fatti la larga applicazone ch'esso ha in animo di fare del principio della libertà a favore della Chiesa Cattolica.

Di qui Ella potrà pigliare le mosse per dichiarare essere intendimento del Governo del Re che le riaperte pratiche riescano a provvedere ai bisogni della Chiesa Cattolica nel Regno d'Italia ed ad assicurarle la sua legitti malibertà, posto il prncipio che né lo Stato si arroghi ingerenza in ciò che compete alla potestà spirituale, né la Chiesa si sottragga alla competenza della potestà civile in tutto ciò che dalle leggi dello Stato le viene attribuito.

Entrando perciò a discutere intorno agli altri due punti espressi nella lettera del Santo Padre, la provvista delle sedi vacanti e l'ammessione dei Vescovi già preconizzati senza intesa del Governo per alcune diocesi del Regno, Ella potrà

dichiarare in proposito gli intendimenti del Governo e forse evitare quegli scogli contro cui ruppero le precedenti negoziazioni.

Quanto alla provvista delle sedi vacanti, Ella si asterrà da qualsivoglia cenno circa la riduzione del numero delle diocesi, riservandosi di riferirne, quando il Santo Padre stesso si mostrasse propenso ad ammettere una nuova circoscrizione diocesana del Regno. Però s'affretterà a dichiarare che il Governo del Re non può rimuoversi dalla stretta osservanza delle leggi dello Stato circa la temporalità delle mense vescovili (Legge del 7 Luglio 1866) e in genere circa i beni degli istituti ecclesiastici (art. 434 del Codice Civile) e nemmeno può impedire che abbiano eseguimento le disposizioni già prese o che fossero per prendersi, sulla base del diritto dello Stato, circa le temporalità delle chiese riguardo ad un più equo riparto del patrimonio ecclesiastico, disposizioni che mentre non attribuiscono allo Stato veruna parte del patrimonio del clero secolare, lo destinano ad essere distribuito a' titolari meno largamente provveduti ed in ispecie ai parroci le cui condizioni sono oltremodo deplorevoli in molte parti del Regno. Ben Ella in tale argomento avrà occasione d'insinuare che un'acconcia riduzione del numero delle diocesi nel Regno d'Italia potrebbe riescire a migliorare le condizioni dei Vescovi dando modo di far loro assegni di prebende corrispondenti alla loro dignità, ai loro servizi ed ai loro bisogni. Messa cosi da banda ogni questione che tocchi la temporalità, non vi sarà da discutere circa la provvista delle sedi vacanti, se non della nomina dei Vescovi e dell'ingerenza che il Governo vi possa prendere.

I Vescovi secondo le statuizioni dei canoni, e le pratiche della Chiesa primitiva erano eletti dal clero e dal popolo: in processo di tempo la parte del clero venne quasi universalmente rappresentata dai capitoli delle metropolitane e delle cattedrali sotto la dipendenza della Santa Sede; la parte del popolo dai capi dei varii Stati. La nomina dei Vescovi nella maggior parte degli Stati in che per lo addietro era divisa l'Italia si faceva da principio sotto forma di nomina assoluta

o di presentazione. Il Governo del Re non vuole scostarsi neppure in questo particolare dalle sue massime circa la libertà della Chiesa: ma desidererebbe conciliarle con lo spirito onde sono informate le stesse leggi ecclesiastiche in questa materia, dalle quali nella nomina dei Vescovi è attribuita una parte al laicato. Lasciar coteste nomine interamente al Papa sarebbe un'offesa ai principii che si professano in quasi ogni parte del mondo cattolico; sarebbe un soverchio di deferenza all'autorità del Pontefice contro cui si solleverebbe una gran parte del clero e forse dello stesso episcopato. Perciò il Governo esprimendo il voto che la Chiesa Cattolica ricomponga i suoi ordini in guisa che clero e popolo vi abbiano delle legittime rappresentanze a cui si possa far capo anche nella nomina dei Ve

scovi, non avvisa dover nello stato presente delle cose e delle opinioni, rinunziare a tenere in tal nomina la parte di rappresentante del popolo e del laicato. In siffatto concetto la S. V. Onorevolissima avrebbe da dichiarare essere negli intendimenti del Governo del Re che al Re d'Italia si conservi il diritto di presentare alla Santa Sede i soggetti da sollevarsi all'episcopato in tutte le diocesi del Regno.

Le argomentazioni sue potranno aver rincalzo dal valore ch'Ella fuor di dubbio vorrà dare alla rinuncia che in ogni caso il Governo del Re intende fare ad una facoltà di cui la maggior parte dei Governi sostenne il mantenimento

con grande pertinacia, vale a dire alla facoltà d'imporre a' Vescovi il giuramento poltico. Dacché le leggi del Regno, togliendo al clero cattolico qualsivoglia intervento negli atti dello stato civile, lo hanno esonerato da ogni attenenza collo Stato, il ragguagliare i membri del clero cattolico alla stregua dei pubblici funzionari mercé l'obbligo del giuramento, sarebbe cosa ancora più illogica che arbitraria, mentre ripugnerebbe a que' dettami che circa la libertà delle diverse comunità religiose voglionsi seriamente recare in atto. I vescovi perciò, al pari di ogni altro ecclesiastico e di ogni ministro di un culto che non eserciti funzioni civili, non avranno più l'obbligo del giuramento politico e mentre nell'ordine civile si terranno uguali a tutti gli altri cittadini, nell'esercizio delle loro funzioni non saranno vincolati che dagli obblighi assunti in virtù delle leggi della Chiesa, in quanto non contraddicano alle leggi del Regno. Parimenti Ella vorrà mettere in evidenza tutto il peso di un'altra rinuncia che il Governo del Re si dispone a fare, non esigendo più che siano sottoposte al R. exequatur quelle provvisioni pontificie che non riguardano le temporalità e quindi consentendo che abbiano libero corso ed eseguimento quelle che o toccano le ragioni della coscienza o concernono all'esercizio della giurisdizione ecclesiastica nella sfera della competenza spirituale.

È da ritenere che la Santa Sede ravvisando come il Governo del Re intenda per ogni guisa a mettere sodamente in atto il principio della libertà della Chiesa, voglia dal suo canto e rendere omaggio al principio della libertà dello Stato, e vrucacc1are di toglier di mezzo quelle difficoltà che cagionarono la sospensione delle precedenti negoziazioni.

La provvista delle sedi vacanti non può dunque presentare difficoltà ove si concordino i partiti sovra espressi: ben ne potrebbe presentare l'ammessione dei Vescovi già preconizzati senza intesa del Governo in varie diocesi del Regno e segnatamente in talune che appartengono a provincie già formanti parte dello Stato Pontificio, ove su tal punto il Santo Padre non calasse a qualche decoroso componimento. Ma qui non cadrebbe questione alcuna di principii, solo vi potrebbe essere quistione di persone ed anche di dignità tanto da parte del sommo Pontefice, quanto da parte del Governo italiano, e in tale argomento non si può scendere al alcuna precisa istruzione finché non si conosca quali siano le disposizioni del Santo Padre. Appena occorre dire che Ella non recederà in qualsiasi modo dal concetto che un'unica norma debba seguirsi per la provvista delle diocesi vacanti ed anche di quelle poste nelle provincie che già appartenevano allo Stato ecclesiastico. Ella vorrà, ove sia il caso, rammentare al Santo Padre come egli avesse dato segno d'assentire a tenere come non avvenuta la nomina fatta del sacerdote Paolo Ballerini sopm presentazione del Governo austriaco alla sede arcivescovile di Milano, insistendo nel rimostrare che quell'ecclesiastico non potrebbe essere insediato a Milano senza grave offesa del sentimento di quella popolazione senza scapito della tranquillità pubblica.

Dalle cose fin qui discorse comprenderà di leggieri la S. V. nell'alta sua prudenza che alla missione che ora Le è affidata deve rimanere estraneo qualsiasi atto o discorso che potesse far credere che la missione stessa abbia per oggetto una formale negoziazione con perfetta correspettività di stipulazioni. Ristretta, anche per volontà della stessa Santa Sede, questa missione ad argomenti pura

mente spirituali, non potrà condurre ad altra conclusione all'infuori di assicurare la Santa Sede che, ammesse le norme dianzi indicate, essa non incontrerà nel Regno verun ostacolo al libero esercizio dello spirituale ministero.

La conosciuta di Lei riserva fa sicuro il Governo del Re che Ella non si lascierà trascinare oltre i confini del suo mandato, il quale, come si è già detto, si riduce sostanzialmente a recare il Santo Padre a riconoscere che la Chiesa Cattolica non può incontrare verun o[;tacolo all'azione sua spirituale nel Regno d'Italia, le cui nuove istituzioni e leggi non dissomigliano da quelle di altri Stati che hanno maggioranza di popolazione cattolica, se non per una libertà maggiore ch'esse arrecheranno alla Chiesa presso di noi.

Verrà per ultimo conveniente di porre sott'occhio al Santo Padre come l'Italia pur in mezzo alle sue procellose mutazioni politiche, abbia al paragone di altri Stati battuta costantemente la via della moderazione anche in quelle riforme a cui per le sue civili necessità procedette nelle cose ecclesiastiche.

Del rimanente il Governo del Re se ne rimette al senno della S. V. Onorevolissima a cui fa preghiera di frequenti e particolareggiate comunicazioni intorno ad ogni incidente della missione di cui si è tolto il grave ed onorevole incarico (1).

(l) Annotazione a margine «ultima minuta esaminata modificata ed approvata d'accordo col Signori Comm. Tonello, Barone Ricasoll, Presidente del Consiglio e Comm. Visconti Venosta, Ministro degli Esteri».

45

L'ONOREVOLE MINGHETTI AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA CAVV)

L. P. Parigi, 6 dicembre 1866.

Benché il telegrafo ti avrà già portato il risultato delle mie sollecitudini (2), pure voglio spiegarmi anche più chiaro. Il vostro teleg~amma di ieri sera (3) spiega distesamente la questione costituzionale, la quale è chiarissima e non ammette dubbio. Ma non tocca una parola della gran difficoltà che era lo stato di penuria in cui trovasi il Papa, il quale grida che se non ha denari se ne va e con queste minacce estorque dalla Francia ogni promessa. La Francia dice: «è più di un anno che si tratta. Se il Governo Italiano avesse meno tirato per le lunghe il Papa avrebbe già avuto danari, e se questa stessa difficoltà del Parlamento l'avesse affacciata tre mesi fa si poteva almeno pel pagamento del debito pontificio 31 dicembre provvedere». Poi ora la parola dell'Imperatore è impegnata; e non chiederebbe forse di meglio che di avere un pretesto per rimanere a Roma. A questo dubbio voi non rispondevate mai neppure indirettamente, il che mi faceva temere forte dell'esito.

Ma volendo pur obbedire al desiderio del Consiglio dei Ministri ho avuta una lunga conferenza questa mane con Rouher, e ho insistito sulla impossibilità di fare a meno dell'approvazione della Camera. Rouher che è benissimo animato diceva: « ma come si fa per dare dei milioni al Papa? » «Fategli fare un prestito

qui da un banchiere qualunque, rispondeva io, dalla Cassa dei depositi e prestiti se vi piace, ad un'esortazione del Governo essa non resisterà~. «Ma la Cassa dei depositi e prestiti non ha le somme occorrenti~. Egli è allora che è sorto l'espediente di far il deposito della somma noi per metterla in posizione di far a sua volta l'imprestito. Però fu bene inteso che noi facciamo 11 deposito come qualunque privato senza vincolo, e senza alcuna dichiarazione. La Cassa dal canto suo fa il prestito per conto proprio senza alcuna partecipazione, né responsabilità del Governo Italiano, il quale anzi sarà ritenuto ignorare tale operazione. A me sembra un siffatto espediente accettabilissimo. Chi può censurarvi di depositare alla Cassa depositi e prestiti venti milioni? È un'operazione semplice, netta, senza alcun impegno o obbligazione. Né si può dire che la Francia diffidi di voi, perché essa non si mescola punto nell'operazione. Che poi la Cassa dei depositi e prestiti di Francia faccia al Papa degli imprestiti questo non ci riguarda né possiamo impedirlo.

A me pare questa la più semplice combinazione che vi lascia tempo sino al 15 marzo per il Parlamento, che non ha alcuna cosa che offenda né il decoro né l'interesse. Se vi piacesse però di rilasciare una delegazione sul Credito Agricolo, io sono persuaso che l'otterrò, ma preferisco assai il primo concetto. perché la delegazione ha un rapporto immediato colla Convenzione, laddove il deposito non ne ha alcuno.

Credetemi che è urgente e necessario firmare stasera, perché se Rouher domattina (l'Imperatore viene domattina a Parigi) può dire all'Imperatore «tutt'è finito, la convenzione è firmata~ non ci ritorna più sopra. Se invece siamo ancora sulla corda tutto è possibile. La paura che il Papa parta, che nascano disordini, che si dica che la Francia tradidit eum inimicis suis tocca al grado di parossismo. Chi ha più giudizio lo metta in opera.

Io ho la speranza di aver potuto rendere al Governo un vero servizio, certo poi vi ho messo tutta la buona volontà possibile. Aspetto con impazienza il risultato della vostra deliberazione (D.

Se null'altro sopravviene, lunedì partirò per Firenze.

(l) -Queste Istruzioni furono trasmesse a Tonello da VIsconti Venosta con d. confidenziale 117 bis del 9 dicembre. (2) -Cfr. n. 41. (3) -Cfr. n. 37.
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L'INCARICATO D'AFFARI A PARIGI, ARTOM, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 1120. Parigi, 7 dicembre 1866, ore 16,45 (per. ore 20,10).

Convention a été signée. Copie partira ce soir mème. Les ratlfications seront échangées à Florence. On a établi date 15 mars au plus tard. Pas d'intérèts à payer, pas de protocole séparé pour le dépot. Une simple lettre confidentielle de la légation au ministre des affaires étrangères pour lui annoncer offlcieusement que vous avez donné ordre au Crédit Agricole de verser 20 millions à la Caisse des consignations pour dép6t volontalre pur et simple du Gouverne

ment italien. Veuillez faire donner par le ministre des finances ordre par télégraphe que les 20 millions soient versés précisément le 16 courant, et prévénezmoi tout de suite pour que je puisse écrire à Moustier le billet confidentiel dont nous sommes convenus.

(l) Cfr. n. 43.

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L'ONOREVOLE MINGHETTI

AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

(AVV)

L. P. Parigi, 8 dicembre 1866.

Ieri mattina, come mi aspettava nuove difficoltà insorsero. Rouher era in Compiègne, si diceva che il Governo Italiano aveva proposto egU medesimo il 15 febbraio come termine. Si voleva un atto che costituisse il deposito, e l'obbligo di non toccarlo. Infine si chiedevano gli interessi.

Andai io stesso da Moustier. Quanto al primo punto l'acconciammo mutando 15 mars au plus tard. Quanto al secondo io tenni forte che mai non avrei accettato cosa che implicasse dubbio della nostra lealtà. Rouher si contentava forse dl una dichiarazione verbale. Ma una lettera confidenziale che annunziasse senz'altro il deposito fatto mi parve la cosa più innocente, perché narrare un fatto, non argomenta nulla. Però bada che il deposito sia fatto il 14. Qui le lunghe negoziazioni avevano impressionato male, e la stessa forma che ci mette Mancardi è atta a suscitare sospetti. Bisogna però convenire che egli aveva di riscontro il più fino e malvagio gesuita che si possa immaginare, il G. Faugères. Entrambi erano presenti, e si appiccicavano fortemente, di guisa che il Moustier dovette calmarli. Ed io presi il destro per dire che era tempo di firmare, senza più discutere. E cosi la questione degl'interessi rimase affogata. Fu una scena molto curiosa: ora è finito.

Il 12 i francesi saranno partiti da Roma. Ma non vi dissimulate che il parossismo della paura è al suo colmo. Per quanto essi rendano giustizia alle buone disposizioni del Governo Italiano, pure temono sempre la catastrofe. Io li ho tenuti bene edificati, facendo però riflettere che la questione era fra i Romani e il Papa e che noi potevamo agire solo col consiglio. Ora stanno provando se il Papa vuoi dare larghe istituzioni municipali a Roma e sperano in ciò. Tanto meglio. Ma non è solo la Francia in questa ansia, anche la Prussia ne partecipa. Goltz, sebbene alla mia interpellanza rispondesse che era ridicolo pensare all'arrivo della flotta prussiana, non mi tacque che è grande loro desiderio che non sieno turbati anche di più gli otto milioni di cattolici che si trovano in Prussia.

Moustier convenne che si fanno pratiche per assicurare una dotazione delle potenze cattoliche al Papa, ma soggiunse che non si andava più oltre di ciò. In questi termini ci sarebbe un Iato buono cioè la distinzione sempre più manifesta fra il Pontefice e il Principe. Ma di ciò più a lungo in voce.

Artom mi fece la tua ambasciata. Ma se la cosa non urge come parmi, io non vorrei presentarmi a Berlino così.

Verrò dunque prima a Firenze e vi sarò il giorno dell'apertura della Camera.

Il Barone Rotschild trova che la rendita italiana dovrebbe essere a 75. Credo però che se Scialoia ci presenta un bilancio ragionevole, vi sarà uno slancio, e ciò potrà contribuire alle sorti politiche efficacemente.

Insomma il momento è favorevole sol che abbiamo prudenza. In questa parola sta tutto il programma.

P. S. Saluta cordialmente il Barone.

48

L'INCARICATO D'AFFARI A PARIGI, ARTOM, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

L. P. Parigi, 8 dicembre 1866.

Giunsi qua giovedì sera per la via di Marsiglia e di Nizza e mi occupai subito con Minghetti di terminare l'affare della Convenzione pel Debito Pubblico. Spero che la soluzione accettata da Moustier sarà parsa tollerabile, anzi buona, anche a te ed al Ministro Scialoia. Minghetti del resto crede che la convenzione stessa è buona anche sotto l'aspetto finanziario: poiché in sostanza noi non assumiamo che la metà del debito annuo del Papa, benché abbiamo circa i due terzi del territorio papale.

Nell'udienza ch'ebbi da Moustier ed a cui era presente Minghetti, egli parlò molto della questione romana. Dichiarò che prendeva atto con piacere delle buone e concilianti disposizioni del Governo Italiano che anche a Roma s'incomincia a guardar la situazione con maggior calma: che in tal modo ed a poco a poco l'idea di fare dello Stato Romano une enclave du Royaume d'Italie, avrebbe potuto realizzarsi e che questo enclave non ci darebbe imbarazzi maggiori di quelli della Repubblica di S. Marino: che però conveniva che il Papa si decidesse a scaricarsi sopra i Municipii di tutti i pesi della sovranità, ritenendone soltanto i vantaggi, concedendo ai romani certi privilegi, tollerando che fossero ammessi ai pubblici impieghi nel Regno d'Italia, facendo scomparire le linee daziarie ecc. e sovratutto creando ai romani una situazione particolare in fatto di tasse, di guisa che non avessero più alcun vantaggio a reclamare l'annessione al Regno d'Italia. Mi pare di poter dedurre da ciò che ora la Francia cerca di creare al Papa, per mezzo di un accordo fra le Potenze Cattoliche, una specie di lista civile, che lo metterà in grado di pagare i 19 milioni di interesse del debito che gli rimangono. Non so se insieme a questa lista civile si tratti sin d'ora della guarentigia collettiva del poter temporale; e, o se, come era detto nelle istruzioni di Fleury, questa guarentigia non verrà sul ta;ppeto che più tardi.

M. de Moustier soggiunse che gli spiacque il rifiuto di Vegezzi, ma che avrebbe cercato di far accettare il suo successore.

Dal Principe Napoleone, che vidi oggi a lungo, seppi che il progetto di viaggio dell'Imperatrice non è ancora completamente abbandonato, benché ora se ne parli assai meno. In genere la situazione non è buona: si è sotto l'incubo delle due evacuazioni di Roma e del Messico; il tuono aigre-doux del Mandement dell'Arcivescovo di Parigi su cui chiamo la tua attenzione t'indicherà quali siano le disposizioni della parte più temperata del Clero, di quella cioè che non vuole suscitare imbarazzi al Governo. Quanto al Messico si ritiene inevitabile l'abdicazione di Massimiliano, e si teme un massacro dei francesi stabiliti al Messico, immediatamente dopo l'evacuazione. La Commissione per la riorganizzazione dell'esercito continua i suoi lavori. Pare che questi avranno per risultato di presentare al Corpo Legislativo un progetto di legge per chiedere nuovi sacrifici di sangue e di danaro al paese: questi non potranno essere giustificati ed ottenuti che mediante una sovr'eccitazione del chauvinisme francese, la quale potrebbe condurre in avvenire a delle complicazioni pericolose nella politica estera.

Per ora ecco tutto. Perdonami la confusione di questa lettera scritta in gran fretta, e di cui non posso neanche tener copia. Spero che tu spingerai Nigra a ritornare presto a Parigi.

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L'INCARICATO D'AFFARI A PARIGI, ARTOM, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 1122. Parigi, 10 dicembre 1866, ore 12,44 (per. ore 13,35).

La Patrie prétend que 4 compagnies de français resteront à Rome jusqu'à la fin de ce mois. Marquis de Moustier interrogé directement par Minghetti, a déclaré qu'il n'en salt rien, qu'il croit qu'il n'y a rien de vrai dans ce bruit.

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IL CONSIGLIERE DI STATO, TONELLO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 1124. Roma, 10 dicembre 1866, ore 13,50 (per. ore 13,59).

Giunti RDma stamane ore 11 preso alloggio locanda Serny, piazza Spagna. Truppe francesi continuano partenza. Aspetto della città tranquillo. Faremo tosto diligenza per ottenere udienza.

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IL MINISTRO A LONDRA, D'AZEGLIO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. CONFIDENZIALE 152. Londra, 10 dicembre 1866 (per. il 14).

L'Ambasciatore di Francia mi aveva già parlato della questione di Servia come potendo in un prossimo avvenire essere portata davanti a,i Governi Europei.

Ieri pranzai da lui e gli chiesi in che senso gliene avesse parlato lord Stanley, e quanto egli mi rispose fu confermato da lord Stanley medesimo che vidi al Foreign Office un momento fà.

Egli mi disse che conveniva stabilire prima di tutto e riconoscere il diritto della Turchia a mantenere a Belgrado lo statu quo, essendo questo stato direi quasi secolare ed !storico. Posto questo il Governo Inglese era dispostissimo a riconoscere che invece di continuare uno stato di cose che recava disturbi ed era impopolare in quei paesi, gioverebbe al Sultano d'ammettere la domanda del Principe di Servia e abbandonare quell'occupazione della fortezza mediante qualche condizione favorevole come fossero dichiarazioni rassicuranti e più solide pel mantenimento dell'integrità dell'Impero e qualcosa di consimile.

Dunque mentre egli lord Stanley, ammetteva il diritto della Turchia a far quanto gli aggrada e per conseguenza mentre egli non intendeva esercitar pressione sul Sultano, non credeva poter far meglio che consigliargli di aderire alla domanda della Servia.

Mi sembra d'aver così risposto al contenuto del dispaccio Confidenziale senza numero delli 5 corrente ... (l).

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L'INCARICATO D'AFFARI A CITTA DEL MESSICO, CURTOPASSI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 33/14. Messico, 10 dicembre 1866 (per. il 12 gennaio 1867).

Dando seguito al mio Rapporto in cifra del lo corrente (l) trasmesso dal

R. Console in Vera Cruz ho l'onore d'inviare qui unite due notificazioni inserite nel giornale Ufficiale dell'Impero del l e 2 corrente per le quali si annunziava la fine delle Conferenze tenute in Orizaba e la deliberazione presa da S. M. l'Imperatore di far presto ritorno alla capitale.

Questa risoluzione comunicata immediatamente qui e nelle Provincie per mezzo del telegrafo dava luogo ad insolite dimostrazioni di gioja provocate assolutamente dal Partito Conservatore, anzi è mio dovere aggiungere che la generalità non si associò in nulla a quella effervescenza.

L'indomani i giornali francesi l'Estatette e l'Ere Nouvelle pubblicavano un Communiqué Ufficiale che qui unisco (2) diretto collettivamente dal Maresciallo, dal Generale Castelnau e dal Ministro di Francia. Tale documento era atto a produrre la più triste impressione sulla pubblica opinione come quello che chiaramente condanna la decisione dell'Imperatore di voler conservare il potere e dichiara d'un modo abbastanza esplicito la ferma intenzione per parte delle Autorità Francesi di abbandonare il Messico alle sue sole risorse. Oltre a ciò, V. E. rileverà ben di leggieri con quanta poca considerazione e con quali forme si tratta Sua Maestà e il suo Governo. La parte Imperialista della popolazione, credutasi cosi oltraggiata, chiedeva per mezzo della stampa una ripara

zione invitando il Gabinetto a chiedere qualche spiegazione alle Autorità dalle quali il detto documento emanava, ma il Governo sistematicamente timido non credette opportuno dar seguito all'incidente.

Durante le Conferenze il Consiglio di Stato e quello dei Ministri si divisero in due Partiti; ambedue consigliarono il Sovrano a rimanere, ma l'uno appoggiava il proprio parere esagerando le risorse delle quali potevasi ancora disporre e nascondendo in gran parte gl'importanti progressi dei Liberali, mentre l'altro, benché conscio della critica posizione dell'Impero, persuadeva alla perseveranza e all'energia adducendo ragioni di dovere e di onore. In questa seconda frazione trovansl i Generali Marquez e Miramon e il signor Lares, Presidente del Gabinetto, i quali, è pur duro il dirlo, fanno ogni potere onde prolungare la vita dell'Impero col solo scopo di procurarsi nel mentre armi e quattrini che serviranno poi a difendere la propria causa contro l seguaci di Juarez. È cosi che pochi giorni fa Mlramon giunse nella Capitale e, dopo un lungo abboccamento col Maresciallo, pare abbia ottenuto di comperare tutte le armi prese dal Francesi sul Messicani. Il Comandante Francese non ignora tutti questi intrighi che si ordiscono intorno all'Imperatore e, mentre promette o fa mostra di promettere tutta la sua cooperazione in favore dell'Impero, non lascia sfuggire alcuna occasione per accelerarne la fine.

V. E. troverà benanche qui in seno un manifesto dell'Imperatore pubblicato il 6 corrente nel quale il Sovrano riconfermando quanto avea già annunziato nelle due notificazioni sopra menzionate, di conservare cioè il potere in seguito al parere ricevuto dai Consigli di Stato e del Ministri, dichiara di voler convocare un Congresso Nazionale dove concorreranno tutti i partiti e la cui missione sarà di risolvere se debba o no continuare l'Impero.

A prima giunta questa proclamazione sembra aprire un Interregno e considerare il Governo attuale un Governo transitorio fino al momento in cui il Congresso si sarà pronunziato sui titoli della Dinastia convalidando o rigettando l'Atto di Elezione della giunta dei Notabili. E d'altronde, quali autorità presiederanno ai Comizi e come raggranellare tanti Partiti in guerra da sì lungo tempo? È fuor di dubbio che, prima d'ogni altra cosa, dovrebbesl proporre un armistizio, ma anche questo mezzo incontrerebbe difficoltà insormontabili fino a quando il Governo provvisorio non offra garanzie d'imparzialità e di buona fede. Tutto ciò dovrebbesi necessariamente regolare con i Capi del Partito Liberale l quali sono poco disposti a trattare col Governo di Massimiliano. Come dunque giungere ad un risultato ed alla esecuzione delle gravi quistionl contenute nel Manifesto Imperiale? Tutti sforzi tardivi ed inutili, a quanto parmi, e buoni soltanto a temporeggiare.

Il Ministro Americano Campbell e il Generale Sherman, de' quali avevo l'onore d'intrattenere l'E. V. con mio mpporto dei 29 novembre (l) fatti appena consapevoli della risoluzione di Sua Maestà di prolungare ancora il suo soggiorno nel Messico, abbandonarono Vera Cruz, dove si erano recati nella supposizione che l'Imperatore avesse già abdicato, dirigendosi verso Tampico già da parecchi mesi, come V. E. saprà, in mano dei Liberali. È fermo proposito del Gabinetto di Washlngton di voler trattare soltanto con Juarez ed i Francesi

i quali, sembra oramai deciso, partiranno nella quasi totalità in Febbraio prossimo. Il Maresciallo ricorre sempre a nuovi mezzi onde prolungare l'occupazione, almeno fino all'Autunno 1867, ma il generale Castelnau la cui missione principale consiste nell'accelerare a qualunque costo il rimpatrio dell'Esercito, persuaso finalmente delle intenzioni nascoste del primo, incomincia a valersi dei pieni poteri ricevuti per porre ad esecuzione gli ordini espressi dell'Imperatore Napoleone.

Questo Governo intanto, onde effettuare i principi proclamati nelle notificazioni in parola, ricorre già ad espedienti d'ogni natura destinati a riempire le vuote casse dello Stato. Fin'ora contansi cinque Decreti Finanziari relativi allo stabilimento d'una grande lotteria e ad un aumento d'imposte su beni rustici ed urbani. Ma, malgrado queste nuove risorse la cui applicazione incomincierà il 1° gennaio prossimo, non si può far calcolo su di esse per i bisogni enormi dello Stato.

Le truppe Francesi evacuano senza interruzione le Provincie del Nord concentrandosi tra la Capitale e Vera Cruz; i dissidenti occupano le piazze evacuate l'indomani della partenza dei Francesi imponendo tasse esorbitanti e confiscando quanto appartenga ai partigiani dell'Impero.

Abbiamo il nemico a Tula, Tulacingo, Jalapa etc. località a 15 o 20 leghe da Messico; si bada solo al cammino di Vera Cruz senza del quale ci troveressimo completamente circondati dai dissidenti.

È triste il vedere come tutto quanto si è fatto in cinque anni di occupazione sia stato distrutto in pochi mesi sia per impossibilità di sostenere a proseguire l'opera incominciata, sia per mal volere: il certo è che fra un anno, al più tardi, il Messico sarà ridotto alle proprie risorse e senza che lo scopo della intervenzione sia stato ottenuto, né dal lato politico, né dal materiale.

(l) -Non pubblicato. (2) -Non si pubblicano gli allegati.

(l) Non pubblicato ma cfr. n. 18.

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L'INCARICATO D'AFFARI A VIENNA, RATI OPIZZONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. CONFIDENZIALE 4. Vienna, 11 dicembre 1866 (per. il 14)

Je comptais me rendre un de ces jours au Ministère et choisir l'heure à laquelle Mr. de Beust n'aurait pas été occupé par les négociations du traité de commerce avec la France, afin d'entretenir ce Ministre au sujet de la dépeche confidentielle que V. E. m'a fait l'honneur de m'adresser sous la date du 5 courant (1). L'ayant cependant rencontré l'autre soir au club, je me suis empressé de saisir l'instant que je suis trouvé avec lui, pour amener la conversation sur la manière dont le Cabinet Autrichien envisage ce qui vient de se passer à propos de la note que, sans invoquer l'interposition des puissances garantes, le Prince Michel de Serbie a fait remettre au gouvernement ottoman.

M. de Beust m'a répondu que les instructions qu'il avait envoyées à l'Internonce portaient de conseiller au Cabinet de Constantinople d'accéder à la

demande du Prince Miche!, d'autant p:us que la forteresse de Belgrade n'avait pas la moindre importance militaire pour la Turquie. En outre ce Ministre m'a laissé entrevoir que la position que le Cabinet de St. Pétersbourg prend dépuis quelque temps en Orient, imposait au Cabinet autrichien de traiter cette affaire camme une affaire tout à fait intérieure de l'Empire Ottoman.

Avant méme que V. E. m'eut écrit à cet égard, et qu'Elle m'eut ordonné d'explorer l'opinion du Cabinet de Vienne, j'en avais causé avec M. de Gramont. Par ce que ce diplomate m'avait dit et par ce que M. de Beust m'a répondu l'autre soir, je vois qu'il y a identité, non seulement d'appréciation mais je dirais méme d'expression, entre les discours de l'Ambassadeur de France et la réponse que m'a faite le Ministre des affaires etrangères d'Autriche.

On sent que la Russie pousse à la question d'Orient, la note serbe a été insinuée au Prince Miche! par le Cabinet de S. Pétersbourg. Cette note n'est qu'un accessoire du mouvement orientai, mouvement auquel la Russie travaille plus activement depuis que par les victoires de la Prusse, l'Autriche se trouve dans l'impuissance et la France dans une inaction forcée. Voulant dane éviter de faire le jeu de la Russie, en ajoutant des embarras nouveaux au Gouverns.ment du Sultan, la France aussi bien que l'Autriche ont conseillé au Divan de satisfaire à la demande du Prince Miche!.

L'Autriche prendra acte des accords intérieurs intervenus entre la Turquie et la Principauté Serbe, et n'entend pas se servir de cet accord pour risquer un commencement diplomatique de la question orientale, dont elle à présent tàche soigneusement d'ajourner la solution.

Je vois que dans toute cette question l'identité des vues des Cabinets de Vienne et de Paris est une identité complète; au demeurant la politique de

M. de Beust a toujours été de faire surtout cause commune avec la France.

Dans ma dépéche confidentielle n. 2 en date du 25 Novembre dernier (l) j'avais eu l'honneur de signaler à V. E. les préoccupations du Gouvernement Autrichien à cause des alarmes qui viennent d'Orient. A part la position que le Gouvernement Russe a pris en Orient, celle qu'il prend en Pologne à l'égard des catholiques, les avances qu'il fait à la Prusse, avances qu'il met un soin tout spécial à afficher, me paraissent provoquer une identité complète de vues et d'intéréts entre les deux Cabinets de Vienne et de Paris.

A ce sujet je m'adresserai encore à V. E ....

(l) Non pubblicato.

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L'INCARICATO D'AFFARI A PARIGI, ARTOM, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 388. Parigi, 12 dicembre 1866 (per. il 15).

Il Moniteur d'oggi annuncia nel suo bollettino politico che jeri mattina la bandiera pontificia fu sostituita alla bandiera francese sulle torri di Castel

S. -Angelo. Vengono così smentite tutte le voci che correvano intorno alla esecuzione più o meno esatta della convenzione del 15 settembre per parte del Governo francese. Quand'anche, come lo pretendono alcuni giornali, gli impiegati dell'intendenza militare francese ed alcuni impiegati sanitarj siano tuttora a Roma, rimarrebbe pur sempre il fatto che il vessillo tricolore francese non isventola più in Italia. L'undici dicembre del 1866 sarà dunque memorabile nella storia d'Italia come suggello dell'indipendenza e dell'unità della nazione.

Il Moniteur d'oggi contiene altresì un sunto del progetto di legge elaborato dalla Commissione superiore incaricata della riorganizzazione dell'esercito. A quanto pare a me, non competente affatto in simili materie, il nuovo progetto si avvicina all'organizzazione militare italiana, in quanto estende a tutti i giovani atti alle armi l'obbligo del servizio militare, e li distingue solo in due classi, quella del servizio attivo ed immediato e quella della riserva divisa in due categorie. Il risultato di ciò sarà che il Governo avrà sempre a sua disposizione, senza obbligo di chiederne l'autorizzazione alle Camere, ottocentomila soldati; ed inoltre potrà disporre coll'assenso del Corpo legislativo di altri 300

o 400 mila uomini di guardia nazionale mobile. Si cercò d'impedire il malcontento che questa misura può produrre sulle popolazioni delle campagne riducendo d'un anno la durata del servizio attivo e permettendo ai giovani che avranno compiuto il loro 24° anno di età di contrar matrimonio. Questo progetto di lebbe sarà del resto discusso al Consiglio di Stato prima di essere presentato al Corpo legislativo. Finora non si può giudicare dell'impressione prodotta nell'opinione pubblica da queste proposte. Gli uomini di finanza ne sono naturalmente assai malcontenti, perché vedono in questo progetto, malgrado che si abbia cura di dargli un carattere puramente difensivo, un avviamento a complicazioni pericolose nella politica estera.

(l) -Cfr. n. 24.
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IL CONSOLE A SCUTARI, BOSIO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 1128. Scutari, 13 dicembre 1866, ore 11,38.

Prince Monténégro m'a invité not.\·ellement aUer Cettinié. Il envoya une grande barque avec un aide de camp m'avertir m'attendre. Je pense partir demain. Consulat confié à mon collègue de France.

56

IL CONSIGLIERE DI STATO, TONELLO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 1129. Roma, 13 dicembre 1866, ore 14,15 (per. ore 15,35 del 14).

Autorisé correspondre en chiffre. Je serai reçu par le Pape. Cardinal Antonelli parait se disposer aux accords.

57

IL PREFETTO DI PERUGIA, GADDA,

AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

(AVV)

L. P. Perugia, 13 dicembre 1866.

La lettera per Bonfadini che tu mi spedisti la recapitai nelle sue mani, perché si trovava appunto qui. La mattina dopo proseguì per Roma. Qui tutto procede con perfetto ordine. È d'uopo però non rimettere di vigilanza, poiché il partito Mazziniano non ha smesso la speranza di arruffare, ed ora che il discorso della Corona fa intravedere la speranza di venire ad un accordo con Roma, raddoppieranno gli sforzi perché è questo l'ultimo campo delle loro pazze imprese. È un vero malanno che la Corte d'Appello di Milano abbia rivocato il Decreto d'arresto del Mazzini che il Tribunale di Como aveva emesso. Ora Mazzini è Deputato e quindi potrà aggirarsi e fare a suo agio. In generale poi i funzionari sono timidi, perché si vedono incerti. Tutte queste cause mi persuadono a raddoppiare di vigilanza. Spero che presto finirà questo stato di tensione, ed allora sarò libero di provvedere ai casi miei.

58

L'INCARICATO D'AFFARI A PARIGI, ARTOM, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 1132. Parigi, 14 dicembre 1866, ore 7 (per. ore 10,20).

Prince Napoléon vient de me dire que le voyage de l'Impératrice quoique très probable n'est pas encore certain. Empereur est personnellement favorable à ce projet, auquel tous les ministres sont contraires. On dit que l'Impératrice partirait le six; on craint ici que l'on publie à Rome les lettres que l'Empereur a adressé au Pape à différentes époques. Faugère ne m'a encore rien remis. Veuillez bien m'envoyer discours du Roi. J'ai promis de le communiquer au prince Napoléon.

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IL CONSIGLIERE DI STATO, TONELLO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA (Ed. in LV 10, pp. 6-10, in Lettere Ricasoli, vol. IX, pp. 77-81 e in Carteggi Ricasoli, vol. XXIV, pp. 481-484)

Roma, 15 dicembre 1866 (per. il 17).

Giunto in Roma il 10 corrente, come già le accennai con mio telegramma (1), nello stesso giorno mi diedi pensiero di procurarmi i mezzi di ottenere direttamente un'udienza da Sua Santità. A tal fine divisai di rivolgermi a Sua

Eminenza il Cardinal Silvestri, ed al Consigliere di Stato signor Cav. Carocci pei quali aveva meco recate lettere d'introduzione. Non avendo per equivoco d'ora potuto vedere il Cardinal Silvestri fui per altro fortunato di abboccarmi col Consigliere Carocci, il quale mostratosi assai soddisfatto della lettera del suo antico amico il Guardasigilli, m'accolse con ogni cortesia, mi profferse 1a sua cooperazione, e stante le relazioni che egli aveva con Monsignor Pacca Maestro di Camera di Sua Santità, benché fosse affetto da podagra, si offerse di condurmi all'indomani al Vaticano.

Recatici infatti il giorno 11 dal prelodato Monsignore, questi non credette di poter assumere sopra di sé di riferire direttamente la nostra domanda al Santo Padre; ma ci rimandò al Cardinale Segretario di Stato secondo il solito praticato pei casi di formali ambascerie.

Il Cardinale Antonelli mi ricevette con molta gentilezza, e promise subito di ottenermi da Sua Santità la desiderata udienza. Ma non lasciò nei discorsi che tenne di mostrare una tal quale agrezza, del che non ebbi a bene augurarmi della sua disposizione agli accordi.

Nello stesso giorno fui sollecito recarmi dal Cardinale Silvestri, al quale esibii 1a lettera di S. E. il Presidente del Consiglio. Accoltala con visibile soddisfazione, ed incaricatomi di fare i suoi convenevoli colla detta Eccellenza, anch'egli mi disse che non spirava troppo buon vento pegli accordi, e che non avrei mancato di trovar gravi difficoltà. Ma dopo lunghi discorsi conchiuse sperare egli pure in fine un esito favorevole, al quale dal suo canto non avrebbe mancato di cooperare; ed all'uopo s'incaricò di pari.are nella stessa sera al Pontefice.

Diffatti all'indomani 12 corrente recatosi da me a restituirmi con singolare

gentilezza la visita (cosa per vero poco solita pei Principi di Santa Chiesa) mi

disse aver inteso nella sera precedente dal Papa stesso, e così pure dal Cardi

nale Antonelli, che in quel giorno medesimo io sarei stato chiamato al Vati

cano, e si meravigliò che quell'idea non avesse avuto seguito.

Da quanto aveva potuto raccogliere dai discorsi tenuti colle suddette, e le

altre poche persone colle quali ebbi modo di entrare in relazioni, mi era risul

tato che la missione incontrava gravi ostacoli specialmente pei motivi seguenti:

Pel rifiuto del Commendator Vegezzi ad assumersi nuovamente la missione,

rifiuto che lungi dall'attribuirsi a motivi di salute, si ascriveva invece a che il

Governo non si fosse mostrato disposto a tutte le concessioni, a cui quegli

propendeva.

Per la legge di soppressione delle Corporazioni Religiose e d'indemania

mento dei beni ecclesiastici, ed in ispecial modo per l'esecuzione della legge mede

sima promossa quanto ai Vescovi, appunto in epoca contemporanea al ritorno

di quelli che si trovavano fuori Diocesi, circostanza questa che, mentre agli occhi

della Corte Pontificia toglieva molto al merito della concessione loro fatta

dal Governo, pareva fosse stata combinata ad arte, come con qualche sarcasmo

si espresse il Cardinale Antonelli, per farli assistere di presenza al sequestro

dei loro beni.

Per essersi pubblicato nei giornali anche ufficiosi, che il Governo rinunciava

al giuramento, ed all'exequatur, il che contandosi dalla Santa Sede in qualche

8 -Documenti diplomatici -Serle I -Vol. VIII

modo come cosa già acquisita lasciava scarso l'ulterior merito della trattativa, non vedendosi troppo dalla Santa Sede medesima che altro potesse essa conseguire. Ciò mette ad un tempo, per dirla di passaggio, in non poco imbarazzo il negoziatore, il quale si trova in tal modo già quasi disarmato dei mezzi per ottenere condiscendenza; tanto più che i giornali avendo oltrepassato nei loro annunzi il limite vero delle concessioni alle quali il Governo è disposto, la di lui opposizione alle relative dimande che si facessero dalla Corte Pontificia, potrà sembrare effetto di sua particolare renitenza.

Per non essersi dal Papa ricevuto alcun avviso officiale della mia missione.

Ed in ultimo per alcuni fatti al tutto immaginarii appostimi dal giornale l'Unità Cattolica, nell'intento di rendermi pe' supposti miei precedenti poco beneviso alla Santa Sede.

Essendo intanto passati alcuni giorni, e non vedendo venire avviso per la Udienza, che giusta il già detto, doveva aver luogo fin dai primi giorni, credetti opportuno recarmi nuovamente dal Cardinale Antonelli. Jeri difatti lo vidi e debbo confessare che con piacere lo trovai molto più sereno e benevolo che non fosse stato la prima volta. Egli si scusò che il mio ricevimento dal Pontefice non avesse potuto effettuarsi prima per le molte occupazioni dalle quali erasi Sua Santità trovata impedita negli scorsi giorni, e mi promise che pel dimani avrebbe infallantemente avuto luogo, come infatti avvenne.

Oggi adunque, ricevuto fin da jeri l'invito, mi condussi dal Santo Padre, e lo trovai in ogni suo atto e discorso molto benevolo. Mi trattenne seco per ben oltre mezz'ora, toccando genericamente degli oggetti della missione non solo, ma anche di varii altri argomenti.

Devo però avvertire, che non astante la molta benevolenza addimostratami non mancò di far sentire che in realtà egli non aveva ricevuto avviso officiale della mia missione, e che in seguito discorrendo della lettera di Sua Maestà che io ebbi l'onore di presentarle (1), notò come fosse meno esatto, che egli avesse espresso desiderio, che il Governo del Re inviasse una nuova missione per riannodare le precedenti trattative; il fatto essendo che interpellato da persone officiose se non gli sarebbe sgradita una tale riapertura. Egli aveva dichiarato che non vi aveva nulla in contrario. Mosse pure grave lagnanza per il sequestro dei beni delle Mense Vescovili. La spiegazione però da me datagli sulla vera portata della Legge mi pare che scemasse alquanto la trista impressione che ne aveva ricevuto.

Fra le cose da lui dette parmi degna di particolare menzione questa: cht: egli non intendeva rinunciare ad alcuno de' suoi diritti politici; ma che per provvedere al bene de' rispettivi Stati egli non sarebbe stato alieno dal cercar,. di comune accordo un modus vivendi (sue parole) accennando ad esempio il tema delle Dogane.

<< Beatissimo Padre,

Aderendo con sommo piacere al desiderio fattomi esprimere dalla Santità Vostra d! r!p!gl!are le trattative che or sono pochi mesi vennero Interrotte, né potendo destinare a questa Importante missione !l commendatore Vegezz!, impedito per motivi d! salute, ho scelto !n vece sua !l commendatore Tonello, uomo che gode tutta la mia confidenza e le eu! ottime qualità spero incontreranno la &oddisfazione della Santità Vostra>>.

Nel resto quanto agli oggetti della missione, sebbene la materia sia stat:.. soltanto delibata sia nei discorsi di Sua Santità, che in quelli del Cardinale Antonelli, ho potuto ritenere che la Santa Sede non intende di affrontare alcuna questione di principio, ma volentieri si accosterà a discutere un qualche sistema di espedienti, che lasciando intatte le rispettive pretese porga il modo di assestare intanto gli interessi religiosi del paese.

Non volendo in questo mio primo ragguaglio entrare in particolarità, che sinora non riescono abbastanza determinate, mi farò premura appena col seguito delle trattative le idee siansi meglio concretate, di renderne promamente informato il Governo e d'invocarne le opportune direzioni.

Intanto prima di chiudere, e quasi in appendice alla presente, non voglio pretermettere di notificare alla S. V. Onorevolissima, che il Console d'Inghilterra nel mio passaggio a Civitavecchia mi fece trovare alla stazione un suo impiegato onde esibirmi all'occorrenza l'opera sua, e che non minori gentilezze pure trovai per parte del Console Inglese residente in questa città.

Un'altra avvertenza. In questa città non vendendosi affatto i giornali del Regno, ed essendo indispensabile che io conosca lo stato dell'opinione pubblica, e le altre contingenze del paese, rinnoverei la preghiera, già fatta a voce prima di partire, che mi si vogliano mandare almeno i principali, cioè l'Opinione, la N azione ed il Diritto.

Le mando la presente col mezzo del Cav. Armillet fino a Terni, d'onde il piego proseguirà col solo mezzo postale, però assicurato; mezzo questo che potrassi usare anche in seguito. Per la risposta, secondo l'intelligenza presa prima della mia partenza, potrà il Ministero dirigere il piego al Sotto-prefetto di Terni con incarico di rimetterlo al pregiato nostro corriere, che non mancherò di mandare appositamente, non s1 tosto mi pervenga il relativo avviso telegrafico.

Non ho bisogno di ripetere a Lei, Beatissimo Padre, quanto sia ardente in me il desiderio

di vedere coronate di felice successo pel maggiore bene della Chiesa e dello Stato le pratiche

le quali nuovamente vengono iniziate. Confido che Dio onnipotente nella pienezza della sua

misericordia, moltiplicando i suoi doni nella mente e nel cuore del Vicario di Gesù Cristo in

terra, renderà facile ciò che alle sole forze umane riuscirebbe difficile e si otterrà quindi senza

troppo indugio un risultato che il sospiro del veri fedeli di tutta Italia, ed in particolare di chi

si gloria di protestarsi, di vostra Santità, Beatissimo Padre, ... » (Ed. in Lettere Vittorio Ema

nuele II, vol. II, p. 1138).

Il Papa rispose con la seguente lettera, datata 25 dicembre 1866: «Dal signor Commendatore Tonello ricevetti la lettera di Vostra Maestà. Nel marzo 1865 desiderai di aprire trattative per le cose riguardanti la Chiesa, ma visto l'esito del primo passo non ho più affacciata do1nanèa né fatta apertura. Ho detto solo che ero pronto a ricavare qualche onesta persona, qualora si fosse qui voluta inviare. Ciò sia detto per chiarire le prime linee dell'ultima lettera di Vostra Maestà. Intanto il detto Commendatore ha comunicato le conferenze col mio Segretario di Stato. Ma quanto è doloroso il vedere che nel bel principio delle trattative si è messo mano un'altra volta allo spoglio della Chiesa e parml che si voglia vedere priva dell'ultima zolla di terra e forse anche dell'ultimo calice dei suoi altari. I vescovi tornando alle loro sedi non trovano più le loro mense, i claustrali di ambo i sessi espulsi dai loro sacri asili non hanno quello che basta per vivere. E perché tanta smania di spoglio? Forse che l'Italia vantaggerà la sua posizione economica coll'appropriarsi le spoglie della Chiesa di Gesù Cristo? No, Maestà, l'Italia ch'è cattolica e cattolica pratica nella sua grande maggioranza, non approva questa espulsione del cenobiti. Almeno dopo averli spogliati Il si lasciasse quell'asilo dove alcuni hanno passati quasi intera la vita. Ma no, si toglie loro anche questo conforto e i conventi e i monasteri debbono essere votati. Dice Vostra Maestà che desidera di vedere accomodate le cose della Chiesa e dello Stato e che questo è il sospiro dei veri fedeli, ma quello che si opera in Italia tende a tutt'altro che vedere accomodate le cose della Chiesa. Rifletta, oltre le cose dette, alla immoralità sparsa a piene mani, alla licenza della stampa ecc., e poi dica se con questi mezzi sia facile di vedere accomodate le cose della Chisa. Ah, carissimo, lo vorrei dirle abbracciandola se fosse presente, rifletta a questi mali e per porci rimedio scelga dei cooperatori che odino il vizio ed amino la virtù. Ella nella sua lettera parla anche del desiderio che ha di vedere il bene dello Stato, e quantunque questa sia cosa che mi riguarda indirettamente, pure dirò che proteggendo la Chiesa profitterà allo Stato e avendo cooperatori che amano la Chiesa, sapranno l.len provvedere anche alle bisogne dello Stato;

(l) Cfr. n. 50.

(l) La lettera del Re a Pio IX, datata 6 dicembre 13G6, consegnata dal Tonello diceva:

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IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, ALL'INCARICATO D'AFFARI A VIENNA, RATI OPIZZONI

T. 825. Firenze, 16 dicembre 1866, ore 15,30.

Parmi les objets sur lesquels il est intéressant de connaitre les vues de l'Autriche se trouve la question romaine. Sans paraitre provoquer des explications à ce sujet, ne négligez pas l'occasion d'amener M. de Beust sur ce terrain dans quelque conversation particulière. Quant à vous soyez réservé et conservateur dans vos appréciations, en vous appuyant sur ce que l'application du principe de non intervention c'est le plus sur moyen de calmer les esprits en Italie et de faire triompher la conciliation.

sapranno dare alla Chiesa quella libertà di cui cento volte si è parlato Il principio, ma sventuratamente a questa Chiesa !ungi dall'accordare libertà, si sono Invece ribadite le catene.

Maestà, ascolti la voce di chi la ama in Gesù Cristo, e desidera che Dio le conceda la grazia ed l lumi che sono necessari per riprendere le vie battute dal suoi gloriosi antenati. Profitti del tempo che Dio ancora le concede per operare tutto quello che può di bene sia per l'anima sua, sia per tutto ìo Stato. Questo lo chiede la Chiesa, la Società, la sua Madre e la sua Moglie dal luogo di sicurezza ove ambedue si trovano. Piaccia al Signore di vedere coronati di esito felice i miei desideri, né cesserò mai di pregare finché non Il vegga realizzati».

(Ed. In Lettere Vittorio Emanuele Il, vol. II, pp. 1139-1140).

Il 3 gennaio 1867 Rlcasoll scrisse al Re:

«La lettera del Sommo Pontefice che Vostra Maestà m'ha fatto l'onore di comunicarmi Ieri sera, non mi sembra che richiami ad alcuna particolare considerazione contenendo più che altro la rlpetizionP di quelle doglianze che Sua Santità suoi fare sulle condizioni che, a senso suo, sono imposte alla Chiesa dal Governo italiano.

Di queste doglianze non mi pare che sia da fare gran conto, se non fosse per dire che Il Governo di Vostra Maestà nell'eseguire le leggi votate dal Parlamento, procede per certo con tutta la temperanza e coi maggiori riguardi del che il comm. Tonello deve aver dato a Sua Santità le più formali assicurazioni.

Della lettera pontificia sembrerà forse anco a Vostra Maestà che sia da considerarsi principalmente, passando sul resto, la benevolenza particolare che dimostra a Vostra Maestà e Il desiderio che esprime di veder data veramente la libertà alla Chiesa.

Questi sentimenti del Santo Padre e le disposizioni del Governo di Vostra Maestà a

secondarl1, possono ispirare davvero la speranza di veder cessata una condizione di cose

che non lascia quietare né la Chiesa né lo Stato, e che turba insieme le coscienze religiose e gli spiriti Italiani, non d'altro, si le une come gli altri, desiderosi che di conciliarsi e con

vinti che la conciliazione non può avvenire se non sul terreno della reciproca libertà.

Qualunque siano le dispozionl della Corte di Roma su questo proposito, è gran ventura che sia In nostra mano dl dare l'esempio e l'impulso della libertà della Chiesa senza dipendere da quelle, col vantaggio dl più che la libertà, che parrebbe donata gratuitamente, ci arrecherebbe di convertire a pro' nostro l'opinione pubblica e non potendo essere rifiutata recherebbe 1 suoi frutti 1mmancabll1 anche a quelli a cui malgrado la loro ripugnanza si applicasse.

Io credo che questa sia una grande occasione per Vostra Maestà di compiere uno di quegli splendidi fatti che mutano la faccia del mondo e di aggiungere alla gloria che si è guadagnata conquistando l'indipendenza d'Italia, quella anco maggiore di aver cooperato a sciogliere la più ardua e pericolosa questione del tempi moderni (Carteggi Ricasoli, vol. XXV, pp. 15-16) ».

In ACR è conservata la seguente minuta di una lettera di Vittorio Emanuele II al Papa incompleta e che non risulta spedita:

«Ricevo con filiale riconoscenza la lettera d! Vostra Santità del 25 dicembre ultimo; pli sentimenti di paterno affetto che la Santità Vostra si compiace manifestare verso di me.

Io traggo dal sentimenti della Santità Vostra l migliori auguri e le più belle speranze e non sono disarmato dalle doglianze che !spira alla Santità Vostra l'esecuzione della legge sulle corporazioni religiose.

Io sono sicuro che il mio governo procederà nell'adempiere l'obbligo suo con tutta la temperanza e col maggiori riguardi e di queste disposizioni ha incaricato il comm. Tonello suo inviato presso Vostra Santità di darle le più formali e piene assicurazioni.

Dai benevoli sentimenti della Santità Vostra e dal suo desiderio che sia restituita la libertà alla Chiesa e dalle nostre disposizioni a compiere questo desiderio seguendo l nostri più deliberati convincimenti lo traggo l'augurio e la speranza di veder cessata una condizione di cose che non lascia quietare né la Chiesa né lo Stato e che turba Insieme le coscienze religiose e gli spiriti italiani che altro non desiderano se non di conciliarsi e che sentono che la conciliazione non può avvenire se non sul terreno della reciproca libertà.

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IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, ALL'INCARICATO D'AFFARI A PARIGI, ARTOM

T. 827. Firenze, 16 dicembre 1866, ore 17,30.

On me dit que l'Impératrice a l'intention de se rendre à Naples au retour de Rome. Veuillez me dire quelles sont vos informations à ce sujet (1).

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L'INCARICATO D'AFFARI A VIENNA, RATI OPIZZONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. CONFIDENZIALE CIFRATO 7. Vienna, 18 dicembre 1866 (per. il 22).

Hier au soir ayant trouvé le Baron de Beust à une soirée, j'ai amené le discours sur la question romaine, tenant langage que V. E. m'a mandé (2). Ce Ministre ne m'a, dans le fait, rien dit de bien précis; il a approuvé nos intentions de conciliation, et n'a pas trop paru regretter que l'on soit venu nous interrompre. Demain étant jour d'audience de ce Ministre, j'irai lui parler de la première affaire quelconque et je tàcherai de le faire glisser sur le terrain de la question romaine. Dans cette question ce Ministre est obligé à bien plus de réserve encore à cause de sa qualité de protestant: il n'y fera pas de politique concordance et il suit les sentiments actuels de la famille Impériale. Or, par les appréciations que j'ai été à meme de former pendant ces deux mois, ni l'Empereur François-Joseph ni sa famille, dans le moment actuel de la question romaine, n'entend prendre pas méme la responsabilité d'un conseil auprès du Pape. Hiibner n'a pas certainement instruction de rendre dilllcile la mission de Tonello, meme on verrait ici avec satisfaction une entente entre l'Italie et le Pape. On espère meme que la Papauté puisse devenir un trait d'union entre les Puissances catholiques à l'égard des questions Polonaise et Orientale. Ceci serait à l'adresse de la Russie (3).

Vostra Santità può compiere meglio di ogni altro questa grande opera. I cattolici venerano In voi il capo visibile della loro religione, gli Italiani non hanno dimenticato l'augusto Iniziatore del loro riscatto.

La Santità Vostra troverà nel suo grande animo e nel suo gran cuore una di quelle sublimi Ispirazioni per le quali ha segnato già nel primordl del suo pontificato una splendida pagina nella storia di questo tempo, una di quelle Ispirazioni che mostrano la faccia del mondo e dànno un Impulso nuovo al viaggio dell'umanità pellegrina».

(Lettere Vittorio Emanuele II, vol. II, pp. 1148-1149).

(l) -Artom rispose con t. 1139 del 18 dicembre che l'Imperatrice sarebbe partita per Roma Il 19 dicembre e sarebbe stata di ritorno il 1° gennaio. Sulla possibil!tà di sosta a Napoli cfr. l'ultimo capoverso del n. 71. (2) -Cfr. n. 60. (3) -Con r. confidenziale 8 del 20 dicembre Rati comunicò: «Après ma dépéche n 7 confidentielle j'ai vu Baron de Beust, et à l'égard de la questlon Romaine je ne puls que répéter avec surcrolt d'assurance ce que j'al dit déjà dans la dite dépéche chi!Irée. Le Cabinet de Vienne approuve la manière dont, sur !es ordres de V. E. j'al envisagé la q~estton _Romalne. En tout cas je suis persuadé que sur cette questlon les lstructlons envoyées à HUbner sont de facil!ter la misslon de Tonello, en cas contraire, quoi qu'il arrive, de s'abstenir complètement ».
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IL CONSOLE GENERALE A BELGRADO, SCOVASSO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R.R. S. N. Belgrado, 18 dicembre 1866.

Nel mio rapporto delli 8 novembre ultimo serie riservata (l) al lQmo allinea così ragionavo: «conchiudo quindi che le pratiche per conciliare le cose, e combinare un movimento generale dei popoli Greco-Slavi e forse Latini della Turchia etc. etc. non mi sembrano ancor finite».

Dicevo e forse Latini perché mi sembrava difficile che il Principe Carlo fosse disposto a far causa comune coi Greci e coi Slavi contro la Turchia senza l'assentimento od il consiglio della Francia. Ora la Francia mostrandosi, da quanto si può argomentare, ostile, almeno per adesso, a un movimento Greco-Slavo patrocinato dalla Russia contro la Turchia, non solo non poteva consigliare il Governo Rumeno ad entrare in questa lega, ma si sarebbe adoperata persino a distarglielo dal pensiero di entrarvi, se si fosse avveduta che questo pensiero poteva essere da Lui accarezzato; ed ecco che i fatti non tardarono a darmi ragione.

Il rappresentante del Principe Carlo, il Principe Cantacuzeno, che è partito nella seconda metà di settembre in congedo per 15 giorni, non è più ritornato. Questa prolungata assenza in questi momenti mi faceva sospettare che esistessero dissensi fra i due Governi. Chiesi un giorno al signor Chichkine, console russo, cosa pensasse della lunga assenza dell'Agente Rumeno, egli mi disse, che probabilmente era ritenuto a Bucarest da suoi affari particolari, i quali non erano in assetto: questa risposta non mi persuase; ne chiesi al signor Garachanine, e gli esternai i miei sospetti, e questi dopo alquanta esitazione mi confessò ch'io aveva colpito nel segno, che i due Governi Rumeno e Serbo non erano d'accordo. Non volere il Principe Carlo di Hohenzollern intendersi col Governo serbo. Consigliare invece al Principe Michele di recarsi a Costantinopoli a far atto di cortesia se non di vassallaggio, verso il Sultano, che questa a parer suo era la miglior via per tutto ottenere, mentre l'altra, quella della rivoluzione era sommamente incerta e pericolosa. Questo consiglio gli era già stato dato dal Principe Couza quando regnava in Romania. Ma il Principe Michele, proseguiva il signor Garachanine, allora come in oggi era determinato di non recarsi a Costantinopoli che allorquando avrà ottenuta l'evacuazione di tutte le fortezze, solo allora egli vi si potrebbe recare per ringraziarne personalmente il Sultano.

Il Principe Carlo ci ha anche fatto capire che noi siamo troppo sotto l'influenza del Nord, quasiché gli ripugnasse di stringere alleanza con un popolo ch'egli crede devoto alla Russia. Io scrissi jeri, continuava il signor Garachanine, una lunga lettera al nostro agente in Bucarest, nella quale lo incarico di esporre al Principe Carlo che noi non chiediamo il concorso attivo della Rumania contro la Turchia. Ammesso che i Serbi siano devoti alla Russia, il che non è, dice il signor Garachanine, e che i Rumeni siano devoti alla Francia sarebbe questa per avventura una causa ragionevole per impedire l'alleanza dei popoli Jugoslavi e Latini, e lasciar così le mani libere alla Russia od all'Austria per raccogliere l'ere

dità che lascerà tardi o tosto estinguendosi l'Impero Turco? Egli non lo credere. L'esistenza di quest'Impero non poter essere di lunga durata. Da una parte vi sono la Russia e l'Austria che ne agognano il retaggio, esse sono due possenti pretendenti, dall'altra vi sono diversi eredi legittimi che aspirano alla stessa eredità, ma sono deboli e piccoli, conviene adunque che questi si uniscano ond'essere forti per difendere i loro diritti, ed impedire che questa successione loro venga usurpata.

La Rumania è troppo vicina alla Russia per non temerla, tanto più che se le mostra poco simpatica, essa non deve quindi rimanere isolata, deve allearsi coi Serbi ossia cogli Jugo-slavi. Non è più savio divisamento quello di unire tutte le forze serbo-rumene per opporsi con più efficacia ad ogni aggressione della Russia? II Principe Carlo non dover dimenticare che quando la Russia osservava contro di lui una politica ostile, la Serbia ne aveva fatto rimostranze al Governo dell'Imperatore, e le sue buone relazioni con esso se ne erano risentite, ma la Serbia non per questo ha tralasciato d'insistere contro la politica moscovita in Rumania. Tutti i popoli cristiani della Turchia essere solidari uno dell'altro..., a questo punto la conversazione, che aveva luogo, in casa del signor Garachanine, fu interrotta dall'arrivo del signor Marinovitch il quale è ritornato da Pietroburga, Berlino e Vienna or fanno 4, o 5 giorni.

Egli, l'ho già detto nel mio rapporto riservato delli 3 corrente mese (1), è stato colmato d'ogni sorta di gentilezze e di distinzioni dal Czar e dalla famiglia imperiale, e da tutti gli altri dignitari della corte, e se ne loda; a me pare che tante deferenze e tante attenzioni la Corte Imperiale le ostentava per calcolo. Si loda anche molto del ricevimento cortese che s'ebbe dal Conte de Launay, ha parlato con lui della Servia, e ne ha parlato molto anche col signor Talleyrand ambasciatore francese, nel senso stesso che il signor Garachanine Io aveva fatto col console generale francese all'ora della sua partenza in congedo (vedi rapporti riservati delli 26 e 28 ottobre ultimo) (2). Ebbe lunghe conferenze col signor Bismarck, non mi ha detto su quale argomento esse versarono, ma considerando per quel che posso argomentare dalle confidenze fattemi dal Gerente del Consolato Prussiano, che la Prussia cerca d'intendersi col partito d'azione Ungherese, e cogli Jugo-slavi dell'Austria e conseguentemente accarezza la Servia, e che al signor Marinovitch era stata affidata la missione segreta consentita dal signor Bismarck (vedi rapporto riservato delli 26 ottobre ultimo) perché la Prussia deve essersi proposta in un tempo più o meno lontano di muover nuovamente guerra all'Austria, è facile indovinarlo. So che il signor Marinovitch ha rimesso al signor Bismarck una lettera del Principe, nella quale gli chiedeva alcuni ufficiali superiori distinti per il suo esercito, ed il ministro Prussiano si sarebbe scusato d'annuire ai desideri del Principe adducendo che per il momento si era occupati a riorganizzare l'armata, e v'era penuria d'ufficiali, gli promise di raccomandare caldamente alla Sublime Porta l'evacuazione delle fortezze.

Fatto è che il signor Marinovitch si mostra soddisfattissimo del signor Bismarck. Si mostra anche contento del colloquio ch'ebbe col Signor Beust a Vienna; egli dice che tutti sono amici dei cristiani d'Oriente. Il signor Marinovitch aggiunse: «veredrete che faremo cammino senza sparare una capsula~-«Dio lo voglia»

risposi. Io però non potrei dividere il suo ottimismo, a meno che la Grecia non attacchi la Turchia, e che la Tessaglla, la Macedonia e l'Epiro non insorgano.

Le autorità turche di Belgrado pretendono però che una rivoluzione in Tessaglia, in Macedonia in Epiro ed in Bulgaria è impossibile e si dimostrano su questo argomento molto confidenti. In ogni evento sarebbe a desiderarsi che l'influenza francese prevalesse in questo paese, e per prevalere mi pare che basterebbe al Governo dell'Imperatore di stendere la mano ai Serbi e far loro balenare la speranza d'un quasi sicuro, quantunque non imminente, avvenire, attenergli l'evacuazione delle fortezze e particolarmente di quella di Belgrado, ed interessarli cosi ad agire in modo che la lega, se pur è già conchiusa e pronta che non credo, non precipiti le cose contro la Turchia; ciò sarebbe, alcuni dicono, devancer la Russie, ma è appunto di questo modo, cioè coll'accordare alla Rumania una protezione più efflcace, più estesa della protezione russa, che la Francia pervenne a stabilire su solide basi la sua influenza nei Principati Rumeni e ad escluderne l'influenza Russa ch'era immensa.

Gli ho domandato, s'egli rredeva che il suo Governo ottenuta l'evacuazione di tutte le fortezze persisterebbe a profittare d'una immediata occasione favorevole per assalire la Turchia; mi rispose: «siamo troppo leali per poter agire in sì biasimevole guisa».

Il signor Garachanine mi disse che, se Candia resiste, egli teme che la Grecia

o la Tessaglia o l'Epiro o la Macedonia separatamente, o tutte insieme non aspetteranno sino a febbrajo a fare qualehe movimento contro la Turchia.

Posso ingannarmi ma mi pare che purtroppo gli animi cominciano ad esaltarsi anche in questa città, si parla di fare una dimostrazione in favore dei Candiotti, essa consisterà in una messa solenne offlciata dal Metropolita, che avrà luogo nella Cattedrale, in suffraggio dei Cretesi che si sono sepolti sotto le rovine del convento di Arcadio, alla quale non assisteranno né i ministri né altre autorità.

Qui l'opinione pubblica continua a mostrarsi sdegnata contro la Francia, e gli articoli del Moniteur e della Patrie sopra Creta e le notizie che di essa recano questi giornali sono argomento di amara censura anche da parte del Governo serbo, e di questi uomini di Stato e la Russia ne profitta.

Mi sembra che le pratiche per un accordo fra il partito croato di Strossmayer e la Servia camminano con difflcoltà. Da quanto posso capire la Russia dev'essere avversa ad ogni lega degli Jugo-slavi ortodossi cogli Jugo-slavi cattolici, e particolarmente col partito Strossmayer, non pertanto se il Governo serbo troverà che quest'accordo è utile, e mi pare Io riconosca tale, esso avrà luogo anche potesse dispiacere alla Russia.

«Nei diversi rapporti ch'ebbi l'onore di umiliare a v. E. dalla caduta di Couza alla proclamazione del Principe Carlo, e segnatamente in quelli cifrati 12 aprile ultimo la allinea, 27 maggio ultimo 4• allinea, nell'altro serie politica dello stesso giorno (27) [Cfr. Serie I, vol. VI, nn. 476 e 664], ho sovente parlato del disaccordo In cui era il Governo serbo con la politica del Governo russo nei Principati Rumeni, e che questo disaccordo aveva raffreddate alquanto le relazioni fra 1 due Governi, e ch'lo aveva fatto rimarcare questo stato di cose al Console Generale di Francia, acclò potesse prof1ttarne per rinvigorire la influenza francese in Serbla e fra gli altri Slavi della Turchia. Qualche tempo dopo il signor Oarachanine mi fece la confidenza che il Governo serbo aveva dichiarato in una nota assai esplicita al Governo russo che la sua politica nel Principati Rumeni era !n contraddizione con le proteste di benevolenza e di disinteressamento che gli faceva la Serbia, la quale considerava l'indipendenza l'unione la forza della Rumania come utilissima alla Serbia ed agli altri cristiani della Turchia che la Rumania e la Serbia si consideravano quasi solidarie etc., etc. Questa nota esiste, fu redatta dal Signor Marinovitch il quale jeri sera mi promise di farmela

(l) Cfr. n. 3.

(l) -Non pubbl!cato. (2) -Cfr. Serle I, vol. VII, n. 689. Il rapporto del 28 ottobre non è pubbl!cato.

(l) Nota del documento:

64

IL CONSIGLIERE DI STATO, TONELLO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 1142. Roma, 19 dicembre 1866, ore 8,15 (per. ore 8,50).

Hier au soir j'ai eu ma première conférence qui dura deux heures avec le cardinal Antonelli. Après une longue discussion on n'a pas pu parvenir encore à aucune conclusion. N'ayant pas de propositions à vous faire je ne vous écrirai qu'après l'autre conférence qui aura lieu jeudi solr.

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L'INCARICATO D'AFFARI A COSTANTINOPOLI, DELLA CROCE, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 64. Costantinopoli, 19 dicembre 1866.

Prego l'E. V. di gradire anzitutto l miei ringraziamenti per il dispaccio lndirizzatomi sotto la data del 29 scorso Novembre (1), relativo alle quistioni di Serbia e di Creta. Sulla prima delle quali mi corre l'obbligo d'informarla che la probabilità di un amichevole e diretto componimento fra il Principato e la Sublime Porta pare sempre assai lontana. Benché Aali Pacha rifiuti finora di pronunziarsi e vi guizzi per così dire nelle mani ogni qualvolta il discorso cade sulla questione delle fortezze di Serbia, è nondimeno universale opinione che il Governo Ottomano non si piegherà a concessioni se non per la pressione delle Potenze garanti. Il signor Ristich stesso nutre poca speranza di riuscita al tentativo del Principe.

Le circostanze però possono volgere favorevolissime ai Serbi. Senza parlare dell'insurrezione di Creta, e degl'imbarazzi che questa cagiona alla Porta, è mestieri constatare la nuova attitudine dell'Austria.

Il Barone Prokesch così avverso ai Serbi ha improvvisamente cambiato di linguaggio, e mostrasi ora loro assai favorevole. La Francia e la Russia continuano negli stessi sentimenti che manifestarono sempre, ed a meno di ordini perentorii Lord Lyons non uscirà anche in questa quistione da quell'atonia che gli è abituale, e che risponde d'altronde si bene alla politica della Granbrettagna. Un'azione unanime parrebbemi quindi possibile oggi più che mai se il Principa Michele s'indirizzasse alle Potenze Garanti, e se l'una di queste volesse prenderne l'iniziativa.

Per domandare l'evacuazione delle fortezze, il signor Ristich non ha indirizzato come l'E. V. lo suppone alcuna nota alla Sublime Porta. Egli ha presentato invece al Gran Vizir una lettera autografa del Principe, della quale le trasmetto qui unita una copia. Un tal documento non fu mandato prima d'ora da me,

leggere. Poco dopo la presentazione di questa nota il signor Marinovitch partiva (in maggio) per la Francia e l'Inghilterra, e la Russia che non era stata consultata sull'opportunità o no del viaggio del signor Marinovitch se ne era adontata. Io non conoscevo in allora questi dettagli, ma m'ero avveduto della freddura, che però non durò molto, perché il Signor Drouyn de Lhuys si mostrò nelle con\·ersazioni ch'ebbe col signor Marinovitch alquantoacerbo, poco propizio ai serbi (signor Marinovitch se ne mostrava dolente nelle lettere che scriveva al signor Garachanine, e che il signor Garachanine mi confidava), insomma perché 11 Governo francese non volle o non seppe profittare di questo male umore ».

per avere io creduto che il Cavaliere Scovasso, il quale me ne diede comunicazione, l'avesse direttamente spedita all'E. V.

Nella nuova attitudine del Barone di Prokesch relativamente alla Serbia, v'ha chi vorrebbe intravvedere l'inaugurazione d'una nuova politica austriaca in Oriente. Alcuni fatti accaduti in Albania, dei quali io non posso con esattezza ragguagliare l'E. V. per mancanza di precise informazioni, ma che forse le saranno stati direttamente comunicati dal Console a Scutari, verrebbero in appoggio di questa probabilissima supposizione.

ALLEGATO.

IL PRINCIPE MICHELE DI SERBIA A Rtl"STtl" PASCIA

Belgrado, 29 ottobre 1866.

Lorsque les fàcheux événements du mois de Juin de l'année 1862 ébranlèrent la tranquillité de la Serbie, et remplirent d'effroi la population de Belgrade je me suis attaché à rechercher et à mettre en pratique tous !es moyens propres à rendre le calme aux esprits et à faire renaitre la confiance. L'arrangement de Canlidja ayant, à mon grand regret écarté la solution qui aurait été la plus salutaire pour la sécurité de la Serbie, et pour !es relations générales de ce pays avec la Cour Suzeraine, il ne m'est resté qu'à me livrer à l'espoir que l'action du temps finira par amoindrir Ie.s appréhension que le bombardement de Belgrade avait fait naitre, et qu'ainsi s'effacerà peu à peu le souvenir du danger, dont ce déplorable événement avait relevé l'existence.

Malheuresement, Altesse, cet esprit s. étè tout-à-fait deçu. Aujourd'hui il y a plus de quatre ans depuis le bombardement et les défiances, !es craintes, le manque de sécurité, sont au moins aussi grands qu'ils ont été au moment du désastre méme. Le temps n'a fait donc que fortifier et mettre plus en évidence le sentiment du danger qui piane sur nos tétes, et la gravité des menaces, auxquels sont exposés nos biens, nos existence, nos destinées mémes.

La situation difficile que cet état de choses fait à la Serbie et à son Prince, m'impose le devoir de m'en ouvrir franchement et sans détour au Gouvernement de Sa Majesté le Sultan. L'esprit éclairé des conseillers de Sa, Majesté, le coeur générrmx de l'Auguste Souverain de la Serbie ne peuvent pas, ne doivent pas rester indifférents aux maux qui affligent toute la nation Serbe, et qui entravent et paralysent tout son progrès mora! et matériel.

P!us je médite de la situation qui nous est faite, et plus je deviens convaincu, Altesse, qu'elle est dans la méme mesure désavantageuse pour les intéréts généraux de l'Empire, q'elle est préjudiciale pour le présent et l'avenir de la Serbie. Comme je l'ai dit à une occasion solennelle, Altesse, la Serbie tranquille, satisfaite et attachée à la Sublime Porte vaut bien plus pour la défense eventuelle des frontières de l'Empire, que !es forteresses subsistant sur les rives Serbes de la Save et du Danube. Si je n'avais pas la conviction inébranlable, Altesse, que ces forteresses loin de favoriser !es intéréts de l'Empire, sont au contraire une source intarissable de méfiances, de difficultés et de graves dangers, également nuisible à la Serbie comme à l'Empire, et que par conséquent leur abandon serait un acte de haute sagesse politique, je ne prendrais certainement pas la liberté de faire auprès du Gouvernement de Sa Majesté Impériale la démarche dont j'ai l'honneur de m'acquitter en ce moment auprès de Votre Altesse.

Erigées dans des temps qui sont bien loin de nous, conservées dans des circonstances et pour des besoins qui n'existent plus, !es forteresses en question n'ont plus de raison d'étre soutenable aux yeux de ceux qui préchent la politique de conciliation, d'apaisement de passions, et d'anciennes dissensions, en un mot qui croient le progrès par la paix la meilleure des politiques, et seule capable de rendre !es peuples heureux.

C'est une pareille politique, Altesse, que j'appelle de tous mes voeux, ne pouvant pas manquer de produire des fruits salutaires, elle serait digne du règne glorieux de S. M. le Sultan Abdoul Aziz. De mon còté, Altesse, je m'estimerais heureux de pouvoir lui consacrer mes meilleurs soins. Que S. M. Impériale daigne me témoigner de la confiance, et me faciliter le moyen de rassurer la Serbie et de la rendre tranquille, prospère et heureuse, et Son Auguste Nom sera à jamais béni par toute la nation Serbe, dont le Prince n'oublierait jamais ce qu'il Lui devrait, en reconnaissance et en loyauté en retour d'une pareille confiance.

Je prie Votre Altesse de vouloir bien vous rendre interprète de mes voeux auprès de S. M. Impériale.

En abandonnant ou en supprimant les forteresses en Serbie Sa Majesté nous comblerait du plus grande bienfait, en nous accordant cette insigne faveur, une marque aussi éclatante de sa confiance, le Sultan s'attacherait par des liens impérissables une nation brave et loyale et pour moi, Altesse, ce serait un vrai et inestimable bonheur d'en témoigner toute ma vie ma profonde reconnaissance à Mon Auguste Suzerain.

(l) Non pubblicato.

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IL MINISTRO A PIETROBURGO, DE LAUNAY, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. CONFIDENZIALE 155. Pietroburgo, 19 dicembre 1866 (per. il 26).

Mes rapports confidentiels, n. 146 et 153 (1), ce dernier surtout, peuvent déjà servir de réponse à la dépeche de la meme Série que V. E. m'a fait l'honneur de m'adresser, en date du 5 de ce mois, (sans numéro) (2).

Je me réfère donc à ces rapports, tout en y ajoutant à l'appui quelques détails que je me suis procurés dans des entretiens, nommément avec M. le Senateur de Westmann. Le Prince Gortchacow est alité, et les médecins lui ont préscrit de s'abstenir, pour quelques jours encore, de toute occupation sérieuse.

Le langage de la Russie à Constantinople n'a varié, ni avant, ni pendant ni après la mission de M. Marinovitch. Si les Serbes n'ont pas un droit strict à revendiquer l'évacuation des forteresses que les Tures occupent encore sur le territoire de la Principauté, cette demande n'a pas moins une raison d'etre des mieux fondées. Aucun des forts n'est en état de soutenir un siège, meme de courte durée. Les travaux de Belgrade, surtout du còté de terre, sont les seuls qui aient quelque importance, mais ils ne constituent tout au plus qu'une piace de troisième ordre. Or, d'après la nouvelle tactique, ce n'est pas là une construction très favorable pour la défense. Ces forteresses dans leur ensemble n'entretiennent pas moins dans le Pays des appréhénsions continuelles, surtout depuis le bombardement de 1862. Dans ces conditions, le commerce et l'industrie sont en partie paralysés sans parler de l'irritation qui grandit parmi les habitants. Ceux-ci ne comprendraient pas d'ailleurs pourquoi la Sublime Porte repousserait cette prétention légitime, après avoir fait preuve de condescendence en faveur de l'autonomie de la Moldo-Valachie.

En se basant sur ces considérations, le Cabinet de St. Pétersbourg a donné au Sultan le conseil de se preter à des concessions. Ce serait de la meilleure politique que d'accorder satisfaction à la Serbie, qui est la Province la plus vigoureuse de toute la Turquie d'Europe.

La diplomatie Russe a été chargée de tenir partout le meme langage. Mais, jusqu'ici, elle n'a pas encore trouvé tout l'appui désirable. L'Angleterre ne serait peut-etre pas éloignée d'accepter le fait accompli, s'il se produisait; mais elle procède aujourd'hui avec beaucoup de ménagements. La France, par antagonisme contre la Russie ou dans la crainte de donner une facheuse impulsion à la question d'Orient en prenant fait et cause pour les Etats vassaux de la Turquie, se prononce maintenant contre leurs aspirations. Elle croit pouvoir se reposer contre ses prétendus succès à Bukarest, et ne se préoccupe plus que des préparatifs pour l'exposition de 1867, autrement dite par l'Empereur Napoléon: «l'Austerlitz de la paix ». C'est la meme politique qui prévaut vis-à-vis de la Crète. Là elle montre du mauvais vouloir, si non de l'hostilité. Son nouveau Ministre des Affaires Etrangères, par son attitude, a au moins dépassé le but. Il risque de s'aliéner à jamais les anciennes sympathies des chrétiens en Orient. Ce n'est pas à la Russie de s'en plaindre.

L'Autriche est la Puissance qui, seule, a montré de meilleures dispositions. n parait qu'elle se rattache à un plan suggéré par le Baron de Beust, à savoir celui de ne plus s'opposer au travail d'émancipation qui se poursuit parmi les populations gréco-slaves. Serait-ce un calcul de sa part, pour s'attribuer un ròle qui reviendrait à l'Italie?

Le fait est, d'après ce qui m'a été dit par un des Secrétaires du Vice-Chancelier, que, jusqu'à présent du moins, nous n'aurions pas parlé à Constantinople dans un sens qui pO.t etre ouvertement interprété comme un appui moral de notre part aux conseils émis par la Russie relativement aux réclamations Serbes.

Le Prince Gortchacow, ainsi qu'il l'a laissé entendre au Baron de Talleyrand qui l'entretenait des vues pacifiques de l'Empereur Napoléon, partage la meme manière de voir, le meme désir de ne pas évoquer la question d'Orient, mais il importerait, ajoutait-il, que les Puissances concertassent une marche commune et tinssent un Iangage uniforme à Constantinople, dans le but d'obtenir les concessions les plus propres à prévenir des complications, dont la gravité saute aux yeux.

Du moins, faudrait-il-cela m'a été dit par un Employé au Ministère des Affaires Etrangères -que les Cabinets Européens, s'il ne peuvent s'entendre pour une attitude commune, s'abstinssent de toute intervention isolée. Il faudrait laisser le Sultan en présence de ses propres sujets ou vassaux, à crainte que l'action d'une Puissance étrangère n'entrainàt celle des autres. Quant à la Russie, elle ne saurait dissimuler ses sympathies pour ses coréligionnaires, mais elle ne sortirait de son attitude expectante, que si la France, ou tout autre Etat, entrait en lice. En attendant, il serait urgent de mettre un terme au mouvement Crétois, qui excite une émotion de plus en plus grande en Grèce et ailleurs. Il serait tout aussi urgent que la Porte fit bon accueil aux instances de la Serbie. Il s'agit d'un peuple auquel il ne manque, ni la ténacité, ni les moyens militaires, pour en venir à son but, si les voies amiables lui étaient fermées. Dans ce cas, il serait possible que, vers le printemps prochain, il passat de la parole à l'action. Il n'aurait pas

dépendu alors du Gouvernement russe de conjurer le péril, car il ne cesse de prècher à Belgrade la modération, et à Constantinople une juste condescendance. Il ne resterait pas moins spectateur de la lutte, à la condition, bien entendu, que cette attitude fO.t aussi celle des autres Puissances.

En transmettant ces nouveaux renseignements que j'ai réussi à me procurer sur la question Serbe...

(l) -Cfr. n. 21 e 40. (2) -Non pubblicato.
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IL MINISTRO A PIETROBURGO, DE LAUNAY, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. CONFIDENZIALE 156. Pietroburgo, 19 dicembre 1866 (per. il 26).

Je sais par le Baron de Talleyrand que, ces jours derniers, l'Empereur Alexandre a pris l'initiative de démentir les bruits d'une mailveillance quelconque de sa part vis-à-vis du Gouvernement Français. Sa Majesté regrettait que la presse étrangère se livràt à de semblables insinuations, dépourvues de tout fondement, au lieu de s'appliquer à maintenir une confiance réciproque et si salutaire entre les deux Cabinets.

M. de Talleyrand semblait attacher beaucoup d'importance à ce langage tout spontané du Tsar. Il avait aussi été à méme de remarquer chez l'Impératrice une irritation persistante contre la Prusse.

Je ne partage pas entièrement l'avis de mon collègue Français à cet égard. Mon rapport n. 155 (l) constate un défaut d'entente, nommément dans les affaires de Crète et de Serbie. L'attitude du Marquis de Moustier donne lieu à maintes critiques. Il semble vouloir poursuivre à Paris, comme à Constantinople, la mème politique d'antagonisme vis-à-vis de la Russie. La défiance est telle, qu'on entend méme émettre le soupçon que l'exposition de 1867 n'a pour but que de mieux cacher le jeu de la France, qui se prépare à de nouvelles équipées pour effacer, si possible ses échecs en Allemagne et au Mexique.

Quant aux relations entre la Russie et la Prusse, elles se sont raffermies ensuite de la mission du général de Manteuffel, et du Prince Royal lors des fétes du mariage. L'opposition s'est concentrée dans le cercle des Princesses d'origine allemande, mais l'Empereur ne pense pas autrement que le Prince Gortchacow sur l'utilité et la nécessité de bons rapports avec le Cabinet de Berlin. Le journal la Liberté publiait récemment, d'après le Progrès de Lyon, un mémoire qui aurait été adressé par le Vice-Chancelier au Tsar, sur la situation générale de l'Europe et sur les avantages d'une alliance avec la Prusse. Le dernier article de ce document, attribué à un réfugié polonais, prouvait qu'il était apocryphe. Mais les considérants sont pleins de vérité et résument assez bien ce qui a été dit à ce propos dans plus d'un cercle ofiìciel. L'alliance prussienne est certainement dans la situation, et ne manquerait pas de se produire, si la France voulait entamer le territoire prussien.

Je dois aussi réfuter les assertions des journaux sur des mésintelligences très accentuées entre la Russie et l'Autriche. Ici du moins, on le nie. Tout en regret

tant la conduite du Cabinet de Vienne dans la Galicie, la nomination, entre autres, du Comte Goluchowski n'a donné lieu à aucun échange d'explications. M. de Westmann me disait méme, il y a peu de jours, que les relations étaient plutòt satisfaisantes et que, dans les affaires d'Orient entre autres, le Baron de Beust faisait preuve d'une modération dont il fallait lui savoir gré.

L'état de santé de M. Nicolas Miloutine ne laissant guère prévoir sa guérison, il a fallu lui donner un successeur. Le choix est tombé provisoirement sur le Sénateur Naboukow, une créature du Grand Due Constantin. Son talent ne serait guère, dit-on, à la hauteur d'une piace aussi importante. Il ne serait dès lors qu'un oiseau de passage. Le Ministre de la Guerre, frère de M. Nicolas Miloutine, a été en méme temps nommé membre du Comité pour les Affaires de Pologne, pour bien marquer que le Gouvernement ne se départirait pas du système inauguré dans ce malheureux Pays. Cependant le Prince Tcherkasky, Président de la Commission de l'intérieur et des cultes à Varsovie, vient de donner sa démission. Bon nombre des employés dans ses Bureaux feront de méme. En attendant la Pologne continue à souffrir de ne pouvoir ni vivre ni mourir, malgré l'habilité ou l'incapacité des médecins chargés de son régime Cl).

(l) Cfr. n. 66.

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IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AL MINISTRO A PARIGI, NIGRA

D. CONFIDENZIALE 195 bis. Firenze, 20 dicembre 1866.

L'échéance du terme fixé par la convention du 15 septembre pour l'évacuation du territoire romain, loin d'apporter avec elle les agitations que l'on avait appréhendées au dehors, vient au contraire d'améliorer sensiblement la situation respective de l'Italie et du Saint-Siège. En méme temps que l'Autriche renonce à une politique d'envahissement qui augmentait encore les dangers de l'état de choses existant à Rome, la France fidèle à ses engagements donne satisfaction au sentiment national, en confiant l'indépendance et la sécurité du Chef de l'Eglise à la modération et à la sagesse des romains. L'heureuse influence de cette situation nouvelle où la nation voit enfine respecter l'inviolabilité de son territoire, se fait profondément sentir dans les affaires de Rome. Les dif!lcultés de l'oeuvre de pacification à laquelle la France et l'Italie portent un si grand intérét, sont désormais de beaucoup atténuées. Ces dif!lcultés provenaient du juste ressentiment qu'excitait dans le pays l'occupation étrangère, et des conditions anormales faites ainsi à un pouvoir déchargé de sa responsabilité et privé de sa spontanéité d'action. Il était impossible que dans ces données des rapports naturels pussent s'établir, selon les nouvelles exigences des temps, entre la Papauté et l'Italie. L'on se trouvait ainsi dans une impasse, car tous les esprits sages ont depuis longtemps reconnu que la question romaine ne saurait étre résolue par la force,

pas plus contre les romains que contre le Saint-Siège. L'application du principe de non-intervention vient enfin de faire cesser les dangers inséparables d'une situation si profondément faussée. La grande cause de la Papauté cesse d'ètre associée aux vicissitudes douloureures des occupations étrangères qui ont pesé sur l'Italie, et le Gouvernement du Roi rentre dans l'exercice de ses droits de gardien du sol de la péninsule. Dégagée ainsi de son caractère irritant, la question romaine devient susceptible d'ètre résolue de la seule manière qu'elle puisse l'ètre, c'està-dire, directement et par des transactions de fait entre l'Italie et l'Eglise.

Sans nous dissimuler les obstacles qui nous séparent encore de résultats si désirables, nous pouvons constater que déjà un apaisement réciproque s'est opéré dans les rapports du clergé avec la société civile, et mème des marques de dispositions meilleures ont pu ètre échangées entre les autorités ecclésiastiques et celles de l'Etat. L'Italie a vu avec satisfaction les évèques de la Vénétie s'associer aux solemnités de la réunion de leur pays à la patrie commune. Le Gouvernement du Roi ayant permis aux evèques absents de leurs sièges d'en reprendre possession, a rencontré chez ces prélats un esprit de paix qui fait bien présager de leur conduite à venir. Le Gouvernement français nous ayant fait connaitre, comme vous le savez, que le Saint-Père était disposé à reprendre les négociations commencées l'année dernière par Vegezzi pour le règlement des aft'aires ecclésiastiques, le commandeur Tonello, envoyé à Rome avec les instructions les plus conciliantes, n'a pas tardé à entrer avec le Saint-Siège dans un échange de vues communes qui permet d'espérer un prochain accord dans cet ordre de questions. En eft'et, depuis l'interruption des négociations que M. Vegezzi avait été chargé de suivre, le nouveau code civil a òté aux evèques leurs anciennes attributions à l'égard de l'état civil des personnes, et la loi sur les corporations religieuses et sur les biens ecclésiastiques a vidé un dift'érend qui ne pouvait qu'entraver les tentatives de transaction. Le pouvoir civil étant ainsi devenu plus libre d'attaches ecclésiastiques, peut, à son tour, délier l'Eglise de quelques-unes des obligations qu'elle a eues par le passé envers lui. Ainsi le Gouvernement du Roi règle invariablement sa conduite sur ce principe de son droit public en vertu duquel la séparation progressive du pouvoir politique et du pouvoir religieux doit ètre la condition de l'aft'ranchissement réciproque de l'Etat et de l'Eglise. Loin d'ètre inquiétants pour les consciences catholiques, ces faits et bien d'autres que Je n'ai pas à rappeler ici, prouvent que la liberté de l'Eglise est plus près de devenir une réalité chez nous que dans les autres monarchies catholiques de l'Europe, et que le peuple italien est, à beaucoup d'égards, le plus capable d'assurer à la Papauté et à l'Eglise la position élevée et stable qu'elles doivent garder au milieu des progrès inévitables de toute société moderne.

Quant aux difficultés d'ordre politìque pendantes entre le Saint-Siège et nous, et qui intéressent plus ou moins les Puissances étrangères voici, M. le Ministre, toute notre pensée. Nous regardons la convention du 15 septembre camme étant, dans son esprit aussi bien que dans ses termes, la seule base sur laquelle puisse ètre actuellement traitée la question Romaine. L'expérience a suffisamment démontré qu'aucune discussion de principes sur la question romaine dans le domaine des idées radicales et absolues, où il est si périlleux de la traiter [sic]. Pour nous, nous ne regardons pas le territoire pontificai com

me un territoire ennemi, et n'entendons point le traiter comme tel. Sans prendre l'initiative de propositions qui pourraient ne pas etre appréciées avec justice à Rome, nous ne nous refuserons à aucune mesure qui ait pour but d'améliorer la situation de fait des territoires respectifs, de faire participer le plus possible l'enclave pontificale à la vie commune de la nation, d'admettre enfin les populations romaines à tous les avantages dont jouissent les sujets du Roi. Nous avons la conviction que les modifications qui seraient peu à peu apportées de concert en ce sens au régime actuel, préviendraient des complications que les partis extremes peuvent seuls désirer. Le Saint-Siège devrait, selon nous, avoir d'autant moins de difficulté à effacer par degrés les différences qui existent entre les deux territoires, que l'Italie exprime franchement le désir de voir le Pape demeurer à Rome, indépendant, respecté, investi des prérogatives et des garanties du rang supreme, et libre de toute sujetion envers les Puissances de la terre.

Certes, la souveraineté pontificale, qui a reposé pendant des siècles sur le partage de l'Italie en petits Etats et sur l'emploi des forces étrangères, se trouve placée, par la constitution de l'unité italienne, dans des conditions d'existence totalement différentes, mais il est de notre intéret que sa transformation s'opère spontanément, sans trouble, à l'abri de toute pression comme il convient enfin à la dignité et aux droits du Pontife et des romains. C'est dans cette pensée que le Gouvernement du Roi n'a pas manqué l'occasion, lorsqu'elle s'est présentée, de se montrer tout pret à accorder les facilités administratives et économiques qui pourraient rendre plus supportable l'état de choses actuel; c'est dans le meme esprit qu'il use de toute son infiuence pour qu'aucune crise violente ne vienne arreter le cours des transactions honorables qui doivent s'opérer à Rome entre les intérets de l'Eglise et les aspirations nationales des populations.

Le général Fleury ayant été chargé, comme vous le savez, par S. M. l'Empereur des français d'examiner avec le Gouvernement du Roi quelles améliorations pratiques pouvaient étre apportées aux relations de fait du Royaume d'Italie et de l'enclave pontificale, nous avons eu la satisfaction de trouver dans les ouvertures qu'il nous a faites une confirmation de nos propres vues. Il a été reconnu d'un commun accord qu'il serait désirable d'établir entre Rome et l'Italie une union douanière qui ferait cesser un isolement préjudiciable aux intérets matériels. La création éventuelle d'une certaine union financière au moyen d'une fusion de la Banque IOOmaine avec la Banque Nationale d'Italie, a aussi reçu l'agrément du Gouvernement du Roi, qui preterait volontiers ses bons offices pour l'union de ces établissements, en vue de provoquer comme un courant pacifique d'intérets communs, un échange réciproque de ressources entre les deux territoires. Le général Fleury souleva encore la question du rétablissement d'un régime consulaire et de l'admission des pavillons dans les ports respectifs. Le Gouvernement du Roi n'a fait aucune objection de principe contre l'établissement des consuls ni contre un accommodement acceptable pour la dignité du pavillon italien, qui devrait etre traité dans les ports pontificaux comme nous entendons traiter le pavillon pontificai. Je ne m'arreterai pas ici sur le désir manifesté encore par le Gouvernement français que le Saint-Siège permette aux romains d'accepter des fonctions civiles et militaires en Italie, ni sur les autres conseils qu'il lui donne pour une application complète des institutions municipales, pour une réforme judiciaire, pour une entente avec les populations qu'il gouverne. [Il] n'est pas besoin de dire que nous rendons pleine justice aux intentions élevées et bienveillantes que le Gouvernement impérial apporte dans ces suggestions.

Telles sont, M. le Ministre, les limites dans lesquelles l'action conciliante du Gouvernement du Roi et du Gouvernement français peut s'exercer aujourd'hui dans les affaires de Rome. Tant d'efforts seront-ils inutiles? Viendront-ils contre les impossibilités qui ont été si souvent proclamées à Rome? L'avenir le dira. Mais dès à présent l'Italie et la France peuvent se rendre le témoignage d'avoir rempli et au-delà la tache que leur responsabilité leur imposait. Le Saint-Siège est en mesure de devancer les événements, qui dépendent entièrement de ses résolutions; le moment est venu pour la Papauté de faire connaitre ce qu'elle peut accorder aux besoins des populations romaines. Jamais pouvoir n'a été entouré de tant de garanties extérieures; jamais la liberté du Pontife n'a été mieux préservée de toute pression du dedans ou du dehors. Les sujets du Pontife, dans une immobilité et un silence significatifs, témoignent qu'ils partagent eux-mémes l'attente respectueuse où sont tous les amis du Saint-Siège des déterminations qu'il prendra. Mais il y aurait peu de prévoyance, nous le reconnaissons, à ne pas s'avouer ce qu'il y a de précaire et d'instable dans une situation pareille, et le caractère inquiétant qu'elle prendrait à la longue, si quelque noble initiative du Saint-Père ne venait pas à la changer. Nous comprenons donc que le Gouvernement impérial n'exclue pas de ses préoccupations les événements qui pourraient un jour rendre inapplicables les stipulations de la convention du 15 septembre. Nous n'éprouvons certes pas le désir de provoquer à cet égard entre la France et nous des engagements qui seraient certainement prématurés. Nous croyons d'ailleurs que le cas d'inapplicabilité de la convention du 15 septembre ne devrait étre admis qu'en présence d'une nécessité absolue, c'est-à-dire dans l'éventualité où des faits de violence mettaient réellement en péril la sureté du Saint-Père, éventualité que la modération des romains permet de ne pas prévoir. Quoi qu'il en soit, si le Gouvernement de l'Empereur jugeait devoir entrer dans des pourparlers à cet égard, vous devriez, M. le Ministre, exprimer avec la plus grande netteté la conviction où nous sommes que l'esprit de la convention devrait survivre méme aux stipulations précises du 15 septembre 1864, si elles devenaient caduques.

Le Gouvernement de l'Empereur qui a lieu de s'applaudir d'avoir pris pour règle actuelle de sa politique le principe de non-intervention, n'admettra pas, nous le croyons fermement, que la question romaine puisse étre rejetée dans ces redoutables alternatives de violences contraires qui l'ont caractérisée jadis.

Le Gouvernement du Roi, à qui il importe plus qu'à tout autre que la tranquillité règne dans toute la péninsule, est en méme temps le seul qui pourrait, si les circonstances l'exigeaient, asseoir sur des fondements plus solides l'indépendance et la sécurité du Saint-Père, sans violer les droits et sans soulever les résistances toujours renaissantes des romains. Nous persistons donc

9 -Documenti diplomatici -Serle I -Vol. VIII

à compter que les Gouvernements qui portent à l'Eglise un intérét éclairé, loin d'encourager par la perspective d'immixtions nouvelles les tendances des partis extrémes, s'en tiendront aux principes salutaires dont la convention de septembre a été une première application, et s'entendront dans cet esprit avec le Gouvernement du Roi en toute circonstance où leurs préoccupations seraient attirées sur les affaires de Rome.

(l) Con r. confidenziale 154, pari data, Launay comunicò: «La Russie vient de romprecomplètement avec la Cour de Rome. Un Oukase Impérial, promulgué le 7 courant, déclare caduc le concordat de 1847. Désormais les affaires du culte catholique seront traitées suiVallt les constitutlons et d'après les lois fondamentales de l'Empire et du Royaume de Pologne "·

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IL MINISTRO A BERLINO, DE BARRAL, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 1147. Berlino, 21 dicembre 1866, ore 16,22 (per. ore 18,55).

Dans les discours prononcé hier au soir Bismarck s'est exprimé dans les meilleurs termes sur la valeur et la durée de l'alliance avec l'Italie. Cette déclaration a été accueillie par des applaudissements de toutes còtés. En ce qui concerne rapports avec la France après nombreuses considérations en faveur du maintien de la paix fondé sur le principe des nationalités, il a dit que sans s'inquiéter de l'esprit hostile des populations il lui suflìsait d'étre en excellents rapports avec le Gouvernement français.

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IL CONSIGLIERE DI STATO, TONELLO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

Roma, 21 dicembre 1866.

(Ed. in L V 10, pp. 10-19, in Lettere Ricasoli, vol. IX, pp. 104-115 e in Carteggi Ricasoli, vol. XXIV, pp. 517-526)

Come io aveva già l'onore di annunciarle col mio telegramma del 19 corrente (1), conferitomi nella sera del giorno precedente dal Cardinale Antonelli, ed aperto il discorso sugli affari, che formano l'oggetto del mio mandato, egli premise la dichiarazione già fattami nei precedenti colloqui, doversi cioè evitare le questioni di principii, nelle quali l'accordo non era a sperarsi, e ricorrere invece ad espedienti, che, senza pregiudizio alle pretensioni delle parti, porgessero modo di provvedere intanto agl'interessi religiosi del paese.

Presa io allora la parola, osservai che dei varii abbietti che erano stati in discussione nelle precedenti trattative, uno era oggigiorno interamente eliminato, giacché il Governo del Re, applicando con largo concetto i suoi liberali principi, e volendo mostrar anche la sua sollecitudine per gl'interessi religiosi, e la sua deferenza ai desideri della Santa Sede, aveva risolta radicalmente la questione del ritorno dei Vescovi allontanati dalla loro sede accordandolo a tutti senza distinzione. Soggiunsi, che tale provvedimento già aveva avuto ese

cuzione per la più parte nei modi i più soddisfacenti, segnatamente nelle provincie Napoletane, come a me constava per ragguagli particolari, e che ogni cosa s'era passata in termini del migliore accordo tra le autorità Civili e le Ecclesiastiche.

Rispose il Segretario di Stato, che il provvedimento in discorso era stato sentito colla maggiore soddisfazione dalla Santa Sede, e che infatti anche a lui risultava essersi le cose effettuate in modo pienamente lodevole. Alcune spiegazioni da me date nei precedenti colloquii circa l'esecuzione della Legge sulla conversione dei beni Ecclesiastici, e specialmente riguardo alla Casa di Loreto, avevano tolto ogni nube in proposito.

Rivolgendo quindi il discorso ad un altro dei punti in discussione, quello del giuramento, che aveva nello scorso anno dato luogo alle maggiori difficoltà, dissi, che io per vero non riusciva a rendermi ragione delle opposizioni che tale atto aveva incontrato, quando esso era ammesso in tutti quasi gli Stati Cattolici, e v'era il precedente significantissimo di Pio VI, il quale per le stesse Provincie pontificie state sottratte al suo dominio non solo aveva permesso, ma ordinato ai Vescovi di giurare fedeltà alle nuove autorità politiche che imperavano sul paese, vietando loro unicamente di giurare odio alla monarchia.

Sua Eminenza osservò che v'era stato il Trattato di Tolentino, col quale quelle provincie erano state legittimamente cedute. Io replicai che il Trattato di Tolentino concerneva le Legazioni, e le altre provincie dell'Adriatico, e che invece l'atto di Pio VI al quale io alludeva si riferiva ai Vescovi delle provincie al di qua dell'Appennino, nelle quali s'era instituito il governo della Repubblica Romana, e che perciò l'argomento calzava perfettamente. Ad ogni modo soggiunsi che io ritornava su quella questione in modo puramente storico, giacché il Governo del Re volendo anche in questa delicatissima materia far prova della sua deferenza alla Sede Pontificia e del serio suo proposito di cercare tutti i possibili modi di accordo, che non ledessero le Leggi e lo spirito delle patrie instituzioni, m'aveva autorizzato a dichiarare, che non insisteva nell'esigere l'adempimento di questa condizione prima di ammettere i Vescovi all'esercizio delle loro funzioni.

Non mi parve che ciò facesse molto effetto sul Cardinale Antonelli, forse perché già persuaso, da quanto erasi detto ne' pubblici fogli, che tale concessione entrava nel corredo di quelle recate a Roma dal Negoziatore italiano. Egli si limitò a dire, che il giuramento dei Vescovi nulla aveva che ripugnasse alla Santa Sede; che il Governo poteva continuare liberamente ad esigerlo da quelli delle antiche provincie, per le quali v'era Concordato; che la difficoltà stava nell'esigersi il giuramento in luoghi dove il Governo non solo non aveva Concordato colla Santa Sede, ma non era da questa neppure riconosciuto.

Risposi che il giuramento consentito, ed anzi prescritto da Pio VI riguardava appunto un Governo, che era lungi dall'essere da lui riconosciuto. Ma senza protrarre una discussione che diveniva inutile, dissi, che io aveva rammentati i due temi precitati sia per dimostrare qual fosse il campo al quale andavano restringendosi le attuali trattative, sia per accennare che, avendo il Governo del Re mostrata tanta condiscendenza in cosifatta materia, benché

potesse da validi argomenti ed autorevoli esempi credersi confortato a persistere nel precedente suo assunto, egli aveva ogni ragione di sperare che eguale spirito di conciliazione avrebbe pur apportato la Santa Sede negli obbietti che rimanevano a trattarsi.

Venendo quindi senz'altro a quello importantissimo della nomina dei Vescovi, ricordai i diritti, che al Governo, come esercente la Sovrana Podestà, competevano nelle varie provincie del Regno. Dissi che il minimo di tali diritti era quello di presentazione, e che il Governo onde render agevoli le vie della composizione, sin dall'anno scorso aveva dichiarato restringere a questo solo le sue dimande, rinunziando al di più, di cui era investito nella massima parte del territorio dello Stato.

Il Cardinale Antonelli rispose, che la Santa Sede non aveva dilficoltà ad ammettere l'esercizio di tale diritto nelle antiche provincie, ed anche nella Lombardia, e nella Venezia, quando, ad esempio di quanto aveva fatto l'Imperatore dei Francesi per Savoja e Nizza, ne avesse il Governo chiesta alla Santa Sede la estensione; ma che non poteva ammettersi per gli altri territori incorporati allo Stato, e che era soprattutto impossibile il farne parola al Pontefice per quanto riguardava le provincie già pontificie, non volendo assolutamente egli fare, od ammettere alcun atto, dal quale risultasse non trovarsi più nell'integrità de' suoi diritti sopra le medesime.

Io combattei la teoria propugnata dal Cardinale, che fosse necessario un atto nuovo di concessione della Santa Sede per succedere nei diritti acquistati alla Sovranità nelle materie in questione. Citai l'esempio dei Borboni, e quindi di Luigi Filippo, della Repubblica, e dello stesso Governo ora imperante in Francia, i quali tutti si ritennero investiti, ed esercitarono di fatto i diritti portati dal Concordato francese stipulato sotto il Consolato, benché fossero Governi e dinastie diverse dallo stipulante, e ciò senza alcuna nuova concessione o disposizione della Santa Sede in proposito. Si era sempre consideraw, che la sola successione di fatto nella Sovranità, qualunque fosse la qualità, od il titolo del Governo che entrava nel reale possesso della Sovranità medesima, bastava per conferire di diritto anche secondo le prammatiche della Santa Sede, il possesso delle prerogative in materia religiosa competenti a chi era investito del potere sovrano precedentemente. Dissi, che il recente esempio addottomi del Governo francese non prova va in contrario, perché nel caso concreto di Savoja e Nizza il Governo Imperiale voleva succedere non soltanto nei diritti dei quali era investita la sovranità territoriale precedente; ma introdurvi i diritti maggiori portati dal Concordato francese; sebbene non mancassero esempi, che nei casi di aggiunzione di un territorio ad un altro anche i diritti maggiori si estendessero da sé alla parte aggregata senza bisogno di nuova concessione pontificia. Tale infatti era stato l'esito delle controversie suscitatesi sotto Benedetto XIII tra i Reali di Savoja e la Santa Sede per l'estensione ai territori di nuovo acquisto delle prerogative sovrane concesse nell'Indulto di Nicolò V, controversie che avevano avuto termine sotto Benedetto XIV appunto nel senso anzidetto. Tale era anche stata la giurisprudenza seguita nell'estensione del Concordato francese sotto il 1° Napoleone a tutti i territori nuovamente aggiunti all'Impero, quali la Liguria, la Toscana etc.

Il caso del Governo Italiano era il caso inverso. Egli chiedeva di succedere non in diritti maggiori di quelli antecedentemente esercitati dalla Sovranità locale, e neppure eguali, ma di estendere a tutto il Regno il diritto minore fra quanti erano precedentemente nei varii luoghi esercitati; cioè il diritto di semplice presentazione: perciò sia che egli fosse considerato come successore alle singole sovranità, sia che i suoi territori fossero considerati come territori aggiunti ad un territorio primitivo, la di lui dimanda non poteva a meno di riguardarsi suffalta da tutti i principii sin qui nella materia ammessi o praticati. Soggiunsi che ogni qualsiasi diritto della Santa Sede trovavasi abbastanza tutelato in virtù della Bolla Sollicitudo, di cui, come di ogni altra simile riserva, si sarebbe anche potuto fare espressa menzione nelle Bolle di collazione.

Il Cardinale Antonelli disse, che qualunque cosa si fosse fatta, od ammessa dalla Santa Sede anche in caso di successione di un Governo ad un altro, ciò aveva avuto luogo sempre verso Governi già prima da Lei riconosciuti. Non mai, replicò, s'era ammesso l'esercizio d'una podestà in materia religiosa per parte d'un Governo, di cui non avesse preceduto il riconoscimento: che in tale condizione non essendo il Governo Italiano, né potendo esserlo a causa delle provincie già pontificie, ogni ulteriore insistenza per ottenere qualche cosa di formale, come sarebbe l'esercizio d'un diritto di presentazione, trovava un ostacolo insuperabile nei principii adottati dalla Santa Sede in tale materia, e che perciò era necessario, abbandonando un tal terreno, vedere se riuscivasi a trovare qualche espediente che potesse soddisfare a tutte le esigenze rispettive.

Convinto e dalle parole del Cardinale e da più altri indizii, ed anche da quanto già mi risultava precedentemente sulle disposizioni della Corte pontificia, che io mi trovava a fronte di una risoluzione irrevocabile, invitai, poiché cosi era d'uopo, il Cardinale a proporre gli espedienti che egli credeva potersi adottare di comune consenso. Egli disse, che a suo avviso si sarebbe conseguito lo scopo, al quale s'intendeva, di una giusta partecipazione di entrambe le Podestà alle nomine delle quali si trattava, se tali nomine si fossero fatte dalla Santa Sede previo accordo o concerto in fatto col Governo Italiano intorno alle persone da scegliersi.

Io dissi che questo, se era un espediente, non era tale che salvasse i diritti di tutte le parti, giacché quelli del Governo vi si trovavano intieramente compromessi. Difatti la partecipazione che, secondo il progetto, il Governo avrebbe presa alle nomine essendo affatto privata, e queste comparendo come fatte unicamente dalla Santa Sede, quando le Bolle di collazione non avessero esse stesse fatta esplicita menzione del seguito pre-accordo, ne risultava che il Governo acconciandosi a tal forma di nomine, faceva sotto il punto di vista legale una vera rinuncia ad ogni diritto d'ingerenza nelle nomine in questione, non valendo, come era per se stesso evidente, atti compiuti in forma al tutto officiosa, e per così dire dietro le scene, a togliere l'effetto legale risultante dagli atti nella loro forma estrinseca ed officiale.

Dopo lunga discussione in proposito, vista la ferma mia resistenza, e sentito come io non solo non fossi autorizzato ad accedere ad un tale progetto,

ma che non poteva neppure accettarlo ad referendum, e che se le concessioni alle quali era disposta la Santa Sede non avevano maggiore ampiezza, le trattative urtavano forse ad uno scoglio insuperabile, Sua Eminenza disse, che si sarebbe potuto fermar l'attenzione sopra l'idea d'un qualche cenno a farsi nelle Bolle Pontificie del seguito accordo. Ma gravissima essendo la cosa, e nuovo un tale concetto, sul quale egli non aveva alcuna traccia delle possibili intenzioni del Santo Padre, egli si riservava di esplorarle, senza intanto nulla ammettere nemmeno a titolo di progetto o proposta.

Passato quindi a ragionare della seconda capitale questione, oggetto del mio mandato, cioè dell'exequatur, addussi gli argomenti già fatti valere dal mio predecessore Comm. Vegezzi in favore del medesimo: che era questo un mezzo di difesa usato dai Governi rispetto ai provvedimenti venuti da podestà estera, i quali dovessero avere esecuzione nello Stato: che ciò era inseparabile anche dalla sola esistenza di fatto del Governo: che tanto più doveva ammettersi inquantoché l'autorità dalla quale emanavano i provvedimenti da sottoporsi all'exequatur, era non soltanto religiosa, ma sovrana d'estero Stato: che infine tale atto si compieva all'infuori affatto d'ogni partecipazione della Santa Sede, e che quindi non poteva implicare dal suo canto alcun riconoscimento avente carattere politico.

A questi argomenti già addotti, ne aggiunsi uno nuovo, che cioè l'exequatur era già in tutte le provincie del Regno non escluse le ex-pontificie in piena attuazione, giacché tutte le nomine a posti di Canonico, Arcidiacono etc., ed in genere a tutti l benefici, quando emanavano dalla Santa Sede venivano nel Regno sottoposte dagl'interessati, per attenerne gli effetti, alla formalità

dell'exequatur.

Il Cardinale Antonelli rimase sorpreso e sconcertato di tal cosa, che egli mostrò d'ignorare; ma tosto ripigliatosi, disse: che anche in questa materia non vi sarebbe forse difficoltà per le antiche provincie; mi fece intendere che anche per le altre vi sarebbero forse termini d'accomodamento; ma che assolutamente il Santo Padre non poteva ammettere che le sue provvisioni, per le provincie che erano sue, andassero soggette al visto d'un'altra autorità.

Replicatogli che il fatto già esisteva, dimodoché non si trattava ora di fare alcuna novità, ma solo di continuare il sistema già in corso applicandone ad ogni special caso il principio: che il fatto stesso, che la Santa Sede ignorava la pratica dell'exequatur dimostrava sempre più come tale provvedimento fosse estraneo affatto al concorso della medesima, e che perciò non poteva essa ragionevolmente mai immaginarsi di doverne restare pregiudicata ne' suoi principii; il Cardinale Antonelli disse non potersi confondere i Vescovati cogli altri beneficii minori, e daglì uni per l'exequatur argomentare agli altri.

Io soggiunsi che l'opposizione che si faceva all'exequatur movendo da una questione di principio, la cosa logicamente era la stessa, sia che l'applicazione avesse riguardato un beneficio maggiore, sia un minore. «D'altra parte continuai, il Governo per sempre più dimostrare, come in questa materia non vi sia concessione possibile, alla quale sempreché non si tratti di scostarsi da' suoi principii, egli non vada volentieri incontro, mi ha autorizzato a dichiarare essere suo intendimento di restringere l'obbligo dell'exequatur che ora

vige per tutti indistintamente i provvedimenti da Roma, a quelli soli concer

nenti le temporalità, restandone così affrancate le disposizioni concernenti le

materie puramente spirituali, e quelle di rito, di disciplina, e di governo eccle

siastico».

Il Segretario di Stato dichiarò intendere la Santa Sede con soddisfazione

un simile divisamento, e ripeté, che se non ci fosse la pietra d'inciampo delle

provincie pontificie, ogni accordo in vista delle reciproche buone disposizioni

diverrebbe facile; ma che per le suddette provincie era impossibile il venire

ad una conclusione nel senso desiderato dal Governo Italiano.

Osservatogli allora, che le trattative inciampavano di nuovo in uno sco

glio insuperabile, giacché su questo punto era impossibile che il Governo del

Re recedesse, egli disse, che anche qui era d'uopo pensare a qualche ripiego

o surrogato, al quale m'invitava a pensare, come ci pensava egli stesso, fissando intanto per nuovamente intenderei il convegno a giovedì 20 corrente.

Trovatici infatti jeri a sera di nuovo, e ripigliato il discorso sui punti rimasti in sospeso, il Cardinale mi disse d'aver intrattenuto Sua Santità sull'idea d'introdure nelle Bolle di nomina una menzione esplicita degli accordi intervenuti. Ma per quanto fosse la materia esaminata e discussa in ogni senso, il fare menzione pubblica, ed officiale, in uno degli atti maggiori qual è una Bolla di nomina ad Episcopati, di accordi presi dalla Santa Sede col Governo del Re per la nomina stessa appariva sempre una ferita troppo manifesta ai principii, che si è prefissi la Santa Sede ne' suoi rapporti col nuovo Regno, era sempre una specie di riconoscimento, un attestare officialmente l'esistenza d'un'altra Autorità, specialmente per le provincie ex pontificie, oltre la sua; insomma era cosa, alla quale il Santo Padre non aveva creduto poter assolutamente aderire.

In tale stato di cose il Cardinale Antonelli diceva aver pensato ad altro ripiego, che mi proponeva però soltanto come soggetto di studio, e senza nemmeno ben concretarlo; ripiego che si spiegherebbe secondo o l'una o l'altra di queste due forme: prendere preventivamente le intelligenze sulla persona da scegliersi, quindi mandarsi dalla Santa Sede una Nota al Governo Italiano dichiarante, che ìn seguito agli accordi presi, si sarebbe dal Pontefice preconizzato Vescovo il tale etc.; oppure: fare gli accordi, ai quali seguirebbe senz'altro la preconizzazione della persona di comune consenso designata; mandarsi quindi una nota al Governo Italiano esprimente, che in seguito agli accordi presi sulla persona da eleggersi Sua Santità era addivenuta alla preconizzazione.

Con ciò, diceva il prelato, sebbene la Bolla di nomina non faccia cenno dell'intervento nella nomina stessa del Governo Italiano, vi sarà sempre un atto officiale, dal quale risulterà che l'intervento suddetto ebbe luogo.

Quanto all'exequatur, le stesse difficoltà. Impossibilità assoluta d'indurre il pontefice ad assentirvi, sempre pel motivo delle provincie che facevano già parte dello Stato Pontificio. Anche qui si propose un espediente ad argomento di disamina, consistente in ciò, che il Governo Pontificio in correlazione alla forma sovra proposta per le nomine, avvenuta la preconizzazione previo accordo, nel darne partecipazione al Governo Italiano dicesse « sperare egli che in seguito alla medesima, ed agli accordi preventivamente intervenuti, il Governo non avrebbe fatta dilllcoltà ad ammettere l'eletto al godimento della Mensa ed in genere delle temporalità dipendenti dalla nomina~.

Questa forma la quale indirettamente conterrebbe la dimanda di exequatur, e nella sostanza adempirebbe quasi integralmente allo scopo al quale è ordinato, parve al Cardinale Antonelli poter soddisfare convenientemente ai desideri del Governo Italiano.

Io acconsentii di buon grado, senza nulla pregiudicare alle dimande in tal parte fatte dal Governo, di farne intanto oggetto di studio, e di riferirne al Governo medesimo per averne le opportune istruzioni. È ben inteso che per questo, come pel precedente progetto, s'intende enunciata per ora soltanto l'idea in nuce, salvo a maturarla, svolgerla, e concretarla in quei migliori termini, e colle maggiori cautele, che l'esame accurato e l'analisi scrupolosa della medesima potranno suggerire, qualora al Governo sembri, che possa accettarsi per tema di discussione.

Quando l'enunciato concetto potesse coltivarsi, siccome pei già preconizzati dal Pontefice la parte concernente l'accordo preventivo non potrebbe applicarsi, il Segretario di Stato avrebbe proposto, che il Governo del Re con un atto di sua iniziativa simile presso a poco a quello col quale venne acconsentito il libero ritorno alle loro Diocesi dei Vescovi allontanati, dichiarasse in vista del fatto compiuto, od in quali altri termini credesse, non farsi più ulteriore ostacolo all'assunzione dell'esercizio delle loro funzioni Episcopali. E la Sede Pontificia dal canto suo scriverebbe una nota simile a quella, che secondo il progetto dovrebbe surrogare l'exequatur, colla quale essa direbbe, sperare, che stante il provvedimento emanato dal Governo, questo non farebbe dilllcoltà ad ammetterli al godimento anche delle temporalità correlative.

Non dissimulerò, che nelle due proposte del Cardinale Antonelli, assai diverse dalle recise negative, che mi si erano sempre opposte mi parve di ravvisare un argomento della sincera intenzione della Santa Sede di venire a qualche composizione, e così anche gli elementi possibili della medesima. Una strada almeno con esse è aperta, epperciò tanto io, quanto il mio collaboratore Signor Cavalier Caligaris, dopo di avere ponderatamente esaminato il soggetto, saressimo d'avviso potersi, nei termini in cui è proposto, cioè semplicemente ad studendum, e con piena riserva, essere accettato per tema delle discussioni ulteriori. Siccome poi Sua Eminenza m'invitò a nuova conferenza per giovedì prossimo 27 corrente, cosi pregherei il Governo a volermi, per tal giorno almeno, far tenere i suoi ordini con tutte quelle istruzioni, ed avvertenze, che possano servirmi di sicura guida nelle rimanenti trattative.

Prima di por fine a questa relazione, credo mio debito recarle a notizia, che il Cardinale nell'accennarmi i due espedienti da lui proposti aggiunse: «Così s'introdurrà un modus vivendi tra la Santa Sede ed il Governo Italiano quanto alle cose religiose». Io dissi che il Santo Padre nell'udienza che mi aveva fatto l'onore di accordarmi aveva appunto espressa una simile idea di trovar cioè un modus vivendi anche in affari non religiosi, e che mi aveva accennato per modo di esempio le Dogane. Il Cardinale soggiunse che in vista di tale scopo, egli, appena partite le truppe francesi, aveva dato ordine a quelle pontificie della frontiera di procurare d'operare in intelligei1tla colle truppe della frontiera vicina per la repressione dei malfattori; e che anzi gli pareva esser giunto un rapporto constatante, che in conformità di tali viste i soldati italiani avevano consegnato un malvivente ai pontificii. Quanto alle Dogane osservò esser tema più arduo; nondimeno anche questo essere già allo studio per suo ordine, e che in attesa delle combinazioni possibili in tale materia, gli pareva che ad agevolarle si sarebbe potuto intanto dal Governo pontificio ridurre le Tariffe Doganali alle stesse misure di quelle Italiane.

Non avendo io mandato su tali materie, mi limitai ad incoraggiare gli accennati proponimenti, come quelli che erano diretti a rimuovere imbarazzi comuni, ed a procurare il miglior benessere delle popolazioni rispettive. Il Governo giudicherà qual seguito possa darsi a siffatte entrature.

Nel por termine a questa ormai prolissa relazione, che ho voluto estendere in modo da far conoscere al Governo le fasi tutte delle avvenute trattative... (1).

(l) Cfr. n. 64.

71

IL MINISTRO A PARIGI, NIGRA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

(Ed. in Lettere Ricasoli, vol. IX, pp. 100-104 e in Carteggi Ricasoli, vol. XXIV, pp. 528-532)

R. CONFIDENZIALE 391. Parigi, 21 dicembre 1866 {per. il 24).

Mi recai jeri da S. E. il Marchese di Moustier ed ebbi con questo Ministro una conversazione che s'aggirò quasi esclusivamente sulla questione romana.

Il Marchese di Moustier mi disse che il Governo Imperiale era stato soddisfatto dal modo con cui S. M. il Re si era espresso intorno alle cose di Roma nel discorso della Corona. Io feci notare al Ministro Imperiale che infatti il Governo del Re era nelle migliori disposizioni per provocare ed accettare una conciliazione colla Santa Sede, ed enumerai gli atti che facevano non dubbia testimonianza di questi sentimenti, il richiamo dei vescovi, l'invio del Signor Tonello a Roma e le istruzioni assai larghe di cui era portatore. Domandai poi quali erano le disposil'lioni della Corte di Roma. Il Marchese di Moustier mi rispose che veramente finora le disposizioni della Santa Sede non erano ancora tanto concilianti quanto avrebbe desiderato il Governo francese. Difatti, mi disse egli, se la parte puramente ecclesiastica non pare dover incontrare gravi difficoltà per un accommodamento, per contro la parte politica della questione romana presenta serii ostacoli agli occhi del Sommo Pontefice. Così la Corte di Roma non si mostrò finora disposta ad ammettere in principio che i sudditi pontificii possano essere ammessi ai diritti civili e politici dei cittadini italiani. Essa non s'opporrebbe a concedere permessi speciali a tale o tale altro individuo perché possa accettare uffizii pubblici in Italia, quando se ne faccia domanda nei singoH casi. Ma questo sistema di concessioni speciali

muta affatto il carattere della concessione d'un diritto generale che si domanda alla Santa Sede. Le riforme nella legislazione e nell'amministrazione incontrano eguale ripugnanza presso la Corte pontificia. Anche la questione dell'abolizione della linea doganale non ha proceduto in modo sensibile verso una soluzione. La auP.st.ionP. riP.ll'P.stradizione non fu ancora trattata. Io impegnai il Marchese di Moustier a preoccuparsi di questa questione d'estradizione, perché prevedeva che si presenterebbero bene spesso i casi di rifugio di malfattori comuni dall'un confin all'altro. Il Ministro Imperale degli affari esteri promise d'occuparsene senza indugio. Passò poi a parlarmi del ristabilimento dei consoli rispettivi nei due paesi. La Corte di Roma consente al ristabilimento dei posti e del personale nello statu quo ante, sempreché il Governo francese esprima al Governo pontificio, a nome del Governo italiano il rammarico di quanto accadde verso il Console pontificio a Napoli. Ma ammesso anche che il Governo Italiano consenta ad esprimere per mezzo della Francia questo rammarico, rimane sempre la questione del titolo dei Consoli italiani, che la Santa Sede non vorrà riconoscere, giacché la reintegrazione dello statu quo ante significa che il Console italiano a Roma sarebbe ricevuto col titolo che aveva quando gli fu tolto l'exequatur. Poi v'è la questione della bandiera italiana nei porti pontificii, che per ora la Santa Sede non sembra disposta a risolvere in senso favorevole alle giuste esigenze dell'Italia. Malgrado ciò, il Marchese di Moustier insistè meco fortemente perché il Governo Italiano scinda le due questioni, e lasci per ora in disparte la questione della bandiera,

acconsentendo alla reintegrazione dei Consoli nello statu quo ante.

Da queste cose si può dedurre quanto sia difficile il giungere ad un accordo fra l'Italia e Roma sulla questione politica. Però i nostri sforzi e quelli della Francia devono tendere a stabilire almeno un modus vivendi che sia tollerabile dalle due parti. Il Marchese di Moustier mi disse che il Cardinale Antonelli riconosce esso pel primo questa necessità di stabilire un tale modus vivendi. Il Governo francese non dispera di giungere a questo risultato. Io dissi al Marchese di Moustier che noi diffatti desideravamo vivamente d'arrivare a ciò, e che egli doveva essere convinto che gli ostacoli non venivano della nostra parte.

Se si ottiene diffatti lo stabilimento d'un modus vtvendi sopportabile, sarà

questa una soluzione provvisoria e pratica della questione romana, la quale

ci permetterà di esaminare e far maturare d'accordo colla Francia una solu

eione più definitiva. In questi termini io mi espressi col Marchese di Moustier,

e mi parve che questi propendesse anche esso in queste idee.

Tuttavia volli anche parlare al Ministro Imperiale degli Affari Esteri del

l'eventualità che bisogna pur prevedere della partenza cioè del Pontefice da

Roma, e delle conseguenze che un tal fatto potrebbe provocare. Il Marchese di

Moustier mi dichiarò che se il Papa fosse costretto a lasciar Roma in seguito

ad un moto insurrezionale, o ad una invasione degli Stati Pontificii, l'Impera

tore dei Francesi sarebbe costretto a fare una seconda spedizione di Roma;

ma mi dichiarò ad un tempo che nulla sarebbe più rincrescevole e più sgrade

vole all'Imperatore che il vedersi posto in questa dolorosa necessità. Il Marchese

di Moustier soggiunse però che il Papa pareva disposto a stare a Roma e a non abbandonare il suo posto, anche quando succedesse qualche moto interno. In questo caso, il Papa parrebbe risoluto a rinchiudersi in Castel Sant'Angelo e a difendervisi colle forze di cui dispone. Ma Sua Santità avrebbe dichiarato che lascierebbe Roma al primo avviso che i soldati piemontesi (come li chiama) avessero oltrepassato il confine pontificio. Io dissi al Marchese di Moustier che era importante che il Governo del Re fosse informato di questa intenzione del Pontefice, perché appunto una delle soluzioni che potevano esaminarsi, era quella che una guarnigione italiana potesse andare a mantener l'ordine a Roma, col consenso del Pontefice. Il Ministro Imperiale osservò a questo proposito che forse coll'andar del tempo le disposizioni del Pontefice si sarebbero mutate, ma ripetè che per ora il Papa non solo non è disposto a sollecitare per la sua sicurezza una guarnigione italiana, ma anzi considera il caso d'una occupazione italiana come il solo che possa e debba deciderlo a lasciar Roma immantinente.

Io non volli pigliar né accettare impegni né provocarli per l'eventualità di disordini a Roma o per quella d'una fuga del Papa. Questa questione è talmente grave, e suppone del resto una tal serie di fatti imprevedibili, che dopo matura riflessione mi parve conveniente d'astenermi da ogni proposta che possa legare l'azione del Governo del Re. Io mi limitai quindi a tenere al Marchese di Moustier il linguaggio seguente:

«È impossibile il prevedere fin d'ora le eventualità future. È certo però che la Francia non desidera di fare una seconda spedizione di Roma e dal suo lato l'Italia ha per base della sua politica il principio di non intervento. L'Italia in ogni caso desidera intendersi colla Francia e camminar d'accordo colla Francia qualunque possa essere l'eventualità che si presenterà. Ora io domando alla Francia se essa può darci l'assicurazione che dal suo lato non farà nulla senza intendersi coll'Italia».

Il Marchese di Moustier mi rispose che poteva darmi questa assicurazione. Rimase quindi inteso che qualora accada qualche cosa a Roma, né l'Italia né la Francia piglieranno una risoluzione senza aver prima cercato d'intendersi. Il Marchese di Moustier domandò però, che il Governo Italiano voglia informare il Governo Francese d'ogni pericolo, anzi d'ogni indizio di pericolo che si manifesti a Roma.

A questo punto della conversazione io lasciai comprendere al Marchese di Moustier come le trattative intavolate dalla Francia colla Prussia per conchiudere una guarentigia collettiva del potere temporale, avessero fatto sul Governo italiano una penosa impressione, perché l'Italia non ha mai ammesso l'ingerenza di altre Potenze, all'infuori della Francia, nella questione di Roma, e perché le trattative erano state impegnate senza nostra partecipazione. Il Marchese di Moustier mi disse che il Governo francese aveva l'intenzione di parlare al Governo italiano di quelle pratiche appena si fosse messo d'accordo colla Prussia per tenere un linguaggio identico; che del resto la scelta della Prussia, Potenza alleata ed amica dell'Italia, indicava abbastanza H carattere non ostile all'Italia, di questo negoziato, che era tuttavia pendente; e che infine la scelta della Prussia avrebbe avuto per effetto di tenere in disparte o almeno di collocar in seconda linea la Spagna e l'Austria la cui ingerenza non era simpatica all'Italia.

Io non ho insistito su questo modo di procedere, né sulla questione di massima. Mi limitai a dichiarare che l'Italia non ammetteva l'ingerenza delle Potenze estere, all'infuori della Francia nella questione di Roma, in quanto è questione politica, e che dal momento in cui l'Italia si mostrava disposta ad intendersi in ogni caso colla Francia, una guarentigia collettiva delle Potenze estere non poteva avere altro effetto che quello di impedire appunto che si stabilisca un'intelligenza fra l'Italia e la Francia.

Prima d'accomiatarmi dal Marchese di Moustier gli domandai se e quando

S. M. l'Imperatrice intendesse di recarsi a Roma e quale era il carattere e lo scopo del viaggio. S. E. rispose che il viaggio non era ancora deciso in modo irrevocabile, ma che era probabile; e che la partenza di Sua Maestà da Parigi era stata fissata pel 26 o pel 27. Il Marchese di Moustier non crede che Sua Maestà possa toccar Napoli né all'andata né al ritorno. Mi disse poi che il viaggio dell'Imperatrice non aveva altro scopo fuori quello di dare una pubblica prova di simpatia e d'appoggio al Sommo Pontefice e di rassicurare così le coscienze cattoliche in Francia.

(l) Di questi colloqui fra Tonello ed 11 Cardinale Antonell!, Visconti Venosta informò Nigra con d. 196 del 1• gennaio 1867. Con successivi dispacci Nigra fu tenuto al corrente degli ulteriori sviluppi della missione Tonello.

72

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AI MINISTRI A BERLINO, DE BARRAL, A BERNA, MAMIANI, A BRUXELLES, DORIA, A L'AJA, CERUTTI, A LISBONA, TALIACARNE, A LONDRA, D'AZEGLIO, A MADRID, CARACCIOLO DI BELLA, A MONACO DI BAVlERA, OLDOINI, A PIETROBURGO, DE LAUNAY, E ALL'INCARICATO D'AFFARI A VIENNA, RATI OPIZZONI

D. CONFIDENZIALE Firenze, 22 dicembre 1866.

Par suite de l'évacuation de Rome par les troupes fançaises, la Convention du l septembre 1864 a reçu sa complète exécution. Cet événement avait causé hors de l'Italie des craintes et des agitations que les populations italiennes étaient loin de partager. L'esprit de modération et de conciliation qui a insplré les derniers actes du Gouvernement, était celui de la grande majorité des italiens et un rapprochement sensible s'était opéré depuis quelque temps entre le clergé et les autorités royales secondées en cela par les populations.

C'est dans ces circonstances que le Gouvernement français a jugé opportun de procéder avec nous à un échange d'idées sur la question de Rome. Le Général Fleury ayant été envoyé à Florence à cet effet, le Gouvernement du Roi a eu la satisfaction de trouver dans les ouvertures qui lui ont été faites une confirmation de ses propres vues.

Voici les points sur Iesquels ont porté les conversatlons oftlcieuses que j'ai eues avec l'envoyé du Gouvernement français, et quelle a été notre manière de voir dans les différentes questions qui ont été soulevées:

! 0 ) Reprise des négociations commencées l'an dernier par M. Vegezzi sm les questions ecclésiastiques pendantes en Italie. Camme le Général Fleury annonçait en meme temps que le Saint Père était disposé à renouer ces négociations, le Gouvernement du Roi avait d'autant

moins de diffi.culté à répondre à cette proposition qu'il n'a jamais considéré comme définitivement rompues les négociations dont M. Vegezzi avait été chargé. Les rapports satisfaisants qu'on lié dans ces derniers temps le haut clergé en Italie avec les au.orités civiles, rendaient possibles des concessions qui n'auraient pas été sans inconvénient l'année dernière; et en général, à l'égard des franchises ecclésiastiques. La legislation en Italie ayant changé depuis les négociations dont M. Vegezzi avait été chargé, par suite du nouveau code civil et de la loi récent sur les corporations religieuses et sur les biens ecclésiastiques, l'Etat peut actuellement renoncer à quelques unes de ses prérogatives et faire un pas à la question de la liberté de l'Eglise, d'autant plus que l'exécution de la convention de la part de la France vient de faire un pas considérable à la question romaine envisagée sous son aspect politique.

Il0 ) Arrangement pour la suppression des barrières douanières entre les deux territoires.

Le Gouvernement italien regarderait comme très avantageuse aux populations une sorte d'union douanière entre Rome et l'Italie, laquelle ferait cesser un isolement qui ne peut étre que préjudiciable aux intéréts matériels. Le Gouvernement du Roi est si éloigné de la pensée de rendre plus difficile, par une sorte de «blocus », la situation de l'enclave romaine, qu'il est prét à en venir à des arrangements avec le Saint Siège pour établir entre les deux territoires toutes les franchises de transit, toutes les facilités de transports, de communications postales, télégraphiques, etc., qui pourront étre jugées utiles par le Saint Siège.

0 ) Création d'une certaine union financière au moyen de la fusion de la Banque romaine avec la Banque nationale d'Italie.

Cette proposition rentre entièrement dans le genre d'arrangements que le Gouvernement du Roi croit utiles pour établir comme un courant pacifique d'intéréts communs, un échange réciproque de ressources entre les deux territoires. Le Gouvernement prétera volontiers ses bons offi.ces pour l'union de ces deux établissements financiers.

0 ) Rétablissement d'un régime consulaire et envoi de consuls italiens dans l'Etat pontificai; règlement de la question relative à l'admission des pavillons dans les ports respectifs.

Le Gouvernement du Roi ne fait à l'égard de l'établissement des consuls aucune difficulté, bien qu'il souhaite que la fusion des intéréts commerciaux entre les deux territoires devienne assez complète pour rendre à peu près inutile la présence d'agents consulaires.

A l'égard des pavillons il ne voit pas non plus d'obstacles à un accommodement acceptable pour la dignité du pavillon italien, qui devrait étre traité dans les ports pontificaux comme nous entendons traiter le pavillon pontificai.

0 ) Le Gouvernement français recommanderait au Saint Siège le projet de donner aux habitants du territoire pontificai la faculté d'accepter les fonctions civiles et militaires du royaume d'Italie.

Il n'est pas besoins de dire qu'au point de vue civil comme au point de vue économique, toute mesure qui effacera une différence de régime entre les sujets du Saint Siège et les italiens sera à nos yeux empreinte d'une véritable sagesse, et que nous nous y prèterons volontiers.

En résume le Gouvernement italien s'est déclaré prèt à tous les arrangements propres à améliorer les rapports de fait entre les deux territoires et par conséquent nous n'avons point eu de peine à nous mettre d'accord avec le Gouvernement Impérial sur le sens général des mesures à prendre de concert pour amener un meilleur état de choses entre le Saint Siège et l'Italie. Une entente à cet égard pouvant avoir lieu sans préjudice des questions de principes, il est permis de croire que le Saint Siège s'y prètera volontiers (1).

73

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, ALL'INCARICATO D'AFFARI A CITTA' DEL MESSICO, CURTOPASSI

D. R. 26. Firenze, 22 dicembre 1866.

La ringrazio delle notizie da Lei datemi col Suo Dispaccio Politico N. 11 in data 29 ottobre scorso (2). Dopo quell'epoca sembra che la situazione al Messico abbia subito altre modificazioni, e sarebbemi stata cosa grata il ricevere dalla

S. V. Illustrissima qualche nuova comunicazione. Le informazioni riferite dai giornali europei sono contraddittorie ed incerte. Ad ogni modo è ormai manifesto che la crisi va sempre più approssimandosi ad uno scioglimento. Qualunque possa essere questo, il Governo del Re vuole e deve rimanere compiutamente estraneo come sempre lo è rimasto agli interni rivolgimnti di quel paese. Ciò è conforme ai nostri principii ed ai nostri interessi.

Una cosa sola ci auguriamo e speriamo, ed è che una mutazione qualunque non tragga seco vendette di parte e che una politica di conciliazione assicuri a quelle vaste ed interessanti regioni il riposo e la calma di cui tanto abbisognano.

Se la S. V. Illustrissima vedesse di poter giovare a questo scopo consigliando moderazione e clemenza al partito che otterrà il potere, obbediente e tranquillo contegno ai fautori dell'ordine di cose o già caduto o che venisse a cadere, noi non possiamo a meno di confortarla ad usare in tal senso della ofllciosa sua influenza.

Sono persuaso Signor Cavaliere della diligenza ed operosità sua nel proteggere i nostri nazionali frammezzo a così gravi contingenze. Nel mentre stesso non dubito che gli Italiani si asterranno scrupolosamente dal prendere parte a qualsiasi specie di movimento o di politiche manifestazioni. Sarà bene tuttavia che la S. V. faccia loro a questo effe~to le più premurose raccomandazioni.

Quanto alle sue relazioni in caso di cambiamento di Governo Le confermo, Signor Cavaliere, la massima segnata nelle istruzioni generali che furono impartite alla Legazione di SEa Maestà, dì comportarsi cioè in quel modo che sarà tenuto dai Rappresentanti delle Principali Potenze. La S. V. essendo accre

ditata presso il Governo dell'Imperatore t naturale che la S. V. si restringa verso il Governo che per avventura gli succedesse, a rapporti officiosi, fintantocché siasi potuto procedere al formale riconoscimento di un nuovo ordine di cose.

Uniformando però anche in questa parte la sua condotta a quella degli altri Capi di Missione, Ella procurerà di maneggiarsi in guisa de non destare suscettibilità e di salvare il più possibile ogni specie di convenienze, il che le riuscirà più facile per la semplice qualità di Incaricato d'Affari di cui è rivestita.

In ogni ipotesi poi Ella rimarrà al Messico sinché non Le pervengano ulteriori istruzioni.

(l) -Il 16 dicembre era stata inviata ad Usedom una nota verbale dal contenuto analogo a quello di questo dispaccio. (2) -Non pubblicato in serle l. \'O!. VII.
74

IL MINISTRO A BERLINO, DE BARRAL, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 86. Berlino, 22 dicembre 1866 (per. il 26.>.

Le vote de la Chambre qui a adopté hier à une très grande majorité le projet de loi relatif à l'annexion du Schleswig-Ho~stein, a donné occasion au Comte de Bismarck de répondre catégoriquement aux attaques de l'opposition, en faisant connaltre d'une manière très nette quelle a été la politique du Gouvernement Prussien dans les événements qui viennent de s'accomplir. J'ai déjà eu soin de mander à V. E. (par télégraphe) (l) ce que le Président du Conseil a dit d'extremement sympathique en faveur de l'alliance Italienne dont il n'a pas seulement fait le plus grand éloge pour le passé, mais à laquelle il attache encore un très grand prix pour l'avenir. Je viens maintenant Lui faire connaitre plus en détail le reste de son discours, qui, en s'adressant réellement à l'étranger, et plus particulièrement à la France, a produit ici dans le Corps diplomatique une très grande sensation.

En commençant par la question du Schleswig-Holstein et de la rétrocession

du Nord du Schleswig au Danemarck, M. de Bismarck a reconnu très franche

ment que cette dernière clause du traité de Prague était le résultat de la média

tion Française. Partant de cet aveu pour expliquer tout à la fois sa condescen

dance envers les désirs de la France, et la position de la Prusse vis-à-vis de cette

Puissance, le Président du Conseil, par une de ces habiles transitions qu'il sait

si bien se ménager, en est venu à s'exprimer à peu près ainsi: «Depuis 1815

jusqu'à 1840 le système politique de l'Euro p e était surtout dirigé contre la France;

et si jusqu'à un certain point la Prussc trouvait dans cette combinaison un motif

de sécurité, en revanche sa liberté d'action en était singulièrement genée. Plus

tard la guerre de Crimée et la politique hostile adoptée contre la Prusse par l'Au

triche, qui spéculait sur la faiblesse de la Prusse vis-à-vis de la France, sont

venues modifier profondément cet état de choses. Aujourd'hui, malgré certaines

manifestations de l'esprit public en France auxquelles il ne faut pas trop s'arreter,

l'Empereur Napoléon, qui pouvait fort bien prendre ombrage d'une Allemagne

compacte formée de 75 millions d'habitans, n'a plus aucun motif de voir de

mauvais oeil une Prusse agrandie, son égale en forces défensives et qui a avec l'Empire Français des intérets communs.

La France du reste a pour base de sa politique le principe des nationalités; et c'est ce qui explique l'intéret qu'elle a témoigné au Danemarck pour 1a rétrocession de la partie Nord du Schleswig. Par égard pour les désirs exprimés par la France, j'ai été le premier à Nikolsbourg à conseiller cette rétrocession au Roi qui l'a complètement approuvée. Il ne fallait pas risquer de tout compromettre pour une simp1e question de détail, et c'est à ces considérations suprèmes qu'est diì. l'article V du traité de Prague imposant à la Prusse des devoirs internationaux auxque1s il serait imprudent de se soustraire. Au reste les termes mémes de la clause, en nous engageant à veiller de près à la complète liberté du vote, nous laissent une grande latitude parfaitement compatible avec l'adoption d'une ligne stratégique de défense )}.

J'ai dit en commençant que le dlscours du Comte Bismarck s'adressait surtout à la France. Ceci mérite quelques explications:

C'est aujourd'hui un fait notoire que le sentiment public en France, dans le peuple aussi bien que dans l'armée, n'a vu qu'avec un extréme déplaisir les armes Prussiennes avoir un de ces succès prodigieux sans précédent dans les annales mi!itaires des peuples. Il ne s'agit pas seulement, dans l'expression de ce sentiment, du danger d'avoir pour volsin une nation jeune, vigoureuse, entreprenante dans laquelle souffle encore très vivace l'esprit de Frédéric II; l'on se dit de pms que le Français n'est plus le premier soldat du monde, puisque le Prussien a su faire aussi bien et plus vite, et l'amour-propre national en a été profondément froissé. L'on connait ici cette disposition des esprits, et bien que la Prusse se soit appliquée à triompher modestement, elle ne semble jusqu'à présent avoir rien pu y changer. Bien au contraire, la nouvelle organisation de l'armée française, en paraissant répondre au courant de l'opinion publique, est venue donner une forme encore plus accentuée à cette direction d'idées.

Dans cet état de choses que je ne fais qu'indiquer, le Comte de Bismarck, qui ne nourrit aucune espèce de pensée agressive contre la France, mais qui, par contre, meme dans l'hypothèse d'une guerre avec cette Puissance est parfaitement résolu à faire sinon une grande Allemagne au moins une grande Prusse, a pensé depuis longtemps à calmer les susceptibilités françaises, non seulement par l'autorité de sa parole, mais encore par les instructions envoyées à son agent à Paris. Ces instructions, d'après ce que je tiens de bonne source, sont de deux natures différentes. La première serait d'appuyer le Gouvernement Français dans toutes les questions qui en ce moment embarrassent si fortement sa politique, en lui facilitant autant que possible les moyens d'en sortir.

La seconde est de donner à entendre, et au besoin de déclarer que non seulement la Prusse ne s'opposera point à l'annexion à l'Empire de tout ce qui parle Français, mais que le cas échéant, elle y aidera. Dans ce système de perspectives séduisantes seraient comprises la Belgique et la partie française de la Suisse, à la condition, bien entendu, qu'il ne serait pas touché à un seui pouce du territoire allemand le long de la rive gauche du Rhin.

Cette double tactique du Cabinet de Berlin parviendrat-elle à écarter le danger d'une colllsion? C'est ce qu'il est bien difficile de prévoir dans un moment surtout où l'attente de l'exposition universelle à Paris, est venue imposer un temps d'arrét si nécessaire à une masse d'intéréts en souffrance. Ce qu'il y a de certain c'est qu'ici, tout en agissant avec la plus grande loyauté pour vivre en paix avec la France, l'on est loin d'étre rassuré à son égard; et que la vigueur avec laquelle l'on pousse l'organisation d'une armée formidable dont l'ensemble pourrait atteindre le chiffre énorme d'un million de combattants, donne la mesure assez exacte des très vives inquiétudes que l'on éprouve pour l'avenir.

D'un autre còté l'Ambassadeur de France, dont les paroles pourraient, sinon rassurer complètement, du moins tempérer ces craintes, se renferme dans un silence absolu, et semble assister en spectateur impassible au travail plus ou moins déguisé des absorptions Prussiennes.

(l) Cfr. n. 69.

75

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AL MINISTRO A PARIGI, NIGRA (AVV)

L. P. Firenze, 23 dicembre 1866.

Quando il Generale Fleury prese congedo e parti da Firenze io gli feci qualche allusione al progetto di garanzia europea. Ricasoli, poi, che ne era assai preoccupato, se ne aperse assai chiaramente con Fleury, senza però entrare nei particolari del progetto di convenzione. Fleury se ne mostrò ignaro e rispose che avrebbe telegrafato all'Imperatore e scritto da Nizza. Difatti da Nizza mandò una lettera nella quale si conteneva la risposta avuta da Compiègne e si diceva che, se qualche progetto v'era stato, esso era abbandonato dacché l'Italia aveva dato prova di intenzioni concilianti e rassicuranti. Ciò non mi rassicura appieno, perché ciò non esclude che il progetto primitivo sia stato, piuttosto che abbandonato dalla Francia, respinto da Bismarck. Ma infine è sperabile che andata a vuoto la combinazione colla Prussia, la Francia non si sia rivolta ad altre potenze. Ho cercato di fare tastare il terreno, per quanto era possibile a Vienna. Da quanto si potrebbe arguire da talune parole assai riservate di De Beust, il Governo austriaco non parrebbe disposto ora a mischiarsi molto attivamente nella questione.

Le trattative di Tonello procedono lentamente. La Corte Romana non è feroce e porta anzi nella vertenza una relativa moderazione, ma senza dipartirsi dalle sue abitudini, dal suo spirito, dalle sue tradizioni. Le disposizioni della Corte Romana sono in fondo quelle che noi avevamo supposte. Essa non fa gran caso dei principii di libertà che noi offriamo alla Chiesa. St preoccupa soprattutto di non fare cosa che possa anche lontanamente accennare ad un implicito riconoscimento del Regno d'Italia e delle annessioni delle antiche provincie pontificie. Le nostre concessioni sul giuramento, sull'Exequatur non hanno per essa altra importanza che questa. Trovare se è possibile un espediente, senza toccare ad alcun principio, ecco ciò che si propone il Cardinale Antonelli.

10 -Documenti diplomatici -Serie I -Vol. VIII

Le cose alla Camera non si mettono male. Ma ho potuto però convincermi che col discorso della Corona siamo andati fino all'ultimo limite, e che non si poteva andare più in là.

Ricasoli ed io aspettiamo con ansietà il risultato della prima conversazione che avrete coll'Imperatore sugli affari di Roma. La tranquillità è inalterata a Roma, noi speriamo che duri e facciamo il possibile perché ciò sia. Frattanto è d'uopo fare il possibile perché l'Imperatore, mosso da una specie di panico, non comprometta la questione. Difatti ogni combinazione come quella tentata colla Prussia avrebbe per sicuro risultato di sollevare in Italia una affermazione contraria e un'agitazione pericolosa, e di incoraggiare il Papa nella sua resistenza assoluta. Continuare per quanto è possibile nello statu quo e premunirei contro il pericolo che la questione possa dar luogo a nuovi interventi, ecco lo scopo al quale dobbiamo tendere. Quanto alla Francia credo che se essa lascia la questione all'Italia posta sotto il sentimento della propria responsabilità, avrà fatto ciò che le rimane di meglio per rendere possibile la conciliazione.

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L'INCARICATO D'AFFARI A VIENNA, RATI OPIZZONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. CONFIDENZIALE 9. Vienna, 24 dicembre 1866 (per. il 28).

Ces derniers jours la presse de Vienne, qui prétend au titre de presse officieuse, parlait d'améliorations dans les rapports entre l'Autriche et la Russie, comme si un rapprochement véritable allait se faire entre les deux Puissances. J'ai donc voulu vérifier ce qu'il y avait de sérieux dans ce langage et connaitre si le Cabinet de Vienne allait s'éloigner du Cabinet de Paris pour se rapprocher de celui de St. Pétersbourg.

Samedi soir l'occasion s'étant présentée de m'entretenir à seui avec le Due de Gramont, j'ai amené le discours sur ce sujet. Cet Ambassadeur m'a répondu sans hésiter: «l'Autriche emboite complètement le pas de la France». J'avais le sentiment que cette réponse était vraie, mais qu'elle était toutefois par trop cathégorique. Je lui ai donc signalé que dans ces derniers jours soit à l'égard des Principautés Danubiennes, soit à l'égard des autres questions des contrées Turques, il me paraissait entrevoir qu'il y avait, pour le moins, plus de souplesse réciproque entre les deux Cabinets russe et autrichien. M. de Gramont m'a alors répondu qu'effectivement le Cabinet de Vienne était de l'avis que moins de méfiance apparente envers la Russie aurait facilité la tache à laquelle la France et l'Autriche travaillaient ensemble que cette manière de voir la question lui avait paru pratique et convenable et que dans ce sens il venait précisément d'écrire à Paris à son Gouvernement.

Ainsi, si je dois dire mon opinion, les deux Cabinets de Vienne et de Paris, tout en ne s'écartant pas essentiellement de leur ligne de conduite envers la Russie, me paraissent cependant le modifier graduellement dans son application.

D'abord le Gouvernement Français, qui dans le commencement de la question de Belgrade penchait pour la négative et pour la résistance, a fini, sur les rapports que M. de Gramont lui adressait d'ici, par envoyer à Constantinople des conseils conformes à la démarche du Prince Michel. Maintenant M. de Beust aurait fait faire un pas de plus, et il aurait persuadé à M. de Gramont d'écrire à Paris qu'il serait plus politique et plus pratique en meme temps, si sur les points possibles l'on mit à profit la coopération de la Russie.

Je ne doute donc pas que dans la question orientale, telle qu'elle existe aujourd'hui, l'Autriche emboite le pas de la France; mais pour obtenir ce résultat, la France est obligée de faire des pas moins longs qu'elle ne les ferait si elle pouvait marcher toute seule.

Le Cabinet de Vienne veut (et en partie il a déjà atteint son but) désintéresser la Russie dans la question Hongroise par des complaisances qui ne compromettent cependant pas l'existence politique de l'Autriche. Le terrain donc sur lequel de Cabinet de Vienne conseille d'accéder aux voeux de la Russie c'est la liberté d'action que cette Puissance réclame dans la Mer Noire. M. de Gramont m'a paru persuadé de la légitimité de cette demande, et n'avoir pas meme jamais cru à une longue durée de la disposition du traité de Paris qui y neutralisait les forces naturelles de la Russie.

Par contre le Cabinet des Tuileries prétend que le Firman d'investiture du Prince de Hohenzollern soit présenté à la conférence des Puissances signataires du Traité de Paris. Par l'action du Due de Gramont le Cabinet de Vienne doit meme etre revenu sur sa premiére déclaration à cet égard.

Car si vers le commencement de ce mois M. de Metternich a déclaré à Paris que son Gouvernement ne faisait pas d'obstacle à se borner à la simple adhésion qui serait individuellement notifiée à la Porte par chaque Gouvernement intéressé, maintenant il doit y avoir changé de langage, puisque ensuite des démarches de M. de Gramont le Baron de Beust vient d'écrire à Paris que la Conférence des Puissances signataires du traité de Paris existant toujours, cette conférence doit prendre collectivement acte du Firman d'investiture du Prince Charles.

Les Principautés sont tombées dans le discours de M. de Gramont sans que moi j'aie du faire des efforts pour les y amener. M. de Beust (qu'on ne voit presque plus depuis quelques jours) ne m'en a pas encore parlé, et de mon còté, me conformant aux ordres de V. E., j'attends qu'il m'en parle.

Je joins ici une lettre particulière que j'adresse à V. E. ...

77

ROMUALDO BONFADINI AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA (AVV)

L. P. Roma, 24 dicembre 1866.

Vuoi che te la dica schietta? a me pare che tutto il trambusto che si dà il Comitato romano per tener quieta la popolazione sia en pure perte. Col con

tegno insopportabile degli zuavi, a quest'ora una delle nostre popolazioni settentrionali avrebbe per lo meno attaccato già cento baruffe; ma qui, tutto va come un olio, e per quanto io mi sbracci nelle mie corrispondenze a lodare il senno civile dei Romani, non posso a meno talvolta di pensare fra me e me che sotto al senno civile vi può ben essere qualche altro movente che produce d'ordinario effetti meno civili. ""'k.!.,.;'

""'-..t ~·l

Infine, tutto va per lo meglio nel migliore dei modi, ma è assai bene~ niì pare, che la nostra politica debba consistere nel tener quieta la gente, perché qui è di un risultato incomparabilmente più Ct:!'to.

Di politica non mi pajono molti ad occuparsi; ho veduto ormai una certa quantità di gente, ma, se ne eccettui i nostri amici del Comitato, i più volenterosi di moto e di politica sono ancora gli ecclesiastici, fra cui non manca quella nuance che noi chiamiamo i preti liberali.

La passione poi della capitale ad ogni costo mi pare proprio assai più italiana che locale; nell'aristocrazia liberale, il solo unitario deciso e convinto lo trovai finora nel vecchio Duca Caetani (l) e in qualcuno dei suoi intimi. Il resto si culla assai volentieri nelle idee astratte della supremazia morale di Roma, della convivenza del Papato e della Monarchia, del Governo autonomo municipale italiano, dello splendore del Pontificato ridotto a nazionale, delle due Rome, italiana e leonina, ecc. ecc. Anche presso la borghesia, la quale soffre più d'ogni altra classe del regime papale, la Roma capitale non desta furore; e me ne accorgo anche soltanto dall'interesse generale che desta la missione Tonello, e dagli sforzi che tutti fanno per ajutarne la riuscita; ciò che non mira precisamente a rendere immediata ed indispensabile la soluzione di Roma capitale.

Infine, io credo che la forza delle cose spinga qui tutti verso il programma della conciliazione; e comincio a credere che sarà il solo, presto o tardi, a riuscire, anche se la missione Tonello dovesse per un'altra volta finire come quella di Vegezzi.

Qui del resto c'è un grande scredito su tutte le persone influenti della Corte romana; e l'opinione prevalente è che se il Governo Italiano avesse o i denari o la volontà di corrompere due terzi dei Cardinali e dei Vescovi più infiuenti, ogni ditncoltà sparirebbe e l'Italia sarebbe accolta a braccia aperte. Vedi che siamo proprio alla Roma del Basso Impero.

Salutami Gino e gli amici; nel caso che qualcuno volesse scrivermi di cose non politiche, o che venisse a Roma, io abito al n. 37, Via del Corso, 2° piano. Ma per lettere di politica, dirigerle a Gadda, che me le farà tenere. Qui del resto la politica delle altre parti del mondo la faccio sull'Unità Cattolica e sull'Osservatore Romano, ben inteso escluse le feste, in cui anche quella è soppressa.

Addio e prepara discorsi.

(l) Il duca Michelangelo Caetani di Sermoneta.

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IL MINISTRO DI GRAZIA E GIUSTIZIA E DEI CULTI, BORGATTI. AL CONSIGLIERE DI STATO, TONELLO (Ed. in L V 10, pp. 19-20)

Firenze, 25 dicembre 1866.

Il Governo del Re ha preso nella debita considerazione il graditissimo dispaccio della S. V. Onorevolissima in data del 21 dello spirante Dicembre (1), nel quale si diede premura di porgergli minuto ragguaglio dei colloquii da Lei tenuti col Cardinale Antonelli il 18 e il 20 di questo stesso mese.

Le angustie del tempo non consentono di scendere in proposito ad alcun particolare. Però il Governo non vuole omettere di esprimerle la sua piena soddisfazione per la sagacia e dottrina ch'Ella spiegò in tali colloquii, mentre non può rimanersi dall'accennare al rammarico, onde fu compreso al vedere che costi si subordina pur sempre la quistione religiosa alla politica, siccome ne danno prova le eccezioni promosse rispetto alla provvista delle sedi Vescovili poste in quelle provincie che già formavano parte dello Stato Pontificio. Importa perciò più che mai ch'Ella s'attenga strettamente allo spirito ed alla lettera delle istruzioni ricevute, e sarà opportuno ch'Ella non lasci mai sfuggire occasione di ricordare che le presenti trattative sono condotte col Capo delle Chiesa Cattolica, non già col Sovrano dello Stato Pontificio, e riguardano interessi esclusivamente religiosi ed indipendenti da qualsivoglia controversia politica, onde per alcun verso non possano patir detrimento quei principii, da cui il Governo Italiano ripete l'esistenza sua e la sua forza.

Riferendosi alle sue istruzioni, la S. V. Onorevolissima potrà rimostrare al Cardinale Antonelli che il Governo del Re intende anch'esso dal suo canto d'evitare ogni quistione di principii, dappoiché ha per fermo, che le dichiarazioni da lui fatte circa le norme a cui ha flSso di attenersi riguardo alle comunità religiose, siena tali da rendere agevole quel modus vivendi a che la Santa Sede vorrebbe riescire.

E di vero, posto il fatto della distinzione dello Stato d'ogni associazione religiosa, la quale né può domandare alcun privilegio, né può trovar impedimento alla sua libertà entro la cerchia della sua azione spirituale, resulta chiaro che lo Stato italiano e la Chiesa Cattolica possono vivere l'uno accanto all'altro, senza scemamento de' reciproci diritti ed interessi, e senza avere ragione di fastidiosi conflitti.

Non è mestieri render persuasa la Santa Sede, che come noi accettiamo tutte le conseguenze logiche delle nostre dichiarazioni, cosi anch'essa deve far palese di entrare francamente e senza equivoci nella nuova via che noi le apriamo, per provvedere alle condizioni, ed ai bisogni della Chiesa Cattolica nel Regno d'Italia.

Posto ciò in sodo, la S. V. è autorizzata a dichiarare che il Governo del Re non dissente dall'accogliere come soggetto di studio e di esame gli espedienti proposti dal Cardinale Antonelli per toglier di mezzo le dimcoltà sollevatesi circa

la presentazione dei Vescovi e l'Exequatur. A tanto s'induce, non già solo per dar segno del suo proposito di condurre a buon termine le riaperte negoziazioni, ma ancora e principalmente per mostrarsi coerente a' suoi principii intorno alla libertà della Chiesa, onde è tratto ad ammettere qualsivoglia partito, che senza scapito delle ragioni e degli interessi dello Stato, affranchi la Chiesa Cattolica da ogni vincolo che ne sembri inceppare la competenza spirituale.

La S. V. vorrà porre tutta la sua penetrazione e diligenza nello studio e nell'esame dei detti due espedienti, che anche il Governo, dal suo lato prenderà nella debita ponderazione, mentre, sin d'ora non esita a dichiarare che sostanzialmente gli pajono accettevoli, anche per questo che verrebbero a stabilire nuovi procedimenti i quali si allontanerebbero dagli usitati fin qui, ed anche per questo titolo concorderebbero meglio con gl'intendimenti suoi circa la libertà delle Comunità religiose. Né già occorre dirLe che Ella deve riservarsi la facoltà di riferirne innanzi di venire ad un accordo definitivo.

(l) Cfr. n. 70.

79

IL MINISTRO A PARIGI, NIGRA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

(AVV)

L. P. Parigi, 25 dicembre 1866.

Dal mio dispaccio del 21 dicembre (l) avrete visto in qual modo ha posto il Governo francese la questione romana per quanto spetta le eventualità future. Dopo aver pensato e ripensato a quanto mi fu detto dal Presidente del Consiglio e da voi in ordine a questa eventualità, parve a me che il più savio partito era quello di limitarsi a stabilire d'accordo colla Francia, che in casi previsti od imprevisti, nessuna risoluzione fosse presa dal Governo francese o dall'italiano, senza un previo scambio d'idee nello scopo di cercare di procedere di comune accordo. A questo modo nulla è compromesso, e si evita il rischio di legare l'azione del Governo per eventi di cui è affatto impossibile il prevedere il punto di partenza, la tendenza le circostanze e le conseguenze. Io spero d'aver così interpretato le vostre idee e quelle del Governo. Se così non fosse, fatemi il piacere di scrivermene. Siccome nulla è compromesso, io potrò rimettere la questione sul tappeto pel caso in cui crediate che si debba venire a proposte più determinate.

La risposta di Moustier alle mie osservazioni sulle pratiche colla Prussia, è un po' imbarazzata, come avrete visto, e non poteva essere altrimenti. Però non sono ancora tranquillo su queste pratiche ed altre simili. D'altro lato converrà attenderci a qualche dimostrazione favorevole al Papa sia nella risposta dell'Imperatore alle felicitazioni del Nunzio pel primo dell'anno, sia all'occasione del discorso della Corona. M'aspetto ad intendere qualche frase significativa nel senso del mantenimento del poter temporale. Bisogna aver pazienza e guada-

Il) Cfr. n. 71.

gnar tempo. Lord Clarendon dice che L poter temporale morrà se lo si lascia vivere.

Il viaggio dell'Imperatrice è decisamente abbandonato.

Bismarck pronunziò nell'ultimo suo discorso parole favorevolissime e lusinghiere per l'Italia. Io credo che sarebbe ottima cosa che gli rendiate la pariglia alla prima occasione. È importante molto per noi il coltivare questa preziosa alleanza.

Decisamente il bravo Artom non può risolversi a tornare a Firenze al Ministero. La sua risoluzione essendo ormai definitiva io vengo a pregarvi di fare il possibile per dargli all'estero la posizione ch'esso desidera, che è quella di Ministro a Baden. Qui non potrebbe rimanere a lungo nella posizione falsa in cui si trova, quella cioè di un Ministro che fa le funzioni di Consigliere di Legazione. Voi sapete che Artom ha meriti eccezionali e molto ingegno e che potrà rendere segnalati servizi al paese quando abbia superato il primo ostacolo d'una missione all'estero. Quest'ostacolo è grave, senza dubbio; ma può essere superato sia a Carlsruhe, sia anche a Berna, ave esso sia sostenuto con fermezza dal Ministero. Ora questo sostegno non può sperarlo che da voi che gli siete amico. Permettetemi quindi di raccomandarvi caldamente questo suo vivo desiderio. Troverete naturale, spero, ch'io m'interessi vivamente al di lui avvenire, giacché sapete che sono legato con lui fin da' primi anni della gioventù da vincoli di vera amicizia; del resto è utile, e forse è necessario, che anche lui, nell'interesse suo e del paese, passi per la prova di Capo Missione all'estero.

Permettetemi ora, caro amico, di dirvi ancora una volta, quanto io abbia apprezzato ed apprezzi le prove d'amicizia e di simpatia che ebbi da voi nella dolorosa circostanza che mi condusse recentemente in Italia Cl).

80

L'AGENTE E CONSOLE GENERALE IN EGITTO, G. DE MARTINO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. CONFIDENZIALE S. N, Alessandria, 26 dicembre 1866 (per. il 4 gennaio 1867).

In questa ultima gita al Cairo ho avuto vieppiù a confermarmi nell'opinione già espressa a V. E. con antecedenti dispacci confidenziali, che il Vicerè ha il pensiero risoluto di pervenire alla indipendenza.

Il Ministro Raghib ed Ismail Pascià Muffetich, soli inftuenti presso il loro Signore, e perciò potentissimi, hanno avuto il talento di unirsi strettamente onde non nuocersi tra loro, e secondano a tutto loro potere la realizzazione di questo pensiero.

Entrambi, e particolarmente Raghib me ne hanno parlato senza reticenza. Ne sono stato molto sorpreso, perché è strana tanta fiducia confidenziale in un turco, ed in un arabo. Raghib mi disse che possono essere considerati di fatto indipendenti, perché il Viceré fa coniare moneta, perché la preghiera al Gran

Bairam si fa in tutte le moschee in nome del Viceré, e non più del Sultano, perché invece di 20.000 uomini di truppe, ne ha circa 80.000, cose tutte che si sanno a Costantinopoli, e non si dice nulla. Ma che essi vogliono esser riconosciuti tali dall'Europa, che sono sicuri della Francia, che dubitano dell'attitudine dell'Inghilterra, ma che si sentirebbero più arditi se fossero sicuri della simpatia e protezione dell'Italia. E finì per chiedermi consiglio se io credeva vicina un'opportunità per l'Egitto di dichiararsi indipendente.

Come feci per lo passato in altre conversazioni di simil genere, ma non così chiare, risposi in termini generali ed evasivi, senza compromettere né il R. Governo, né me stesso, e soltanto profittai di questa bella occasione per dire ai due favoriti Consiglieri che il Viceré per assicurarsi la simpatia dell'Italia doveva incominciare per dar prove di benevolenza a questa nostra Colonia, e togliere da mezzo le reclamazioni tuttavia pendenti, che forzatamente inaspriscono gli animi e da una parte e dall'altra.

Per il nuovo anno il Viceré ha decretata una nuova leva che porterà a

200.000 uomini il suo esercito, ed in un Consiglio di guerra tenuto l'altro giorno al Cairo si è deciso l'armamento di tutte le coste. Mi è stato poi assicurato che ha commissionate tre corvette corazzate in Francia, una in Inghilterra, ed una quinta a Trieste.

(l) La morte della madre.

81

IL MINISTRO DI GRAZIA E GIUSTIZIA E DEI CULTI, BORGATTI, AL CONSIGLIERE DI STATO, TONELLO (Ed. in Lettere Ricasoli, vol. IX, pp. 132-133 e in Carteggi Ricasoli, vol. XXIV, pp. 568-569)

Firenze, 28 dicembre 1866.

Ho ricevuto il suo cortese biglietto del 23 e mi è stata pure comunicata dal Collega degli Esteri la Nota di V. S. avente la data del 21 (l).

Non esito a dichiararLe con tutta franchezza che i risultati che Ella ha

saputo sagacemente ottenere dalle sue conversazioni col Cardinale Antonelli

rispondono mirabilmente, secondo il mio modo di vedere, ai principi! e al siste

ma che noi ci siamo proposti di seguire in queste negoziazioni. Noi infatti non

vogliamo sulle materie religiose né trattare formalmente, né venire ad alcuna

conclusione che abbia, neppur apparentemente, carattere di concordato, impe

rocché noi non riconosciamo più nella Santa Sede una Potenza politica o civile,

né ammettiamo più nella Chiesa quei privilegj e quelle prerogative che resero

necessarj in passato i Concordati tra essa e gli Stati Cattolici e da cui ebbero

origine le note formule per la nomina o presentazione dei Vescovi, per l'appro

vazione delle Bolle, dei Brevi e delle altre provvisioni Pontificie. Ridotte le cose

a questi termini e partendo sempre dal principio della separazione dello Stato

dalla Chiesa, considerata questa unicamente come mera e pura associazione

religiosa, spoglia di ogni giurisdizione ed ingerenza politica o civile, ne conse

guita logicamente che alle formule antiche dei Concordati onde venivano eser

(I) Cfr. n. 70.

citate le prerogative Regie sia per la presentazione dei Vescovi, sia per l'Exequatur delle provvisioni della Santa Sede, sembrano preferibili formule nuove che abbiano la stessa efficacia giuridica e meglio si accomodino al gran principio della separazione o distinzione tra Chiesa e Stato che noi vogliamo applicare fino alle ultime sue conseguenze. Se per ora è necessario e conveniente di conservare allo Stato una ingerenza ed una compartecipazione non solo nella esecuzione delle provvisioni Pontificie che si riferiscono alla temporalità, ma sibbene ancora nella nomina dei Vescovi, quando si riesca per l'esercizio di queste ingerenze che si vogliono per ora mantenute allo Stato, di trovare un modo qualsiasi che abbia il vantaggio di garantire efficacemente l'esercizio di siffatte ingerenze, di non vincolare lo Stato oltre i confini di quella libertà che egli vuole e deve accordare alla Chiesa, come a qualsiasi altra associazione religiosa, di non ammettere nella Chiesa alcun privilegio, e di stabilire in pari tempo un qualche accordo, o per usare la frase di Sua Santità e .di Sua Eminenza il Segretario di Stato, un modus vivendi, tra la Santa Sede ed il Governo Italiano finché il tempo, la civiltà progrediente, la logica degli avvenimenti, e la forza irresistibile del movimento nazionale non abbiano condotto ad un componimento definitivo e stabilito il modo normale dei rapporti tra la Chiesa e lo Stato, io non so davvero come noi possiamo e dobbiamo peritarci ad accettare la proposta del Segretario di Stato e a concedere alla S. V. la facoltà di studiare seco lui e discutere i modi diversi coi quali può essere stabilito l'accordo provvisorio, o quel modus vivendi che, riservando allo Stato le necessarie prerogative, valga in pari tempo a far cessare le cause più gravi di discordia, a predisporre gli animi ad una piena conciliazione e ad agevolare l'attuazione progressiva e completa del diritto Nazionale, e dei grandi principii onde la civiltà moderna procede sia nelle materie politiche e civili, sia nelle materie religiose.

Queste considerazioni, che sono superflue per la S. V. Onorevolissima, valgano tuttavia ad attestarle vieppiù la mia ferma persuasione circa la convenienza di aderire al sistema che si è opportunamente iniziato tra Lei ed il Cardinale Antonelli ed a confermarle anche in forma privata i leali intendimenti del Governo del Re e la fede che esso costantemente mantiene nei principj proclamati.

82

IL CONSIGLIERE DI STATO, TONELLO, AL MINISTRO DI GRAZIA E GIUSTIZIA E DEI CULTI, BORGATTI (Ed. in L V 10, pp. 21-26, in Lettere Ricasoli, Yol. IX, pp. 133-142 e in Carteggi Ricasoli.

vol. XXIV, pp. 573-580) (l)

Roma, 28 dicembre 1866.

Come io aveva già prenunziato negli antecedenti miei dispacci, jeri sera 27 corrente ebbi, secondo l'appuntamento preso, una nuova conferenza col Cardinale Antonelli.

Devo premettere, che nel frattempo avendo io, per appianare sempre meglio le vie al buon esito della negoziazione, e per ragioni d'alta convenienza, fatte non poche visite a Cardinali e Prelati i più distinti, se ebbi la soddisfazione d'incontrarne il maggior numero, nel complesso, non alieno dagli amichevoli temperamenti, ed anzi alcuni al tutto favorevolmente disposti, *fra i quali credo mio debito fare speciale menzione dei Cardinali Silvestri e Di Pietro * (l), altri che pur sapeva avere presso il Pontefice ed in Corte non poco ascolto, m'aveva mostrato contegno recisamente contrario, dimodoché non era senza qualche ansietà, che io aspettava di rivedere il Cardinale Segretario di Stato per conoscere, se qualche cattiva influenza avesse o non, come poteva supporre anche per altri indizii, operato sinistramente nell'andamento delle cose.

Entrato adunque dal Cardinale gli partecipai, che il Governo, al quale io aveva riferito il risultato dell'ultimo nostro colloquio. consentiva a che, per giungere più agevolmente ad una conclusione, si accettassero a temi di studio e di discussione gli espedienti dall'Eminenza Sua proposti.

Egli accolse con molto piacere tale notizia, e si dimostrò in tutto il corso della conversazione animato sempre dalle più favorevoli disposizioni ad un sincero accordo; attalché ebbi a rassicurarmi interamente sui timori, che aveva prima concepiti.

Si entrò quindi a discorrere in modo più preciso delle forme a darsi agli espedienti in questione.

A tale proposito si ritenne, che fatto l'accordo intorno alla persona da nominarsi, si scrivesse dalla Santità Sua una lettera nella quale si esprimesse, che in seguito al concerto intervenuto, Sua Santità avrebbe nel prossimo Concistoro preconizzata la persona designata. In seguito al che si sperava dalla Santa Sede che il Governo del Re avrebbe date le opportune disposizioni perché l'eletto fosse accolto coi riguardi dovuti alla sua dignità. e potesse conseguire il possesso della Mensa, ed in genere delle temporalità annesse e dipendenti dalla nomina. Questa sarebbe la sostanza, conforme a quanto sarebbesi già annunciato; ma avendo io desiderato che si concordasse per iscritto una formula precisa di tal nota, onde ben vederne e discuterne i termini, e perché restasse a documento della presa intelligenza, si rimise ciò ad un nuovo colloquio da tenersi nel prossimo Sabato 29 andante. Frattanto si avrebbe questo: che la lettera si scriverebbe prima e non dopo la preconizzazione: che per non moltiplicare atti senza necessità, colla stessa lettera, colla quale si annuncierebbe la prossima nomina del prescelto, si farebbe l'espressione del voto pel possesso delle temporalità.

Io manifestai il desiderio che fosse comunicata al Governo una copia della Bolla di preconizzazione, onde questo non fosse obbligato a dare le sue disposizioni intorno alle temporalità sulla base di un documento da lui non veduto né conosciuto. Quando si chiedeva l'Exequatur si doveva presentare l'originale stesso; ora basterebbe una semplice copia comunicata per forma di notizia e di schiarimento. Al Cardinale non parve necessario il fare ed il comunicare ad ogni volta sifl'atte copie; credette potesse bastare il redigere d'accordo una formula di Bolla sulle tracce di quelle usate finora, e rendendola semplice al pos

si bile, la quale sarebbe costantemente adoperata; e nella lettera basterebbe il dire, che la nomina sarebbe fatta secondo le forme consuete. Mi parve che ciò potesse corrispondere sutllcientemente allo scopo, quindi non feci insistenza.

In ordine ai già preconizzati dalla Santa Sede nulla si variò dalle intelligenze prese antecedentemente, c già espresse nel mio rapporto del 21 corrente (1). Si rimise però alla conferenza prossima il formulare il tenore preciso della lettera, che la Santa Sede dovrebbe scrivere anche per essi circa al possesso delle temporalità. Resta ben inteso, che quando si parla di preconizzati, non s'intende compreso il Ballerini, eccezione questa da me fatta sin da principio, e non dissentita intieramente dalla Santa Sede; sebbene si desideri pure di dare al ridetto Monsignore un qualche collocamento. A tal uopo, secondo alcuni cenni orali che ebbi dal Ministero prima della mia partenza, io dissi, che per la morte di Monsignor Caccia già Vicario Capitolare di Milano, essendosi reso vacante il posto di Vescovo di Famagosta in partibus colla pensione annessa, e della quale godeva il Caccia, si sarebbe potuto dar l'uno e l'altra a Monsignor Ballerini, senza per altro applicarlo all'amministrazione di alcuna Diocesi. Tale proposta fu presa in considerazione ed il Cardinale Antonelli si riservò, presi gli ordini di Sua Santità di trattarne poi a tempo opportuno. Sarebbe bene intanto che mi si facesse conoscere quale fosse la pensione di cui godeva Monsignor Caccia.

Fra le questioni di forma principalissima si presentava quella del modo col quale avrebbero avuto luogo le comunicazioni della Santa Sede col Governo. Il Cardinale Segretario di Stato in ciò non si esprimeva ben chiaramente, perché, invece di nominare il Governo, preferiva ne' suoi discorsi di nominare la mia persona, dicendo «scriveremo a Lei, parleremo con Lei, concerteremo con Lei etc.». Era ben inteso che non poteva parlarsi di me come persona privata, e che quindi si contemplava in me la qualità d'Inviato del Governo. Era tuttavia troppo importante, che tal punto non rimanesse oscuro, né potesse quindi dar luogo ad equivoci, o ditllcoltà posteriori. Io perciò volli chiarirmene col Cardinale interpellato categoricamente sulla qualificazione che la Santa Sede avrebbe inteso di dare nelle sue comunicazioni a me, ed in genere all'Incaricato qualunque fosse della trattazione delle nomine in discorso, Sua Eminenza disse che questa era una grave ditllcoltà, e che, non intendendo la Santa Sede colle presenti trattative, né in conseguenza delle medesime di fare atto di ricognizione del Regno d'Italia, come sin da principio si era dichiarato ed inteso, il meglio era di dirigere personalmente le comunicazioni all'Incaricato del Governo, senza accennare espressamente alla sua qualità, ma !asciandola sottintesa.

Io risposi, che tal forma di comunicazione non mi pareva conveniente né regolare; che una qualità bisognava esprimerla; e che non pretendendo neppure io che la Santa Sede, contro le primordiali intelligenze presesi, dovesse fare atto, che necessariamente inchiudesse il riconoscimento del Regno d'Italia, proponeva che la comunicazione all'Inviato Italiano si facesse designandolo come Inviato od Incaricato da S. M. il Re Vittorio Emanuele II, giusta la formula

adottata dal Sommo Pontefice nella lettera autografa che scrisse al Re e dalla quale ebbero la prima mossa le presenti trattative.

Il Cardinale disse, che questa forma non credeva potesse dar luogo ad alcuna difficoltà, che tuttavia prima di rispondere formalmente si riservava di riferirne al Pontefice.

Esaurite, almeno per ora, tali materie, si passò a trattare dei posti a provvedersi, e si cominciò anche a delibare qualche cosa sulle persone; inquantoché si riconobbe da una parte e dall'altra conveniente, che essendo oramai rimosse le principali difficoltà, che potevano ostare ad un accordo, si procurasse di dar cominciamento e vita al medesimo col predisporre senza troppo indugio per alcuno dei prossimi Concistori qualche nomina.

Quanto ai posti, senza nulla fissare pel momento di definitivo sul numero e sulle località a provvedersi, essendovi non pochi Arcivescovadi vacanti, io proposi, che prima di pensare a nuove nomine, si esaminasse quali fra gli attuali Vescovi potessero promuoversi ad una di tali sedi; e che fatta questa prima operazione su tutti i posti che sarebbero rimasti, o si fossero resi vacanti, si sarebbe poi fatta la scelta di quelli, che meritassero provvedersi con nuova nomina. Proposi pure che i posti vacanti, ai quali non si destinasse apposito titolare. fossero per quanto si potesse dati in amministrazione ad alcuno dei titolari vicini, massime dove i Vicari Capitolari esistenti avessero lasciato qualche cosa a desiderare; col che si sarebbe insensibilmente avviata la riforma della circoscrizione, della quale, come troppo necessaria, non conveniva dismettere il pensiero, non sì tosto si fossero raccolti tutti gli elementi atti a prepararla.

Tali basi, come conformi anche alle intelligenze già precedentemente intercorse, vennero senza difficoltà accettate, e quindi venendo alle persone *, il Cardinale Segretario di Stato, osservandomi come fra le Chiese principali, a cui occorreva di tosto provvedere vi fosse quella di Torino, mi soggiungeva avere il Santo Padre qualche propensione a trasferirvi l'attuai Vescovo di Savona, Monsignor Riccardi. Mi diceva inoltre, che la Sede di Savona per particolari riguardi che vi aveva il Pontefice, ricordando essa memorie de' suoi antecessori, non dovendosi lasciar vacante, si sarebbe a suo avviso potuto nominarvi, perché suggerito da Monsignor Charvaz, Arcivescovo di Genova, e perché persona al tutto degna e benemerita, Monsignor Cerruti di Varazze prelato domestico di Sua Santità.

Né l'una né l'altra di tali proposte, delle quali ebbi a prender nota per riferirne, mi pare possa incontrare molta difficoltà per parte del Governo. Ad ogni modo mi aspetto su di ciò le occorrenti istruzioni, osservando solo che il Cerruti è quello stesso del quale fa cenno nella prima sua nota (del 21 Aprile 1865) (l) il Comm. Vegezzi lodandone l'opera e gli uffici prestati nell'interesse della missione.

Partecipandomi quindi Sua Eminenza come mi aveva già accennato anche Sua Santità nell'udienza accordatami, che il prelodato Arcivescovo di Genova da lungo tempo andava chiedendo di potersi ritirare dalla sua sede, e che non

potendosi più differire l'accoglimento de~la sua istanza, occorreva pure di pensare tosto al successore, io come semplice idea mia personale accennai ad una nomina che mi sarebbe sembrata conveniente, cioè quella dell'attuai Vescovo di Pinerolo.

Quanto a Cagliari, altro Arcivescovado vacante dissi pure che a me personalmente, e salve le deliberazioni del Governo, sarebbe sembrato assai congruo ed ovvio il promuovervi l'unico Vescovo ora rimasto in Sardegna, Monsignor Montixi, Vescovo di Iglesias.

Premesse queste designazioni a sedi speciali, il Cardinale Antonelli disse, che per massima dovevasi, quanto alle nuove nomine, tener molta considerazione degli attuali Vicari Capitolari, sempreché constasse aver fatto buona prova; massima da me punto non dissentita anche perché, oltre il merito dell'esperienza, e delle fatiche della gestione Episcopale già avuta, sta pure a loro favore il giudizio di un intiero corpo collegiale, qual è il Capitolo della Chiesa Cattedrale. Continuando in tal ordine d'idee il prelato accennò alla attenzione del Governo, come Ecclesiastici, che a giudizio della Santa Sede meritavano l'onore della Mitra in qualche sede a designarsi ulteriormente i Vicari Capitolari di Arezzo, Fiesole, Grosseto, Pistoja e Prato.

Io per parte mia, esprimendo sempre idee mie personali, dissi creder degni della promozione all'Episcopato il Canonico Zappata Vicario Capitolare di Torino, ed il Padre Isnardi.

Questo primo ed imperfetto scambio d'idee sulle persone, come pure l'intenzione, che dimostra efficacemente la Santa Sede, di concludere, e di fare senza troppo ritardo, per primo saggio dell'accordo, alquante delle nomine, ed almeno le più indispensabili, rendono chiaro come sia urgente, che mi si mandino le Liste personali e le informazioni che occorrono per poter procedere in tal via, dichiarandomi se posso attenermi per le provincie Napoletane a quelle già state trasmesse al mio predecessore, e rinnovo quindi su tal punto le mie più vive preghiere *.

Passando da questi argomenti sui quali ci era riuscito non disagevole l'intenderei ad altri oggetti meno direttamente connessi con quello della missione, e non privi di speciali difficoltà, Sua Eminenza mi parlò, in modo però alquanto vago e confuso delle lagnanze che gli pervengono, e delle difficoltà a cui dà luogo la presa di possesso dei beni Episcopali, ed il reingresso dei Prelati stati finora assenti.

A tal proposito debbo osservare, che fin da quando ebbi udienza da Sua Santità, questa mi fece sentire desiderarsi vivamente, che nella presa di possesso, fosse lasciata ai Vescovi, insieme all'Episcopio, anche una casa di campagna per poter in certe stagioni dell'anno cambiar aria. Né mi pare difficile potersi ciò conciliare coll'osservanza della Legge, giacché la casa di campagna tenendosi non per uso di affitto, o per trame lucro qualsiasi, ma bensì per abitazione del titola~e in una parte dell'anno, sembrammi potersi comprendere appunto fra gli appartamenti inservienti ad abitazione, che sono eccettuati dalla conversione.

Mi si è poi anche da taluno fatto osservare, che molte Mense erano gravate di prestazioni pel servizio delle Cattedrali, e di altre spese di culto, per pensioni fisse, e simili, le quali prestazioni erano sempre state rispettate dall'Economato.

Ora se tali spese non si deducessero nel fare il calcolo della rendita netta, sulla

quale deve stabilirsi la quota di concorso, ne avverrebbe che alcuni titolari vi

troverebbero assorbita la massima parte, ed anche la totalità della somma loro

assegnata dalla Legge in sostituzione dei beni assoggettati alla conversione. Per

esempio l'Arcivescovo di Capua ha 12 mila lire di pensioni fisse; 7 od 8 mila lire

per concorso nelle spese di culto della Cattedrale; oltre a 9 o 10 mila altre Lire

di obbligazioni da lui assunte precedentemente, od ereditate dal suo predecessore.

Egual cosa presso a poco succede per Napoli, Salerno etc. Se si detraessero soltanto,

come alcuni agenti del Governo intendono, per istabilire il reddito netto di cui è

cenno nel N. 3 dell'art. 31 della Legge del 7 luglio 1866, le spese di fondiaria, e

della ricchezza mobile, non pochi Mitrati invece di avere quel trattamento che

la Legge ha creduto conveniente pel loro posto e dignità, si troverebbero forse

in deficit.

Il Cardinale Antonelli accennava anche a gravi impacci in cui si trovano non pochi dei Vescovi rientrati. I loro Episcopii o per effetto della guerra nel 1860,

o per essere stati successivamente destinati ad alloggio di truppa, si trovano in uno stato inabitabile. Sono spariti i mobili delle case, ed in molti luoghi anche il bestiame, e le altre scorte vive destinate ai fondi rustici, e ciò specialmente in :~.lcune provincie dove il bestiame costituiva parte notevole o principale dell'entrata.

Vi è di più la questione sui frutti arretrati delle Mense cadute in sequestro, frutti che si credono dovuti, non costituendo il sequestro se non una misura conservatoria la quale non toglie la proprietà a cui spetta.

Tutte queste cose costituiscono una massa di difficoltà, fonte di nuovi mali

umori, e di attriti disgustosi, sui quali la Santa Sede attende dal Governo, sem

precché egli sia entrato davvero nella via della conciliazione, i provvedimenti i più

larghi c soddisfacenti che siano possibili.

Io non devo dissimulare, che da quanto ho potuto raccogliere quest'affare dei beni ecclesiastici, costituisce qui la preoccupazione predominante, anche più delle altre questioni, che sono oggetto speciale del mio mandato; e che da ciò .muovono specialmente le vive ostilità, elle si suscitano agli accordi, e l'avversione

di molti anche di carattere nel resto temperato e conciliante. Se perciò può il

Governo e nella sua azione diretta e principalmente nelle istruzioni a darsi a

suoi subalterni fare in modo, che in ogni questione siano preferibilmente adot

tate le interpretazioni benigne, ed usati i modi meno rigidi, avrà tolto un grande

ostacolo al riavvicinamento della Corte pontificia al Regno Italiano.

D'un ultimo argomento mi intrattenne il Cardinale Antonelli, ed è dell'Abba

zia di Montecassino. L'Abate titolare era stato da Lui, come era stato già anche

da me, per perorare la causa dello stabilimento a cui presiede.

Osservava che l'Abbazia, oltre ad essere Collegio di Religiosi ora soppressi,

era Abbazia nullius dioecesis, avente perciò giurisdizione episcopale, e che essa

come tale non era punto caduta nella soppressione. I di lei beni perciò, se non

possono sottrarsi alla conversione, ed il reddito alla quota di concorso, non devono,

come gli altri beni delle corporazioni religiose, passare al fondo del culto.

Inoltre l'Abbazia costituendo uno dei monumenti più cospicui della Cristianità, era conveniente, che anche nell'esecuzione della Legge riguardante la soppressione delle Corporazioni religiose non si usasse soverchia strettezza per ciò che

riguardava l'assegno del personale destin2.to al servizio della medesima. Il numero che si era da principio assegnato era ben lungi dal bastare alle più indispensabili esigenze del servizio in sì vasto ed interessante locale.

Anche in ciò io mi permetto di unire le mie alle preghiere (l) del Cardinale Antonelli, perché oltre alla conveniente risoluzione in conformità del diritto sulla prima parte della questione concernente l'Abbazia nullius si proceda nella seconda con quei più larghi e dignitosi temperamenti, che sono vivamente reclamati non solo dal titolare, ma anche dall'importanza dello stabilimento.

L'ora essendo già tarda non si ebbe l'occasione di entrare in altri argomenti.

(1) In Lettere Ricasoli e in Carteggi Ricasoli questo documento è pubblicato come indirizzato a Visconti Venosta.

(l) I brani fra asterischi sono omessi in LV 10.

(l) Cfr. n. 70.

(l) Cfr. Serie I, vol. V, n. 666.

83

L'INCARICATO D'AFFARI A CITTA' DEL MESSICO, CURTOPASSI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 36/15. Messico, 29 dicembre 1866 (per. il 5 febbraio 1867).

Malgrado la risoluzione presa da Sua Maestà l'Imperatore di far presto ritorno in Messico, risoluzione resa di raglon pubblica per mezzo delle Notificazioni che ebbi l'onore di trasmettere all'E. V. con mio Rapporto Politico di

n. 14 (9 corrente) (2) il Sovrano prolunga ancora la sua assenza dalla Capitale, la sola modificazione avvenuta da quella data fu il suo traslocamento da Orizaba a Puebla.

I Consigli di Stato e dei Ministri, finite appena le Conferenze, abbandonarono Orizaba, il primo per esaminare i gravi punti stabiliti e riferirne quindi al Sovrano ed il secondo per riprendere la direzione degli affari il cui disbrigo soffre il maggior ritardo, visto la lontananza che separa l'Imperatore dai suoi Ministri. Qui unita mi pregio inviare Copia della Nota (3) che diressi a questo Sotto Segretario degli Affari Esteri in risposta alla Circolare di cui trasmisi traduzione insieme al sopra citato Rapporto di n. 14 ed oso sperare che meriterà la di Lei alta approvazione.

Sua Maestà che non avea ancora veduto il Generale Castelnau lo invitava, or son pochi giorni, a recarsi in Puebla insieme al signor Ministro di Francia. Questi due Personaggi che già da molto tempo desideravano conferire col Sovrano intorno alle attuali condizioni del paese, senza porre alcun indugio, mossero prontamente alla volta di Puebla. Prima d'ogni altra cosa si sforzarono di far intendere all'Imperatore la necessità di rinunziare ormai al potere atteso la prossima evacuazione dell'Esercito Francese. i ripetuti progressi delle armi Juariste e finalmente per far cessare uno spargimento di sangue riconosciuto affatto inutile nelle presenti circostanze; essendo che le Truppe Francesi, conservando la difensiva ed operando con grande attività la loro concentrazione sul cammino di Vera Cruz, le deboli operazioni delle poche forze Imperiali Messicane servirebbero soltanto ad inasprire il nemico già abbastanza feroce e ad accumulara odi e vendette che in gran parte ricadono sull'Elemento Straniero.

Corroborarono le loro opinioni dimostrando chimerici ed impraticabili tutti i piani proposti dal Maresciallo il quale, non avendo altro in mira che prolungare l'occupazione fino all'Autunno prossimo e per conseguenza il di lui soggiorno nel Messico, non cessa d'ingannare il Sovrano e il suo Governo. L'Imperatore ascoltò con la maggiore tranquillità e si limitò a rispondere che il Congresso che si sarebbe prontamente riunito avrebbe deciso irrevocabilmente dell'avvenire del Messico.

Al Maresciallo eziandio devesi l'interruzione delle negoziazioni intraprese tra la Francia e gli Stati Uniti per stabilire, dopo la partenza dell'Imperatore, un Governo che offra serie garanzie per tutti i Partiti e segnatamente per i residenti Esteri; è cosi che, appena giunti i generali Marquez e Miramon, il Comandante Francese riuscì a persuadere l'Imperatore che con due Personalità si influenti e capaci era follia rinunziare al Trono e che, grazie ai loro mezzi ed al di lui celato concorso, potrebbesi con grande probabilità tenere a bada il nemico pel momento e quindi riacquistare un poco per volta tutto il perduto. Decisosi così il Sovrano a rimanere ancora, il Generale Sherman e il Ministro Campbell abbandonarono Vera Cruz dove si erano recati per intendersi con le Autorità Francesi e nella intima convinzione di non trovare più al Messico l'Imperatore: tanto si era fatto credere qualche settimana prima al Gabinetto di Washington da quella Legazione di Francia. L'impressione prodotta da questo fatto che sarebbe inqualificabile se non si conoscessero tutte le mene del Ma· resciallo, è stata negli Stati Uniti funestissima alla Francia e già quei giornali trattano il Gabinetto delle Tuileries di sleale ed ipocrita. A questo proposito vennero jeri a vedermi il Ministro di Francia e il Generale Castelnau pregandomi, nell'interesse generale degli Stranieri, di scrivere al Rappresentante del Re in Washington nel senso di appoggiare presso quel Governo e le persone le più influenti del Congresso l'attuale politica francese, cioè d'indurii, se poss.ibile, ad ascoltare ancora le aperture che vengon loro fatte dalla Francia per stabilire di comune accordo nel Messico un Governo regolare che tutelasse dopo la partenza dei Francesi gl'interessi degli Stranieri.

Trattandosi in tal guisa di provvedere alla sicurezza dei sudditi del Re, tra gli altri, una volta fuori l'Esercito di occupazione, e stante la probabilità dr vederli, insieme agli altri Europei, rovinati se all'Impero succedesse il regno della violenza e dell'anarchia, ho creduto opportuno di consentire a scrivert: nel tenore chiestomi al Commendatore Bertinatti, la cui influenza negli Stati Uniti potrebbe grandemente giovare ai progetti dell'Imperatore Napoleone. Mi è noto quanto il Governo del Re abbia avuto a cuore lo stabilimento dell'Impero nel Messico, ma la decisione presa ora dal Francese di allontanare una Monarchia da esso altravolta proposta ed appoggiata non lascia altra risorsa che quella di coadjuvare con mezzi omciosi all'assesto del Paese accettando qualsiasi forma di Governo purché assiso su solide basi e offra garanzie alla proprietà.

Mi auguro, signor Ministro, d'ottenere la di Lei approvazione nell'adoperarmi così al futuro benessere dei nostri connazionali i quali, sebbene liberi di odii e vendette, sarebbero senza alcun dubbio considerati al pari dei Francesi,

Austriaci e Belgi e fatti segno alle rappresaglie ed agli eccessi di questi difensori della Libertà.

Rivenendo all'idea fissa di Sua Maestà di riunire cioè un Congresso, idea proclamata del resto nella Nota che ebbi l'onore di trasmettere in traduzione per l'ultimo Corriere, non è a discuterne l'effettuazione per le ragioni che esposi nel mio Rapporto Politico del 10 corrente: già parecchi Capi liberali, e, tra gli altri, il troppo famoso Porfl.rio Diaz han risposto all'invito spedito loro dall'Imperatore per assistere al Congresso che non potevano ammettere che un Arciduca d'Austria si arrogasse il diritto d'ingerirsi negli affari interni di un Paese e mentre questo Paese possedeva un Governo osteggiato soltanto dall'ambizione f'rancese. Oltre a ciò, ammesso ancora la riunione del Congresso, i voti per l'Impero sarebbero ben pochi. È mio convincimento che Sua Maestà, convinta purtroppo della inetncacità di questo mezzo o di qualunque altro, appoggia tale progetto soltanto per temporeggiare fino alla prossima Primavera epoca nella quale le truppe francesi abbandoneranno il Messico e quando la cessazione dell'inverno gli concederà una buona traversata.

In data del 30 luglio ultimo fu stipulata tra i Governi Francese e Messicano una Convenzione, della quale trasmetto Copia, affin di regolare definitivamente le quistioni finanziarie pendenti. In virtù di tali stipulazioni le Autorità Francesi dovevano percepire dall'epoca che l'Imperatore Napoleone avrebbe fissata la metà dei diritti doganali marittimi di tutto l'Impero Messicano; l'epoca stabilita fu il 1° Novembre ultimo, giorno in cui la Dogana di Vera Cruz, il solo porto di qualche importanza che rimane sotto la dominazione Imperiale, fu occupata dai Delegati francesi secondo l'Articolo V della Convenzione. Gl'Impiegati messicani si opposero al punto che l'Amministratore e 30 Impiegati subalterni abbandonarono i loro posti protestando contro tale Atto. Il Governo interpellato dal Ministro di Francia rispose che la mancanza di ratifl.cazione alla Convenzione per parte dell'Imperatore Massimiliano non poteva dare forza ed esecuzione ai patti convenuti. In ciò scorgerà V. E. un'altra pruova di mala fede di questo Governo il quale, mentre accetta per dar atto alla Convenzione l'epoca che l'Imperatore Napoleone indicherà, ne ritarda l'adempimento inducendo il Capo dello Stato a non apporre la sua firma.

Questa condotta del Gabinetto Lares ha minacciato di rovinare completamente il Commercio d'importazione; essendo che il Ministero di Finanze, non tenendo conto dei diritti prelevati sulle mercanzie in Vera Cruz dalle Autorità francesi, pretendeva esigere un secondo pagamento allorché giunte nella Dogana della Capitale. Tale pretensione ed i lamenti di questi negozianti che, malamente informati sulla vertenza, gridavano a più non posso contro i Francesi hanno indotto il signor Dano ad inviare al giornale Francese l'Ere Nouvelle un Communiqué che V. E. troverà in testa alla Convenzione, onde luce si faccia intorno alla quistione ed i fatti avvenuti ricevano pubblicità: unisco eziandio un Avviso dell'Ispettore Generale delle Finanze, Capo della Missione Finanziaria Francese, pel quale si annunzia che tutti coloro che avranno soddisfatto le imposte doganali stabilite dalle Tariffe messicane in Vera Cruz avran dritto di ritirare le loro mercanzie dalla Dogana di Messico e di reclamare, in caso di opposizione, l'intervento dell'Autorità francese.

Il -Documenti diplomatici -Serie I -Vol. VIII

La dissoluzione della Legione Austro-Belga, che già era stata in principio risoluta dal Sovrano, fu annunciata per mezzo del Proclama Imperiale che qui compiego. Tale misura fu dettata dalle esigenze del Ministero che non voleva che esistesse più a lungo nell'Esercito Nazionale un Corpo distinto di stranieri e che retribuivasi molto più generosamente delle truppe messicane. Per mezzo di questo Proclama lusingavasi il Sovrano di conservare, almeno fino all'ultimo momento, un nucleo di forze sul quale potesse contare, ma dei 5000 Austriaci e Belgi che rimangono oggi soli 128 soldati e 22 Ufficiali (tutti promossi qui) hanno aderito ad essere incorporati nell'Esercito Messicano. Dietro questo povero risultato si sforza l'Imperatore con mezzi indiretti di ritardare la dissoluzione della Legione e già ha disposto che vada essa a far parte della Divisione Marquez. Però l'Incaricato d'Affari d'Austria mi ha assicurato che vi si opporrà energicamente ·ed, in caso di non riuscita, protesterà e chiederà i suoi Passaporti. Mi soggiungeva d'aver ricevuto istruzioni in questo senso dal suo Governo il quale; vista la impossibilità di sostenere l'Impero Messicano senza il concorso dei Francesi, si oppone formalmente a che tante altre vite siano sprecate pel vantaggio dei Signori Conservatori.

.A tante miserie venne ad aggiunge·rsi quella del Reclutamento (Leva) la cui esecuzione si opera con l'inganno e la violenza; qualunque individuo atto a portare un fucile e che non possa con danaro esentarsi dal servizio viene preso e condotto in prigione sino a quando sia armato e vestito militarmente. Con questa specie di soldati (1000 circa) partiva ieri il generale Miramon per prendere 11 comando della Divisione del Nord ridotta ai pochi e poveri distaccamenti dei Generali Mejia Mendez e Servantes che, battuti e stretti da vicino dai Liberali, si ripiegano in gran fretta sulla Capitale. Già Guadalajara, San Luis Potosì e Jacatecas caddero in potere del nemico che, da qualche tempo si mostra più moderato nella vittoria.

Il Maresciallo che già inducevasi a vendere molte armi al Governo Messi~ano nello scopo sempre di prolungare la lotta e forse peggio ha incontrato presso il Generale Castelnau la più energica opposizione; anzi questo personaggio dicevami jeri confidenzialmente che, se il Maresciallo non terrebbe conto della di lui opinione a questo riguardo, gli avrebbe ritirato il comando dell'Esercito «Perché, soggiungeva, armare un Partito debole quando siamo ben decisi di abbandonarlo? È abbastanza il sangue versato per l'Impero».

Già da parecchi giorni siamo spettatori del panico generale: le partenze di stranieri e Messicani compromessi che possono disporre di qualche somma e gli arrivi di grossi convogli di famiglie fuggenti dinnanzi ai Liberali si succedono con frequenza: jeri l'altro giungevano insieme alla Colonna francese proveniente da Durango 400 Carri carichi di povera gente. Può V. E. figurarsi l'impressione destata qui alla vista di tanto squallore, che avverrà allorché la Bandiera Francese non sventolerà più sul suolo Messicano?

V. E. vede bene come la situazione vada sempre più peggiorando ed è ormai fuor di dubbio che, nelle attuali circostanze, il ritardo arrecato dall'Imperatore alla sua partenza cagiona danni incalcolabili ed aumenta le difficoltà di una intesa tra la Francia e gli Stati Uniti.

(l) -In LV 10 «le mie preghiere alle !stanze». (2) -Cfr. n. 52, in realtà del 10 dicembre. (3) -Gli allegati non s! pubblicano.
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L'INCARICATO D'AFFARI A VIENNA, RATI OPIZZONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. CONFIDENZIALE 10. Vienna, 29 dicembre 1866 (per il1° gennaio 1867).

M. de Beust sera de retour lundi prochain. L'on m'assure que vers le 2 ou le 3 de la nouvelle année paraitra une patente Impériale qui convoquera une espèce de Reichsrath des pays au deça de la Leyta. On soumettrait à cette assemblée l'état où se trouve la question hongroise.

Cette mesure sera-t-elle une nouvelle voie ouverte aux éssais d'entente, ou ne sera-t-elle plutéìt qu'une rupture des négociations avec la Hongrie? Dans la journée d'hier n'ayant pu voir aucun de mes Collègues, je ne saurais sur ce point que donner mon opinion personnelle. Mon opinion penche pour la seconde de ces alternatives.

M. de Beust, en manquant le but de sa course à Pest, aurait assombri la situation. Cette situation est très critique pour l'Autriche, et à cet égard je ne puis que répéter ce que je signalais à V. E. sous la date du 25 Novembre dernier dans les derniers alinéas de ma dépéche confidentielle n. 2 {1). Ces graves diflìcultés intérieures ouvrent un vaste champ à la politique spéculative qui fait le procès aux intentions de M. de Beust. L'on prétend qu'il veut se défaire de

M. Belcredi, et qu'il désire poursuivre une politique allémande hostile à la P russe. Sonder les reins et les coeurs est une tàche surhumaine et je ne crois pas qu'elle soit rendue plus facile quand il s'agit des reins et du co._:mr de M. de Beust.

Déjà dans ma dépèche politique n. 5 en date du 2 de ce mois (2) j'ai laissé entendre que M. de Beust et M Belcredi ne pourraient pas à la longue marcher ensemble. Mais pour le moment M. de Beust n'est pas assez fO!rt pour se défaire de son collègue de l'intérieur, et ensuite M. de Beust a trop d'esprit pour ne se défaire de son collègue que quand il saura par qui le remplacer. Or ce n'est pas dans ces moments-ci que l'on trouverait qui veuille ètre Ministre de l'Intérieur. Au demeurant à cet égard il faudra en outre attendre l'imprévu de la Patente, dont l'on parle.

Quant aux intentions que l'on prete à M. de Beust envers la Prusse, je crois qu'on juge cet homme d'Etat d'après ses antécedents, car depuis son entrée au Ministère il a borné la politique de l'Autriche à une politique d'extrème réserve. Il marche sur les brisées de la France tout en tàchant à la fois de ne pas trop se compromettre envers la Russie et de désintéresser la Prusse dans les affaires autrichiennes.

Je ne dis pas que si un hasard impossible amenait l'Autriche à prendre révanche en Allemagne, M. de Beust ne saisirait pas une telle occasion; mais de cette lontaine hypothèse à des préparatifs diplomatiquement apparents pour l'amener, il y a, pour l'Autriche, toute l'épaisseur des ses embarras intérieures et de sa faiblesse à l'extérieur, barrières que M. de Beust est trop avisé pour songer mème à lui faire franchir dans ces moments-ci.

(l) -Cfr. n. 24. (2) -Non pubblicato.
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IL MINISTRO A BERLINO, DE BARRAL, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 89. Berlino, 30 dicembre 1866 (per. il 3 gennaio 1867).

Le Livre Vert (1), dont V. E. a bien voulu faire l'envoi à cette Légation, excite le plus vif intéret en Allemagne et, en en donnant de nombreux extraits, tous les journaux constantent avec une extreme satisfaction, et comme étant d'un bon augure pour l'avenir, que pendant la guerre, comme pendant les négociations de la paix, la meilleure entente n'a cessé da régner entre les deux Gouvernements de Prusse et d'Italie. Il y a bien, il est vrai, le fait du silence gardé sur l'alliée dans le discours des deux Couronnes, qui a causé un ecertaine suprise, mais cette légère nuance a complètement disparu devant la lecture des documents et l'importance des résultats obtenus. A ce propos, M. de Thile m'a dit, sous forme de simple conversation, qu'il y avait eu dans la première omission du nom de l'Italie faite dans le discours du Roi de Prusse un lapsus memoriae, et ... j'ai paru le croire. La vérité que je tiens de source certaine, c'est que le Roi ne croyant pas pouvoir parler de l'Italie son alliée, sans dire aussi quelque chose de la France médiatrice, et étant encore exaspéré des réclamations territoriales faites quelques jours auparavant par M. Benedetti, a préféré, d'après le conseil du Comte de Bismarck, se taire sur l'une pour n'avoir pas à faire mention de l'autre.

Les rapports entre l'Autriche et la Prusse sont toujours empreints d'une très grande aigreur. Malgré les insistantes remontrances du Baron de Werther à Vienne, l'Autriche n'a rien voulu changer à sa première détermination d'enlever à certains de ses régiments les noms des Princes Prussiens. Le Roi en a été particulièrement blessé.

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IL CONSIGLIERE DI STATO, TONELLO, AL MINISTRO DI GRAZIA E GIUSTIZIA E DEI CULTI, BORGATTI (Ed. in L VlO, pp. 26-31, ed., con data 31 dicembre, in Lettere Ricasoli, vol. IX, pp. 149-154 e in Carteggi Ricasoli, vol. XXIV, pp. 612-617)

Roma, 30-31 dicembre 1866.

Recatomi jeri sera al convegno datomi dal Cardinale Antonelli nel precedente colloquio del 27 andante, come aveva già l'onore di annunciarle nell'ultima mia (2), egli mi rammostrò uno scritto, nei quale disse d'aver concretati gli accordi sinora presi tra le parti, ed espressi i termini nei quali sarebbersi dalla Santa Sede date le comunicazioni concertate circa le nomine Episcopali, ed il possesso delle rendite della mensa.

Presi in esame il detto scritto, ed avendovi trovata qualche lacuna, ed espressioni, che a mio concetto non rispondevano intieramente a quanto erasi

prima oralmente inteso, proposi alcune aggiunte e varianti, le quali essendo state accettate, rimase il documento redatto nella forma apparente dalla qui unita copia, che ho l'onore di rassegnarle.

A me pare, che la redazione così concepita, e della quale ciascuno di noi ritenne un esemplare stabilisca con sufficiente chiarezza i punti tutti della negoziazione, sui quali è intervenuto accordo. Vi si dice che il Governo non esigerà né il giuramento, né l'exequatur, ma ciò è fatto sotto forma di dichiarazione unilaterale e spontanea del Governo senza alcun vincolo contrattuale verso la Santa Sede. Inoltre colle parole non esigerà, che riguardano il puro fatto, mentre si lascia intatta la questione di diritto, anzi di questo in qualche modo si afferma l'esistenza, accennandosi soltanto che si prescinde dal volerne l'attuazione, non si stabilisce nemmeno una formale e perpetua rinuncia del diritto medesimo. Vi è pure senza possibile equivoco espresso che le nomine debbano farsi previo accordo delle parti, e che nella lettera di partecipazione della Santa Sede si debba far cenno esplicito di tale accordo. Infine quanto al possesso delle temporalità la Santa Sede interviene direttamente a farne la implicita richiesta coll'esprimere la fiducia, che in seguito alla nomina fatta di concerto, tale possesso sarà accordato.

Il Cardinale dimostrò particolare premura sin dal precedente convegno, che s'inserisse la clausola relativa al conveniente e dignitoso ricevimento nella sede del nuovo eletto, quale disse, essersi pure testò usato verso i richiamati in Diocesi. Non essendovi in tal clausola nulla di preciso, e limitandosi all'espressione di un voto col lasciare al Governo tutta la opportuna latitudine d'apprezzamento nella determinazione dei modi * reputati * (l) a tale scopo convenienti, e ritenuto l'esempio stesso invocato non mi parve che fosse il caso di oppormi.

Un difetto, che si troverà nel documento in esame, e che io stesso non mancai di far notare al Cardinale Segretario di Stato è il riferirsi che esso fa in modo troppo esclusivo alla mia persona, invece di avere una forma più generale. Il Cardinale però, onde mantenere intatto il carattere dell'attuale negoziato, che ha origine e fondamento in una lettera autografa di S. M. il Re Vittorio Emanuele affidata a me, non credette di far variazione su tal parte, assicurandomi per altro, che in difetto mio, qualunque altro si fosse presentato alla Santa Sede con eguale carattere, sarebbe stato trattato in egual modo.

Il Governo esaminerà se il conchiuso contenuto nello scritto di cui si fa parola, tanto per la sostanza quanto per la forma, possa essere, come pare al sottoscritto, ed al suo collaboratore, approvato. In caso affermativo sarebbe già corsa intelligenza tra me, ed il Cardinale Antonelli, semprecché cosi piaccia al Governo, che esteso qual è in doppia copia, senza altra maggior forma, che ne cambi il carattere di semplice pro-memoria, ed aggiunga soltanto la data, venga in ciascuna copia da ciascuno di noi firmato, e resti così ad unico documento delle seguite intellgenze, le quali potrebbero senza più essere susseguite dall'esecuzione. Ove il Governo per contro creda di proporre altri emendamenti, io non mancherò di proseguire su tal punto la discussione secondo quelle istruzioni che egli vorrà compartirmi.

Il Cardinale Segretario di Stato, proseguendo nel discorso, mi disse che quanto ai preconizzati non occorreva formula speciale, potendosi benissimo adattare quella già esposta, variato solo il tempo futuro nel passato. Che perciò si sa~ rebbe dalla Santa Sede scritto pure per essi, non sì tosto le fosse stato partecipato il provvedimento del Governo al quale si era accennato ne' precedenti nostri colloquiì, e di cui io tenni discorso nella mia relazione del 21 andante (l); sul che io non ebbi osservazioni in contrario. A questo proposito per altro devo avvertire che, siccome era sempre rimasto inteso, che nel suddetto provvedimento non dovesse essere compreso Monsignor Ballerini, e che il fare speciale eccezione per la sua persona in un provvedimento generale non sarebbe stato conveniente, così a superare la difficoltà, crederei, e tale pure sarebbe l'avviso del Cardinale Antonelli, che il meglio sia fare nel ridetto provvedimento l'enumerazione di tutte le Diocesi per le quali si sono preconizzati i Vescovi, lasciando fuori quella di Milano.

Tornando ai preconizzandi in avvenire feci notare al Cardinale, che le comunicazioni all'incaricato del Govfirno dovendosi, secondo il concerto, fare prima del Concistoro in cui sarebbe poi avvenuta effettivamente la nomina, e così riguardando una nomina futura, il Governo, se non avesse avuto altro avviso, si sarebbe in definitiva trovato ignaro del giorno in cui la nomina stessa avrebbe avuto luogo; il che non era conveniente dovendo egli poi dare provvedimenti circa le temporalità in rapporto appunto alla detta nomina. Trovai quindi indispensabile, che con qualche altra comunicazione ci si notificasse il giorno dell'avvenuta preconizzazione. Il Cardinale trovò giusta l'osservazione e disse che si sarebbe provveduto in tal senso.

Per la formula delle Bolle d'instituzione da tenersi per norma, secondo lo accordo preso nella conferenza antecedente, il Cardinale non avendo ancora in pronto il materiale si differì ad altro convegno.

Intanto per progredire portando il discorso sulle sedi da provvedersi, io ne comunicai al Cardinale un elenco servendomi di quello, che dal Governo era già dato in nota al Commendator Vegezzi al n. XI delle ultime istruzioni impartitegli addì 22 Maggio 1865 (2); aggiunte le due resesi vacanti posteriormente e che non sono al certo da omettere, Cagliari e Siena. Tale comunicazione per altro la feci nel senso soltanto, come espressamente dichiarai, d'indicare le sedi principali fra le quali si potrebbero trascegliere quelle a provvedersi sin d'ora; essendo concorde anche la Santa Sede, che non debbansi al presente fare molte nomine, ma soltanto le più indispensabili stante la difficoltà di trovare il personale adattato alle giuste esigenze d'ambedue le parti.

Quanto alle persone si disse pure d'accordo di accelerare da una parte e dall'altra le indagini, onde poter quanto prima comunicarsi le rispettive intenzioni, e concretare qualche cosa di positivo.

A questo punto mi cade in acconcio di osservare, che se le presenti trattative hanno potuto essere condotte quasi a maturità sui punti cardinali con felice successo, ciò devesi principalmente all'assoluto segreto in cui si tennero sempre da una parte e dall'altra. Ebbi io stesso occasione di accorgermi e n'ebbi sentore

eziandio del Cardinale Antonelli, che vivìssimi sono i conati dei partiti avversi alla conciliazione nel senso sia ultra-clericale che avanzato per suscitare ostacoli alla riuscita dell'accordo, e pare che a ciò non si tenga neppure affatto estranea la Diplomazia. Il Cardinale Antonelli desidera come me che ·tale segreto sia conservato gelosamente sino ad opera compiuta, e credo perciò mio dovere di farne, in quanto occorra, speciale ricordo.

Non devo eziandio dimenticare, che il Cardinale mi rammemorò di nuovo la causa dei Vescovi rientrati raccomandando caldamente che il Governo voglia provvedere acciò nessuno di essi abbia a trovarsi senza alloggio e senza assegno. Io lo assicurai averne già tenuto discorso nella precedente mia relazione, e gli promisi di farne nuovamente viva istanza.

Prima di chiudere la presente relazione farò un'ultima avvertenza. Alla mia partenza da Firenze essendomi stato conferito oralmente il mandato di esplo·rare se fosse possibile di ottenere dalla Santa Sede, che in tutte le provincie del Regno si facesse una riduzione delle feste eguale a quella già decretata per le antiche provincie, io non mancai fin dai primi colloquii che ebbi col Cardinale Segretario di Stato, di farne opportuna mozione. Il Cardinale mi promise di parlarne al Santo Padre non senza farmi osservare, che una tal pratica richiedeva un tempo alquanto lungo, perché la Santa Sede usava in siffatto argomento non addivenir mai ad una determinazione senza consultare i Vescovi dei luoghi. Soggiungeva inoltre che i provvedimenti generali in ciò erano difficili stante le tradizioni molto varie che intercedevano da paese a paese, e che in alcuni di questi una soppressione male avvisata avrebbe potuto produrre disturbo. Ad ogni modo promise, come ho detto, riferirne al Pontefice e prendere i suoi ordini. Io ricordai tale subbietto al prelato, ed avendomi risposto, che non aveva potuto ancora tenerne discorso a Sua Santità, io gli rinnovai le mie raccomandazioni riservandomi di riferirne al Governo appena ne abbia materia.

Il Cardinale avendo fissato nuovo convegno per sabbato 5 prossimo gennajo per concordare definitivamente sulle formule, e trattare anche delle persone per quanto si avranno già elementi in pronto, io prego la S. v: Onorevolissima a volermi far pervenire a tempo le pregiate sue comunicazioni.

Roma, 31 dicembre 1866.

P.S. Ritardai la spedizione già pronta della presente relazione perché dovendo jeri stesso 30 corrente avere l'onore di presentarmi da Sua Santità, volli aspettare l'esito dell'udienza per vedere se avessi qualche cosa di notevole da aggiungere. Io aveva espresso il desiderio al Cardìnale Antonelli di fare nelle presenti circostanze un doveroso atto d'ossequio al Santo Padre. Riferitosene a Lui mi venne tosto spedito l'avviso per l'udienza. Sua Santità mi ricevette coll'usata sua cortesia, e mi trattenne seco per oltre un quarto d'ora. Siccome però si trattava di visita di semplice complimento non si entrò nelle particolarità degli affari pendenti; essendosi il Pontefice limitato ad esprimere su di ciò la sua soddisfazione perché le cose abbiano preso buona piega, e siano avviate a felicé soluzione. Toccò però anch'egli di quei Vescovi, che tornati in diocesi Yi_sLtr_<LYa~ vano senza casa e senza vitto, ed io mi feci premura di dargli le stesse assicurazioni, che aveva già porto al Cardinale Antonelli.

ALLEGATO (1).

Il Commendatore Tonello, inc:aricato da S. M. il Re Vittorio Emanuele con lettera del 6 dicembre 1866 diretta al Santo Padre di riprendere le trattative sulle provvidenze da adottarsi possibilmente per provvedere alle molte Diocesi vacanti, avendo dichiarato che il Governo non esigerà giuramento dai nuovi Vescovi che saranno preconizzati dal Santo Padre, né l'exequatur alla loro Bolla, si è convenuto, che dopo prese con il medesimo le opportune intelligenze sulle persone da scegliersi per le diverse Diocesi che dovranno coprirsi, gli si scriverà una lettera confidenziale, colla quale gli si annuncierà, che in seguito ai concerti presi il Santo Padre nel prossimo Concistoro preconizzerà a vescovo della Diocesi di N. il Signor N. nella fiducia, che il prelato preconizzato nel recarsi nella sua sede sarà ricevuto con i riguardi dovuti al suo rango, ed immesso nel possesso delle rendite della mensa.

(l) -SI tratta del L V 9, presentato al Parlamento Il 21 dicembre 1866. (2) -Cfr. n. 82.

(l) La. parola. tra. asterischi è omessa. in LV 10.

(l) -Cfr. n. 70. (2) -Cfr. Serle I, vol. VI, n. 12.
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IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, RICASOLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA (AVV)

L. P. [Firenze], 31 dicembre 1866.

Le restituisco l'umzio del Cav. Nigra riguardante Roma (2). Esso mi porge una pruova di più della necessità di lavoro paziente e continuo presso il Governo Francese, e più specialmente sull'animo dell'Imperatore, onde giungere gradatamente a far accettare le nostre idee, le quali hanno l'appoggio della ragione e della convenienza. La dichiarazione del Pontefice che lascerebbe Roma quando l'esercito italiano varcasse le frontiere è per lo meno superflua avendo il Governo Italiano dichiarato solennemente la ferma risoluzione di rispettare il territorio pontificio e di osservare gli obblighi assunti colla Convenzione. L'eventualità che fu presa in esame con lei e il Cavalier Nigra riguardava il caso, che il Papa si ritirasse da Roma, e qualche moto anarchico si pronunziasse in questa Città, e in tal caso le nostre soldatesche altro scopo non avrebbero che di ristabilire l'ordine a tutto vantaggio dell'indipendenza spirituale del Pontefice.

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L'INCARICATO D'AFFARI A VIENNA, RATI OPIZZONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. CONFIDENZIALE 11. Vienna, 1° gennaio 1867.

Dans ma dèpèche confidentieUe n. 2 en date du 25 novembre dernier (3) en signalant à V. E. l'agitation croissante des races chrétiennes en Orient, j'ai eu l'honneur de lui soumettre mes appréciations par rapport à la politique Q.ue

le Gabinet de St. Pétersbourg paraissait suivre à cet égard. Dépuis lors le Jangage de cette Légation Russe est venu confirmer mes appréciations précédentes. Ce langage n'admet. meme plus la possibilité qu'une puissance européenne ose intervenir pour la Turquie contre les races chrétiennes, pour lesquelles la Russie réclame, tout au moins, l'application du principe de la non-intervention.

Bien qu'il y ait assez de motifs pour douter du désintéressement du langage du Cabinet Russe, on ne saurait cependant pas dénier à ce langage un fondament de justice véritable et le mérite d'une modération apparente. M. de Stackelberg parle depuis quelque temps avec le calme de l'homme qui ne doute plus de l'accueil que l'an doit faire ici à la manière dont san Gouvernement envisage et reste spectateur des événements qui se déroulent en Orient. Ce qui me confirme davantage dans l'opinion que j'ai émise dans ma dépeche confidentielle n. 9 en date du 24 dernier (l) sur le rapprochement qui a eu lieu, ces derniers temps, entre les deux cabinets de Vienne et de St. Pétersbourg.

Le rapprochement se serait opéré principalement par ricòchet, c'est-à-dire, que le Cabinet Russe aurait su gré à celui de Vienne de l'action que M. de Beust a exercé sur le Cabinet de Paris. M. de Moustier qui venait tout droit de Constantinople y avait apporté des idées très arretées. Mais ces idées de

M. de Moustier ont dO. se modifier considérablement ensuite de ce que M. de Gramont Cinfluencé par M. de Beust) écrivait à Paris dans tous ces derniers mais. En effet l'insinuation faite par M. de Beust à M. de Gramont «qu'il serait plus politique et plus pratique si sur les points possibles on mettait à profit la coopération de la Russie » laisse entrevoir le double ròle que l'Autriche compte jouer à la fois au milieu de la Russie et de la France.

Camme le langage officiel de cette Légation Russe est que l'an doit pour le moins respecter les efforts légitimes des races chrétiennes orientales, l'Autriche, qui a encore plus de crainte de la Russie qu'elle n'a la confiance dans la France, veut prendre au mot le Cabinet Russe, et conseille que l'an donne, à l'instar de celui de Serbie, un Gouvernement autonome aux autres races chrétiennes de l'Empire turc. En amenant les autres Puissances à travailler à ce programme, l'Autriche atteindrait le double but d'ajourner à une date plus lointaine la question de l'existence turque (question qui maintenant l'entrainerait dans des chances très dangereuses pour ses pays magyars et slaves) ensuite de neutraliser l'action isolée du Cabinet de St. Pétersbourg, action isolée que l'on veut empécher à tout compte. A cet effet le Cabinet de Vienne a non seulement appuyé à Constantinople les demandes du Prince de Serbie, mais je sais qu'il a meme conseillé à la Porte d'entrer en négociation et de s'entendre par compromis avec la Population candiate.

Cette politique est imposée à l'Autriche par sa situation intérieure, tandis que sa situation géographique lui empeche soit de se recueillir, soit de s'isoler. A l'égard de cette situation intérieure je signale à V. E. un fait que je tiens d'une source sérieuse, mais que je ne saurais pas contròler d'ici. Tandis que dans les autres Provinces de l'Empire il n'y a que du papier-monnaie, l'argent prussien court dans les villes et les villages de la Hongrie. Presque dans

chaque cabane de la Croatie il y a un portrait de l'Empereur de Russie, chef de la Religion orthodoxe. Avant-hier l'on s'entretenait beaucoup des rapports entre la Turquie et la Grèce et de l'existence ou non de la note de la Porte. Hier je n'ai pu voir ni

M. de Beust qui est encore à Dresde, ni le Sous-Secrétaire d'Etat, ni mes collègues. Tout le monde était en course, ainsi que moi, pour les visites officielles du Nouvel-an. Hier au soir j'ai vu le Baron dc Heeckereu, Ministre des Pays-Bas. Ainsi que moi il ne croyait non plus à l'existence d'une note turque dont communication dllt etre faite au Gouvernement autrichien, tout au plus une pareille communication ne serait adressée qu'aux trois Puissances Protectrices.

(l) -L'allegato non è edito In LV 10. (2) -Cfr. n. 71. (3) -Cfr. n. 24.

(l) Cfr. n. 76.

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IL MINISTRO A PARIGI, NIGRA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

(AVV)

L. P. Parigi, 1° gennaio 1867.

Non voglio lasciar partire il corriere senza scrivervi.

Oggi ebbe luogo secondo il solito ricevimento del Corpo Diplomatico alle Tuileries. Ve ne mando d'ufficio il rendiconto. Le poche parole dette dall'Imperatore, che avrete ricevuto per telegrafo O), sono decisamente pacifiche. Esse produrranno, non ne dubito, ottimo effetto.

Tuttavia vi è un punto nero sull'orizzonte, ed è la questione del Lussemburgo che pare voglia presentare una certa gravità. L'Olanda reclama contro la presenza d'una guarnigione prussiana che non è più giustificata dal momento che l'antica Confederazione Germanica è sciolta. La Francia s'esprime pur essa in questo senso. Non vorrei che questa questione, insignificante in sostanza. pigliasse gravi proporzioni. La Prussia agirebbe, a mio avviso, saviamente, accordando questa piccola soddisfazione alla Francia. Chiamo la vostra attenzione su questo incidente.

Ieri il Principe Napoleone mi disse che il viaggio dell'Imperatrice era tornato sul tappeto e che il progetto non era ancora definitivamente abbandonato. Non ho ancora potuto verificare l'esattezza di questa notizia; ma per ogni buon fine ho creduto bene di farvene cenno per telegrafo (2).

Sulla questione romana non ho nulla da aggiungere a quanto v'ho scritto nei giorni addietro (3). Più ci penso e più son persuaso che per ora non ci conviene far altro che dare alla Francia ed ottenere da essa l'assicurazione che, qualunque cosa capiti a Roma, i due Governi non faranno nulla separatamente senza prima aver tentato di mettersi d'accordo. Ben inteso per parte nostra dobbiamo escludere fin d'ora ogni idea d'intervento estero. Però prima di fare altre pratiche aspetto un vostro cenno. La Francia in questo momento non fa nessun tentativo per una guarentigia europea.

La condotta tenuta da Bismarck in questa questione è veramente amiche

vole per noi, come è abile pel Governo prussiano. Gioverà che troviamo modo

di fargli sapere che l'Italia ha saputo apprezzare il suo procedere, come apprezza altamente l'alleanza prussiana anche in futuro. Io credo d'interpretare le idee del Governo del Re, usando qui la poca influenza per impedire ad ogni costo una collisione tra la Francia e la Prussia. Del resto vi confermo che l'Im~ peratore continua nelle sue disposizioni pacifiche e savie. La frase che l'Imperatore diresse a noi al ricevimento del Corpo Diplomatico fu pronunciata con espressione di molta benevolenza.

(l) -T. I. non pubblicato. (2) -T. 1171 del 31 dicembre, non pubblicato. (3) -Cfr. nn. 71 e 79.
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IL MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AL CONSIGIERE DI STATO, TONELLO

T. 3. Firenze, 2 gennaio 1867, ore 21.

Nous avons quelques observations à faire au sujet de la formule concertée entre vous et le cardinal Antonelli (1). Le ministre de l'Instruction Publique qui se rend à Naples arrivera à Rome demain au soir et vous apportera toutes les explications nécessaires. Veuillez attendre son arrivée avant de faire nouvelles démarches. Le Gouvernement réunit en attendant les informations pour les propositions des évéques.

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IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, ALL'INCARICATO D'AFFARI A COSTANTINOPOLI, DELLA CROCE

D. l. Firenze, 2 gennaio 1867.

Votre dépéche du 19 décembre (2) par lequelle vous m'avez envoyé copie de la lettre que S. A. le Prince de Servie a adressée au Grand Vizir ne m'est parvenue que par le dernier courrier du Levant.

Ce document m'étant aujourd'hui connu textuellement, je ne veux pas tarder à vous mettre à méme d'exprimer la pensée du Gouvernement du Roi sur une question où l'opinion générale en Europe et les vues des Puissances garantes se trouvent entièrement d'accord.

J'étais déjà informé des dispositions favorables des Cabinets de Londres et de Vienne envers la Servie.

Les informations que j'ai reçues de Saint Pétersbourg me donnent tout lieu de croire que les sympathies traditionnelles du Gouvernement Russe ne feront point défaut au Prince Miche! dans cette circonstance. Le Gouvernement Impérial peut bien désirer que l'on évite tout mouvement inconsidéré, mais il ne peut point abandonner la ligne de conduite qu'il a constamment suivie depuis les traités de Bukarest et d'Adrianople et la Convention d'Ackermann jusqu'à ce jour. Tout confirme donc vos propres informations sur la manière de voir de ces trois puissances à l'égard des affaires de Servie.

La politique de la France ne saurait étre différente, et rien ne fait supposer que dans la question des forteresses Serbes l'opinion du Gouvernement fran

çais soit différente aujourd'hui de celle qu'il a ouvertement montrée dans les Conférences de Candlidjia en 1862.

L'Autriche parait vouloir modifier sensiblement sa politique dans la question de Servie. Soit qu'il faille voir dans ce changement l'effet d'un accord entre l'Autriche et la France, soit que l'Autriche se prépare de propos délibéré à reprendre cette politique qui avait exceptionnellement prévalu à Vienne à une époque fort éloignée lors de la paix de Listow, nous ne pouvons que nous féliciter de ce qu'il y a de favorable à la Servie dans cette nouvelle attitude de la politique Autrichienne.

Vous n'ignorez certainement pas que depuis 1862 le Gouvemement du Roi ne voyait la solution de la question des forteresses que dans l'évacuation complète du territoire serbe par les troupes ottomanes. D'autres avis ont prévalu dans les accords qui ont été pris à cette époque et la participation de l'Italie n'a servi qu'à démontrer une fois de plus notre désir de nous associer à tout acte destiné à sauvergarder les droits et les intérèts de toutes les parties intéressées et à maintenir le respect des traités solennellement signés par les Puissances.

La conservation de la paix est le but exclusif de notre politique. Ce résultat si désirable ne peut ètre obtenu que par de sages transactions et par l'accord complet des Puissances garantes.

Puisque les Cabinets de Paris, de Londres, de Vienne et de Saint Pétersbourg paraissent vouloir se mettre d'accord pour appuyer les demandes de la Servie, puisque le texte mème de la lettre du Prince Miche! contient des engagement explicites et sérieux, puisque enfin les changements survenus dans l'art de la guerre ont enlevé presque toute l'importance stratégique des forteresses Serbes, on ne verrait pas pourquoi la Sublime Porte ne voudrait point, d'elle mème et sans attendre le conseil des Puissances, adhérer à la demande d'évacuation qui lui a été adressée. Nous verrions dans cet acte spontané une preuve de la sagesse du Gouvernement de S.M.I. le Sultan.

Dans le cas où des démarches pourraient etre faites dans ce sens auprès

de la Sublime Porte, vous trouverez dans cette dépèche des élements suffisants

pour régler votre conduite. Je me réserve du reste de vous envoyer de plus

amples instructions aussitòt que de nouvelles circonstances Ies rendraient né

cessaires.

(l) -Cfr. n. 86, allegato. (2) -Cfr. n. 65.
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IL MINISTRO DI GRAZIA E GIUSTIZIA E DEI CULTI, BORGATTI, AL CONSIGLIERE DI STATO, TONELLO (Ed. in L V 10, pp. 31-33)

Firenze, 2 gennaio 1867.

Il Governo del Re accusando ricevuta alla S. V. Onorevolissima del Dispaccio in data 28 scorso dicembre (1), in cui dà ragguaglio della conferenza te

nuta la sera precedente col Cardinale Antonelli, innanzi tutto si affretta a significarle di avervi raccolti nuovi argomenti per render merito allo zelo con cui Ella attende a sdebitarsi dall'incarico che Le fu commesso.

Ben contento il Governo che ad appianare le vie al buon esito della sua missione Ella vada avvicinando costà i personaggi più autorevoli ed influenti, tiene per fermo che nei colloqui con essi saprà sempre far emergere la vera natura della medesima, e saprà eliminare qualunque erronea interpretazione che contraddica allo spirito delle istruzioni ricevute, che non si conformi allo scopo de' nostri intendimenti, che contrasti coi principi fondamentali del diritto pubblico Nazionale.

II Governo ha veduto con soddisfazione che Ella non si è punto dipartita dalle istruzioni anzidette nelle intelligenze a che sarebbe venuta col Cardinal Antonelli circa il modo di far constare dei concerti presi intorno alla provvista delle Sedi vacanti, all'insediamento dei Vescovi e alla loro immissione in possesso delle temporalità. Infatti, tali intelligenze includono il concetto che nell'attualità dei rapporti tra Chiesa e Stato il Governo Italiano deve intervenire nella nomina de' Vescovi e nella loro immissione al possesso delle temporalità inerenti alle rispettive sedi, non già in virtù di Concordati e coi modi e nelle forme da questi introdotti, ma a garanzia dei diritti che secondo le constituzioni e consuetudini Ecclesiastiche spettavano in antico al laicato della comunione cattolica ed a tutela dell'ordine pubblico e degl'interessi generali della Nazione.

Ma le difficoltà sollevate dal Cardinale Antonelli circa la forma delle comunicazioni, con cui le anzidette intelligenze dovrebbero mandarsi ad effetto, hanno indotto il Governo del Re ad adottare un partito più naturale e più semplice di quello che sarebbe stato discusso fra Lei e il Cardinale prelodato, in virtù del quale le allegate difficoltà sarebbero scansate senza che da parte nostra o da quella della Santa Sede si tocchi la quistione politica o si pregiudichino le reciproche convenienze. Consisterebbe un tal partito nel prescindere da qualsivoglia comunicazione per iscritto e nel restringere l'accordo a semplici concerti verbali, di cui Ella avrebbe l'esclusivo incarico. Ciò ammesso, non vi sarebbe che da avere preventiva cognizione della Bolla, che tanto i Vescovi nuovamente nominati, quanto i già preconizzati dovrebbero presentare affine di essere insediati ed immessi nel possesso delle temporalità; ed ogni altra pratica seguirebbe per mezzo di Lei, vale a dire Ella s'intenderebbe colla Santa Sede circa i soggetti da nominarsi, e ragguaglierebbe il Governo delle nomine che sarebbero concertate. Di tal guisa i ripresi accordi sarebbero per la via più breve condotti a quel risultato, che era negli scambievoli intendimenti del Santo Padre e del Governo del Re, allorché furono primamente intrapresi; per cui senza toccare ad alcuna quistione politica e senza vincolare menomamente l'avvenire, provvederebbero a far cessare quell'anormale condizione in cui è la Chiesa Cattolica nel Regno d'Italia per la vacanza di tante Sedi Vescovili. A tale uopo i concerti non debbono cadere che sulle Sedi da coprirsi e sui soggetti da nominarsi; e il Governo del Re non dubita che su questi due capi verrà agevole alla prudenza di Lei di ridurre la Santa Sede a partiti conciliativi e ragionevoli. Fuor di dubbio si riconoscerà anche costì la convenienza

di procedere alla provvista delle Sedi vacanti in modo graduale e successivo incominciando dalle più importanti, da quelle vacanti da più lungo tempo e da quelle ove la presenza di un titolare fosse richiesta da speciali circostanze. Quanto ai soggetti Ella prenderà norma dalla lista che Le si compiega (l) che verrà poscia successivamente estesa ad altri nomi intorno ai quali il Ministero sta assumendo le opportune informazioni, e non vorrà omettere di d1chiarare al Cardinale Antonelli, che, mentre si apprezzano le sue vedute circa la nomina a Vescovi de' Vicarj Capitolari e Generali, non si potrebbe accogliere verun oftlcio pei Vicarj Capitolari di *Fiesole, di Arezzo, di Prato e di Pistoia, non già tanto perché si chiarirono in molti incontri ostili al Governo, quanto perché a cagione delle loro intemperanze sono invisi alle popolazioni* (2).

Sui richiami riguardanti la presa di possesso dei beni Episcopali, i Vescovi rientrati e la Badia di Monte Cassino, Ella riceverà fra breve positivi ragguagli, insieme a un cenno sulla pensione del Vescovo di Famagosta. Frattanto Ella può significare al Cardinale Antonelli essere ne' propositi del Governo, che in correlazione alla più ovvia interpretazione dei termini della relativa Legge, le case di villeggiatura dei Vescovi e de' Seminarj siano esenti dalla conversione; che si sta avvisando al modi di venire in efficace sussidio ai Vescovi rientrati nello loro Diocesi, e che sebbene anche il Consiglio d!l. Stato abbia opinato non poter la Badia di Montecassino essere sottratta alla soppressione, il Consiglio de' Ministri terrà pur esso in esame la relativa quistione, intanto che la soppressione non impedirà che sian prese colà tutte le opportune disposizioni pel mantenimento della giurisdizione spirituale, pel servizio del culto e per l'interesse della scienza. Vorrà poi soggiungere in genere che il Governo del Re sperando che non si farà salire fino a lui la responsabilità di taluni atti inconsulti commessi da agenti inferiori, non ha mancato di attenersi e si atterrà scrupolosamente anche in appresso alle dichiarazioni emesse solennemente nel Parlamento circa l'esecuzione della legge del 7 luglio, dichiarazioni che già includevano il biasimo degli atti sopra indicati ed assicuravano tutti gli interessati della moderazione con che quella legge sarebbe stata applicata e dell'accoglimento che si sarebbe fatto ad ogni legittimo loro richiamo.

(l) Cfr. n. 82.

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IL MINISTRO A PIETROBURGO, DE LAUNAY, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. CONFIDENZIALE 159. Pietroburgo, 2 gennaio 1867 (per. il 9).

Le Prince Gortchacow, encore convalescent, a bien voulu me recevoir avant hier. N'ayant aucune communication à lui faire, je m'étais présenté chez lui sous le prétexte de prendre des nouvelles sur sa santé.

Il avait précisément à me parler sur deux points. Il s'appliqua d'abord à me fournir quelques détails relativement à l'attitude de la Russie dans la question de la reconnaissance du nouvel hospodar

de Roumanie. En présence des instances du Cabinet des Tuileries, pour que cette reconnaissance fftt constatée par un acte collectif de la Conférence siégeant à Paris, S. E. jugeait toute démarche ult'rieure comme superflue, puisque, en réponse à la communicatlon du firman d'investiture, le Gouvernement Russ'e avait déjà donné un assentiment direct, sodt à Constantinople, soit à Bukarest. Il avait d'ailleurs demandé cet été la clòture des Conférences « pour cause d'indignité ». Le Baron de Budberg, en cas de convocation, ne serait pas autorisé à intervenir à la séance pour le but déterminé. Il répondrait en invoquant le non bis in idem dans une affaire de simple formauté, puisque dans le fond -les Puissances étaient d'accord, comme le Prince de Hohenzollern l'avait au reste déjà proclamé par devant les Chambres législatives. Dans cette éventualité, l'absence du plénipotentiaire russe donnerait cependant lieu à des commentaires, qu'll dépendrait du Marquis de Moustier de prévenir. Sa conduite jusqu'ici serait inexplicable. En effet, l'Empereur Napoléon semblerait disposé à préparer les voies à une entente.

Le Vice-Chancelier avait été interpellé à cet égard par Sir Buchanan, et il n'avait pu s'empikher de lui faire observer combien il était puéril de s'occuper d'un semblable pléonasme politique, quand des intérèts bien plus réels s'imposaient à toute la sollicitude des Puissances.

« Cette observation, ajoutait le Prince Gortchacow, sert de transition au second point dont je vais vous entretenir, académiquement et confidentiellement.

Avant et pendant la dernìère guerre en Italie vous m'aviez dit que la libération de la Vénétie aurait pour résultat d'amener une entente entre nos deux Pays, dans les affaires orientales ».

Je l'interrompis en cet endroit, pour bien établir, comme je l'avais fait une fois déjà, que j'avais simplement énoncé l'idée que l'accomplissement de notre programme national nous perme'ttrait de tendre plus facilement la main à la Russie à travers l'Adriatique, quand nos intérets réciproques seraient en jeu.

«Eh bien!, poursuivait S. E., comment concilier ce langage avec votre attitude en Orient? Je sais que l'un de vos Agents, personnellement bien disposé en faveur des chrétiens, allègue qu'il se trouve paralysé par des instructions précises de Florence, lui enjoignant de marcher scrupuleusement d'accord avec la France. Est-il de votre dignité de remplir un ròle aussi secondaire? J'avais révé mieux pour l'Italie, surtout en connaissant le mérite de ses hommes d'état. Il serait préférable de s'abstenir, que de la[sser entrevoir que l'infiuence étrangère domine chez vous dans ces questions ».

J'ai marqué ma surprise d'entendre émettre un semb1able soupçon, lorsque, il y a peu de mois encore, nous avions donné une preuve éclatante de nos rapports pleins d'indépendance vis-à-vis du Gouvernement français, lors de la cession, à lui faite par l'Autriche, de la Vénétie. Mes instructlons ne me traçaient aucune règle absolue. Elles ne sauraient se trouver en contradiction avec celles d'autres chefs de mission. J'ignorais auquel de nos diplomates il était fait allusion, mais si par exemple nos représentants à Constantinople, à Paris, à Londres, etc. étaient autorisés à se rapprocher du point de vue français, ce serait, non point par condescendance, mais peutetre parceque nos propres convenances nous portaient du còté d'un Cabinet qui travaillait, avec plus ou moins de succès, à éloigner les complication:; orientales. L'Italie, vouant désormais tous ses efforts à sa réorganisation intérieure, avait le droit et le devoir de se rallier à une politique pacificatrice à l'étranger. Nous repousserions au reste tante poHtique de sujétion, meme apparente. L'on peut en effet, sans cesser d'ètre l'ami de ses voisins, sans cesser de désirer leur bien ètre et leur prospérité, ne pas oublier ses propres intérèts, et se préoccuper des moyens de les sauvegarder le mieux possible.

Le Prince Gortchacow me répéta qu'il n'avait parlé que d'une manière académique, et nullement pour faire vibrer une corde si sensible chez tout bon patriote italien. Me parlant alors de l'attitude spéciale de la Russie, il entra dans Ies détails suivants.

C'est par respect pour les Traités, qu'elle s'était tout d'abord opposée auÀ voeux exprimés par la Moldo-Valachie. Dans le fait, mieux valait pour ces Prov1nces un Prince étranger, qu'une sangsue indigène. Mais elle prévoyait quE: le gain de cause remporté par les Roumains aurait un contre-coup chez les Serbes et chez les populations grecques, qui ont tout autant, pour ne pas dirE: plus, de titres à leur autonomie. Les événements ont donné raison à ces prévisions. Les faits accomplis à Bukarest, et sanctionnés par les Puissance:>, constituaient le commencement du démembrement en Orient. Le Gouvernement russe a été en butte à des insinuations malveillantes. On lui attribuait des projets d'agrandissement et une participation plus ou moins directe dans l'insurrection candiate. Il ne nourrit aucun projet ambitieux. Ses démarche::; n'avaient d'autre but que de prévenir une explosion. Il lui a été opposé des fins de non recevoir à Paris et à Londres. La Subl1me Porte a fait la sourde oreille. Dans l'intervalle, le mouvement s'est propayé. Pourra-t-on l'arrèter? Les Cabinets devraient maintenant se hater de s'entendre, pour empècher des complications sérieuses entre Ies Puissances européennes. Le mode préférable serait de se concerter de Gouvernement à Gouvernement, sans recourir à une Conférence, dont les Membres sont toujours tenus d'en référer à leur commettants. Il paraitrait que l'Empereur Napoléon commencerait à ne plus partager les opinions par trop turcophiles du Marquis de Moustier. Son Ministre à Athènes aurait reçu de nouvelles instructions, moins défavorables au Cabinet d'Athènes. Le Vice-Chancelier espérait aussi que cette circonstance, jointe à l'incident du Prince Tommaso, modifierait également notre conduite. Il eut seulement préféré, à ces vents alizés, quelque soume généreux et plus régulier, partant directement de Florence, au triple point de vue, de nationalité, d'humanité et de civilisation chrétienne. Sans que l'on puisse constater un revirement complet en Angleterre, quoique Sir Andrew Buchanan se dise autorisé par son Gouvernement à se piacer du coté de la Turquie, le vent là aussi change dans l'opinion publique. Les articles du Times sont significatifs.

Quant à l'Autriche, le Prince Gortchacow se montrait satisfait de ses dispositions dans la phase actuelle. Il pourrait souscrire au langage du Baron de Beust, qui s'écarte tellement de celui que ses prédécesseurs tenaient depuis

plus de cinquante ans. Il est vrai qu'il peut-ètre plus explicite, parcequ'il n'inspire pas la défiance dont on se plait à entourer toute provenance russe. Le Prince attendait des communications de Paris et de Londres, qui l'éclaireraient peut-etre mieux sur les véritables intentions de ces Cabinets.

J'ai déjà eu l'occasion d'appeler l'attention de V. E. sur un propos inconsidéré tenu par un d,e nos Consuls. (Dépeche confldentielle consulaire, du 7 novembre dernier) (1). S'i:l est vrai maintenant, comme l'amrme le Prince Gortchacow d'après, d1sait-il, les meilleures preuves, qu'un de nos Agents diplomatiques, dont il taisait le nom, aurait avoué ou aurait laissé surprendre le secret de ses instructions, il est facile de se rendre compte qu'on soit fort médiocrement satisfait de notre politique Orientale. Il est évident que le point de vue est changé pour nous depuis la réunion de la Vénétie. Autant devionsnous etre impatients de saisir et meme provoquer tout prétext de délivrance, autant devons-nous désirer aujourd'hui quelques années de repos. J'admets meme que, dans une certaine mesure compatible avec notre dignité et nos rapports avec d'autres Gouvernements, nommément avec la Prusse, nous nous rapprochions davantage de la France, mais cela ne justifierait pas un agent diplomatique quelconque, s'il convenait que nous agissons, non par conviction ni en vue de nos intérets, mais en quelque sorte d'après un parti pris d'emboiter le pas de la France.

Quelles que soient les prétendues preuves fournies au Vice-Chancelier par ses Agents, je me refuse à les admettre. Mais ce qui m'a été dit par S. E. est un motif de plus pour nous tenir sur nos gardes.

Mon rapport confidentiel du 25 décembre (l) échu doit porter le N. 158, et non 157 figurant déjà dans mon expédition du 19 du meme mois.

(l) -Non rinvenuta. (2) -Il brano tra asterischi è omesso in L V 10.
94

IL MINISTRO A PIETROBURGO, DE LAUNAY, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. CONFIDENZIALE 160. Ptetroburgo, 2 gennaio 1867 (per. il 9).

Le meme Jour où j'ai eu avec le Prince Gortchacow l'entretien dont j'al rendu compte dans ma dépeche N. 159 (2), S. E. recevait, après ma visite, celles de l'Ambassadeur de France et du Chargé d'Afi'aires de Prusse.

Le Baron de Talleyrand renouvelait sa demande du concours de la Russie à la conférence appelée à prendre acte de la reconnaissance du Prince de Hohenzollern par le Sultan. Le Ministre Impérial des afi'aires étrangères a maintenu ses fins de non-recevoir. Le Baron de Budberg ne paraitra pas à la Séance, et expliquera au Marquis de Moustier les motifs de son abstention.

Le Comte de Kayserling ava,it été également chargé d'user de ses bons omces pour modifier à cet égard les dispositions du Gouvernement Russe. Mais

12 -Documenti diplomatici -Serie I -Vol. VIII

il n'a pas eu .plus de succès, quelque Hlt le désir nouvellement manifesté à cette occasion, par le Vice-Chancelier, de marcher d'accord avec le Gouvernement prussien. Au reste, le Comte de Bismarck semblait ne pas attacher une bien grande importance au règlement d'un point aussi seconda>ire. S'il s'était un instant écarté de sa réserve dans les questions Orientales, il ne l'avait fait que pour faciliter à la Russie le moyen de sortir d'une impasse.

L'obstination de la France et de la Russie est assez mexplicable, du moment où, comme les autres Puissances, elles sont d'accord sur le fond des choses. Il est en effet puéril de se disputer pour de simples formalités. Y aurait11 dans ce jeu un dessous de cartes? La Russie, malgré l'assurance que la convocation de la Conférence n'a qu'un but déterminé et unique, aurait-elle lieu de soupçonner quelque surprise, une ampliation à l'ordre du jour? La France voudrait-elle lui lier les mains, en influençant de plus près son plénipotentiaire, le Baron de. Budberg, don t l'attitude à cette méme conférence, l'été dernier, n'a pas toujours été strictement conforme aux instructions de sa Cour? Ce ne sont là que des suppositions. Dans tous les cas, en se plaçant à un polnt de vue impartial, il faut convenir qu'un acte de condescendance devrait moins coùter à la France qu'à la Russie. La première a remporté gain de cause dans les Principautés Danubiennes, en infligeant maintes humiliations au Gouvernement russe. Ce serait y mettre le comble, en réclamant son jeton de présence dans une assemblée dont il a naguère hautement blamé la conduite, au point d'en demander la dissolution.

Ensuite, camme le faisait observer avec raison le Prince Gortchacow, pourquoi se perdre dans ces détails minimes, quand des intéréts si urgents exigent toute l'attention des Puissances? D'ailleurs, le Gouvernement français lui-méme semblait avoir ouvert la vaie à une conciliation par de récentes ouvertures.

Il me revient en effet de bonne source que le Cabinet ds Tuileries convient lui-méme que la politique, adoptée depuis trois mais ensuite des événements de Candie, ne saurait se maintenir en présence de la mollesse et de l'impéritie de la Sublime-Porte. L'héro!que fait d'armes d'Arcadium a produit un effet irrésistible. Il n'y a plus d'illusions à se faire sur la portée de ce mouvement. Le simple rétablissement du statu quo ante ne saurait sumre désormais. Sans aller jusqu'à à pròner le projet de réunir la Orète à la Grèce, on pourrait essayer de la combinaison d'un Gouverneur Chrétien dans cette ne.. camme à Samos. Si je suis bien informé, des pourparlers très confidentiels auraient lieu dans ce moment à Paris et St. Pétersbourg. De part et d',autre, on se montrerait d'accoro sur ces deux points:

l. Les grecs ne sont pas dans les conditions requises pour se substituer aux Tures à Constantinople.

2. L'Europe n'est pas en état d'aborder, en ce moment et dans toute son étendue, le problème orientai.

Il conviendrait dane de procéder en détail, et non en bloc. Ainsi, pour la Crète une certaine autonomie. Les concessions devraient etre conseillées par les Puissances mais il faudrait en laisser le mérite au Sultan, pour sauvegarder autant que possible son autorité.

La Russie désirerait que le principe de non-dntervention matériel1e continuat à etre respecté vis-à-vis de la Turquie. A Paris, on voudrait mieux en définir les termes. La non-intervention ne s'appliqueralt elle qu'aux Puissances étrangères, et serait-il permis aux Grecs, aux Slaves, et aux Roumains de se soutenir mutuellement, lors mème que l'une ou l'autre de ces races aurait déjà été, ou serait équitablement désintéressée dans la lutte?

Ce ne sont là, je le répète que des pourparlers. On sonde, plutòt qu'on ne déblaye le terrain. Jusqu'ici il n'y a encore aucun engagement précis. Il est évident que la situation respective des Cabinets de Paris et de St. Pétersbourg offre plus d'un point de rapprochement, si on se met sél"lieusement à l'oeuvre d'une entente. Mais leur position géographique comporte aussi des garanties réciproques.

Ainsi la France, indépendamment de ses vues sur l'Egypte, ne saurait permettre que la position si importante de Constantinople tombàt entre les mains d'un Etat plus fort ou plus fadble que la Turquie. La France n'a aucun intéret à accélérer la chllte de l'Empire Ottoman. Mieux vaudrait pour elle .que cet Etat fllt démembré successivement par l'action du temps et par la force des choses.

La Russie, malgré toutes ses protestations, est loin, d'ètre désintéressée au mème degré. Son travail de réorganisation intérieure l'absorpe sans doute et ne lui permet pas de disposer de tous ses moyens d'action; mais .elle est trop perspicace pour ne pas comprendre qu'elle aura.it bien plus à gagner dans un règlement en bloc qu'en détatl. Dans une tempète violente et générale, les épaves, pour ne pas dire plus, du naufrage pourraient lui échoir comme pays limitrophe, tandis que, si le démembrement s'opérait pièce par pièce et par gradation, il y aurait des chances que les membres détachés parviendraient à se consolider et à vlvre còte à còte dans leur fractionnement, dans une espèce de confédération, dont la Servie au nord et la Grèce au sud seraint les éléments régénérateurs.

Le mème raisonnement peut s'adapter à l'Autriche, depuis surtout que le Baron de Beust a imprimé une nouvelle direction à sa politique. Voici dans quels termes il s'est exprimé vis-à-vis d'un diplomate étranger. «II ne saurait convenir à cet Empire de partici:per, comme avant mon avènement au pouvoir, aux pompes funèbres des causes mourantes, ou déjà mortes d'inanition, comme pour la cause des légittimités en Italie, ou pour la ci devant Confédération germanique. Nos intérèts bien entendus nous portent à favoriser l'autonomie des races chrétiennes en Orient. Nous risquons, il est vrai, d'éveiller la rivalité de la Russie, qui voudrait conserver le monopole de cette protection ~.

Ici on est parfaitement renseigné sur le changement de front. C'est peutètre pour le motif que la Russie cherche à obtenir l'engagement d'une abstention de toute intervention matérielle si non l'Autriche, dans un moment donné surtout si elle y était encouragée par la France, pourrait fort bien succomber à la tentation de jeter la ligne dans les eaux du voisin.

Quoiqu'il ne s'agisse encore que d'un simple échange d'Idées entre les Cabinets de Paris et de St, Pétersbourg, et que, par induction au moins, il aille bien au delà des conditions de l'ile de Crète, il faudrait prévoir le cas où l'on parviendrait à scinder la question. Il pourrait se vérifier alors que la Russie, la France, l'Angleterre et la Turquie s'attribuassent à elles-seules le droit--de conférer sur les affaires de Candie se rattachant aux délibérations de la Conférence de Londres en 1829-1830. On pourrait, comme dans ces dernières années pour la question de Syrie, décliner notre participatlon sus le prétexte que nous n'avons pas concouru aux arrangements adoptés par cette Conférence. Ce n'est guère vraisemblable, en présence du traité de 1856, mais, par surcroit de précautions, il semblerait peut-étre opportun d'assurer notre posl:tion.

Sir Andrew Buchanan a reçu ces jours dernie,rs une dépéche de son Gouvernement, opposant un démenti aux journaux qui racontaient que les Agens Anglais se pronoçaient en faveur des Crétois. M. Erskine avait été chargé de blàmer l'expédition du bàtiment de guerre «Hellas ), qui aurait reçu l'ordre de convoyer le «Panhellenion ~. Le Prince Gortchacow a pris la défense du Cabinet d'Athènes, qui avait parfaitement le droit, comme les autres Puissances, de montrer son pavillon dans les eaux de Candle, pour la protection des sujets grecs; les armements de l'« Hellas ~ n'avaient pas d'autre but.

(l) -Non pubblicato. (2) -Cfr. n. 93.
95

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AL MINISTRO A LONDRA, D'AZEGLIO

D. l. Firenze, 3 gennaio 1867.

Le dimostrazioni della stampa inglese e segnatamente due ultimi articoli del Times, nonché vari fatti occorsi in questi ultimi tempi fl'ia i quali quello assai considerevole dell'essersi stabilito in Londra un Comitato per soccorrere le famiglie Candiate, hanno chiamato l'attenzione del pubblico europeo sull'atteggiamento a fronte degli avvenimenti che si producono e si svolgono in Oriente.

n plauso che quelle dimostrazioni ottennero in Russia, accrebbe importanza a quelle parole ed a quei fatti.

L'Italia non desidera s'abbiano a produrre circostanze le quali possano turbare la pace presente; il Governo del Re deve però ricercare costanti ed esatte informazioni sulle probabili intenzioni degli altri Governi e sul giudizio della pubblica opinione degli altri paesi a fronte delle complicazioni che sorgono negli Stati Otto mani.

La prego quindi di voler mantenere meco una corrtspondenza di informazioni accurate e sollecite quale è richiesta dall'importanza della qulstione che ormai sembra ridestata. Per di Lei personale informazione le trasmetto copia d'un mio dispaccio in data d'ieri diretto al R. rappresentante in Costantinopoli (l), dal quale foglio Ella potrà vedere come, nella quistione delle fortezze di Servia, il Governo italiano divida quelle opinioni medesime ch'Ella mi ha indicato avere a Lei esposto lord Stanley in colloquio avuto nei primi giorni del dicembre scorso.

(l) Cfr. n. 91.

96

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AL CONSOLE GENERALE A BELGRADO, SCOVASSO

D. l. Firenze, 3 gennaio 1867.

Il non aver Ella creduto opportuno di trasmettermi copia testua'l.e della lettera che il Principe Michele ha diretto sino dallo scorso ottobre a S. A. il Gran Vizir (l) mi tolse di poter apprezzare come avrei voluto la domanda contenuta in quel documento. Sarà bene d'or innanzi ch'Ella non trascuri d'inviarmi con sollecitudine tutti gli atti del Governo Serbo i quali abbiano qualche importanza pella politica internazionale.

Colla data di ieri ho indirizzato al R. rappresentante in Costantinopoli un mio dispaccio (2) nel quale ho sviluppato alcuni principali concetti sulla presente quistione dell'evacuazione delle fortezze. Della parte essenziale di quel dispaccio El1a troverà qui unito un estratto. Il Governo Italiano desidera le pacifiche transazioni che sole possono condurre il popolo serbo al conseguimento di una piena sicurezza e d'una perfetta tranquillità. Le simpatie del Governo Italiano pella Servia, appunto perché disinteressate, furono costanti e si palesarono ogni volta una quistione Serbiana fu agitata nei consigli delle potenze garanti.

La S. V. troverà piena conferma di quella nostra politica nel recente mio dispaccio diretto al Signor Conte Della Croce. Uniformando esattamente a questi sensi il di Lei linguaggio Ella si renderà interprete degli intendimenti del

R. Governo.

97

IL MINISTRO DI GRAZIA E GIUSTIZIA E DEI CULTI, BORGATTI, AL CONSIGLIERE DI STATO, TONELLO

(Ed. in L V 10, pp. 33-36)

Firenze 4 gennaio 1867.

Colla presente nota, che conferma e svHuppa la precedente testè trasmessa, si accusa ricevuta del gradito di Lei dispaccio in data del 30 e del 31 dicembre scorso (3), nel quale Ella riferisce del colloquio tenuto col Cardinale Antonelli il 29, e dell'udienza a cui fu ammesso il 30 dal Santo Padre. La lettura di esso dispaccio e della nota che gli va unita ha confermato il Governo del Re nel proposito di prescindere da qualsivoglia comunicazione per iscritto, essendosi persuaso dell'impossibilità di trovar formale che salvino tutte le convenienze e possano conciliarsi collo scopo della di Lei missione. Di ciò dà prova lo scritto trasmesso, il quale per quanto sia abilmente redatto, non potrebbe, e per quello che dice e per quello che omette di dire, essere accettato dal Governo del Re senza detrimento del proprio decoro. Ogni studio che si ponesse a rifarmario non farebbe che mettere in maggior evidenza l'impossibilità sovra accen

nata, ovvero condurrebbe a qualche ambiguo giro di parole del tutto ripugnante alla d:gnità del Governo Italiano, sulla quale non vi è transazione possibile. Perciò il Governo medesimo insiste nell'intendimento che l'accordo di che Ella è incaricata si conchiuda per via di semplici concerti verbali, de' quali si darà conto da Lei medesima, senza che fra la Santa Sede e Lei sia d'uopo di alcun atto scritto avente forma e carettere di stipulaz:one.

Un tal procedimento non può tornare sgradito alla Santa Sede, dappoiché meglio d'ogni altro risponde agl'intendimenti aperti dal Santo Padre medesimo nella sua Lettera a S. M. Vittorio Emanuele II in data 6 marzo 1865, nella quale esprimeva il desiderio che una persona laica fosse inviata a Roma per avvisare al modi di provvedere alle molte Diocesi prive di Vescovi. A siffatto desiderio del Santo Padre fu allora soddisfatto coll'invio del Commendatore Vegezzi; ed ora che venne nuovamente espresso, vi si soddisfece coll'invio di Lei, che, ricevuta dal Santo Padre in seguito della lettera del Re in data del 6 dicembre 1866 (1), è da considerarsi come rivestita della fiducia di ambe le parti.

Avendo Ella pertanto, a mente delle istruzioni ricevute, fatte le consapute dichiarazioni circa .le massime che il Governo del Re professa di seguire rimpetto alla Chiesa Cattolica come di fronte a qualsivoglia altra associazione religiosa, e circa le conseguenze che ne derivano, e quindi messi fuori di disputa i punti precedentemente controversi intorno alla formale presentazione o nomina del Vescovi, al loro giuramento e all'exequatur delle loro Bolle, ed essendo state siffatte dichiarazioni accolte dalla Santa Sede, non è il caso che vengano consegnate in alcuna formala scritta, dappoiché saranno immediatamente recate in atto e confermate dal fatto della conseguente provvista delle Sedi vacanti e dell'insediamento dei Vescovi preconizzatl.

Ad ottenere tale effetto non è mestieri di alcun atto, e ne 1iien luogo la presenza di Lei costi, rappresentando Ella per l'appunto quella persona laica desiderata ed accolta dal Santo Padre nel proposito di provvedere ai bisogni della Chiesa Cattolica nel Regno d'Italia. Perciò come siasi acconsentito alla Bolla d'Instituzione, di cui si attende che Ella trasmetta la minuta, vorranno senza più essere da Lei presi i necessari concerti. nei termini che le si accennavano nella precedente nota, intorno ai soggetti da nominare per quelle sedi vacanti che si rimarrà d'accordo di coprire.

Circa le Sedi e le persone notate nella lista che le si compiega (2), Ella ha piena facoltà di accettare qualsivoglia osservazione e discussione, riservandosi di riferlrne, ove le paia opportuno. Presi l concerti per la provvista delle sedi vacanti che si delibererà riempire. Ella indirizzerà una nota al ministro di Grazi·a e Giustizia e dei Culti nella quale accennerà che in seguito ai concerti con Lei presi, il Santo Padre nel concistoro del giorno ..... preconizzerà N. N. alle sedi vacanti di . . . . . e chiederà che i medesimi, sopra presentazione deUe loro Bolle di nomina, siano immessi nel possesso delle temporalità delle loro Mense.

Non crede il Governo che si debba fare alcun cenno del ricevimento del Prelato nella sua Diocesi, non potendo né volendo H Governo stesso mescolarsi di ciò che si attiene alle discipline liturgiche. Quanto ai Vescovi preconizzati,

Ella indirizzerà del pari una nota al Ministro anzidetto, nella quale accennerà che in seguito ai concerti da Lei presi con la Santa Sede, chiede che N. N. preconizzati nel Concistoro di . . . . . alle Sedi vacanti di . . . . . sopra la presentazione delle loro Bolle di nomina, siano immessi nel possesso delle temporalità delle loro Mense. Forse gioverà che la provvista di talune delle sedi vacanti preceda l'immissione in possesso dei Vescovi già preconizzati; ma intorno a ciò, come intorno a qualsivoglia particolare riguardante le persone, il Governo piglierà indirizzo dai ragguagli che Ella sarà per dargli.

In siffatta guisa, mentre Ella in conformità delle istruzioni ricev'Ute, eviterà di attribuire agli accordi tra Lei ed il Cardinale Antonelli stabiliti, il carattere di formale negoziazione vincolante l'avvenire, potrà ad un tempo corrispondere al desiderio onde la Santa Sede si mostra giustamente sollecita, di provvedere alle sedi vescovi11 vacanti, e conservare per via di fatto ed in modo egualmente emcace allo Stato l'esercizio di quelle ingerenze che nei rapporti attuali tra esso e la Chiesa deve mantenere sia a tutela dell'ordine pubblico e degli interessi generali della Nazione, sia a garanzia del diritto che secondo gli ordini primitiv.i della Chiesa era nella nomina dei Vescovi attribuito al laicato dell'associaZ'ione cattolica.

L'allontanarsi poi dalle formole usate fin'ora, le quali traevano •la loro forza ed il loro fondamento unicamente da' concordati, mentre non incontra ostacoli per parte d~lla Santa Sede, risponde pienamente all'indole della di Lei Missione, ed armonizza coi nuovi principi da noi proclamati, dei quali intendiamo essere osservatori fedeli. In una parola, l'accettazione de' Vescovi da noi proposti o il nostro assenso a quelli dalla Santa Sede preconizzati, e la preventiva cognizione per di Lei parte delle Bolle d'investitura onde negare l'assenso a quelle che per avventura contenessero formule o riserve contrarie all'esistenza naZ'ionale d'Italia, quale potenza riconosciuta da tutta l'Europa, costituiscono tali fatti che, meglio di qualunque stipulazione, valgono nelle condizioni attuali a raggiungere lo scopo cui da ambe le parti s1 intende, senzachè per questo ne venga la menoma offesa ai diritti dello Stato.

Quanto finalmente alla riduzione del numero delle Feste, sebbene non sia questo un argomento di competenza dello Stato, pure siccome ha tanta attinenza con l'ordine pubblico e con gli interessi economici della Nazione, non deve rimanere da Lei trascurato; ed anzi Ella è pregata, ove se le presenti l'opportunità, a ritornare sulla convenienza di stabilire in questa materia la desiderata Uniformità, tanto necessaria non solo dal lato religioso, ma anche da quello politico ed economico.

(l) -Cfr. n. 65, allegato. (2) -Cfr. n. 91. (3) -Cfr. n. 86. (l) -Cfr. n. 59, nota l, p. 60. (2) -Non rinvenuta.
98

IL MINISTRO A MONACO DI BAVIERA, OLDOINI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 44. Monaco, 4 gennaio 1867.

Il nuovo Ministro della Real Casa e degli Affari Esteri Principe di Hohenlohe ci ha notificato testé omcialmente la sua nomina e la sua entrata in funzione, ed io ebbi l'onore d'1ntrattenermi oggi stesso seco lui.

Sua Altezza Serenissima mi accolse colla più squisita cortesia accennò a gran tratti, ma esplicitamente le sue tendenze politiche riferendosi ai suoi ·recenti discorsi al Parlamento ma osservommi colla maggiore lealtà di linguaggio quanto già ebbi occasione d'informarne V. E. colla mia Confidenziale di jeri {1), che il Ministro Presidente doveva necessariamente, attese le circostanze, non già cambiare ma modificare le sue viste di unione politica Bavaro-Prussiana che, dissemi Sua Altezza, né il paese sopporterebbe, né la Prussia stessa vorrebbe. Aggiunse il Ministro che il suo programma accettato dal Re era il maggiore accordo tra la Baviera e gli altri Stati della Germania Meridiona,le, e tra questi tutti e la Prussia; in una parola «non Confederazione Meridionale, non parte integrante della Confederazione del Nord, ma autonomia Bavarese e unione d'interessi nazionali e materiali colla Prussia e cogli altri Stati al di qua del Meno».

Dopo l'esposizione succinta di tal programma il Principe Ministro parlommi dell'Italia nei termini i più amichevoli, confermandomi i sentimenti già da lui espressi in Parlamento ed assicurandomi aver sempre seguito con interesse le diverse fasi italiane sia nazionali che politiche ed applaudendo al loro splendido risultato.

Quanto alla questione romana aggiunsemi Sua Altezza comprendere perfettamente, malgrado le sue simpatie personali (egli è fratello del Cardinale Hohenlohe) le esigenze dei tempi e quelle della nostra politica e far voti sinceri per la soluzione della questione romana nell'interesse della Religione e dell'Italia.

Unisco qui una confidenziale ed un dispaccio cifrato (2).

99

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AL CONSIGLIERE DI STATO, TONELLO

Firenze, 5 gennaio 1867.

Ella riceverà colla spedizione d'oggi le istruzioni (3) che il mio collega di Grazia e Giustizia le invia in risposta ai suoi ultimi dispacci e che si riferiscono alla quistione religiosa. Ho veduto che il Cardinale Antonelli nel corso delle conversazioni avute con Lei ha toccato di altri argomenti di carattere politico.

Ella sa in qual modo fu posta la quistione, in ordine agli affari di Roma, fra noi e la Francia, durante la missione del Generale Fleury.

Il Governo Francese ci prevenne ch'esso intendeva di consigliare alla Corte di Roma una serie di misure la cui adesione per parte del Governo Pontificio sembrava ad esso poter avere per effetto di migliorare la situazione attuale e servire di graduale avviamento ad una soluzione futura del problema romano.

Alcune di queste misure richiedevano per poter essere condotte ad effetto anche l'adesione del Governo Italiano ed erano, l'unione doganale, la fusione delle Banche, il servizio Consolare, l'estradizione dei malfattori.

Noi rispondemmo alla Francia che, fedeU allo spirito della convenzione, noi non intendevamo trattare in certa guisa, il territorio pontificio come un territorio nemico, ,che avremmo aderito a tutto ciò che poteva migliorare la sorte delle popolazioni romane, agevolare e assimilare i rapporti. Le difficoltà dunque non sarebbero venute da Firenze, riserbando ben inteso, e la forma delle trattative che 'avrebbero potuto aver luogo, e la soluzione che queste qulstioni avrebbero potuto ricevere quando fossero diventate l'oggetto di un preciso negoziato.

Ne'lle disposizioni attuali de~la Corte Romana, noi non intendiamo prendere alcuna iniziativa ed è bene che la sua missione abbia il carattere che le dà il suo scopo religioso.

Ma vi sono due argomenti che mi pare, se l'occasione le si presenta nel discorso col Cardinale Antonelli, e ,in forma tutta confidenziale e privata, Ella potrebbe toccare, perché si riferiscono a una qulstione di moralità, e a una quistione di umanità.

Il primo di questi argomenti è queUo della estradizione dei malfattori. Noi non intendiamo farne una quistione politica, ci basta un modus vivendi, un accordo di fatto. Non v'ha nulla che renda più irritante uno stato politico anormale come l'impunità che, per conseguenza di questo stato, ne deriva ai malfattori. Il sapere che Roma è un luogo d'asllo per uomini carichi d'ogni delitto fa risalire al Governo del Pontefice una responsabiUtà che turba la coscienza pubblica. Qui non è ,quistione poutica. Il Governo Pontificio è costretto o a tollerare un pericolo della pubblica sicurezza, nel suo territorio o a tenere in una specie di prigionia amministrativa degli individui che sono reclamati dalla giustizia del proprio paese. Cosi d'altra parte è avvenuto che sudditi romani che avevano commesso un delitto sul ,territorio romano e s'erano rifugiati nel nostro, non poterono essere condannati dai tribunali italiani incompetenti, né consegnati al Governo Pontif.iclo che si rifiutò a riceverli.

Io non intendo ora dete.rminare raccordo, il modus vivendi che si potrebbe adottare in tale proposito, ben inteso esclusi dalla reciproca estradizione i colpevoli di reati politici e i disertori perché ciò è contrario al nostro sistema in fatto di estradizione. Ella potrà limitarsi, toccando dell'argomento col Cardinale Antonelli, a udire quali sono 'le sue opinioni sul componimento che potrebbe essere accolto e a riferire nella speranza che si giunga ad un reciproco accordo.

L'altro argomento è anche più delicato. Ella sa che nelle carceri Pontificie si trovano ancora alcuni prigionieri politici appartenenti alle provincie ora annesse al Regno d'Italia. Era nostro debito di esaurire ogni mezzo per ottenere la libertà di questi infelici. Il Governo ha più volte interposto i buoni ufficii della Francia ma sempre inutilmente. Se i~ Governo Pontificio, nella sua completa e libera iniziativa, amnistiasse questi prigionieri, esso compirebbe un atto che sarebbe giustamente apprezzato in Italia e contribuirebbe alla conciliazione degli animi. Qua~unque sieno le proteste che la Corte Romana fa sui fatti compiuti, non posso convincermi che il Pontefice voglia fare dei patìmenti prolungati di questi individui una riserva contro la sovranità perduta e conservare di questa sovranità il solo attributo che deve essere più doloroso a;l suo cuore. Ad ogni modo facendo un altro tentativo per ottenere la libertà di quei prigionieri, non avremo compiuto che un dovere.

(l) -Non pubbl!cata. (2) -Non pubbl!cat!. (3) -Cfr. n. 97.
100

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AL MINISTRO A PIETROBURGO, DE LAUNAY (l)

D. 53. Firenze, 5 gennaio 1867.

La situation de l'Italie vis-à-vis de l'Autriche est heureusement changée où vous me rapportez une conversation que vous avez eue avec S. E. le Prince Gortchakoff sur notre politique dans la questlon d'Orient.

Avant que la Vénétie fllt réunie à l'ItaUe le Gouvernement du Roi eut souvent l'occas1on d'exprimer au Gouvernement Russe la prévlsion que les progrès de notre oeuvre d'lndépendance favoriseraient le développement national des races slaves de l'Autriche et de la Turquie d'Europe, au sort desquels la Russie a des raisons si naturelles de s'intéresser. Nous rappelions à ce propos la concordance de vues qui avait commencé à s'établlr entre les deux Puissances au Congrès de 1856, et le concours diplomatique donné par la Russie à la cause italienne en 1859. Les tendances franchement déclarées de l'Italie, notamment pendant la période où j'eus pour la première fois l'honneur de diriger les affaires étrangères du Royaume, eurent surtout pour objet d'amener autant que possible une entente entre la Russie, Ia Prusse et la France sur les moyens d'assurer Ia tranquillité de l'Europe. Nous exprimions enfin la pensée, à I'égard des affaires d'Ordent, qu'H serait de l'intérét bien entendu de ia Russie de faciliter en ce qui dépend d'elle l'exercice du droit qui nous appartient, en vertu des Traités et de ~a nature des choses, d'y prendre part.

Le Prince Gortchakoff désire savoir si nous sommes dans les mémes vues à l'égard des intéréts respectifs de la Russ1e et de l'Italie, et quelle sera notre attitude dans la questione d'Orlent.

Je n'ai point de difficulté, M. le Ministre, de vous éclairer entièrement sur nos dispositions.

'La situazione de l'Italie vis-à-vis de l'Autriche est heureusement changée de cette sorte, que la necessité de résoudre une question d'existence nationale ne pesera plus sur la liberté de nos déterminations: c'est de l'intérét particulier de l'Italle dans chaque question Européenne, et entre autres dans la question d'Orient, ·puisque H s'agit d'elle, que nous aurons à prendre conseil. Rien ne nous empèche donc de faire une grande part, dans nos déterminations, aux dispositions que la Russie peut avoir pour se concerter avec nous sur les affaires d'Orient.

Nous n'avons rien à changer dans les déclarations amicaies que nous avons faites par le passé à Ia Russie sur nos tendances générales dans iJ.a question Or,ientale; je puis meme dire que le developpement qu'a pris cette année notre système d'alliances, par les Uens qui unissent désormais la Prusse et l'Italie, ne peut etre que favorable à une extension de nos relations d'intéret commun avec la Russie. Ainsi dans notre situation générale, il ne se trouve rien que de favorable à de bonnes intelligences entre cette Puissance et nous. Il en est de meme de nos intérets spéciaux.

Les développements de Ia puissance de l'Italie dans l'Adriatique seront vus, nous aimons à le croire, aussi favorablement par la Russie que les progrès de cette Puissance dans la Mer Noire le seront par nous. La Russie doit certainement désirer comme nous que la liberté de la Méditerranée soit assurée.

A l'égard du Traité de 1856, si la Russie a cru, dans un ordre d'idées que je n'ai pas à apprécier ici, pouvoir faire ressortir combien l'applicat1on pratique en devient de pJ.us en plus difficile, le Gouvernement du Roi, qui s'y est toujours tenu strictement fidèle, ne serait pas le dernier cependant à admettre que les modiflcations fussent apportées par les Puissances signataires dans les clauses du traité dirigées plus particulièrement contre la Russie. Mais surtout les sympathies traditionnelles de la Russie pour les Chrétiens d'Orient so n t un lien de plus entre elle et nous, lo in d'etre une cause de rivalité; car ce n'est pas sur des différences de confession, c'est sur les intérets moraux et économiques communs à toutes les populations européennes de l'Orient que l'Italie entend baser l'exercice de son influence. Nous n'avons jamads varié dans nos sentimens envers les populations, que nous souhaitons vivement voir arriver pacifiquement à un régime civil et polltique conforme à leurs besoins. Nous avons toujours cru et nous continuons à croire qu'H est de l'intéret de la Sublime Porte de leur faire des concessions lorsque iJ.e besoin s'en fait sentir; et c'est par des conseils éclairés, bien plutòt qu'en épousant ses résistances, que nous nous sommes montrés ses amis. Notre désir meme de vok la paix se maintenir nous porte, aujourd'hui plus que jamais, à accentuer dans ce sens notre langage et nos démonstrations; et nous appuierons sans réserve toute démarche qui serait faite auprès de la Porte en faveur, par exemple, des Crétois ou des Serbes. En résumé, de notre còté, je Ie repète, Ies élémens de bonne intelligence existent. En est-il de mème des intentions de la Russie envers nous?

J'aurais une satisfaction véritable à apprendre qu'il en est ainsi, et à en trouver des preuves dans les communications effectives que rend désirables, entre les deux Cabinets. l'état des affalres d'Orient.

(l) -Annotazione a margine: «Estratto ad Atene ed a Costantinopoli 16 gennaio '67 ». (2) -Cfr. Serle l, vol. VII, n. 713.
101

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AL MINISTRO A BERLINO, DE BARRAL

D. 40. Firenze, 7 gennaio 1867.

L'insurrection de Candie, qui dure depuis cinq mois, donne aux affaires d'Orient une certaine gravité. Les forces navales envoyées dans les eaux de cette ne par plusieurs puissances, entre autres par ntali.e, ont gardé une striete neutralité, se bornant à protéger, dans un intérét d'humanité, l'émigration de quelques victimes de ces événemens; mais des complications diplomatiques d'une certaine importance pourraient se produire à la longue, si, malgré les conseils qui leur sont donnés, la Grèce et la Turquie en venaient à une rupture. Dans d'autres régions de l'Empire Ottoman des incidents dignes d'attention se sont produits dernièrement. La Serbie a demandé à la Porte l'évacuation des forteresses encore occupées par des troupes turques sur son territoire; cette demande, appuyée notamment par l'Italie, n'a pas eu encore de résultat. Je ne parle pas des symptomes d'agitation qui se laissent voir dans certaines parties de la Turquie d'Europe, et particulièrement en Thessalie.

Sans exagérer les conséquences de cet état de trouble et d'incertitude où se trouvent les affaires d'Orient, il y a lieu d'y porter un examen d'autant plus attenti!, que l'attitude de plusieurs Gouvernements a changé dans ces demiers temps à cet égard. Pendant que la France se montre plus favorable encore à la Turquie qu'elle ne l'a jamais été, l'Autriche et l'Angleterre elle méme semblent plus disposées à montrer de l'intéret aux populations chretiennes soumises à la Sublime Porte. Il ne serait pas impossible, d'en juger par les apparences, que si, contre le désir de la plupart des Gouvernements, la question d'Orient entrait dans une phase de crise, les puissances signataires du Traité de 1856 ne se retrouvassent vis-à-vis les unes des autres dans des situations toutes différentes.

Quoi qu'il en soit, l'une des premières questions qui pourraient se présenter si I'insurrection de Candie devait donner lieu à quelque immixtion des Cabinets européens, serait de savoir si les trois puissances protectrices de la Grèce devraient seules s'en meler, ou s·i ce serait le cas d'une partic1pation des six puissances garantes de l'Empire Ottoman au règlement des affaires de Crète. Quoique ce demier point de vue soit selon nous le plus juste, la question toutefois n'est pas à l'abri de toute contestation.

La domination Ottomane a été en effet reconstituée à Candie par les mèmes actes qui ont reconnu l'indépendance de la Grèce, et les rapports des populations de l'ile avec le Gouvernement Ottoman ont été placée, dans cette circonstance, sous la sauve-garde des trois puissances protectrices. Il se pourrait donc que dans cette question, comme il en a été dans la question de Syrie, l'on prétendit prendre pour base des négociations non pas le traité de Paris de 1856, mais les actes antérieures, ce qui impliquerait l'exclusion de l'Italie et de la Prusse des négociations.

Veuillez, M. le Ministre, saisir <l'occasion d'entretenir S. E. le Comte de

Bismarck de ces objets, et sans !aire des propositions qui seraient prématurées,

lui exprimer notre avis qu'un échange suivi de communications sur les af

faires d'Orient pourra désormais étre avantageux à nos deux Gouvernements.

L'Italie et la Prusse, dans cette question, ont l'une et l'autre à prendre conseil

uniquement de leurs sympathies pour les chrétiens Orientaux, et de leur solli

citude pour la paix de l'Europe. Leur influence peut-etre utilement exercée

dans ce sens, et les excellents rapports qui les unissent doivent leur fatre désirer

d'exercer cette influence de concert.

102

IL MINISTRO A LONDRA, D'AZEGLIO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA (l)

R. CONFIDENZIALE 163. Londra, 7 gennaio 1867 (per. l'11).

Le complicazioni che sorgono in Oriente, e che ora attraggono l'attenzione dei Governi Europei, non hanno per quanto mi risulti avuto effetto di provocare un'attitudine qualunque da parte del Governo Inglese, tranne quella di stretta neutralità. Da questa ne vennero i consigli di prudenza dati dal Rappresentante Britannico al Governo Ellenico e la difesa fatta ai Consoli Inglesi in quel Regno di astenersi dal far parte dei Comitati qui stabiliti per inviare dei soccorsi alle vittime dell'insurrezione Candiota. I legni della Marina Inglese stazionanti in quelle acque dopo l'ultimo incidente sollevato dalla condotta del capitano che salvò un numero di famiglie cretesi, anderanno guardinghi onde non compromettere il Governo della Regina con un'azione che potesse essere interpretata come una prova di simpatia data all'insurrezione. Ma non credo che l'ufficiale che compi l'atto di semplice umanità cui faccio allusione verrà per questo punito o dimesso.

L'opinione generale in Inghilterra ha subito un notevole mutamento in questi ultimi tempi, e molti cominciano a chiedersi se veramente gli interessi Britannici sarebbero seriamente minacciati da un attacco contro rintegrità dell'Impero Ottomano come fu finora sua politica tradizionale di crederlo.

Senza dare più peso che non convenga a questi sintomi dello spirito pubblico, tuttavia parrebbe che il Ministro degli Mfari Esteri fino a un certo punto divida siffatto modo di vedere; mi è stato riferito da uno dei miei colleghi presso questa Corte che in una conversazione che recentemente ebbe con lui, lord Stanley espresse il parere che la Grecia fosse destinata a rappresentare in Oriente la politica seguita in Italia dal Piemonte, e dalla Prussia in Germania. La cosa dover però incontrare molte difficoltà e forse anche riuscir vana a cagione dell'instabilità, del disordine e dell'agitazione prevalente fra i vari partiti di quella nazione. Per le quali ragioni lord Stanley si esprimeva molto francamente a questo riguardo non celando di non aver fede alcuna, per ora meno, nei destini della Grecia, e nella sua possibilità di adottare con successo una politica forte ed iniziatrice.

Mi sono pure occupato in questi giorni di sapere quali fossero stati i discorsi di lord Clarendon dopo la sua venuta d'Italia. A quanto pare, due sono le cose che maggiormente lo colpirono nel nostro paese. La prima è il progresso che l'idea unitaria compi in si pochi anni, e la fusione in un tutto compatto dei vari elementi di cui componevasi la penisola, che ne fu il felice risultato. Il secondo fatto per noi più doloroso che fece impressione sull'animo suo, è il dissesto delle nostre finanze, e la poca probabilità, che secondo lui vi sarebbe in Italia, di riuscire a ridurre gli armamenti di terra e di mare. Lord Clarendon però, malgrado la sua lunga carriera politica, è un uomo alquanto

superficia·le, e, non addentrandosi nelle quistioni, forma le sue opinioni dai fatti che immediatamente lo colpiscono. Prova ne sia una conversazione che mi si dice abbia avuto con il Barone Rothschild di Parigi su questo argomento. Lord Clarendon manifestava a quest'ultimo i timori che destava in lui lo stato finanziario dell'Italia e 'la difficoltà di porvi riparo, esprimendo il rincrescimento che tanto più maggiormente C'iò produceva in lui, per la ragione che sotto ad ogni altro rapporto la penisola progrediva a passo sicuro e risoluto verso la completa unificazione e la riforma interna delle sue diverse provincie. Qui il Barone Rothschild .però lo interruppe e gli fece una risposta certamente assai consolante pel futuro del nostro paese. Egli disse a lord Clarendon: «Quand'è così, quando realmente voi crediate che il principio unitario abbia fatto tanti progressi in Italia e che la nuova nazione sia stabilita su solide basi, allora mutate opinione sull'avvenire deHe sue finanze, poiché il giorno in cui il Governo Italiano proverà di essere coraggiosamente entrato nella via deHe economie e del disarmo, non le mancherà l'appoggio dei capitalisti stranieri di cui potrebbe abbisognare).

Le parole del Barone Rothschild possono interpretarsi anche come l'eco delfopinione dell'exchange di Londra. Imperocché malgrado degli spiacevoli incidenti sollevati dagli azionisti di varie società industriali, quali quelle delle Ferrovie di Sardegna e del Canale Cavour, una savia riforma finanziaria in Italia avrebbe per effetto immediato di rialzare il nostro credito su questa piazza.

Riguardo alla questione Romana lord Clarendon pare essere d'avviso che la Corte Pontificia vedendosi abbandonata a se stessa, finirà per fare delle concessioni e venirne ad un accordo col Governo del Re. Ma su questo l'E. V. saprà forse con più esattezza quanto vi possa essere di vero nel modo di pensare dell'ex Ministro Inglese, il quale avendo ricevuto un'ottima accoglienza dal Pontefice, ne riportò un'impressione più favorevole di quella che probabilmente avrebbe ricavato una persona che fosse avvezza alla tradizionale ostinazione della Curia Romana. Mi venne anzi assicurato che il Cardinale Antonelli gli confidò una corrispondenza privata passatasi tra l'Imperatore Napoleone e Sua Santità; e certamente non riescirà difficile d'indovinare se ciò sarebbe stato molto approvato a Parigi. Da quanto risulta da lettere qui pervenute, e dai detti dell'Arcivescovo Manning, a Roma sarebbero stati assai soddisfatti di lord Clarendon, mentre non si sarebbe potuto intendere lo scopo dei discorsi del Signor Gladstone. Lo stesso dicasi del signor Cardwell e peggio ancora del Duca d'Argyll.

Come V. E. saprà, passando per Parigi, lord Clarendon fu ricevuto alle Tuileries, ed ebbi occasione di sapere che qui disse, essere pur troppo l'Imperatrice Eugenia animata da uno spirito fanatico ultra cattolico tutto spagnuolo, ed imbevuta della persuasione di essere una donna superiore e chiamata ad esercitare un'influenza politica nei consigli dell'Impero, mentre egli credeva che sarebbe una funesta circostanza per la Francia se ciò fosse per accadere realmente.

Quanto allo stato attuale del Messico, lord Stanley ha detto a qualcheduno che, quantunque non ne fosse sicuro, non lo stupirebbe se il Governo Francese avesse stretto cogli Stati Uniti una convenzione segreta all'infuori dell'Impe

ratore Massimiliano. Ma questi· pareva vedesse migliorare le sue possibilità di rimanere Imperatore, dappoiché le ultime notizie indicavano una reazione in suo favore.

Nell'accusare ricevuta all'E. V. del di lei pregiato dispaccio di Gabinetto

n. 58 confidenziale delli 22 dicembre u.s. {1), il contenuto del quale mi affrettai di comunicare a lord Stanley... (2).

(l) Un sunto di questo rapporto è edito in N. NIKO, Das Ende des Kirchenstaates, Wien, 1964, 1o band, p. 238.

103

IL MINISTRO A BERLINO, DE BARRAL, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. CONFIDENZIALE l. Berlino, 8 gennaio 1867 (per. il 13).

J'al l'honneur de recevoir la dépeche confidentielle (Cabinet) que V. E. a bien voulu m'adresser le 22 décembre dernier (1), et je m'empresse de La remercier pour les informations si importantes qu'elle renfermait relativement à la mission du Général Fleury à Florence, et à l'échange de vues qui s'en est suivi sur certains points de nos relations avec le Gouvernement Pontificai.

J'ai rencontré hier soir à la promenade le Comte de Bismarck qui est venu très amicalement à moi et m'a engagé à l'accompagner jusque chez lui. Comme je sais que par suite de sa maladie nerveuse, il supporte difficilement qu'on lui parbe politique, je me su1s abstenu avec soin de rien dire qui put y ressembler. Mais c'est lui-meme qui bientòt en a pris l'initiative en s'exprimant à peu près textuellement en ces termes:

« Usedom m'a télégraphié le bon accueil que lui avait fait le Roi à la réception du ler de l'an, et dans une dépeche que j'ai reçue de lui ce matin, il me fait l'apologie de la continuation de l'aHiance entre les deux Pays. Je lui ai immédiatement répondu combien nous avions été sensibles aux témoignages de bienveillance donnés par Votre Auguste Souverain au représentant Prussien, et quant à l'alliance, il prechait des convertis; que toute notre politique pour l'avenir reposait là-dessus, et qu'ainsi ce n'était pas l'alliance de la Prusse avec l'Italie qu'il devait precher à Berlin mais bien, à Florence, celle de l'Italie a vec la P russe ~.

Passant ensuite à la politique intérieure M. de Bismarck a ajouté:

«Le projet de notre Constitution fédérale va très bien. Les Gouvernements Confédérés accepteront nos conditions, il y a bien le chiffre de 225 Thalers à verser entre nos mains pour chaque soldat à fournir à l'a,rmée fédé!l."ale, qui les fait un peu crier; mais nous leur accorderons quelque latitude dans le payement. Quant à l'exclusion des fonctionnaires civils du futur Parlement, et à l'établissement d'un budget norma! pour l'armée, en dehors de la sanction des Chambres, ce sont là des nécessités politiques d'une importance capitale sur lesquelles le Gouvernement est décidé à ne jamais transiger. Nous

ne voulons pas que sous prétexte de libéralisme et de prétendues garanties

constitutionnelles l'on vienne à chaque instant compromettre et mettre en

question ce qu'il nous a fallu tant de peines et d'efforts pour édifier. D'un

autre còté les fonctionnaires civils, dont l'opposition systématique prend uni

quement sa source dans leur inamovibilité, et profitent ainsi d'une position

privilégiée pour égarer l'opinion des populations et les ameuter contre le pou

voir, ne doivent positivement plus faire partie d'une assemblée où les intérets

du pays doivent se discuter sans passion ni parti pris à l'avance. Une fois que

ces éléments dissolvants et de discorde se,ront écartés, les véritables aspira

rations du peuple pourront se faire jour sans obstacle, et donneront franche

ment leur appui à l'oeuvre patriot:que du Gouvemement ».

Enfin M. de Bismarck a terminé en parlant rapidement mais très nettement, des rapports de la Prusse avec la France, «pour le moment, a-t-il dit, nos relations sont excellentes, et il n'y a que des voeux à former pour que cela continue sur le meme pied. Mais il ne faut pas non plus trop compter sur l'avenir, et a-t-il ajouté, en souriant, l'on pourrait bien à cet égard dire comme ce couvreur qui en tombant d'un clocher c<I"iait à ses camarades: cela va bien pourvu que cela dure. Au reste, a-t-il continué, en reprenant son sérieux, il n'y a quelque chose à craindre que de ce còté, l'Autriche est pour longtemps anéantie et réduite à I'impuissance :..

Ce langage de M. de Bismarck, qui résume à lui seul et avec une grande netteté la situation du moment, est d'autant plus précieux à recueillir que depuis bien longtemps le Président du Conseil évite toute espèce d'entretien politique avec les membres du Corps diplomatique, et que meme les Ambassadeurs de France et d'Angleterre ne peuvent parvenir à l'approcher.

P. S. J'ai appris par des personnes de la Cour que Sa Majesté avait été extremement sensible au télégramme de félicitations qui Lui avait été adressé de Florence par le Roi à l'occasion de la nouvelle année.

(l) -Cfr. n. 72. (2) -Annotazione a margine: «Estratto a Costantinopoli e ad Atene 16 gennaio 1867 ».
104

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AL MINISTRO A PARIGI, NIGRA

D. 197. Firenze, 9 gennaio 1867.

Mi riuscirono graditi i ragguagli che Le diede il Marchese di Moustier circa

passi fatti a Roma dal Governo francese per indurre il Governo pontificio ad ammettere un sistema di assimilazione amministrativa, economica ed anche sotto certi riguardi in materia civile tra il territorio Romano ed il Regno (1). Noi sentiremmo con vero piacere che il Governo francese riuscisse nei suoi sforzi.

Il Governo del Re, per parte sua, avendo fatto conoscere la sua adesione di massima al sistema di miglioramenti suggeriti dalla Francia, si crede in

debito di non prendere alcuna iniziativa al riguardo, fuorché per alcune facilitazioni secondarie di transito e fors'anche per la polizia militare del confine.

Approvo completamente il linguaggio ch'Ella ha tenuto al Marchese di Moustier quando, nel corso della conversazione, fu sorta l'eventualità di una rivoluzione a Roma o della fuga del Papa.

La tranquillità a Roma è ora inalterata; noi speriamo che alcun fatto violento non venga a turbare quelle condizioni di calma e progressivo svolgimento che meglio si addicono ad una g·rande quistione morale e sociale. Dopo le prove ripetute che abbiamo date, il Governo francese non dubita certamente che questo è il desiderio dell'Italia e che l'Italia crede essere questo il suo interesse.

Pure malgrado la moderazione dell'Italia e la moderazione dei Romani, le disposizioni attuali della Santa Sede, la quale finora resiste a fare alcuna concessione che possa appagare almeno in parte le legittime aspirazioni dei Romani e ripugna a comprendere come l'indipendenza e la sicurezza del Pontefice debbano in avvenire trovare la loro migliore guarentigia in una conciliazione coll'Italia, queste disposizioni constatate dallo stesso Ministro Imperiale degli Affari Esteri, non sono tali da disarmare l'avvenire de' suoi pericoli e delle sue difficoltà.

Le eventualità a cui Ella accennava nel suo colloquio col Marchese di Moustier sono in fatto il pericolo più g·rave della quistione romana e la previdenza dei due Governi se ne deve costantemente preoccupare.

Il linguaggio da Lei tenuto al Marchese di Moustier è nell'avviso del Governo del Re, il solo che convenga allo stato attuale delle cose. I casi che possono verificarsi in Roma sono tanti e così diversi nella loro natura, nel loro carattere, nelle circostanze che li possono accompagnare che non sarebbe ora conveniente legare l'azione del Governo né prendere impegni prefiniti i quali non riuscirebbero per avventura adeguati alla situazione ora non prevedibile alla quale si tratterebbe di provvedere. Rimane però inteso che, nei casi previsti e non previsti il Governo italiano ed il Governo francese non prenderanno alcuna risoluzione senza un previo scambio di idee e delle previe comunicazioni nello scopo di procedere d'un comune accordo.

Comprendo quanto v'ha ancora di vago in una simile dichiarazione, ma essa può servire di punto di partenza per ulteriori accordi fra i due Governi a seconda della situazione e dello svolgersi degli avvenimenti. Frattanto nelle sue frequenti comunicazioni col Governo Imperiale, Ella cercherà, Signor Ministro, di stabilire, per quanto è possibile, quei punti di accordo e quella uniformità di vedute che devono preparare il terreno per le intelligenze future, permetterei di affrontare con minori inquietudine le eventualità dell'avvenire, disporre e maturare le ulteriori soluzioni.

Per parte nostra, non occorre quasi ch'io lo dica, noi ci rifiutiamo assolutamente nell'ammettere che possa rinnovarsi un intervento estero in Roma. Un simile intervento sarebbe la violazione del principio fondamentale della politica italiana. Se per opera della Corte Romana una nuova occupazione straniera dovesse essere provocata nella penisola, questa occupazione sarebbe

13 -Documenti diplomatici -Serle I -Vol. VIII

il segnale d'una catastrofe nella storia della quistione romana ed avrebbe per conseguenza un'lrrimediabile scissura fra l'Italia e il Papato.

Sarebbe superfluo di dimostrare che il sistema delle guarentigie collettive del potere temporale non può essere ammesso dall'Italia. Siccome, infatti, ogni guarentigia collettiva sembrerebbe avere per logica conseguenza altri interventi nella penisola, il sentimento nazionale ne sarebbe profondamente ferito; basterebbe ciò perché ·ricominciassero pericolose agitazioni. Un tal sistema inoltre avrebbe per risultato di rendere assai più difficile un accordo tra la Francia e l'Italia sulla questione di Roma, poiché tra i due Governi vel'rebbero a frapporsi altre Potenze, le quali forse non tutte recherebbero nei loro apprezzamenti sugli affari di Roma i principii elevati che sono base della politica della Francia e dell'Italia. Ne sarebbero infine rinvigorite le resistenze e le tendenze reazionarie che è comune interesse della Francia e di noi di attenuare, mentrecché invece fu detto egregiamente dagli organi del Governo imperiale che importa di non incoraggiare né la rivoluzione né la reazione. L'applicazione del principio di non intervento ha posto l'Italia, i Romani ed il Governo pontificio sotto il sentimento della propria responsabilità, e di questa responsabilità il Governo francese fa sentire abbastanza il peso all'Italia ed ai Romani. Importa sommamente che non vi sottragga il Governo pontificio, poiché la Francia riconosce indispensabile che la Corte di Roma tenga conto dei bisogni dei Romani e delle esigenze della sua nuova situazione.

In breve, noi crediamo che i due Governi debbono strettamente attenersi allo spirito della Convenzione, il quale può formularsi in questi due principii: osservanza del non-intervento e politica di conciliazione.

In quanto poi alle future eventualità che richiedessero nuovi accordi tra la Francia e noi, Ella non dovrà tralasciare nessuna occasione di far prevalel'e nelle convinzioni del Governo francese che l'Italia sola potrà dare al Papa nuove guarentigie di sicurezza e di indipendenza senza sollevare le resistenze e senza violare i diritti dei Romani.

(l) Cfr. n. 71.

105

IL CONSOLE GENERALE A BELGRADO, SCOVASSO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. R. S. N. Belgrado, 9 gennaio 1867 (per. il 19).

Se si dovesse argomentare dai preparativi che si fanno in Servia, dal linguaggio dei giornaLi serbi, da quanto si buccina in questa città ed anche nell'interno del Principato, e sopratutto da certe parole che si pretendono pronunziate da alcuni membri di questo Governo, si dovrebbe credere che fra due mesi la Servia entrel'ebbe in campagna contro la Turchia per appoggiare il movimento generale delle provincie cristiane che già si pretende incomincia a manifestarsi neHa Tessaglia e nell'Epiro.

Io sono però sempre d'avviso che se il Governo serbo non scorgerà che la rivoluzione ha profonde radici, che è generale e ben coordinata, infine ch'essa è veramente formidabile non commetterà il fallo di secondaria apertamente, di appoggiarla con tutta la forza delle sue armi. La Servia deve contare sopra tutto colle sue forze, colle sue risorse, altrimenti rischierebbe di pagare il fio della sua imprudenza, e siccome io conosco che la Servia non sarà in caso questa primavera né forse in tutto quest'anno di entra,re in campagna contro i Turchi per una guerra regolare, e che la guerra di guerrilla per gagliarda che sia non potrà salva,re l'interno del paese dall'incendio e dalla devastazione, e conoscendo la difficoltà d'un accordo perfetto fra tutte le provincie cristiane compresa la Grecia e la Rumania e che questa tela di Penelope che tesse con tanta fatica il signor Garachanine è !ungi dall'essere terminata, e conoscendo altresì la saviezza e prudenza del Garachanine e del Marinovitch, persisto nella mia opinione che la primavera che si affaccia minacciosa come un leone, trascorrerà pacifica come un agnello.

L'ho già detto più volte le milizie serbe mancano di ufficiali e di bassi ufficiali capaci, e mi pare che il Governo serbo teme di riempire questo vuoto con ufficiali croati. Posso ingannarmi, ma questa misura sembra ripugnare al Governo serbo, forse per diffidenza verso i croati, fors'anche per eccesso di prudenza e di tatto; ad ogni modo io sono persuaso che il Governo serbo non ricorrerà a questo mezzo che negli estremi, e quando veramente non troverà altro ripiego.

Ma se la Sublime Porta meglio ispirata evacuasse le fortezze tutte della Servia sono persuaso che si potrebbe neutralizzare la Serbia.

I giornali serbi sono furiosi contro la Patria, e qui compiegato mi pregio rimetterle la traduzione d'un articolo del Vildovdan di Belgrado del 28 dicembre 1866/9 gennaio 1967 ond'ella possa farsene un'idea (1).

P. S. Pochissime sono le persone che divivono il mio modo di vedere in Belgrado, quasi tutte credono alla guerra, se non che a me sembra ch'esse s'ingannino.

P. S. Il signor Garachanine mi disse oggi che la Francia non protegge gli Slavi Orientali né i Greci perché Ortodossi. Io gli risposi «Lo dite ma sono persuaso che non lo credete ». Egli riprese: «Ho degli indizi che me lo fanno credere, d'altronde non saprei a cosa altro attribuire l'odierna politica del Governo francese in Oriente».

Allora ridendo risposi: «Bisogna che i vostri indizi siano ben gravi per risvegliare in voi, che vi mostraste favorevole al principio della libertà di coscienza, l'ardore, l'entusiasmo (per non dir di più), religioso. Si vorrebbe per avventura ritornare ai tempi della crociate? Vi sarebbe forse chi preferirebbe in Oriente una guerra di questo colore, ad una guerra di nazionalità? Io lo ripeto voi non lo potete credere perché avete dinanzi agli occhi i Principati Rumeni la cui religione è pur Ortodossa».

Qui la conversazione cadde pevché il signor Garachanine che aveva lasciato il Consiglio per ricevermi ha dovuto ritornarvi.

Io veramente non credo, Eccellenza, che il signor Garachanine sia persuaso di quel che dice sopra la Francia. Qui tutti gli studenti si applicano ad imparare il maneggio delle armi ed assistono alle lezioni di tattica militare che si danno agli ufficiali contadini della Milizia Nazionale.

(l) Non si pubblica.

106

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, ALL'INCARICATO D'AFFARI A COSTANTINOPOLI, DELLA CROCE

D. CONFIDENZIALE S. N. Firenze, 10 gennaio 1867.

Con mio Dispaccio della serie politica Le ho accennato quale a mio avviso

debba essere la linea di condotta degli Agenti italiani a fronte degli avveni

menti poUtici dell'Oriente.

Ora debbo conftdenzia1mente aggiungere che quelle mie raccomandazioni di prudenza e circospezione nel linguaggio mi sono specialmente dettate da un serio riflesso fattomi da uno de' principali nostri Rappresentanti diplomatici all'estero (1).

Sembra che in una qualche occasione recente uno de' nostri Agenti che non è altrimenti designato, abbia espresso imprudentemente l'opinione che in nessun caso la nostra politica in Levante si discosterebbe da quella della Francia.

Perché tali parole abbiano potuto essermi riferite, convien credere che furono pronunziate in modo accentuato ed in qualche occasione di rilievo.

Egli è per sé evidente che nelle diverse questioni che possono sorgere nei paesi di dominio ottomano l'Italia rpotrà trovarsi d'accordo coll'una o coll'altra Potenza, ma in ciascun caso ora più che mai noi dovremmo consultare i nostri particolari interessi indipendentemente da altre considerazioni.

Perché l'azione del R. Governo possa esercitarsi convenientemente è indispensabile che sin d'ora si stabilisca una severa disciplina nel linguaggio de' nostri Agenti ed Ella non deve trascurare d'informarmi se taluno di questi non usasse la necessaria circospezione.

107

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA,

AL MINISTRO A PARIGI, NIGRA

(AVV)

L.P. Firenze, 10 gennaio 1867.

Vi mando due dispacci sugli affari di Roma (2), i quali non hanno altro scopo che di ·regolarizzare la corrispondenza e constatare lo stato della que

stione attualmente. Convengo pienamente con voi sul modo col quale avete

posta la questione nel vostro colloquio col Marchese di Moustier. Non conviene

ora d'andar oltre. Io credo che a quel modo che la politica francese e l'ita

liana, malgrado le loro divergenze sulla soluzione del problema di Roma, si

sono trovate una volta in contatto sull'applicazione del non intervento nella

condizione attua'le delle cose a Roma, ora bisogna cominciare a adoperarsi

perché in avvenire le due politiche trovino un altro punto di contatto, un

accordo ulteriore nel principio che, in caso di eventualità ora impreviste, l'Ita

lia sola deve, sotto il senrtimento della sua responsabilità, agire a Roma anche

nell'interesse dei cattolici, quando gli eventi richiedessero una risoluzione. Di

fatti la situazione avvenire di Roma pone questa alternativa, o Ila violenza e

il cannone d'una potenza straniera, o l'azione moderatrice dell'Italia.

Sono lieto d'aver avuto da voi delle notizie relativamente rassicuranti sul

discorso dell'Imperatore. Spero che sarà moderato e che non solleverà reazioni

in Italia, creando l'agitazione che si tratta di calmare. Spero infine che sarà

fatto neHo stesso spirito con cui fu scritto il discorso del Re, vale a dire col

desiderio di non suscitarci dei reciproci imbarazzi. La cosa è assai importante

per noi.

Non sarebbe male che aveste una conversazione col Marchese di Moustier

sugli affari d'Oriente. Vi fu in questo tempo uno scambio di idee fra le potenze

e mentre riceviamo comunicazioni dalla Russia e .perfino daU'Austria, la Francia

non ci dice parola.

Fui assai dolente della risposta definitiva datami da Artom. Ormai ho fatto scoppiare la bomba e fatto firmare il Decreto per la riorganizzazione del Ministero (1). Le misure odiose che si dovevano prendere contro alcune persone sono già prese. Ho fatto tre Direzioni, una politica, una commerciale, una degli affari privati e contenziosi, più una Divisione contabilità, archivi, memoriale etc. I Direttori hanno la firma o firmano col Ministro. Tutto sarebbe stato disposto fino ai suoi ultimi dettagli, tutte le nomine fatte, le Direzioni composte col loro personale e Artom non avrebbe avuto che a prendere il suo posto in un ordinamento già compiuto. Il suo rifiuto mi pone in grave imbarazzo perché non so a chi affidare la Direzione politica. Mi spiace a separarmi da Blanc e nello stesso tempo il suo rango di semplice Consigliere crea una difficoltà se ne dovessi fare il Direttore politico, sia per gli altri Direttori, sia nel caso che dopo lui si dovesse chiamare, come sarebbe di regola, un Ministro a questo posto.

Lunedì il! Ministro di Finanze farà la sua esposizione. Egli ha firmato in questi giorni con una compagnia di Capitalisti un contratto sui beni ecclesiastici foggiato sul progetto Minghetti che voi conoscete. Noi intendiamo procedere largamente sulla via della libertà della Chiesa. La Camera ci seguirà sino alla fine? Ecco quello che rimane a vedersi.

(l) -Cfr. n. 93. (2) -Cfr. n. 104 e il d. 199 del 10. non pubblicato, che riassume le istruzioni definitive impartite a Tonello.

(l) Si tratta del R.D. del 23 dicembre 1866. Il rlordlrtllmento del Ministero fu assai osteggiato dai sostenitori del vecchio sistema. Dopo breve tempo, con R.D. dell'8 settembre 1867 venne ripristinato il Gabinetto a eu! si r!aflldarono le questioni politiche più importanti. La divisione d! contabil!tà venne mantenuta e le altre attribuzioni vennero ripartite fra due direzioni superiori distinte !n base all'antico criterio degli uffici periferie! con eu! si aveva corrispondenza:la direzione superiore delle legazioni e quella del consolati.

108

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AL MINISTRO DELLA GUERRA, CUGIA

D.R.S.N. Firenze, 11 gennaio 1867.

Il sottoscritto non ha obbiezioni di principio ad opporre al progetto comunicatogli dal ministro della Guerra (N. 67 Gabinetto sezione P) (l) per la repressione concertata del brigantaggio in una determinata zona del confine pontificio.

Però occorre anzitutto osservare che sarebbero necessarie le più grandi precauzioni, ove tale proposta venisse fatta alle autorità Pontificie, per evitare che la Corte di Roma, nel respingere, come è purtroppo probabile, simili entrature, ne prendesse argomento di denuncia'fle ad altre Potenze come un tentativo fatto dal Governo del Re di eludere le stipulazioni del settembre 1964. Vorranno dunque essere anzitutto scandagliate accuratamente ed in modo affatto riservato le disposizioni del Governo Pontificio in proposito; dopodiché gli accordi eventuali di cui si tratta dovrebbero essere trattati e conchiusi esclusivamente tra i rispettivi comandanti militari. Essendo per parte nostra il comandante del Dipartimento di Napoli a ciò autorizzato dal Ministero della Guerra.

In quanto alla guarentigia dell'esecuzione dell'accordo che verrebbe stipulato, il mezzo proposto, che consisterebbe nel ristabilimento dei rispettivi Consolati a Napoli ed a Roma e nella isti1mzione di agenti consolari in alcune località del confine, presenta gravi difficoltà, e sembra anzi tale da oltrepassare ed anche compromettere lo scopo che si ha di mira.

Di fatti poté fino al 1863 continuare di fatto la presenza in Roma di un

R. Console trattato dal Governo pontificio come un console di Sardegna. Ma ristabilire ora Uffici consolari in quelle condizioni, e colle relative conseguenze, di dovere per esempio detti agenti assistere all'abbarsi della bandiera italiana per parte di ogni nave nazionale che entrasse nel porto di Civitavecchia, ecc. sarebbe del tutto inammissibile.

D'altronde gli agenti consolari, per la qualità stessa di cui sono rivestiti, hanno dei diritti e dei doveri impreteribili che anziché giovare allo scopo proposto a norma del progetto in quistione, creerebbe loro una situazione falsa, e renderebbe la loro azione inefficace rispetto all'ufficio speciale che verrebbe loro cosi attribuito.

Sembra al sottoscritto che ove il Ministero della Guerra giudicasse possibile per esempio l'invio in missione speciale e forse anche confidenziale, presso i rispettivi comandi militari in Roma, in Napoli, e nei porti militari del confine, di ufficiali dei RR. Carabinieri e della Gendarmeria pontificia, si eviterebbero le accennate difficoltà.

Altre potrebbero sorgere, e non li~vi sotto il rapporto po.Utico, nel caso

che l'accordo essendosi conchiuso, le autorità pontificie non vi recassero il

buon volere e la buona fede richiesta da una simile cooperazione, in modo

che l'accordo stesso venisse a rompersi, in mezzo a recriminazioni od accuse

che già si possono immaginare. In tale eventualità il temporario accordo,

anziché giovare, avrebbe nociuto forse gravemente al Governo del Re, e sa

rebbe un precedente infelice che precluderebbe la via ad altri più larghi accordi

inspirati dallo stesso concetto. Sarebbe dunque essenziale che le autorità mi

litari rispettive si intendessero con la massima franchezza e precisione, nel

conchiudere il loro accordo, sullo spirito nel quale esso avrebbe ad essere

eseguito.

Queste sono le riserve che il sottoscritto stima di fare intorno al progetto

cortesemente comunicatogli dal suo collega il Ministro della Guerra.

(l) Non pubblicato.

109

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AL MINISTRO A PIETROBURGO, DE LAUNAY

D. 55. Firenze, 11 gennaio 1867.

Ieri il signor di Kisselew venne a parlarmi del progetto attribuito ad alcune fra le Potenze segnatarie del Trattato del 1856, di riunire la Conferenza di Parigi perché questa abbia a prendere atto delle mutazioni avvenute nell'ordinamento dei Principati Uniti di Moldavia e di Valachia e faccia adesione al firmano d'inves1Jl.tura concesso da S.M. il Sultano al Principe Carlo di Hohenzollern.

L'Inviato russo mi espose ad un dipresso quelle cose stesse che la S. V. mi avea già riferite per esserle state dette da S. E. il Principe Gortchacow (1), e conchiuse col dire che ove la conferenza si riunisse, la Russia non vi prenderebbe parte.

Mi sollecritò poscia a fargli conoscere quali fossero i nostri intendimenti al riguardo, ed io risposi che il Governo del Re non avendo preso nelle ultime conferenze di Parigi quello stesso contegno che vi avea preso la Russia, non avrebbe per conseguenza ora motivo di opporsi, per conto suo, aUa riunione di una conferenza chiamata a convalidare il firmano d'rinvestitura del nuovo Principe Rumeno.

Però io aggiunsi che non avendo noi ammesso pel passato altra ingerenza negli affari ottomani fuor di quella risultante dal concerto delle sei potenze garanti, non sapevamo ora prevedere il caso 1n cui c1 si potesse Tegolarmente chiamare a sottoscrivere atti separati ai quali la Russia rifiutasse di prestare il suo assenso.

Assicurai per ultimo il signor di Kisselew essere la nostra adesione al nuovo stato di 1Cose in Rumenia completamente decisa in massima e anzi

aver noi inviato al R. Agente in Bukarest le lettere da presentarsi al Principe, non aver poi compiuto l'atto formale di adesione al firmano perché supponevamo che le sei Potenze finirebbero per mettersi d'accordo al riguardo.

(l) Cfr. n. 93.

110

IL CONSIGLIERE DI STATO, TONELLO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA Ed. in L V 10, pp. 37-44, in Lettere Ricasoli, vol. IX, pp. 182-190 e in Carteggi Ricasoli, vol. XXV, pp. 51-58)

Roma, 11 gennaio 1867.

Ricevute le nuove istruzioni contenute nelle due Note del signor Ministro guardasigilli del 2 e del 4 corrente (l), mi recai a premura di chiedere al Cardinale Segretario d:J. Stato una nuova conferenza, che fu stabilita pel successivo giorno 10.

Recatomi adunque jeri sera da lui, gli accennai le diiDcoltà, alle quali dava luogo, per parte del Governo, l'accettazione dello scritto stato dianzi formulato, inquantoché sebbene scarso di forme, potendo pur sempre in qualche modo presentare i caratteri di una più o meno regolare convenzione, uscisse dai liml:ti di quelle mere intelligenze provvisorie, di quegli espedienti momentanei e di fatto, ai quali per non ,impegnare l'avvenire, e salvare i diritti di tutte le parti, volevansi per ora giustamente restringere le trattative. Soggiunsi quindi, che per evitare anche le suscettività alle quaH poteva sì da una parte che dall'altra dar luogo la ,redazione di uno scritto qualunque nello stato in cui si trovavano i rapporti dei due governi, il meglio era attenersi a semplici concerti verbali, e secondo le istruzioni ricevute gliene spiegai il modo. Il tutto ridurrebbesi a concertare prima tra noi le nomine a farsi, dopo di che il Sommo Pontefice avrebbe senz'altro potuto addivenire alla preconizzazione, e quindi presentandosi a me le BoHe di instituzione, avrei scritto perché si immettesse l'eletto nel libero possesso delle temporalità.

Il Cardinale Antonelli colla massima facilità accondiscese a tutto quanto io proposi, salvocché ad un punto, a quello della presentazione delle Bolle. Dissi che accondiscese con facilità al resto, gia;cché ciò non era altro, che un tornare al primo suo programma, dal quale non senza stento s'era allontanato acconsentendo a dare atto scritto al Governo della sua partecipazione alle nomine, ed a fare richiesta nel possesso delle temporalità a favore dei nominati, in sostituzione dei diritti di presentazione e di exequatur, che pel momento il Governo non avrebbe fatto valere. Rimase adunque da lui accettato, che tutte le intelligenze fossero meramente verbali, e che lo scritto che si era prima compilato (però qual semplice promemoria, e del quale nell'ultimo colloquio aveva anche acconsentito omettersi la sottosc,rizione e modificarsene i termini) si ritenesse come non avvenuto. Ma quanto alla presentazione delle Bolle egli oppose una resistenza che non mi fu 'Possibile di superare, benché ~a discussione su di ciò fosse ben a lungo protratta.

Egli in sostanza diceva: «Noi siamo disposti a concordare con voi la forma nella quale dovranno essere redatte le Bolle, ed in ciò saremo larghi quanto volete evitando ogni frase e parola che possa presentare a vostro giudizio anche un'ombra d'ambiguità. Noi impegneremo la fede della Sede Pontificia, che tutte le nomine saranno fatte secondo la formula adottata d'accordo: si potrà anche vedere se si possa darvi partecipa~ione, come già chiedeste, dopo la nomina che questa realmente ebbe luogo secondo la detta formula. Ma il volere, che quando la Bolla è emanata c firmata, e l'atto di nomina per parte della Santa Sede è compiuto debba o la Santa Sede medesima o la persona eletta presentare ancora il detto atto ad un'altra Autorità è cosa, che dal Sommo Pontefice, per le provincie che gli hanno appartenuto, non può acconsentirsi ». Tutta la dimcoltà sta sempre in queste provincie. La Santa Sede riconosce che noi non possiamo logicamente e convenientemente ammettere forme diveTse per le diverse prov·incie; ma se una debba essere la forma, essa dice, che anche noi dobbiamo adattarci ad ammetterla tale, che da lei senza urtare i suoi principi possa riceversi eziandio quanto alle provincie ex-pontificie, nelle qua1H il Pontefice è fermo in non volere far atto, dal quale possa desumersi ammettere egli altra autorità che la sua.

Io m',ingegnai ad opporgli argomenti. Dissi che le presenti trattative riguardavano il Pontefice come Pontefice, e che perciò ogni considerazione, che si riferisce ad altre sue qualità, o si fondasse sopra altri interessi, che non fossero quelli di Capo spirituale della Chiesa non doveva entrare in calcolo. Che la presentazione fatta a me, quale continua~ione e complemento delle pratiche ufficiose, colle quali doveva condursi tutto l'accordo non poteva aver nulla di allarmante; che a questa presentazione non doveva susseguire, come si faceva nell'exequatur, alcun Decreto, od altro atto giuridico e forma'le qualsiasi etc. etc. Queste distinzioni, che secondo le istruzioni ricevute non aveva già mancato di fare altre volte, e sin da quando si affacciarono le prime difficoltà riflettenti le mentovate provincie, qui non si credono ammessibili.

A fronte di questo ostacolo, che pareva attraversarsi alla negoziazione il Cardinale diceva sperare, che il Governo Italiano non volesse mettere eccessiva importanza ad una tale presentazione. Per noi, egli diceva, ciò veste il carattere d'una questione di principio; per voi non è che una questione di fatto, cioè un modo di cautelarvi, che le Bolle nulla contengano di lesivo. Ora a ciò si può sopperire in altri modi, cioè con quelli appunto suggeriti da principio, di concordare la formala delle Bolle, ·e dell'impegno della Santa Sede di non provvedere che con tale formala.

Il Cardinale si mostrò disposto a discutere anche altri modi se vi fossero, e mostrando molto impegno per non lasciar naufragare la trattativa al momento di giungere in porto, fissò altro convegno per martedì prossimo 15 r.orrente, nel quale disse avrebbe portati i moduli delle Bolle a concordarsi, come pure mi avrebbe mostrato gli originali delle Bolle concesse ai rpreconizzati. >;>erché vedessi se in esse nulla vi fosse da appuntare.

Intanto tenendo ferma la speranza di un definitivo accordo sul detto punto io comunicai a;l Cardinale la nota delle Diocesi a provvedersi, e delle persone proposte in conformità dell'esemplare a me trasmesso dal Mini.sterCI; e gli diedi

anche oralmente le spiegazioni successivamente giuntemi sopra alcune delle trasloca2lioni ivi suggerite. Il Cardinale si riservò di esaminare maturamente ogni cosa, e di prendere sulle persone indicate le opportune informazioni. *Vide sin d'ora con piacere, che sopra alcune delle nomine il Governo andava d'accordo eolie idee già precedentemente manifestate dal Santo Padre; e sopra una delle promozioni proposte, della quale si era già pur fatto parola altre volte, cioè su quella del Vescovo di Pinerolo alla sede d:i Genova, mi disse che Sua Santità in massima non vi troverebbe ditficoltà, se non che trattandosi d'una sede così ·importante desidererebbe, prima di decidersi, di conoscere personalmente il nominando, e di abboccarsi con Lui. Ove al Ministero non ispiacesse, perché la cosa potesse avere H desiderato successo, io scriverei privatamente e confidenzialmente una lettera al Vescovo suddetto, nella quale gl'insinuerei l'idea di fare una visita al Santo Padre, senza nulla però accennare dei motivi di tal suggerimento, onde lasciar ciascuna delle parti libera d'impegni. Se il Governo a cw mi autorizza, procuri farmi aver presto la ri:sposta, accri.ò il tutto possa compiersi senza troppa dilazione * Cl).

Non credetti opportuno per ora di parlare nuovamente della riduzione delle feste, perché nell'ultimo colloquio il Cardinale mi aveva detto che ne avrebbe a tempo opportuno discorso col Santo Padre, col quale però mi soggiunse esser bene di discutere e terminare una cosa per volta.

Non ometterò di notare, che avuto da me l'annuncio dei provvedimenti, che il Governo stava per prendere relativamente ai Vescovi tornati in Diocesi, e della interpretazione che si sarebbe data alla Legge di conversione circa le case di campagna dei Vescovadi e Seminari, e per ultimo di quanto si stava maturando riguardo aU'Abbazia di Montecassino, il Cardinale ne mostrò, a nome del Pontefice, somma soddisfazione.

Esaurite pel momento le discussioni in materia religiosa, io in conformità delle 1struzioni contenute nella nota comunicatami dal Ministro de' Lavori Pubblici del 3 corrente (2) introdussi col Cardinale il discorso anche sulle materie ivi accennate.

Il l o desideriQ che gli espressi a nome del Governo è stato quello, che le persone munite di un recapito nazionale, che le autorizzasse a transitare colla ferrovia negli Stati pontifici senza punto fermarvisi, non avessero b:sogno di altra formalità, tranneché dell'esibizione di detto recapito alle frontiere di entrata e di uscita.

Io aveva sin dal precedente colloquio che ebbi col Cardinale trattato di questo argomento in forma anche più ampia. Gli aveva fatto sentire, come sia per motivi generali, sia più specialmente per la giacitura delle provincie Pontificie tra quelle Settentrionali e Meridionali del Regno Italiano, che rendeva continuo, e coartato il passaggio dei cittadini di questo sul territorio Romano, l'abolizione fosse un provvedimento al quale tosto o tardi dovesse pur venirsi; ma soggiunse, che siccome tal ramo di finanza recava un introito d:i 50 in 60 mila scudi annui, oltreché provvede ad una parte del trattenimento dei Consoli, le attuali circostanze del Tesoro pontificio non gli permettevano per ora di rinunciarvi.

Ripreso ora il discorso nel tema più limitato di facilitare solamente i transiti senza fermata nel modo sovra proposto, il Cardinale disse non aver difficoltà di ordinare, che pel transito bastasse l'esibizione d'un passaporto rilasciato dalle sole autorità del Regno, senza il bisogno del visto per parte del Console Spagnuolo, come ora si usa.

La seconda dimanda che feci fu: che le Dogane Pontificie accordassero il transito senza l'onere d'una visita alle vetture contenenti le mercanzie e sopratutto il bagaglio dei viaggiatori, p:ombandoli al confine; nel quale transito il Governo pontificio potrebbe stabilire un diritto fisso in ragione del numero delle vetture, del loro peso, od altrimenti su di una base semplice e facilmente applicabile.

Mi si rispose: «Che niun ostacolo si frappone oggi alla creazione dei transiti al confine per le merci e bagagli dei viaggiatori. La bollazione dei colli non ha luogo, ma bensì quella dei vagoni in cui sono i medesimi contenuti. La visita si eseguisce per disposizione di legge quando il viaggiatore ome·tte di dichiarare che intende spedire in transito n suo bagaglio; non ha luogo quando lo dichiara, e ciò intendesi per parte della finanza, giacché talvolta succede a richiesta della polizia. Quanto alla tassa di transito è stato già risoluto che debba soppr.imersi, e non manca che il parere della Consulta di Stato per le Finanze».

Il 3° argomento proposto in disamina fu quello delle lettere e della posta. Feci la richiesta relativa all'Ufficio postale ambulante nel modo e colle condizioni e compensi indicati nella nota del Signor Ministro dei Lavori Pubblici. Aggiunsi anche, come ne aveva già fatto cenno in precedente colloquio, doversi provvedere a che si potessero da uno Stato all'altro affrancare le lettere. Il Cardinale disse non aver difficoltà di provvedere a che fosse libero da un territorio all'altro l'a-ffrancamento, usandosi i francobolli in corso nel luogo d'impostazione. Dopo l'adesione dell'uno e dell'altro Governo al trattato postale francese la cosa non poter presentare alcun ostacolo. Il difetto in ciò sino ad oggi aver avuto causa da che le due Amministrazioni non essendo in contatto, non avevano potuto combinare il modo di tener conto del rispettivo dare ed avere. Ora ciò potrà farsi prendendo le amministrazioni medesime su tal punto gli occorrenti concerti.

Quanto peraltro al transito del Vagone postale nel modo proposto, il Cardinale non credette di poter aderire. Egli anzitutto non vedeva di ciò alcuna necessità, giacché i pieghi transitanti si ricevono sigillati al confine, e tali si restituiscono al conf·ine opposto, fattone solo il peso; quindi non v'è un vero bisogno del passaggio sul territorio pontificio d'un ufficio postale italiano, comunque dissimulato. Trovava poi motivo ad opporsi anche nel tenore del Trattato postale francese, giacché tale concessione fatta al Governo Italiano avrebbe portato la conseguenza di farla anche ad altri.

Ciò per quanto concerne la nota del Min:stro dei Lavori pubblici.

E poiché erasi entrati nel campo delle materie non religiose, io richiamai la attenzione del Cardinale sulla convenienza massima di ristabilire nell'interesse specialmente del commercio, che prendeva ogni giorno maggior sviluppo, tra i due paesi le relazioni Consolari.

II Cardinale rispose, che l'esisten:r.a dei rispettivi Consolati, la cui utilità anch'egli sommamente apprezzava, era cessata soltanto da due o tre anni non per libera volontà della Santa Sede, ma per un fatto disgustoso, che a c~iò la aveva costretta onde mantenere salvo il proprio decoro. Il Console pontificio in Napoli era stato arrestato, perquisito, e benché nulla si fosse trovato a suo carico, condotto alla frontiera ed espulso. Ciò costituiva evidentemente un affronto pel Governo da cui quel Console teneva il mandato, e quind'i rendeva impossibile il pur desiderato ristabilimento delle relazioni consolari finché una qualche riparazione, fosse pure leggiera, e che il Governo Italiano avrebbe potuto interporre anche col mezzo della Franc,ia, fosse stata concessa.

Un altro argomento, del quale aveva già parlato col Cardina1le nell'ultimo colloquio, e che in seguito alla lettera della S. S. Onorevolissima ora trattati di nuovo, è quello della repressione dei malfattori. Io presentai le indicatemi osservazioni, che dimostrano la necessità ed urgenza di pronti concerti in proposito, onde evitare il brutto ed immorale spettacolo, che gravissimi reati commessi in uno dei due territorii trovassero impunità nell'altro, con grave pericolo anche della sicurezza rispettiva. Dissi perciò, che senza addivenire ad un formale tlrattato di estradizione, il che non poteva entrare nel genere delle relazioni esistenti tra i due Governi, poteva ·benissimo stabilirsi un'intelligenza, o a dir meglio una prammatica per la rispettiva consegna di fa,tto dei malfattori, esclusi sempre quelli imputati di reato politico, ed i disertori.

Il Cardinale incominciò a dkmi, che di persone arrestate appartenenti ai territorii del Regno ne aveva il Governo pontificio attualmente un duecento circa. Che per evitare l'ingombro, il pericolo, e la spesa di tenere così fatta gente qui in custodia egli aveva presi concerti colla Francia perché costoro fossero a di Lei cura trasportati e tenuti in Algeria; concerti dei quali doveva essere stato messo a parte anche il Governo Italiano, onde evitare la richiesta di estradizione. Ed io ricordo infatti che, prima della mia partenza da Firenze, il Barone di Malaret, che incontrai presso la S. s. Onorevolissima, mi fece in di Lei presenza qualche cenno in proposito. Seguitando il Cardinale soggiunse, che di questi, alcuni erano tenuti in qualità soltanto di precauzionariì, altri avevano la sola qualità reazionaria politica; epperciò non potevano essere consegnati al Governo Italiano .Due di essi erano per verità aggravatissimi, giacché erano stati Capi Briganti, ed uno dev'essere il Croceo od il Pilone; ma questi si erano direttamente consegnati al Governo Pontificio sotto la di lui fede pubblica, epperciò anche per essi non era libera e possibile la consegna.

Quanto agli altri, disse, che si dava a tutti la scelta se preferiv;ano di esser consegnati al Governo Italiano, anziché essere trasferiti in Algeria, e che rifiutando essi quest'ultimo partito, non aveva difficoltà ad ordinarne la consegna.

In ordine poi a quelli che occorresse di arrestare in avvenire, specialmente alle frontiere, mi ripeté, che fin dalla partenza dei Frane'esi, egli aveva prescritto che si continuassero dai Pontificii le stesse intelligenze colle truppe Italiane, che già si praticavano da quelli: che in coerenza di tali ordini gli risultava esservi già stata più volte con ottimo successo cooperazione delle rispettive forze armate, e consegna dall'una all'altra parte dei malfattori arrestati: potersi

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tali provvedimenti continuare, ed in genere disse non avere difficoltà ad aderire in massima al principio della consegna reciproca in via di fatto dei delinquenti.

Mossi pure parola sul delicato soggetto dei condannati politici appartenenti ai territori, che ora fanno parte del Regno. Il Cardinale mi assicurò, che il solo condannato tuttora esistente per titolo meramente politico è un tal Petroni, che al Governo Italiano non deve essere molto beneviso, essendo agente confesso, e vicario di Mazzini. Gli altri non molti che vi sono con condanna politica, hanno tutti anche altra condanna per reati comuni. Non pareva perciò, che allo stato delle cose fosse il caso di muovere questa grave questione, la quale implicava per la Santa Sede considerazioni di molto momento in ordine a' suoi princ1pii.

Osserverò infine, che il Ministro Commendatore Berti nei colloqui che tenne meco passando di qui, mi aveva anche insinuato di tentare se potevasi venire a qualche accordo pel passaggio sulle ferrovie attraverso lo Stato Pontificio delle Truppe Italiane, essendo gravissimo il disagio e la spesa di farle passare altrove. Io quindi non mancai di tenerne discorso col Cardinale Antonelli insistendo vivamente perché tale grave difficoltà fosse opportunamente rimossa, mediante, ove d'uopo, anche qualche cautela. Il Cardinale non disconvenne del peso che avevano le considerazioni che gli feci: ma disse che pel momento quel passaggio di truppe Italiane sul territorio pontificio essi non potevano a meno di riguardarlo come pericoloso, e che perciò non potevano ammetterlo.

Del sistema monetario, del quale mi era pure stato fatto cenno per parte del Governo, non credetti far parola, perché l'attuale recentemente qui adottato è già eguale al nostro, ed ho veduto che le nostre monete hanno, al pari delle pontificie, qui libero corso.

(l) Cfr. nn. 92 e 97.

(l) -Il brano fra asterischi è omesso in LV 10. (2) -Cfr. n. 111.
111

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AI MINISTRI A BERLINO, DE BARRAL, A LONDRA, D'AZEGLIO, A PIETROBURGO, DE LAUNAY E ALL'INCARICATO D'AFFARI A VIENNA. RATI OPIZZONI

T. 24. Firenze, 12 gennaio 1867, ore 22,30 ( 1).

Le Gouvernement français nous propose d'adhérer au firman d'investiture du prince Oharles de Roumanie par une note identique dont il nous soumet le projet et qu'il nous annonce ètre approuvée par l'Angleterre. J'ai répondu que notre adhésion en principe au firman était déjà décidée et que quant à expédier des notes indentLques, nous le ferions si les six Puissances en sont d'accord.

Veuillez demander au ministre des affaires étrangères ce qu'il pense faire.

(l) In questa data il telegramma fu spedito a Berlino. Alle altre legazioni fu invece inviato alle 10,15 del 13 gennaio. Per le risposte cfr. nn. 112, 115, 116 e 117.

112

IL MINISTRO A BERLINO, DE BARRAL, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 31. Berlino, 13 gennaio 1867, ore 17 (per. ore 19,35).

Gouvernement prussien accepte rédaction de note identique proposée par la France pour investiture du prince Hohenzollern. Ordres ont été donnés au comte Brassier de remettre cette communication à Constantinople aussitòt que !es représentants des grandes Puissances se disposeront à faire méme demande.

113

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AL CONSOLE GENERALE A BUCAREST, TECCIO DI BAYO

T. 26. Firenze, 13 gennaio 1867, ore 20,50.

Veuillez faire savoir au Gouvernement roumain que vous avez reçu vos lettres de créance et en attendant que vous puissiez les remettre considérez camme complète notre reconnaissance du prince (l).

114

IL CONSOLE GENERALE A BEIRUT, MACCiò, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R.R.S.N. Beirut, 13 gennaio 1867 (per. il 3 febbraio).

Daud Pascià Governatore Generale del Libano, per compiere un debito di cortesia è venuto a farmi una visita, che le cose fra noi discorse mi hanno persuaso essere motivata principalmente dalla sgradevole situazione nella quale si trova. Dopo avermi riepilogati con un senso di disgusto i fa,tti ultimamente accaduti fra Karam Abd-el-Kader, i principali funzionarj Turchi e la Porta, intorno ai quali mi san fatto debito di tenere officialmente informato cotesto

R. Ministero, S.E. si è espresso in guisa da mostmrsi convinto, che non solo la sua posizione personale è oggi divenuta difficilissima, ma che non sarebbe nemmeno improbabile che in un prossimo avvenire si avessero nella montagna nuovi e deplorabili conflitti fra i Drusi ed i Cristiani.

Karam, come egli mi osservava, arrestato da lui nei primordj del suo Governo fu confinato a Costantinopoli; invece di assicurarsi che vi resterebbe,

la Porta lo lasciò partire per Alessandria, poi per Smirne, indi per Tripoli di Soria, d'onde rientrò nel Libano, cominciando di nuovo ad agitare le popolazioni senz'altro scopo che quello di soddisfare una ambizione personale non giust:ficata.

Dopo i suoi reiterati movimenti si intrapresero delle operazioni militari contro di Lui dalle truppe musulmane riunite ai gendarmi Cristiani del Libano, e l'esito mostrò chiaramente che non vi era da contare sulle forze Ottomanne, meno per incapacità che per secondi fini, da cui parevano i loro capi impegnati ad una azione evidentemente equivoca. La montagna fu nondimeno pacificata, Karam ridotto alla impotenza, e i suoi partigiani scora,ggiati. L'opem di sviluppo delle istituzioni fondate a norma del Regolamento del Libano del 1864, si proseguLva ad onta della sorda opposizione del Clero, quando un intrigo si ordisce a Damasco contro il Governo di quella provincia peTsonificato in Daud Pascià suo Capo. Kara;m affida le sue sorti al partito musulmano, cioè 3id Abd-el-Kader, al Generale Dervisc Pascià ed al Governatore GeneTale della Soria Rascid Pascià, e per mezzo di questo si negozia una amnistia colla Sublime Porta. Il Gabinetto Turco lieto di cogliere un successo senza l'intervento del Governo cristiano del Libano gliela acco'rda, e questo fatto corroborato dall'attitudine delle autorità locali ingenera nei maroniti ai quali prestano appoggio le insinuazioni del Clero, la persuasione che Daud non ha più la fiducia della Porta, che Karam è perdonato, e che alla perfine furono vendicate le sofferenze da lui patite per lungo tempo.

In questo stato di cose, Karam pubblica un mani:festo nel quale annunzia che compirà il dovere di distruggere le forze di Daud Pascià, ed immediatamente comparisce in armi nel distretto di Ehden. Un tal movimento che in altri momenti non avrebbe avuto significato, acquistava nelle circostanze attuali una importanza funesta all'Autorità del Governatore della Montagna. Colla sua gendarmeria questi cercherà di reprimerlo, e d'altre parte farà rimostranze alla Porta che saranno coroborate da quelle degli Agenti delle Potenze garanti. Ciò nondimeno egli non può dissimularsi come la sua autorità sia scossa, e come la situazione non cambiandosi radicalmente, può trovarsi nella impotenza di governare, e forse spettatore di funesti conflitti. Egli sa infatti che oltre all'azione ufficiale dei funzionarj turchi si sono spediti Agenti nella montagna per investigare quali lagnanze abbiano da presentare le popolazioni contro Daud Pascià, e che d'altro canto si eccitano a volere ristabilire le Caimacannie Druse nel Kesruam, ciò che risusciterebbe tutte le rivalità di razza e le animosità religiose fra Cristiani e Maroniti, e riaprirebbe il funesto periodo di calamità che fu segnato dagli eccidj del 1860.

Di fronte a questi maneggi ed alle insidie che gli sono tese dagli Agenti stessi della Porta in nome della quale presiede l'Amministrazione guarentita a quella provincia da un accordo internazionale, mi esprimeva Daud Pascià la convinzione di non poteT più continuare nel suo compito -che quand'anche gli fosse da,to di proseguire destreggiandosi contro tanti raggiri, non era decoroso per lui né utile per il paese di restare in una situazione evidentemente falsa e umiliante per sé, e per le Potenze che in sostanza egli rappresenta simultaneamente, perché posto a dirigere ed a mantenere un'opera di loro

creazione -che quindi egli ha intanto ravvicinata la propria residenza a Beirut trasferendosi da Beit eddin a Hadad di qui distante due ore, che chiederà la sua dimissione, che ottenutala partirà, e che partirà pur anche se non la ottiene sciogliendosi da qualunque rapporto colla Sublime Porta, e recandosi in Europa.

Quantunque a me non spettasse di dar consigli a Daud Pascià per indurlo a prendere una determinazione anzi che un'altra, né ad esprimergli un giudizio sulla condotta del Governo Ottomanno ho creduto dì doverlo confortare a non lasciarsi imporre dalle circostanze, ed a cercare invece di illuminare la pubblica opinione, colla quale avrebbe più facilmente che con ogni altro mezzo influito a migliorare la posizione propria ed a far ricadere i torti su chi spetti.

S.E. non ha disconvenuto di ciò che gli osservava, ma dicendosi oramai privo dei mezzi di fare il bene mi ha ripetuto di voler partire aggiungendo che anzi domanderà l'ospitalità all'Italia paese più liberale di ogni altro, sempreché non siano poste difllcoltà dal Governo del Re al suo soggiorno fra noi.

A questo proposito io ho cercato di lasciar divagare la conversazione per evitare una risposta a parole che quantunque sembrassero lasciate cadere come casualmente, non mi parvero però dette senza intenzione.

E poiché la opportunità della odierna partenza del Corriere per l'Italia mi si porge favorevole, mi sono creduto in dovere di render conto all'E.V. di questo colloquio, nella speranza che Ella vorrà compiacersi di indicarmi in qual senso io dovrei esprimermi, se i rapporti di amicizia che ho con Daud Pascià, e la sua vicinanza attuale a Beirut rendendo frequenti i nostri rapporti personali, inducessero S.E. a ritornare sull'argomento di una sua ritirata in Italia anche contro la volontà della Porta di esonerarlo dall'Ufllcìo di Governatore del Libano (1).

Fregandola, Signor Ministro, a voler ritenere come riservatissimo questo rapporto...

(l) Con t. 42 del 16 gennaio Teccio di Bayo annunziò di aver rimesso le credenziali.

115

L'INCARICATO D'AFFARI A VIENNA, RATI OPIZZONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 38. Vienna, 14 gennaio 1867, ore 13 (per. ore 10 del 15).

Le Gouvernement autrichien accepte la note identique (2), toutefois identique à celle proposée par le Gouvernement français, et en informe son internonce à Constantinople.

(l) -Nota a margine: «Si dica che venendo Daud Pasc!à in Italia vi sarà accolto come merita». (l) -Cfr. n 111.
116

IL MINISTRO A PIETROBURGO, DE LAUNAY, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 37. Pietroburgo, 14 gennaio 1867, ore 15,50 (per. ore 1,50 del 15).

Gouvernement russe ayant déjà adhéré non seulement en principe mais en réalité au fl.rman d'investiture s'abstiendra de toute démarche ultérieure. Il désirerait que le traité de 1856 ne fut pas mentionné par les Puissances dans leurs notes identiques.

117

IL MINISTRO A LONDRA, D'AZEGLIO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 34. Londra, 14 gennaio 1867, ore 16,30 (per. ore 20,12).

Le ministre des affaires étrangères m'a confl.rmé son acceptation d'une note identique indiquée dans votre chiffré d'hier (1).

118

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AL MINISTRO A PARIGI, NIGRA

D. 200. Firenze, 14 gennaio 1867.

Pendant que le Gouvernement français négocie à Rome, comme il a bien voulu nous en faire part, en vue d'obtenir du Gouvernement Pontificai un modus vivendi satisfaisant pour les relations qui devraient exister entre les deux territoires, nous nous sommes bornés à faire au Sain Siège, par l'entremise du Commandeur Tonello, des propositions officieuses pour apporter à l'état de choses actuel quelques amélioraments pratiques, d'une portée trè modeste, sauf à les compiéter si elles venaient à etre accueillies favorablement.

Ces propositions concernent des facilités à accorder au transit sur le territoire romain, et des accords à prendre, dans un intéret de haute moralité, pour l'extradition réciproque des malfaiteurs.

Le Gouvernement Pontificai ne croit possible actuellement aucun accord sur le transit des voyageurs et des marchandises. Il voit des inconvénients au passage d'un wagon postal italien sur ses lignes.

14 -Documenti diplomatici -Serle I -Vol. VIII

Il n'a meme pas consenti à l'abolition des passeports. Cependant il a exempté Ies voyageurs qui passent sans s'arreter sur Ies chemins de fer pontificaux, de faire viser Ieurs passeports par le consul d'Espagne, et c'est du moins une concession dont nous avons eu la satisfaction de prendre acte.

Un arrangement pour l'extradition des malfaiteurs sembiait au Gouvernement du Roi ne pouvoir rencontrer de difficulté. Il est impossi:ble de comprendre comment le Saint Siège veut juger nécessai:re, en consi:dération de sa situation politique vis-à-vis de nous, ,que l'impunité continue à etre assurée aux voleurs et aux assassins qui, sans pouvoir donner à Ieur crimes un caractère politique, menaçent la sécurité des personnes et des propriétés sur le territoir romain aussi bien que sur le nòtre. Cependant le Saint Siège persiste à ne pas vouloir conclure avec nous des accords formels pour l'extradition des malfaiteurs, on entend se borner à des mesures de fait, sans garantie et sans régu'l.ar~té on ne croit pas mème à Rome pouvoir Iivrer à la justice italienne des chefs de brigands chargés des crimes les plus atroces, tel que Croceo et Pilone, et on allègue qu'ils se sont conftés à la foi du Gouvernement Pontificai. Il est regrettable à tous !es points de vue que le Saint Siège se sente lié envers des pareils scélérats; c'est la seule réftexion que je vouille faire sur ce sujet.

Le Commandeur Tonello a encore entretenu le Cardinal Secrétaire d'Etat des prisonniers politiques originaires de provinces actueHement réunies au Royaume, et détenus cependant dans les prisons pontifica1es; il a aussi abordé la questàon du rétablissement des ra.pports Consulaires. Le Iangage de S. E. le Cardinal sur ces deux sujets ne laissa voir que des dispositions défavorables.

Il nous reste à souhaiter, M. le Ministre, que le Gouvernement impérial, dont Ies efforts, visant plus Ioin que Ies nòtres, tendent à obtenk toute une réforme de l'a;dministration intérieure et extérieure de l'Etat romain, soit plus heureux que nous, et obtienne de la Cour pontificale des concessions qui rendent la situation actuelle plus supportable. Je serai bien aise d'apprendre le résultat, qu'aura pu obtenir dans ce sens le Gouvernement de S.M. l'tEmpereur.

(l) Cfr. n. 111.

119

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AL MINISTRO A PARIGI, NIGRA

D. 201. Firenze, 14 gennaio 1867.

Il Barone di Ma'laret d'ordine del suo Governo venne ieri a farmi, sugli affari d'Oriente alcune comunicazioni, le quali, mi disse egli, non furono ritardate fino ad oggi se non perché gli affari di Roma avevano dovuto essere negli ultimi tempi trattati di preferenza tra i due Governi.

Fattosi adunque a chiarire qual fosse l'attuale contegno del Governo francese nella questione d'Oriente, il Ministro di Francia mi disse che il suo Governo aveva consigliato formalmente aUa Sublime Porta l'evacuazione, domandata da più mesi dal Principe Michele, delle fortezze ancora occupate dai Turchi in Serbia, e sperare che il Governo italiano avrebbe diviso il suo parere circa l'opportunità d'un tale suggerimento.

Il Barone di Malaret aggiunse che in generale, non sembrando al Governo francese che gli avvenimenti che si stanno compiendo in Oriente richieggano immediate risoluzioni per parte delle Potenze, egli non si è ancora prefisso cma linea di condotta definitiva al riguardo; ad ogni modo egli confida che la Francia e l'Italia procederanno d'accordo nelle eventualità che si potranno presentare.

Ringraziai il Signor di Malaret della cortese comunicazione.

Il R. Governo gli dissi io, prima di conoscere l'opinione delle a'ltre Potenze al riguardo, avea stimato dover continuare, nella vertenza delle fortezze Serbiane, la politica da lui altre volte seguita, epperò avea consigliato alla Sublime Porta di fare atto di spontanea benevolenza verso il Principe Michele evacuando definitivamente tutte le fortezze del Principato. In ordine alle altre quistioni che per o·ra non potevansi ben definire, io osservai che il contegno che intendevamo tenere sarebbe naturalmente determinato dalle nostre invariabili simpatie per le popolazioni cr:stiane della Turchia e dall'interesse ragguardevole che l'Italia annette alla indipendenza del Levante.

Soggiunsi però ch'io coglieva con piacere questa occasione per affermare che in quelle simpatie ed in quegli interessi non vedeva cosa alcuna la quale potesse dividerci dalle Potenze nostre amiche e segnatamente dalla Francia.

120

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AL MINISTRO A PARIGI, NIGRA

D. 202. Firenze, 14 gennaio 1867.

Facendo seguito alle informazioni che io Le diedi col mio dispaccio in data d'oggi (l) sulle nostre trattative colla Corte di Roma, mi pregio di recare a cognizione di Lei che ieri il Barone di Malaret venne ad intrattenermi della eventuale ripresa delle relazioni consolari tra il Governo Pontificio ed il Governo del Re.

Secondochè mi parteci:pò il Barone di Malaret, il Cardinale Antonelli avendo espresso al Conte di Sartiges il desiderio che anzitutto il Governo del Re accordasse una riparazione per il rinvio da Napoli dell'ultimo Console pontificio in quella Città, nel 1863, il Governo dell'Imperatore ci chiede se noi poss:amo consentirvi.

Risposi al Barone di Malaret che il Governo dell'Imperatore non aveva forse presenti i fatti relativi alla espulsione del Signor De Mandato, ed aggiunsi essere mio avviso che ove esso riassumesse in esame i particolari di quell'incidente, riconoscerebbe egli stesso l'inammissibilità della pretesa del Governo pontificio.

Nella circolare di Gabinetto che fu pur diretta a Lei, Signor Ministro, in data 26 settembre 1863 (1), sono contenuti i più precisi ragguagli sulle circostanze in cui avvenne la rottura dei rapporti consolari f'ra il Governo del Re e la Santa Sede. Le ricorderò solo che il provvedimento preso dalle Autorità di Napoli di consegnare i passaporti al Signor De Mandato fu la esecuzione pura e semplice di un giudicato della Giunta provinciale istituita dalla Legge 15 Agosto 1863 per la repressione del brigantaggio e delle mene ordite contro la pubblica sicurezza dalla reazione, che notoriamente in quel tempo riceveva impulso, direzioni e sussidii da Roma.

Le RR. Auto,rità non solo avevano il diritto ma avevano pure lo stretto dovere di dar effetto alla deliberazione della Giunta. La misura stessa della espulsione fu al certo meno severa di quanto avrebbe comportato la stretta giustizia poiché il Signor De Mandato risultava complice negli intrighi della reazione, e colpevole di gravi abusi nell'esercizio stesso delle sue funzioni, e segnatamente d'aver rilasciato passaporti clandestini a RR. sudditi. Nè la qualità consolare del De Mandato lo sottraeva alle conseguenze di tali suoi atti, poichè in virtù di una disposizione espressa del Trattato tra la Sardegna: e la Santa Sede del 3 Luglio 1847, i rispettivi Consoli non godono nessuna immunità e sono sottomessi a tutte le leggi comuni. Ora il Governo pontificio, senza neppure cercare di giustificare la condotta del proprio Console, adottò senz'altro un provvedimento che non era punto giustificato dal contegno del Console Generale del Re a Roma, e che rivestiva un carattere ben più grave della espulsione del Signor De Mandato, poiché sopprimeva completamente ogni regia rappresentanza consolare nel territorio pontificio. Si fu in seguito a siffatto provvedimento che il Governo del Re dovette proporre a Sua Maestà la revoca dell'exequatur a tutti gli Agenti Consolari pontifici nel Regno, esponendone i motivi in un rapporto reso dippoi di pubblica ragione, che io ebbi l'onore di presentare a Sua Maestà, e che la Maestà Sua degnassi sanzionare.

E' evidente pertanto, Signor Ministro, che una riparazione qualsiasi per parte del Governo del Re, non solo sarebbe cosa contraria alla nostra dignità, ma riuscirebbe altresì in contradd:zione colla realtà dei fatti e colla legale sentenza del Magistrato che condannò il De Mandato.

Ci dorrebbe pertanto che il Governo Pontificio, insistendo in una sì strana pretesa, uscisse così dalle vie pratiche e concilianti in cui noi ci sforzammo di mantenere i negoziati pendenti, e desse luogo alla supposizione che egli cerchi appunto di provocare da noi un inevitabile rifiuto; d'altronde il Governo pontificio stesso nel 1860 ritirò l'exequatur ai RR. Vice Consoli in Civitavecchia, Porto d'Anzio e Terracina, e li costrinse a partire, senza poter loro addebitare nessun abuso simile a quelli commessi dal De Mandato. Se adunque il Governo pontificio crede essergli dovuta una riparazione per la misura adottata contro il De Mandato, egli deve riconoscere che abbiamo lo stesso titolo a chiedergliene uno per il trattamento da lui usato verso i nostri Vice-Consoli nel 1860.

Nello stesso colloquio il discorso venne a cadere sulla pratica possibilità del ristabilimento effettivo dei rapporti consolari tra il Governo del Re e la Santa Sede.

Io premisi anzitutto che, nel pensiero del Governo del Re, il ristabilimento d'una reciproca rappresentanza consolare doveva riguardarsi come il necessario complemento e la guarentigia del sistema di provvedimenti suggeriti al Governo Pontificio allo scopo di migliorare la rispettiva situazione dei due territorii. Noi comprendiamo difatti che reciprocamente si inviino Agenti consolari nel territorio dell'altro Stato per constatarvi, assicurarvi ed anche, occorendo facilitarvi i rapporti che necessariamente debbono esistere fra i due territorii. Ma finché quei rapporti non esistono, finché per esempio i malfattori non possono essere reciprocamente estradati, né esiste accordo alcuno per le relazioni di confine, né insomma è determinato in quals'asi guisa quanto l'uno dei due Stati può in fatto chiedere all'altro nelle loro relazioni d'ogni genere, non si saprebbe intendere quali potrebbero essere gli uffici dei rispettivi Consoli in un simile stato di cose, né quale utilità ne avrebbe la istituzione. Occorre adunque che il Governo dell'Imperatore, come è sollecito di vedere stabilito il mezzo di assicurare l'esecuzione di un modus vivendi, cioè il sistema consolare, affretti di pari passo l'accettazione di quel modus vivendi medesimo per parte della Corte di Roma.

Del resto ripetei al Barone di Malaret che il Governo del Re, come in tutti gli altri argomenti relativi ai nostri rapporti colla Santa Sede, così pure è animato delle migliori disposizioni per quanto concerne il ristabUimento effettivo della reciproca rappresentanza consolare. Per parte nostra, noi adempiremo tutte le condizioni che sono indispensabili all'uopo, accordando ai consoli ed alla bandiera del Governo pontificio il trattamento richiesto dagli usi e dalle convenienze. I Consoli pontifici potranno, senza ostaco'lo, come è di regola, apporre lo stemma del loro Governo sulla porta del rispettivo consolato ed avranno diritto per la loro bandiera a tutti i riguardi. E' evidente per altro che i Consoli italiani sul territorio pontificio dovranno alla lor volta essere ammessi ad esercitare le funzioni ed a compiere i doveri che sono inseparabili dal carattere di Agenti consolari. Locchè dovrà tanto più facilmente essere consentito dalla Santa Sede in quanto che l'esercizio di quelle attribuzioni non può pregiudicare veruna quistione politica.

Il Governo del Re, d1chiarò sempre e dichiara tuttora ch'esso non ammette che sia posta in campo tra i due stati la quistione del riconoscimento; ma sarebbe una enormità il pretendere, ad esempio, che un Oonsole del Re avesse ad assistere agli sfregi tuttora recati alla bandiera nazionale nei porti pontifici dove essa dev'essere abbassata dai legni italiani.

L'Austria stessa non cessò mai di ammettere la bandiera italiana nei suoi porti, anche nei tempi in cui non solo non riconosceva l'Italia, ma manifestava apertamente disegni ostili all'esistenza stessa del Regno.

Spetta adunque al Governo pontificio di vedere se gli convenga di prendere quei provvedimenti che rendano possibile una ripresa delle relazioni consolari. Per parte nostra, noi accettiamo fin d'nra ogni decoroso temperamento che esso ci voglia proporre, e speriamo, che egli vorrà, al pari di noi, evitare il terreno delle evidenti impossibilità, e non precludere ogni via ad un accordo di cui siamo sinceramente desiderosi.

(l) Cfr. n. 119.

(1) Cfr. Serie I, vol. IV, n. 199.

121

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AL MINISTRO A PIETROBURGO, DE LAUNAY (l)

D. 56. Firenze, 14 gennaio 1867.

I di Lei dispacci confidenziali NN. 159 e 163 in data del giorno 2 corrente (2) qui giunsero il giorno 9 dello stesso mese.

Interessantissima mi riuscì la relazione che la S. V. mi ha fatta della conversazione avuta con S. E. il Principe Gortchakow sovra il modo da adottarsi dalle potenze garanti pella loro adesione al firmano d'investitura del nuovo Principe Rumeno e sovra l'argomento ben più importante del contegno che l'Italia tiene nelle quistioni orientali.

Approvo il linguaggio ch'Ella ha tenuto in questa circostanza come quello che lasciando a Lei aperta la via ad altre comunicazioni confermava intanto la intenzione del Governo italiano di voler seguire in Oriente una politica ispirata ad un tempo dalle proprie simpatie verso le popolazioni cristiane della Turchia e dagli interessi ragguardevoli che noi abbiamo in Levante.

Il mio Dispaccio N. 53 del giorno 5 corrente (3) l'avrà messa in grado di esprimere più chiaramente a S. E. il Vice Cancelliere gli intendimenti del Governo del Re a fronte delle complicazioni che si prevedono in Oriente. Quel mio Dispaccio rispondeva anticipatamente al desiderio espressole dal Principe Gortchakow che i Governi interessati procedessero sin d'ora allo scambio di idee che è pur necessario in vista di tale eventualità.

Quanto Ella mi scrive circa il contegno delle altre grandi Potenze rimpetto agli affari d'Oriente, è conforme alle relazioni indirizzatemi in questi ultimi giorni dai rappresentanti Italiani presso quelle Corti.

Se le mie informazioni sono esatte, sembrerebbe che l'Austria si proponga lo scopo di conciliare gl'interessi della Francia con quelli della Russia procurando che le due Potenze abbiano intanto a procedere d'accordo in quelle questioni sulle quali non vi ha fra di loro divergenza di interessi e di vedute.

La politica del Gabinetto inglese benché s'avvkini alquanto a quella della Francia non sarebbe però mai giunta sino a prender causa pella Turchia contro le popolazioni cristiane. Se n'ebbe una prova nelle istruzioni date da Lord Stanley al Rappresentante britannico in Atene le quali prescrivevano bensì a quest'ultimo di associarsi alle rimostranze dell'Inviato francese, ma in termini assai più moderati.

Il Governo del Re ebbe già a preoccuparsi della situazione speciale che gli potrebbe esser fatta ove, prevalendo il sistema delle soluzioni parziali, le varie questioni orientali dovessero essere risolute prendendo a base atti diplomatici

anteriori alle stipulazioni di Parigi del 1856. Molto opportunamente Ella osserva pertanto che conviene sin d'ora assicurarci la posizione che ci compete negli affari d'Oriente. A questo riguardo non dubito che in ogni circostanza Ella saprà far valere il nostro diritto a prender parte ai negoziati concernenti gli affari ottomani; ma ove l'opportunità se ne presentasse, Ella potrebbe sin d'ora far intendere al Principe Gortchakow che l'Italia, cresciuta in potenza, pella sua posizione, pei suoi interessi nelle contrade del Levante e per molte altre buone ragioni dovrebbe essere dalla Russia appoggiata nella sua effettiva partecipazione anche negli incidenti riguardo ai quali la Russia non credesse doversi fondare sul trattato di Parigi e sul concerto delle sei Potenze garanti.

(l) -Annotazione a margine: «Estratto ad Atene e a Costantinopoli 16 gennaio 67 ». (2) -Sono editi solo i rr. confidenziali 159 e 160 ai nn. 93 e 94. (3) -Cfr. n. 100.
122

L'INCARICATO D'AFFARI A BERNA, R. DE MARTINO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. CONFIDENZIALE l. Berna, 14 gennaio 1867 (per. il 19).

Il Presidente della Confederazione col quale ebbi occ·asione l'altro ieri di conversare, mi disse quanto riuscirono gradite a questo Governo le parole dette il l o dell'anno da Sua Maestà al Signor Pioda, e le quali non erano un semplice grazioso complimento imperocché V. E. si compiacque di ripeterne il senso al .Slgnor Pioda.

Produsse, poi, contento fra questi Signori, che a mala pena sanno nascondere quel loro continuo temere, che è comune ai piccoli, l'assicurazione data al Rappresentante Elvetico da V. E. che le parole di Sua Maestà, le quali potevano essere interpretate in un senso bellicoso, erano intenzionate soltanto ad ammonire quel partito des~deroso di riduzioni sregolate e non istudiate dell'esercito. Fu dietro ordine telegrafico ricevuto dal suo Governo che il Signor Pioda ne fece parola coll'E. V.

La notizia qui pervenuta per telegrafo concernente i Beni Ecdesiastici ha fatto impressione. Il Signor Challet Vene!, Consigliere Federale per le Finanze mi palesò la sua viva simpatia per quel progetto. «Esser quella concezione fra le più originali e pratiche che siensi manifestate in Italia. Mercé ad essa l'Italia compie il maggior passo nella via del progresso e della libertà che avrà questo secolo ad annoverare, facendo cessare quel non senso e quell'anacronismo che è un clero salariato. Se tanto scopo sarà veramente conseguito l'Italia avrà realizzata la sua vera rivoluzione la quale non è confinata alle Alpi, essendo una rivoluzione religiosa. Le altre nazioni non avranno che a seguire, e noi -soggiungeva il Ministro -speriamo dall'esempio che ci darete trarre l'energia e la volontà necessarie per imitarvi».

Queste parole sono per così dire la manifestazione di un partito che raccoglie ogni giorno aderenti, e il quale vorrebbe compiere in !svizzera l'assoluta separazione dello Stato e della Chiesa.

Il Redattore in Capo del Bund si è pur esso recato da me per sapere quale fondamento avesse la notizia. Egli mi diceva che, se per l'approvazione di quella parte del piano finanziario che concerne i Beni Ecclesiastici, non

verrà più stipendiato il clero, la Svizzera proverà un forte contraccolpo da questo fatto.

E si comprende di leggieri l'interesse che gli uomini polltic1 hanno per siffatta quistione. Il reggimento delle cose religiose riguarda i singoli cantoni. L'autonomia cantonale in questo rispetto sarà sempre un gravissimo impedimento ad una universale, uniforme e radicale riformazione. La necessità di conseguirla resa più sensibile dall'esempio che sarebbe dato da una monarchia confinante, accrescerebbe numero e ardimento al partito che vorrebbe fatta ai culti in questa Repubblica la condizione in cui si trovano negli Stati Uniti di America, e il quale, per attingere un cotale complemento della libertà, considera inevitabile un gran passo verso l'accentramento.

123

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, ALL'INCARICATO D'AFFARI A COSTANTINOPOLI, DELLA CROCE

T. 28. Firenze, 15 gennaio 1867, ore 15,45.

Veuillez me faire connaitre immédiatement si comme les autres représentants vous avez reçu dans le temps communication olll.cielle de la Porte du firman d'investiture du prince de Roumanie (1).

124

L'AGENTE E CONSOLE GENERALE A TUNISI, PINNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R.R.S.N. Tunisi, 15 gennaio 1867.

Oggi scade un pagamento di circa 2 milioni di Piastre in seguito ad accomodamenti presi per la mancata consegna delli Ogll in Ottobre u.s., e sapendosi più di mai a secco l'erario, il commercio italiano ritorna con maggior forza a protestare, e a chiedere un'azione più em.cace del R. Consolato. Ora non avendo lasciato da parte mia nulla d'intentato, come insinuazioni amichevoli, proteste ulll.ciali ed infine minacce indirette, non mi rimane che a riferirne di nuovo a V. E.

È mio avviso per altro, al punto in cui sono arrivate le cose, che non si farà ragione ai nostri incontestati diritti se il Governo del Re non si decide dl ricorrere a mezzi estremi. Egli è vero che il commercio europeo si trova nella stessa identica posizione, e che né francesi, né inglesi possono vantarsi di un tavore speciale qualunque; ma ciò non toglie che essendo più rilevanti i nostri interessi, non possiamo agire indipendentemente dalle aitre Potenze. All'alta saviezza di V. E. il giudizio; io non domando altro che delle norme precise cui conformare il mio contegno col Governo tunisino, non !stando in me di rompere le relazioni, che sebbene in oggi alquanto tese per questa sola vertenza, non cessano tuttavia nel resto di essere piuttosto soddisfacenti.

Potendo però la forza delle cose spingere un giorno o l'altro il Governo del Re a vie di fatto, non sarebbe difficile di tentare un colpo di mano, ed a questo proposito siami permesso sin d'ara di sottoporle, così di passaggio e senza pretese, una mia idea che consiste nell'occupare la bella e ricca isola di Gerbi. All'uopo basterebbero 3 legni di secondo ordine della R. Marina con altrettante barche cannoniere, e 1500 uomini di truppe di sbarco.

Gerbi è separata da uno stretto braccio di mare dal continente africano, e dista 60 chilometri da Gabes e 220 da Tripoli. Il suo perimetro abbraccia 100 chilometri, ed essendo piana non ha il più piccolo corso d'acqua; le cisterne però e i pozzi bastano ai bisogni della vita animale e pell'agricoltura. Salubre vi è l'aria, ed ubertoso il suolo che produce cereali, frutti d'ogni specie ed ogUo superiore di qualità a quello di terraferma, mentre il mare circostante abbonda di pesci, e sovrattutto di polipi e spugne, la cui pesca è privativa del Governo. La popolazione che ammonta a circa 40 mila anime fra cui 8 mila ebrei ed un 150 europei per lo più maltesi e siciliani, vive sparsa nelle campagne, non essendovi che il luogo propriamente detto Gerba che serve di mercato generale, dove stanno agglomerate da 500 a 600 persone.

Si fabbricano nell'isola le giarre da aglio per tutta la Reggenza, i così detti Bournuss, i Baraccani ossia coperte da letto, e molti altri tessuti ìn lana e seta.

Il litorale è difeso da 6 vecchi castelli, di cui i principali sono Bordgiel Keblr al nord con 16 cannoni e Bordgi-Hudgem che comanda lo stretto.

L'ancoraggio è a 5 miglia da Bordgi-el Kebir stante i banchi di sabbia che ingombrano l'entrata dello stretto. Gl'inglesi tengono su di Gerbi un occhio addosso; dopo l'ultima rivoluzione della TUnisia scandagliarono minutamente tutte quelle acque, e di frequente vi a.pprodano da Malta dei legni di guerra.

All'infuori di pochi cannonieri per il servizio dei forti e di alcuni Zaptie (Gendarmi) per la polizia non havvi altra forza, se per tal non si voglia considerare una specie di guardia urbana composta delli stessi abitanti che passano, con ragione, per essere i più laboriosi, tolleranti e tranquilli di tutta questa zona affricana.

L'impresa pertanto non presenterebbe delle grandi difficoltà, e mentTe l'occupazione momentanea di quell'isola importantissima per la sua pastura sarebbe un pegno sicuro nelle nostre mani per indurre un giorno prima il Bey di Tunisi a soddisfare agli impegni contratti col commercio italiano, servirebbe altresì a rilevare la nostra influenza, e ad accrescere il prestigio della nostra bandiera.

(l) Per la risposta cfr. n 125.

125

L'INCARICATO D'AFFARI A COSTANTINOPOLI, DELLA CROCE, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 41. Costantinopoli, 16 gennaio 1867, ore 18,55 (per. ore 22,50).

En date du 24 octobre Sublime Porte a annoncé omciellement par une note à toutes les puissances garantes, Italie comprise, que le firman d'inves

titure avait été accordé au prince de Roumanie «aux conditions qui étaient déjà connues », la traduction du firman a été remise quelques jours plus tard au premier interprète sans aucune note. La chargé d'affaires de Prusse l'a reçue de la meme manière que nous. Je m'informerai demain auprès des autres.

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IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, ALL'INCARICATO D'AFFARI A COSTANTINOPOLI, DELLA CROCE

D. 6. Firenze, 16 gennaio 1867.

Il Ministro ottomano presso questa Real Corte venne più volte a parlarmi di pretesi arruolamenti che, a suo dire, si fanno in molte Provincie italiane per portare soccorso agli insorti di Creta. Sovra questo argomento Rustem-Bey mi ha diretto tre comun'cazioni in data del 9, 10 e 13 corrente.

Il Governo del Re che ebbe ancor recentemente a preoccuparsi dei maneggi che si facevano in parecchie località dei RR. Stati per ascrivere gente destinata ad emigrazioni lontane era in grado di valutare quanto quei richiami potessero essere fondati, perocché, se alcuni volontari italiani si recarono in Candia, la loro partenza dall'Italia non costituì mai altro che fatti individuali, né prese in alcun caso aspetto e proporzioni che permettessero l'intervento dell'azione governativa.

Ciò nondimeno avendo l'Inviato ottomano indicato specialmente che il giorno 11 corrente dovea partire da Genova un bastimento elleno con una numerosa banda d'armati condotta da un maggiore dell'ora disciolto esercito dei volontari, il R. Governo ordinava al Prefetto di Genova raddoppiasse di vigilanza. La risposta del Prefetto fu che le indicazioni accolte nella Nota del Ministro di S. M. il Sultano erano insussistenti e che sulla nave ellenica la quale stava infatti per mettere alla vela aveano preso passaggio in tutto tre persone.

Reputo utile che la S. V. conosca questo incidente pel solo caso in cui

S. A. Aali Pacha stimasse tenergliene parola, ed in questo caso Ella potrà assicurare Sua Altezza che il Governo del Re ha già da un pezzo preso, per mezzo delle competenti Autorità, ogni provvedimento opportuno per la stessa osservanza delle regole della più completa neutralità rimpetto ai fatti che si compiono in Oriente.

127

IL MINISTRO A PIE'JIROBURGO, DE LAUNAY, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. CONFIDENZIALE 165. Pietroburgo, 16 gennaio 1867 (per. il 23).

J'ai i cru à propos de donner confidentiellement lecture au Prince Gortchacow de la dépéche que V. E. m'a fait l'honneur de m'adresser en date du 5 de ce mois (Cabinet) (1). Elle arrivait on ne peut plus à propos pour combattre les assertions gratuites sur une trop grande condescendance de notre part, vis-à-vis de la France, dans la question d'Orient.

Le Prince s'est montré très satisfait de ce langage. Il a notamment marqué sa satisfation en écoutant les raisonnements par les quels V. E. établlssait si nettement que, dans notre situation générale, aussi bien que dans nos intéréts spéciaux, il ne se trouvait rien que de favora;ble à de bonnes intelligences entre la Russie et l'Italie. En outre, il ne pouvait à moins que d'applaudir à nos dispositions à l'égard du Traité de 1856 et des populations chrétiennes en Orient.

J'accentuai dans ma lecture le passage: «En résumé, de notre còté, les éléments de cette intelligence existent. En est-il de méme des intentions de la Russie à notre égard? ».

Le Vice-Ghancelier m'a demandé, à son tour, si nous avions des désirs plus précis à formuler dans les affaires d'Orient. Je ne pouvais que me référer au contenu du document dont il venait d'entendre la lecture, et qui me semblait assez explicite, plus explicite meme que la plupart des dépéches écrites par d'autres Cabinets. «Au reste, ai-je ajouté, il s'a;git non d'une ouverture pour des accords pratiques et actuels, mais bien plutòt d'une réponse aux interrogations que V. E. m'a posées, dans un entretien dont j'ai rendu compte à Florence».

Le Ministre me pria alors de lui remettre la dépéche précitée, qui produirait aussi la meilleure impression sur l'esprit de Sa Majesté Impériale. N'en ayant pas l'autorisation, j'ai décliné poliment de me rendre à ce désir. Il me chargea alors de déclarer à V. E. combien il avait attaché d'intérét à cette dépéche. Il pouvait me donner l'assurance que le Gouvernement du Tsar partageait entièrement nos dispositions d'une entente sur les Affaires Orientales. Il ne parlait pas des bons rapports existant entre les deux Pays. Ils ne sauraient étre mis en doute, et méme le Cabinet de St. Pétersbourg serait heureux de les rendre plus intimes encore.

Quant aux rapports entre les deux Maisons Souveraines, ils étaient toujours, et traditionnellement, sur le meilleur pied.

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IL MINISTRO A PIETROBURGO, DE LAUNAY, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. CONFIDENZIALE 166. Pietroburgo, 16 gennaio 1866 (per. il 23).

Ayant pris acte des bonnes dispositions de la Russie à notre égard, (rapport confidentiel N. 165) (2), j'ai dit, en me servant des propres expressions de V. E., que, j'aimerais à en trouver des preuves dans les communications effectives que rend désirable entre les deux Gouvernements l'état des affadres d'Orient. Je faisai:s en meme temps allusion aux pourparlers qui ont lieu entre la France et la Russie.

Le Prince Gortchacow m'a laissé entendre qu'il était tenu à observer une grande réserve, ensuite du déslr exprimé par l'Ambassade de France. S'il ne s'en départissait pas, il ne pourrait s'empècher de trouver cette réserve peu explicable, du moment où il s'agissait d'1ntérèts communs a tous les signataires du Traité de Paris, dont le concours et l'unanimité étaient indispensables pour amener les choses à bon terme. Soulevant alors un coin du volle, il me parla des intentions de la Russie. Elle irait jusqu'à l'annexion de la Créte à la Gréce, ou tout au moins voudrait-elle en assurer l'autonomie par une position analogue à celle des Roumains. Elle désirerait en outre que le sort des autres populations chrétiennes fut amélioré par de sages concessions, dont le besoin se faisait de plus en plus sentir. Mais la France, jusqu'ici, ne va pas si loin dans ses projets de réforme. Cependant, si le Marquis de Moustier ne se montre pas à la hauteur de sa position, il faut rendre cette justice à l'Empereur Napoléon, que son esprit perspicace s'est déjà rendu compte que le status qua ante n'était plus de m'se. Quelle sera la mesure des concessions qu'il conviendra de conselller à la Sublime Porte? «Nous n'en sommes plus, ajoutait le Prince Gortchacow, à conjuguer académiquement le verbe désirer, mals les ldées échangées n'ont point encore abouti à un accord ». J'ai fait visite ensuite au Baron de Talleyrand, qui, tout en me donnant la clef des allures mystérieuses du Vice-Chancelier, ne s'est guère montré plus communicatif. L'extrème réserve de ce dernler proverrait de quelques indiscrétions commises d'ici à Vienne. Soit dit en passant, Ies rapports de la Russie avec l'Autrlche se sont sensiblement améllorés dans ces derniers mois. On a eu vent de ces !ndiscrétions, et l'Ambassadeur de France a été dans les cas de faire quelques remonstrances. M. de Talleyrand, en me confirmant ce que m'avait été avoué sur les intentions du Cabinet de St. Pétersbourg, convenait lui aussi que les vues de son Gouvernement n'atteignaient pas les mèmes limites, soit pour l'ile de Créte, soit pour les autres populations chrétiennes de l'Orient. II était néanmois évident, en présence du développement pris par le événements, que désormais Ies Candiotes ne pourraient plus étre traités en vaincus, lors mème qu'ils le seraient en réalité aux yeux des Tures.

J'ai appris d'un autre còté, par l'Adjoint M. de Westmann, que le Cabinet de Londres se trouvait de quelques crans en arriére de celui des Tuileries. Par cont.re, l'opinion publique, qui a tant de poids en Angleterre, est vivement impressionnée par les massacres de Oandie, et Ies journaux les mieux accrédités prèchent en !aveur des victlmes. Si ce courant se maintient, il sera difficile au Ministére de ne pas en tenir compte davantage.

Je me suis en dernier lieu ménagé entretien avec Conemenos Bey. Lui aussi, n'avait que des notions fort incomplètes sur les conférences fréquentes entre le Prince Gortchacow et le représentant de la France. Au reste, sa position assez fausse, surtout dans les circonstances actuelles, de Grec sujet et fonctionnaire de la Porte, lui impose une conduite très prudente, et ne lui attire certainement pas la confiance du Prince Gortchacow. Ce diplomate en est souvente réduit à puiser ses renseignements à des sources secondaires. Voici, à ce sujet, un pian indiqué par M. Strémoukow, chef du département asiatique, auquel Ies affaires d'Orient ressortissent. Autonomie plus complète de la Ser

bie, par une cession de toutes les forteresses; autonomie de la Bulgarie; la Thessalie, l'Epire, la Crète, ainsi que les autres iles de l'Archipel qui baignent les céìtes de l'Europe, seraient incorporèes à la Grèce. L'Egypte aurait sa part d'agrandissement. Bien entendu qu'il ne saurait etre question de rétablir un Empire Byzantin. Constantinople serait conservé à la Turquie.

Ce serait, il me semble, aller bien vite en besogne. Je doute fort que la Russie mette, de son propre chef sur le tapis un tel programme. Je ne le mentionne que pour la curiosité du fait. Un semblable désintéressement serait au moins nouveau dans sa politique. Elle ne pourrait dans tous les cas s'engager dans une pare'ille combinaison, qu'en obtenant, par une révision du Traité de 1856, des dédommagements dans la Mer Noire.

Il est vmi d'autre part que le Cabinet de St. Pétersbourg aurait plus d'un motif pour se montrer moins exigeant. Camme je l'ai écrit ailleurs, j'ai la conviction qu'il n'a aucunement provoqué la crise qui se manifeste en Orient, car il entrait bien plutéìt dans ses convenances d'y maintenir le statu quo territorial Et cela, par la raison très simple qu'il n'est pas encore en mesure de recueillir de larges bénéfices. Il n'a rien négligé, dès le début, pour enrayer le mouvement. Il a meme été jusqu'à faire gourmander en secret le Grand Vizir de ses hésitations vis-à-vis des Principautés Danubiennes. Plus tard, il a insistè à plusieurs reprises pour de concessions aux races chrétiennes. Il a nommément appuyé les demandes de la Serbie, quand le Prince Michel a fermé l'oreille aux conseils de temporisation. Mais les événements ont marché. La résistance héroi"que en Crète leur a donné une nouvelle impulsion. Le courant est devenu plus fort que la volonté des Cabinets. On pourrait avoir compris ici qu'il faudrait faire la part du feu. Les raisins qui ne sont pas mùrs pour la Russie, pourraient le paraitre à d'autres. On espère peut-etre sauver l'avenir en livrant en partie le présent, à la condition qu'il ne se produise aucune intervention isolée et que la grande question de la possession de Constantinople ne soit pas tranchée. Les petits Etats autonomes n'auraient que des chances assez douteuses de vitalité. Une Grèce, meme mieux arrondie, continuerait à etre un foyer d'agitation qui embraserait nouvellement l'Orient. On se natterait ici d'ètre pret alors à denouer, et au besoin à trancher, le noeud gordien, et cela surtout si dans l'intervalle quelques grandes Puissances se trouvaient paralysées à la suite d'une nouvelle guerre dans le coeur de l'Europe.

Il est positif d'ailleurs que, dans les cercles influents, l'idée se propage de plus en plus que ,la Russie ne saurait rester les bras croisés, quand ses coréligionnaires tombent sous le feu des Musulmans. Ces influences ont gagné jusqu'à la Cour. C'est elle qui a ouvertement patronné le dernier bal de bienfaisanee, pour venir en aide aux familles crétoìses refugiées en Gréce et exposées à la plus douloureuse misère. Le recette s'est élevée à 61.000 roubles, y compris le produit de quelques dons recueillis à la Bourse de cette capitale. Cette somme a été transmise hier au Ministre Impérial à Athènes. En outre, Monseigneur Philarète, Métropolitain de Moscou le personnage le plus marquant et le plus estimé du clergé moscovite, a été autori:sé, sur sa demande, à ouvrir des souscriptions dans le meme but. Nul doute qu'elles afflueront de toute part. Je mentionnerai encore l'instruction donnèe aux deux ba1Jiments de guerre qui naviguent dans les eaux de la Grèce, de recue1llir les femmes, les vieillards et les blessés, instructions qu'ils ont déjà remplies, en prenant à bord 1200 de ces malheureux.

Ces démonstrations sont parfaitement justifiées; elles sont mème dignes d'éloges au point de vue d'humanité et de religion. Mais elles indiquent aussi qu'on se trouve sur une pente glissante, et qu'on doit avoir calculé la portée d'un appui, qualque indirect qu'il puisse ètre, fourni à l'insurrection. Tel est du rnoins le jugement porté par les Ambassadeurs de France et d'Angleterre, qui se sont abstenus de paraitre au bal précité, quoiqu'il fut honoré de la présence de Leurs Majestés et des autres membres de la Famille Impériale. Je me suis abstenu, en alléguant, ce qui était la verité, ·que, comme beaucoup d'autres personnes, je n'avais pu me procurer des billets d'entrée.

En attendant, je m'empresse de remercier V. K de sa dépèche du 6 Janvier,

n. 54 CCabinet) (1). Je voudrais espérer que cet envoi d'extraits de correspondances, reçues et expédiées, sur des questions à l'ordre du jour, inaugurera un système si désirable, et qui plus est, si nécessaire, pour bien renseigner les Ministres à l'étranger. Ce méme système existe en Angleterre, en France et en Prusse. Aussi leurs représentants passent pour ètre parfaitement au courant de la situation, et chacun est intéressé à se menager avec eux de bons rapports. Et, ce qui est encore plus important et plus profitable pour le bien du service, c'est qu'ils trouvent meilleur accueil auprès du Ministre des Affaires Etrangères, qui prefère, comme de raison, se livrer à des conversations sérieuses avec des diplomates ferrés à glace et vivant en communauté de pensée avec leur Gouvernement, que de donner en quelque sorte la becquée à ceux d'entre eux qui se présentent chez lui, uniquement pour recevoir sans rien offrir en échange. En cela, comme en toute chose, on tient à une certaine réciprocité. Notre interlocuteur principal désire souvent étre compris à demimot, ce qui parfois serait de toute impossibilité, quand nous ne connaissons pas les affaires dans leur ensemble et dans leurs détails.

J·e terminerai ce rapport par une nouvelle qui m'a été donnée par le Prince Gortchacow. Son Ministère vient de préparer une réponse aux publications récemment faites par le St. Siège au sujet de l'attitude de ce Gouvernement vis-àvis des catholiques en Pologne. Le livre distribué au corps diplomatique à Rome contiendrait des erreurs qu'on tenait ici a rectlfier, en repoussant en meme temps, dit-on, des attaques mal fondées.

(l) -Cfr. n. 100. (2) -Cfr. n. 127.
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IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, ALL'INCARICATO D'AFFARI A COSTANTINOPOLI, DELLA CROCE

T. 33. Firenze, 17 gennaio 1867, ore 15.

Les Gouvernements de France, Angleterre, Prusse et Autriche doivent adhé· rer prochainement au firman d'investiture du prince de Roumanie par une

note identique; nous sommes invités à en faire autant. La Prussie n'y faisant aucune objection et le concert des s:x puissances étant maintenu vous etes autorisé à adresser en meme temps que vos collègues la note identique à la Porte; vous pouvez en demander le texte au mini:stre de Prusse. Le due de Noja qui part demain vous l'apporte d'ailleurs avec d'autres déipeches.

(l) Non pubblicato.

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IL CONSIGLIERE DI STATO, TONELW, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA (1)

Roma, 17 gennaio 1867.

Martedì 15 corrente fui di nuovo, secondo l'inteso, dal Cardinale Antonelli. Egli mi comunicò copia delle Bolle d'instituzione adoperatesi per gli Arcivescovi di Bologna e di Ravenna, e pel Vescovo d'Orvieto, assicurandomi, che quelle riguardanti gli altri Prelati preconizzati, le quali egli non aveva tutte potute raccogliere, erano redatte sugli stessi moduli, e non contenevano per la sostanza più che in esse non fosse. Mi promise di mandarmi pel giorno successivo copia di alcuna delle Bolle usate per le sedi fuori delle provincie expontificie, e tale copia, che ricevetti oggi soltanto, è quella della Bolla dell'attuale Arcivescovo di Genova Monsignor Charvaz.

Quanto alle prime è da premettere questa essenziale considerazione, che esse costituiscono un fatto già da tempo compiuto, e che la Santa Sede, come più volte mi fu detto, non potrebbe indursi a ritirarle e riformade senza scapito del proprio decoro. Ciò ritenuto era da vedersi, se, anche nel caso in cui se ne potesse desiderare una migliore redazione, vi fosse tuttavia in esse tanto, da dover assolutamente obbligare il Governo ad impedire ai prelati di cui si tratta la presa di possesso delle Diocesi loro assegnate. Io le esaminai diligentemente, e non mi parve di trovarvi materia sufficiente, nelle date condizioni, ad opporre tale ostacolo.

Anzitutto era a temersi, che per trattarsi di territori già dipendenti dalla Santa Sede, ove chi emanava le Bolle aveva riunite le due podestà, vi si fosse inserta qualche clausola relativa ad attribuzioni politiche od amministratlve. Riconobbi invece che non si usciva in esse dal campo puramente ecclesiastico, conferendosi soltanto le facoltà ordinarie ai Vescovi come negli altri territorii, ed i diritti patrimoniali nascenti dalla nomina. Senza dubbio le nomine sono fatte dal solo Pontefice senza concorso d'altra autorità, e nella pienezza della sua podestà apostolica secondo lo stato di cose esistente in ciò prima dell'annessione; ma essendosi per ciò che riguardava il passato, e salvi per l'avvenire gl'intesi concerti ed altri temperamenti, abbandonata la questione relativa all'estensione, che si fosse dovuto operare di pien diritto, alle provincie ex-pontificie della prerogativa di Regia presentazione, non pare, che da ciò possa sor

gere motivo ad opposizione. Io adunque, come già diceva, dal tenore delle Bolle in discorso, le quali del certo rimangono nell'ordine dei provvedimenti puramente individuali, e non ricevono la menoma pubbUcità, non potrei ritrarre sufficiente argomento ad impedire, che abbia luogo l'insediamento dei prelati nelle medesime contemplati.

Quanto alla Bolla concernente l'Arcivescovo Charvaz, la quale viene più specialmente proposta, come modello di quelle che dovrebbero usarsi da oggi in poi, tolta ben inteso la parte in cui si parla della presentazione fatta dal Re, essendo d'un contesto già conosciuto, e più volte passato all'esame del Consiglio di Stato, e del Governo nelle antiche provincie, semprecché presentavansi Bolle di simili nomine al Visto pel R. Exequatur, io non avrei difficoltà ad accettarla.

Ciò per quanto riguarda la formala delle Bolle.

Relativamente alla presentazione delle medesime da farsi a me, ho già fatto conoscere al Governo coll'ultimo mio scritto le ragioni, per le quali la Santa Sede non credeva di potervi acconsentire, e l'offerta fatta dal Cardinale Antonelli, come sola cosa ammessibile salvi i principii della Santa Sede medesima, di darmi partecipazione dopo la nomina, esser questa avvenuta secondo la formala consueta.

Non avendo io ricevuto dal Governo nulla in contrario a tali proposte, le quali mi furono dal Cardinale nella ridetta nostra conferenza, ripetute, senzaché mi fosse possibile ottener cosa alcuna in meglio sebbene ne rinnovassi il tentativo, io riterrò d'essere autorizzato ad accettarle, e così di potere, finite oggimai le questioni preliminari, addivenire senza più ai concerti per le nomine delle persone.

La intiera forma adunque da seguirsi nella provvista delle sedi Episcopali vacanti, giova qui il ripeter lo, sarebbe la seguente:

l o Io prenderei secondo le istruzioni e gli ordini ricevuti, e da riceversi dal Governo, gli opportuni concerti verbali colla Santa Sede sui posti a provvedersi, e sulle persone a nominarsi o traslocarsi.

2° Intervenuto l'accordo, io scriverei al Governo, che in seguito ai concerti presi tra me e la Santa Sede, il Sommo Pontefice preconizzerebbe N.N. alla Diocesi di N.N.

3° Fatta la preconizzazione la Santa Sede darebbe avviso a me della medesima e del rilascio che si farà al preconizzato delle Bolle d'instituzione secondo la formula consueta.

4° Le Bolle sarebbero rilasciate in conformità del modulo adottatosi per la nomina di Monsignor Charvaz alla sede di Genova, omessa la parte relativa alla presentazione fatta dal Re della persona nominanda.

5° Ricevuto l'avviso io scriverei al Governo per l'emanazione dei provvedimenti opportuni, affinché il nominato possa conseguire il possesso della Mensa.

6° Eguale richiesta io farei pei preconizzati, non sl tosto, presi concerti colla Santa Sede, ne fosse venuto il momento opportuno.

n Cardinale passando quindi alle altre materie, delle quali si era toccato precedentemente, mi notificò aver già dato l'ordine, che pei passa.porti di coloro, che transitano solo per la ferrovia negli stati pontifici senza soffermarvisi, non si esigesse più il visto del Console Spagnuolo, e che tale provvedimento sarebbe subito messo in esecuzione.

Disse inoltre, aver dato l'ordine alla Direzione delle poste pontificie, che si mettesse in relazione con quella del Regno, per prendere tutti i concerti occorrenti a regolare i rispettivi interessi nella materia delle corrispondenze.

Si parlò in ultimo, in forma piuttosto accademica, della nuova Legge concernente i beni Ecdesiastici. Egli mi dimostrò d'averne un concetto meno favorevole di quello, che compatibilmente coi loro principii sulla materia assai diversi da quelli del Governo, mi avevano manifestato altri prelati. A parte il difetto originale di essere, perché fatta senza n consenso della Santa Sede, a suo credere una spogliazione, mi disse, che gli sembrava grave o.ltremodo il pretendere seicento milioni netti, lasciando al clero tutti i pesi; che n calcolo sul valore totale dell'asse ecclesiastico gli pareva esagerato etc. etc. Peraltro si riservò di entrare in discorso, occorrendo, altra volta, quando i particolari della legge fossero meglio conosciuti.

Non essendovi pel momento altro a trattare, si fissò nuovo convegno per martedi prossimo 22 corrente. Prego quindi n Governo, ove avesse altre disposizioni a darmi, a farmele pervenire in tempo.

(l) Ed. in LV 10, pp. 44-45. In Lettere Ricasoli, vol. IX, pp. 202-206 e in Carteggi Ricasolt, vol. XXV, pp. 85-89 è pubblicato con la stessa data un documento analogo nel contenuto ma diverso nella forma.

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IL MINISTRO A PARIGI, NIGRA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 397. Parigi, 17 gennaio 1867 (per. il 20).

Ho domandato oggi al Marchese di Moustier quale era il modo di vedere del Governo francese intorno alla piega che andavan pigliando gli avvenimenti in Oriente. Il Ministro Imperiale degli Affari esteri entrò meco in molte considerazioni, delle quali ho l'onore di qui riferire il riassunto all'E. V.

D'altra parte il Barone di Malaret ha dovuto, per ordine del suo Governo, intrattenere l'E. V. di queste medesime questioni.

Secondo il giudizio del Marchese di Moustier, la questione d'Oriente non è matura per una soluzione; ovvero, per dir meglio, non sono mature le popolazioni soggette all'Impero Ottomano; non vi sono preparati né lo stesso Governo turco, né la Grecia, né le Potenze Mediterranee e le altre che vi sono interessate. Non bisogna d'altronde dimenticare che il trattato di Parigi esiste e costituisce la base del diritto internazionale in questa questione; il trattato di Parigi è quanto rimane della guerra di Crimea. Può essere utile perfezionare quest'atto, completarlo; non si può distruggerlo. La politica sanzionata da questo trattato e dagli atti pubblici che vi si riferiscono, in quanto si applica alle popolazioni ottomane d'ogni razza e d'ogni religione, fu quella di far scomparire ogni differenza di trattamento fra queste stesse popolazioni nella legisla

15 -Documenti diplomatici -Serle I -Vol. VIII

zione come nell'amministrazione. Nel concetto del Governo francese questa riforma fu specialmente utile alle popolazioni cristiane, più attive, più intelligenti delle mussulmane. L'applicazione di queste riforme doveva preparare la soluzione graduata e lenta della questione d'Oriente coll'emancipazione progressiva delle razze cristiane, le quali in un lontano avvenire avrebbero potuto, quando avessero preso un grande sviluppo morale, intellettuale e materiale, surrogarsi forse alla popolazione mussulmana nella direzione del Governo. Le razze cristiane soggette alla Turchia essendo molte e diverse e variamente raggruppate e mescolate, l'avvenire soltanto avrebbe potuto dimostrare a qual gruppo principale dovesse spettare quella specie di e,gemonia.

Così presentavasi la questione agli occhi del Governo francese quando scoppiò l'insurrezione di Candia. Questa insurrezione non è ancora vinta. Essa è evidentemente ajutata, se non materialmente, almeno moralmente dalla Grecia, e la Russia non cela le sue simpatie in favore degli insorti. L'Austria si preoccupa delle disposizioni mostrate dalla Serbia, la quale, incoraggiata dai risultati della recente rivoluzione dei Principati Danubiani, domanda la consegna delle proprie fortezze occupate da guarnigione turca. Il Barone Beust se ne preoccupa a segno che propose la riunione di una Conferenza per risolvere addirittura questa e le altre questioni implicate nella grossa questione d'Oriente. M'affretto ad aggiungere che il Governo francese non ammise il progetto di quella Conferenza per la ragione che una simile riunione fatta senza un previo scambio di idee e senza un previo accordo almeno sui punti principali non avrebbe avuto altro risultato fuor quello di mettere in evidenza le divergenze che separano le Potenze interessate. La Prussia e l'Italia non si sono ancora pronunziate; e l'Inghilterra pur sostenendo il principio dell'integrità dell'Impero ottomano, ammette però che si possano dare alla Turchia dei consigli perché con opportune concessioni si eviti una conflagrazione generale in Levante.

In tale stato di cose, e partendo dal punto di vista che la questione di Oriente non è matura per una soluzione, il Governo francese si propone e propone alle Potenze interessate questo modo d'a,gire, raccomandandolo all'attenzione delle Potenze stesse come semplice progetto suo che potrebbe venir modificato in seguito alle considerazioni dei varii Gabinetti. Questo modo di agire sarebbe il seguente.

La questione d'Oriente essendo immatura, è necessario di non sollevarla nei suoi punti principali. Bisogna impedire che si estenda; bisogna !imitarla ai punti che sono ora in controversia e regolare questi punti in modo da soddisfare per quanto è posstbile le popolazioni cristiane e le Potenze che vi portano uno speciale interesse, senza per questo disfare l'Impero ottomano e diminuirne in principio l'integrità. Il Governo francese, per ottenere questo scopo, sarebbe d'avviso che la Turchia rinunciasse a tener guarnigione in Serbia e consentisse ad un Governo autonomo in Candia, sotto la sua alta sovranità. Pare che quanto alla rinunzia della guarnigione turca in Serbia, l'Austria e la Russia ne ammettano la necessità. L'Inghilterra stessa sembra consentirvi. Per quanto spetta all'isola di Candia, l'applicazione di quest'idea esposta dal Marchese di Moustier, presenta varie difficoltà d'esecuzione. Dif

fatti è importante il determinare se il Capo del Governo che si stabilirebbe nell'isola di Candia deva essere turco o crist:ano; se deva essere un Governatore nominato dalla Porta, temporaneo o a vita, o ereditario. La Russia non si contenterebbe a quanto pare, d'un Governatore turco; tanto meno a Grecia e le popolazioni cretesi. L'Inghilterra ammetterebbe in principio l'autonomia di Candia; ma vorrebbe il consenso della Porta, e desidererebbe limitare la sua propria azione a Costantinopoli nel dare alla Porta un semplice consiglio amichevole e separato, in guisa che questo consiglio non sembri né una minaccia, né una violenza, e neanche una questione collettiva.

Queste sono le idee del Marchese di Moust:er e del Governo francese intorno a queste questioni. Esse non hanno ancora preso il carattere d'un progetto vero, giacché il Marchese di Moustier desidera anzitutto provocare uno scambio di idee fra le Potenze garanti dell'Impero turco e la Turchia. Il Marchese di Moustier m'ha poi specialmente pregato di riferire questa cosa all'E. V. e di provocare per di Lei parte un'eguale comunicazione di pensieri a questo riguardo. Il Ministro Imperiale degli Affari esteri mi d:sse che accetterà le di Lei comunicazioni in proposito col sincero intento di seriamente esaminarle e col desiderio di trovare in esse punti conformi alle proprie idee, o almeno tali da permettere che si possa giungere ad una conformità di viste sulle questioni principali.

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IL MINISTRO A PARIGI, NIGRA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 398. Parigi, 17 gennaio 1867 (per. il 20).

Ho ricevuto il 14 corrente il dispaccio di Gabinetto, n. 197, che l'E. V. mi fece l'onore di dirigermi il 9 (l).

Nella conversazione che oggi ebbi col Signor Marchese di Moustier ho creduto utile di portare a notizia di questo Ministro il contenuto del dispaccio medesimo. Affine di esprimermi in modo interamente conforme alle istruzioni impartitemi dall'E. V., diedi lettura del dispaccio al Marchese di Moustier, coll'avvertenza però che questa lettura dovesse essere considerata come una comunicazione verbale.

Il Marchese di Moustier, dopo aver ascoltato questa lettura, mi disse ch'egli era d'accordo più collo spirito che colla lettera del dispaccio stesso. Il Ministro Imperiale degli Affari esteri mi rinnovò diffatti l'assicurazione che l'intenzione del Governo francese era d'evitare una nuova intervenzione a Roma, ma che esso Governo non credeva di rinunziare a questa possibilità, quando vi fosse forzato dagli eventi. Egli soggiunse che nulla sarebbe più spiacevole al Governo Imperiale che questa necessità quando si presentasse; che questa dichiarazione non era né una minaccia diretta all'Italia, né tanto meno un impegno verso la Santa Sede; e che infine tutti gli sforzi della Francia sarebbero costantemente diretti a provocare una conciliazione fra l'Italia e la Corte di Roma

e ad evitare una nuova eccezione al principio di non intervento, principio ammesso in tesi generale dalla Francia.

In presenza della dichiarazione da me fatta al Marchese di Moustier colla lettura del dispaccio dell'E. V. il quale constata che l'Italia si rifiuta assolutamente ad ammettere un nuovo intervento estero in Roma, e in presenza della riserva che il Governo francese mantiene per parte sua, in forza della quale questa eventualità d'un nuovo intervento francese, benché non desiderata né provocata dal Governo francese, né da esso preveduta come prc>babile, non è tuttavia esclusa, la situazione rimane come prima, al punto di vista del principio.

In tale stato di cose il Ministro Imperiale degli affari esteri ed io ci limitammo a darci di nuovo la reciproca assicurazione, che in caso di nuovi eventi in Roma, i due Governi d'Italia e Francia, prima di pigliare risoluzioni che impegnino la loro azione rispettiva, provocherebbero un cambio d'idee fra di loro nello scopo d'agire di comune accordo.

(l) Cfr. n. 104.

133

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AL CONSIGLIERE DI STATO, TONELLO

Firenze, 18 gennaio 1867.

Le segno ricevuta e La ringrazio dei suoi Rapporti in data 11 e 17 corrente (1).

Lasciando al mio onorevole Collega, Ministro di Grazia e Giustizia, la cura di risponderle per quanto concerne la materia ecclesiastica io mi limiterò a brevi cenni circa gli altri argomenti che furono tema dei colloquii di Lei col Cardinale Antonelli.

Spiace al Governo del Re che la Santa Sede non ravvisi possibile per ora alcun accordo circa le facilitazioni da noi desiderate pel transito delle merci e dei passeggeri sul territorio pontificio. E ciò tanto più inquantoché noi non avevamo proposto un modus vivendi amministrativo ed economico come sistema di migliori relazioni fra i due Stati, per quanto ci sarebbe parso opportuno, ma ci siamo ristretti a chiedere l'adozione di alcuni provvedimenti pratici di poca entità, come avviamento ad uno stato di cose più tollerabile.

Però prendiamo atto dell'agevolezza già consentita dall'amministrazione pontificia nell'esimere dall'obbligo del visto del cons<>le spa.gnu<>lo i passaporti di coloro che transitano sulle ferrovie p®tificie e vogliamo ancor sperare che il Governo di Sua Santità si accinga a riconoscere la necessità urgente di riparare con serii temperamenti ad uno stato di cose i cui pericoli non possono che accrescersi col tempo.

In ordine alla estradizione dei malfattori persistiamo a credere indispensabile che sia convenuto un accordo preciso; non bastando a parer nostro l'effettuazione degli intendimenti che Le furono manifestati a tal riguardo dal Cardinale, i quali non recano che un lievissimo miglioramento ad una situazione assai difforme dalle esigenze della giustizia e del buon ordine.

Quanto ai detenuti politici oriundi di provincie ora annesse al Regno e tuttora trattenuti nelle carceri pontificie, non posso dissimularle che il diniego d'ogni concessione a loro riguardo riesce assai piacevole al Governo del Re. Secondo le nostre informazioni il loro numero non si ridurrebbe, come invece afferma il Cardinale Antonelli, al solo Avv. Petroni; e d'altra parte anche per quest'ultimo non può venir meno la sollecitudine del Governo del Re, né dovrebbero essere sconosciute dalla Corte di Roma le alte ragioni di equità e di umanità che ne consigliano la liberazione.

Rimane l'argomento della reciproca rappresentanza consolare, intorno alla quale il Cardinale Antonelld ebbe a dichiararle che al ristabilimento dei Consolati dovrebbe prooedere, per parte del Governo italiano, una riparazione per la espulsione subita nel settembre 1863 dal Console pontificio in Napoli. Ella conosce, signor Commendatore, quali siano le disposizioni del Governo del Re relativamente al ristabilimento dei rapporti consolari tra il Regno e la Santa Sede, e mi dispenserò quindi dall'entrare in particolari in proposito. Però, amnché Ella abbia più esatta conoscenza dei fatti, stimo farle cosa gradita inviandole copia di un dispaooio da me recentemente diretto al R. Ministro in Parigi intorno a quell'argomento (1), ed unendovi copia di una circolare alle RR. Legazioni (2) e di una Relazione a Sua Maestà che si riferiscono alla interruzione dei rapporti consolari tra il Governo del Re ed il Governo Pontificio avvenuto nel 1863.

(l) Cfr. nn. 110 e 130.

134

IL MINISTRO A PARIGI, NIGRA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 49. Parigi, 20 gennaio 1867, ore 10,20 (per. ore 12,35).

Décret publié par Moniteur et précedé par lettre de l'Empereur au ministre d'état accorde droit d'interpellation aux sénateurs et députés, envoi des ministres devant Chambres et supprime adresse. Lettre impériale promet en outre loi sur presse attribuant aux tribunaux correctionnels appréciatioo délits de la presse, et loi sur droit de réunion. Tous les ministres sont démissionnaires. Villa arrivé ce matin. J'ai donné tout mon appui au baron Roccolino qui s'est présenté il y a quatre jours.

135

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, ALL'INCARICATO D'AFFARI A BERLINO, QUIGINI PU'LIGA

T. 42. Firenze, 22 gennaio 1867, ore 14,30.

Veuillez prévenir comte de Bismarck que le Roi a nommé comte Barrai en qualité de son envoyé près la Cour de Vienne et que bientot l'on soumettra à l'acceptation de S. M. le Roi de Prusse celui que doit remplacer comte Barral.

(l) -Cfr. n. 120. (2) -Cfr. Serie l, vol. IV, n. 199.
136

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, ALL'INCARICATO D'AFFARI A COSTANTINOPOLI, DELLA CROCE

D. 10. Firenze, 22 gennaio 1867.

Le Gonsul Général de Sa Majesté en Syrie vient de porter à ma connaissance qu'aussitòt après avoir reçu la nouvelle de la repr:se d'armes de Jusuf Karam, le Commissaire Impérial du Liban ava·it réuni une Conférence composée des Consuls d'Angleterre, d'Autriche, de France, de Prusse et de Russie, afin d'aviser à ce qu'il y auralt à faire en pareille circonstJance.

Le Consul d'Italie n'avait point été invité à intervenir à cette réunion.

Nous regrettons de trouver dans ce fait la contdnuation de la part du Gouvernement ottoman, de ces mémes procédés contre lesquels Ies Représentants du Roi à Constantinople ont dfl protester à plusieurs reprises auprès de la Sublime Porte.

L'Italie n'entend point renouveler ces protestations dont il lui suffit de confil'Iller ici la valeur, mais vous devez, M. le Comte, faire comprendre à Son Altesse Aali-Pacha que si la Sublime Porte ne nous fera point parvenir des explicatJions satisfaisantes, le Gouvernement Italien se trouvera dans la nécessité d'enregistrer un fait de plus par lequel la Turquie parait vouloir détruire elle-méme le concert européen qui a garanti l'intégrité de son territoire.

137

IL MINISTRO A PARIGI, NIGRA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA (AVV)

L. P. Parigi, 22 gennaio 1867.

Le gravi modificazioni fatte dall'Imperatore alla Costitu:1)ione (l) non hanno contentato tutti. L'impressione in fondo non è soddisfacente. Ma malgrado quest'impressione, è evidente che un gran fatto si è compiuto, che la scossa è data, e che si andrà difilato al Parlamentarismo (2). È bene? È male? Gioverà, non gioverà alla Francia, all'Imperatore; al mondo? Ardue questioni, a cui l'avvenire soltanto risponderà adeguatamente. Io per me penso che s'è fatto un gran ·passo nella via liberale, il quale gioverà alla càusa della libertà dappertutto. Di pifl son convinto che forzatamente l'applicazione delle nuove modificazioni oltrapasserà di molto quanto si può ora giud1care dalla lettera di esse.

L'origine di questa determinazione dell'Imperatore ve l'ho accennata in

un dispaccio ufficiale (3); essa si presenta del resto di per sé. Il malcontento

intorno alla politica estera dall'Impera~ore era giunto ad un punto, che real

mente non rimaneva all'Imperatore che l'uno de' due partiti, cioè, o mag

gior libertà all'interno, o guerra alla Prussia. L'Imperatore scelse il più savio

dei due. La guerra con la Prussia non la farà. Almeno durante il tempo

prevedibile dagli uomini di Stato; e se non sopraggiungono eventi imprevisti

ed improvvisi e gravissimi.

Non crediate nemmeno che si venga a tirar la spada per la questione d'Oriente. Non lo si farà. Vi ripeto ora quel che vi dissi a Firenze. Noi abbiamo almeno tre anni di tranquillità assoluta. Voi potete figurarvi come, avendo io questa convinzione, abbia potuto giudicare certe parole, che travisate ed esagerate, rivestirono nel passaggio da Firenze a Parigi un carattere bellicoso.

L'esercito francese è sempre nel medesimo stato di malcontento e d'irritazione. È indubitato che la prima Potenza con cui la Francia si troverà in collisione avrà a sostenere lo scatenamento di una massa insolita d'ire e di rancori accumulata con grande intensità.

Il Barone Ro·ccolino, prima ancora che ricevessi il vostro dispaccio, ebbe da me ogni possibile appoggio. Gli diedi una lettera pel Prefetto di Polizia, che ordinò subito la ricerca della smarrita figliola.

Ma con tutta la buona volontà vostra e mia e del Prefetto di polizia e dei Deputati napoletani, non si potrà riparare quello che è irreparabile. Ad ogni modo potete dire a chi ve l'ha raccomandato che il Barone Roccolino trovò alla Legazione tutto il desiderato appoggio.

(l) -Cfr. n. 134. (2) -Cfr. Il seguente brano di una Lp. pari data di Vimercati a Visconti Venosta (AVV): «!!: il regime parlamentare in pieno. L'Imperatore ha voluto gluocarsl di Rouher il quale d'ora in avanti sarà col Paese ed alla testa del movimento». (3) -Non pubblicato.
138

IL MINISTRO A LONDRA, D'AZEGLIO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 555/182. Londra, 23 gennaw 1867.

Mi sono regolarmente pervenuti ieri sera i dispacci di V. E. della serie affari politici NN. 2 e 3 (1), in cui Ella m'informa di quanto venne fatto a riguardo della nota identica a quella delle altre Potenze sul riconoscersi del Principe di Rumenia. Non posso che esprimermi molto riconoscente di questi ragguagli, e quest'utile pratica di tenermi al corrente non potrà che avere utili risultati.

Il Governo Francese avrebbe, credo, desiderato stabilire col Governo Inglese un piano, un programma, e per questo fissar qualche intesa per pratiche da eseguirsi in comune o Costantinopoli. Ma qui si faceva orecchie da mercante; davansi da lord Stanley risposte evasive per la solita tema che fatto un ·primo passo l'Inghilterra si trovasse imbarcata in un sistema di pressione e compressione niente affatto nelle intenzioni dei Governanti attuali. A Parigi, dove regna non poca operosità sopratutto riguardo all'Oriente, non voleano capire che l'immobilità assoluta è all'ordine del giorno nei consigli della Corona e quasi indicata dalla posizione minacciata del Ministero al vicino aprirsi

delle Camere. Quindi nei consigli stessi dell'Imperatore aveasi qualche Ministro pronto ad accusare l'Ambasciatore di Francia di poca attività, mentre invece ne avea della soverchia, avendo in quindici giorni fatto circa dodici visite a lord Stanley che concesse quel poco che fece realmente per buone disposizioni pel Principe La Tour, ma forse anche per .godere un po' di tranquillità. E così si rimase d'accordo per consigliare almeno a Costantinopoli qualche concessione riguardo a Candia e riforme governative. Ben inteso senza appoggiarle con ulteriore pressione.

Intanto l'operosità Francese cercava arrivare a qualche intesa a Pietroburga, essendo grave preoccupazione a Parigi il tenersi in bastante accordo colla Russia onde almeno impedirla d'agire da per sé sola. E così facevasi sperare a Pietroburgo che la Francia farebbe fare a Londra demarcie nel senso di quanto voleva combinarsi a Pietroburgo. Ma tenevasi a questo r:.guardo gran segreto, tanto più che non aveasi poi forse realmente intenzione di far niente. Ma gli agenti Russi a Parigi ed a Londra cominciarono qualche indiscrezione che ·giunta agli orecchi di lord Stanley mettealo tanto più in diffidenza. L'Ambasciatore di Francia non sapea più a chi credere, essendo senza istruzioni, ed inoltre le comunicazioni essendo interrotte fra i due paesi. Finalmente si poté tutto spiegare alla meglio, e si è rimasti d'accordo qua ed a Parigi di offrire almeno suggerimenti alla Porta, onde introduca a Candia qualche riforma.

(l) Non pubblicati.

139

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AL MINISTRO A PIETROBURGO, DE LAUNAY

T. 50. Firenze, 25 gennaio 1867, ore 9,20.

Je vous écrirai un de ces jours particulièrement. Le comte de Barrai a été destiné à Vienne. Le Gouvernement du Roi qui apprécie vivement vos services compte sur vous pour d'autres combinaisons. En attendant veuillez me télégraphier si le cas échéant vous accepteriez le poste de Berlin avec les dix mille francs d'augmentation auxquels a dii se borner le budget de cette année (1).

140

IL MINISTRO A PIETROBURGO, DE LAUNAY, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 69. Pietroburgo, 26 gennaio 1867, ore 1,30 (per. ore 3,05).

Je remerete vivement V. E. Je serais disposé à adhérer à ses combinaisons (2), mais vu les considérations politiques et particulières qui s'y rattachent, je demande instamment et avant tout d'ètre appelé à Florence pour en conférer avec V. E. Il n'y a point inconvénient à une courte absence.

(l) -Per la risposta di Launay cfr. n. 141l. (2) -Cfr. n. 139.
141

IL CONSOLE GENERALE A BELGRADO, SCOVASSO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 71. Belgrado, 26 gennaio 1867, ore 16 (per. ore 19,30).

Gouvernement serbe très reconnaissant à celui de Sa Majesté le prie de lui faire immédiatement couler 72 pièces de 4 de montagne rayés tout-à fait égaux à celles de notre armée. Dans quelques jours et avant qu'on les raye ministère de la guerre recevra dessain cote d'après lesquels on pourra tirer les pièces de canon aux dimensions voulues. Je prie V. E. m'informer si nous avons un agent oftlciel à Vienne, à qui je puisse adresser ma correspondance pour V. E., car mon rapport envoyé 3 janvier (l) qui lui est parvenu le 18 a été sans aucun doute à Vienne pour le lire, et le contenu n'a pas été étranger à la note du Gouvernement autrichien communiquée par son consul au Gouvernement serbe de faire sous peu interner les Grenzes des régiments les plus favorables à la Serbie, qui seront remplacés par la troupe régulière de Belgrade. A V1enne je trouverai le moyen de faire parvenir ma correspondance d'une manière s\ìre, une ou deux fois par mois. Dépéche de V. E. du 14 (l) reçue le 22. Le prince Michel qui n'a jamais été chez la pacha ni chez aucun consul, viendra à mon bal et souper du 10 février. Ne pourriez vous pas envoyer par la poste décoration pour qu'il puisse la recevoir avant jour ba l?

142

IL CONSIGLIERE DI STATO, TONELLO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

Roma, 26 gennaiO 1867.

* Jeri sera, 25 corrente, per accordo antecedentemente fissato, ebbi altra conferenza col Cardinale Segretario di Stato. Nella mia relazione del 17 (2), io diceva, che non insistendosl dal Governo nell'esigere la presentazione delle Bolle d'instituZJ:ione, purché fossero queste redatte in conformità d'un modulo prescelto d'accordo, il quale sarebbe quello usatosi per la nomina di Monsignor Charvaz alla sede di Genova, ammessa sola la parte relativa alla Regia presentazione, si sarebbe potuto senza più addivenire alle nomine personali ritenendo oggimai composte tutte le questioni di forma secondo lo schema precedentemente tracciatomi dal Governo, ed accettato dalla Santa Sede. Diceva ancora, che quanto ai preconizzati, non ravvisando !o nel tenore delle loro bolle materia a sostanziali oggezioni, si sarebbe potuto, quando ne fosse venuta l'opportunità, provvedere per la loro immissione in possesso nel modo pure già prima inteso: e soggiungeva, che ove su tali proposte non avessi ricevute

dal Governo disposizioni in contrario, io mi sarei ritenuto autorizzato ad operare ulteriormente in conformità delle medesime.

Nulla essendomi dal Governo pervenuto contro il divisato, ed anzi risapute oralmente dal Signor Comm. Mauri le di lui intenzioni adesive, ho potuto fissare definitivamente col Caroinale questa parte principale delle materie discusse, ricambiandoci l'un l'altro, a sole parole però, la nostra accettazione della forma ·come sopra intesa e stabilita.

Venendo quindi a discorrere delle persone, il Caroinale Antonelli mi disse che secondo le intenzioni espressegli da Sua Santità non si aveva diJncoltà di accettare nella sua integrità la proposta da me presentata per quanto concerneva le sedi di Torino, Savona, Cagliari, Sassari e Messina * (1). Si aderiva adunque a nominare a Torino l'attuai Vescovo di Savona Monsignor Riccardi di Netro; a Savona Monsignor Cerruti di Varazze; a Cagllari l'attuale vescovo di Casale Monsignor Di Calabiana; a Sassari Monsignor Montixi, Vescovo di Iglesias ed a Messina Monsignor Natoli Luigi, Vescovo di Caltagirone.

Quanto a Milano il Cardinale mi disse non potere il Santo Padre aderire al progetto di promuovervi l'attuale Vescovo di Mantova, Monsignor Corti, assicurandomi per altro reiteratamente non dipendere ciò in menoma parte da motivi polit:ci. Egli propose invece di trasferirvi l'attuale Arcivescovo di Lucca Monsignor Arrigoni, che egli mi qualificò per ,persona dotta, prudente, ed aliena dai parteggiamenti politici. Mi disse inoltre, che ciò avrebbe potuto dar modo di assecondare un altro des!derio molto vivo di Sua Santità, che era di dare conveniente recapito a Monsignor Ballerini nominandolo a Lucca al posto dell'Arrigoni. Il Pontefice benché ammettesse pienamente le ragioni per le quali il Governo ricusava di dargli posto in Milano, ed in Lombardia, non trovava, che vi fossero argomenti sumcienti, massime nel nuovo stato di cose, per escluderlo da qualunque altra sede del regno; e gli cuoceva poi grandemente che, essendo quegli il solo di tutti gli antecedentemente nominati, che restasse escluso dalle nuove ammissioni, sembrasse con ciò colpito d'uno sfregio tutt'affatto particolare. Perciò, sebbene non si fosse da principio mostrato alieno dal ripiego di nominarlo Vescovo di Famagosta in partibus, colla pensione di cui già godeva Monsignor Caccia, tuttavia era rinvenuto da tale concetto, che gli sembrava inadeguato anche avuto riguardo alla tenuità della pensione suddetta, e voleva che si facesse particolare insistenza per l'altro da Lui come sopra immaginato.

Per la sede di Loreto e Recanati, siccome il già preconizzato da Sua Santità non potrebbe per motivi personali recarvisi, si proporrebbe di surrogarlo con Monsignor Gallucci già Vicario Generale del Cardinal Balum in Imola. A parte le considerazioni sulla persona proposta, sulla quale il Governo potrà prender le occorrenti informazioni, vi sarebbe in tale combinazione il vantaggio di escludere un precon'zzato, e sostituirvi una nuova nomina.

Si è lasciata al Santo Padre la libera scelta a piena sua iniziativa del prelato da destinarsi a Sinigaglia sua patria. Sua Santità intenderebbe di destinarvi il Padre Agarbati Agostiniano, residente in Roma.

Per Catania la Santa Sede preferirebbe alla nomina proposta dal Governo quella di Monsignor Giuseppe Maria Pappardo del Parco, Vescovo di Sinope in partibus, e già amministratore della Diocesi di Messina, sul quale io già ebbi favorevoli informazioni, che però il Governo potrà assumere in modo più completo.

Per la diocesi poi d'Iglesias, che lascierebbe vacante il Montixi, oppure per altre di Sardegna, cui si credesse più conveniente di provvedere lasciando vuota la prima, il Cardinale mi diede in nota un tal padre De Martis Carmelitano.

*Attenderò che il Governo voglia farmi conoscere i suOli intendimenti su queste proposte, avvertendo essersi fissato nuovo convegno per giovedì prossimo 31 andante.

Egli è sempre inteso, che i provvedimenti concernenti i preconizzati, non si avrebbero a dare, salvo quando vengano fatte nuove nomine. n Cardinale essendo sofferente di salute non protrassi ulterCormente il colloquio; * e porgendone alla S. V. Onorevolissima il presente ragguaglio...

(l) -Non pubblicato. (2) -Cfr. n. 130.

(l) I brani fra asterischi sono editi in Lettere Ricasoli, vol. IX, pp. 214-215, e in Carteggi Ricasoli, vol. XXV, pp. 129-130.

143

L'INCARICATO D'AFFARI A VIENNA, RATI OPIZZONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. CONFIDENZIALE 16. Vienna, 26 gennaio 1867.

Me référant à ce que j'avais l'honneur d'annoncer à V. E. dans ma dépeche confidentielle n. 15 en date d'avant-hier, (l) je m'empresse de compléter ce que renfermaient mes dépeches confidentielles: n. 11 et 12 (2) relativement à la position que l'Autriche paraissa;it prendre dans la question orientale.

Pour l'Autriche cette question renferme deux còtés -le còté pratique et le còté théorique. Le còté pratique ou actuel se présentait par deux questions -la question Serbe et la question Candiote.

La question Serbe touchait particulièrement l'Autriche à cause de la frontière. A cet égard donc le Cabinet de V·ienne a été le premier à conseiller le Gouvernement turc d'accéder à la demande du Prince Miche!, d'autant plus que la forteresse de Belgrade n'avait pas la moindre importance militaire pour la Turquie et que d'autre part l'on ne voulait pas faire le jeu de la Russie en lancant la Turquie dans une voie irréflechie de résistance (Dépeche confidentielle n. 4 en date du 11 Décembre (3) dern:er). L'Autriche a donné ce conseil dès le commencement, et M. de Beust m'assurait qu'il était donné dans des termes très modérés, afìn de permettre au Divan, en y adhérant, de se donner les airs de suivre sa propre initiative. C'était faciliter la réussite du conseil que l'on donnait. La France et l'Angleterre ont plus tard

donné elles aussi ce meme conseil, mais je répète, plus tard et dans des termes beaucoup moins ménagés. Selon M. de Beust ce manque d'à-propos et de tact aurait été une des causes principales des premières résistances Turques.

Par rapport à la question Candiote, M. de Beust m'a dit ne s'en etre pas melé ni auprès le Cabinet de Paris ni auprès le Divan de Constantinople, puisque cette question ne touche pas géographiquement !es intérets de l'AutrJche. A cet égard il se pourrait que ce Ministre m'alt revoilé une rpartie de la verité, car par une bonne source j'avais été assuré 11 y a quelques semaines, que le Cabinet de Vienne avait conseillé à la Porte de s'entendre paciftquement et par compromis avec les populations candiotes (ma dépeche confidentielle n. 11 en date du 1er courant).

Le còté théorique, ou éventuel, de la question Orientale serait maintenant le còté sur lequel V. E. me fait l'honneur de me demander parti:culièrement les intentions et la manière de voir du Ministre des affaires étrangères d'Autriche.

Au point de vue général et d'ensemble de la question Orientale, M de Beust a effectivement proposé à Pads que !es six grandes Puissances tinsent une conférence pour prévenir et régler les éventualités de la question. Voulant que cette conférence piìt avoir un résultat qui aurait été plus ou moins aux dépens de la Turquie, M. de Beust proposait d'exclure cette Puissance de la conférence qu'on aurait tenue. Mais en meme temps pour ne pas alarmer Constantlinople, M. de Beust demandait que les six grandes Puissances qui se seraient assemblées ad hoc déclarassent qu'en attendant on n'aurait pas toléré aucun mouvement de la part des populations de la Turquie. Selon moi c'était demander une intervention morale.

La conférence réunie dans ces conditions aurait: r pris en main l'état de la ,question et les intérets des populations chrétiennes. Comme le HattiHoumajoum n'est ni appliqué tlJi suffisant, M. de Beust proposait qu'une véritable autonomie religieuse et politique fiìt donné et réalisée dans les provinces slavo-turques, sauf Ies hauts droits souzérains du Sultan. IJO ne voulant pas !aire le jeu de la Russie qui désire rester et se poser comme isolée dans la question actuelle Orientale, et voulant par contre s'emparer des vues Russes pour les !aire servir de base à une entente commune des Puissances européennes (ma dépeche confidentielle n. 13 en date du 16 courant) (1). M. de Beust proposait clairement la révision du traité de 1856 et notamment l'abrogation de la dispositlon qui neutralise les forces Russes dans la mer Noire (ma depeche confidentielle n. 9 en date du 24 Décember dernier) (2).

M. de Beust me disait très justement «cet article est très humiliant pour la Russie, sans etre toutefois une bar!"ière pour cette Puissance, si la Russie venait à trouver assez d'argent pour se former une nouvelle flotte, soit dans la mer d'Azow, soit meme dans la mer Noire, la France lui ferait-elle la guerre?».

La dépeche autrichienne qui exposait au Prince de Metternich toute cette manière d'envisager et de traiter la question Orientale, n'était pas une cir

culaire diplomatique, mais une véritable dépeche confidentielle, qui, dans sa rédaction, mettait, comme l'on dit, les points sur les i. Il paralt donc que s'entendre proposer de porter la main sacrilège sur l'Arche-Sainte du Traité de 1856 alt fait bondir M. de Moustier jusqu'au plafond de son Cabinet. Une partie du contenu de la dépeche confidentielle adressée au Prince Metternich a été publiée par indiscrétJion, et maintenant toute l'affaire resterait là.

Maintenant je sais que M. de Gramont, revenant sur son langage antérieur, soutient que toutes ces combinaisons sont tombées à l'eau et que dans ces moments-ci une conférence européenne ne serait pas possible. M. de Beust par contre, et je viens de le volr aujourd'hui mème, soutient qu'il ne desespère pas de faire adopter ses vues et sa manière d'envisa;ger la questlon.

Dans cet état de choses je ne pense pas que des communications catégoriques puissent ètre faites par le Cabinet Autrichien au Cllibinet dirigé par V. E.

Telles sont en effet, M. le Ministre, les communications que je suis à mème de vous falre pour le moment, en réponse à Votre dépeche de Cabinet

n. 5 (1). M. de Ktibeck, arrivant à Florence, pourra à meilleur escient encore, vous renselgner sur les intentions ultérieures du Minlstre des Affaires étrangères de S. M. l'Empèreur d'Autriche.

(l) -Non pubblicato. (2) -Cfr. n. 88. Il r. confidenziale 12 non è pubblicato. (3) -Cfr. n. 53. (l) -Non pubblicato. (2) -Cfr. n. 76.
144

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AL MINISTRO A PIETROBURGO, DE LAUNAY

D. 61. Firenze, 28 gennaio 1867.

Ho ricevuto il dispaccio (2) col quale la S. V. mi rende conto della conversazione avuta col Principe Gortchakow nell'occasione in cui Ella gli diede lettura del foglio ch'io le diressi il 5 corrente (3). Approvo pienamente il di Lei linguaggio in quella circostanza.

Il Principe Vice Cancelliere Le ha domandato se l'Italia avesse desiderii più precisi !lid enunziare circa le cose d'Oriente ed Ella ha tatto assai bene di far osservare che il mio dispaccio del 5 gennaio è esplicito nella forma e nella sostanza.

Le di Lei comunicazioni e quelle che il Governo del Re ebbe dai suoi RappresentantJi presso le principali Corti confermano che trattative furono condotte dalla Francia a Pietroburgo ed a Londra allo scopo di prendere concerti che la situazione delle cose in Oriente sembrava rendere necessari.

Il segreto di quelle trattative, del quale Ella mi tenne parola nel di Lei foglio del giorno 16 di questo mese (4), indicherebbe appunto che si reputano possibili fra le tre Potenze accordi separati pei quali non si prenderebbero a base gli atti diplomatici del 1856. Sovra quest'argomento ebbi già a scriverle

(-4) Cfr. n. 128.

altre volte ed ora debbo insistere sulle considerazioni svolte nel mio foglio del 14 corrente (1).

Se la base legale del nostro diritto a prender parte ai negoziati concernenti l'Oriente sta presentemente nel trattato di Parigi del 1856, noi possiamo però invocare altre ragioni fondate nella natura stessa delle cose per pretendere all'esercizio di quel diritto. Queste ragioni consistono negli interessi nostri considerevolissimi nell'Adriatico e nel Med:terraneo, negli elementi d'influenza che noi possediamo sulle coste del Levante, e nell'azione che siamo in grado di esercitare eventualmente negli incidenti della questione Orientale.

Partendo da questo punto di vista, il Governo Russo potrebbe fin d'ora, presentandosene l'occasione, prendere l'iniziativa di chiamare il Governo del Re a partecipare ai negoziati che sarebbero da lui condotti con altre Potenze per rispetto alle cose d'Oriente; egli avrebbe così un doppio vantaggio di esimere cioè l'Italia dalla necessità in cui essa è d'invocare sempre il trattato del 1856 come unico titolo riconosciuto per la sua ingerenza negli affari Ottomani, ed .inoltre di assicurare, negli eventuali negoziati di cui faccio parola, un voto di più alla emancipazione dei Cristiani d'Oriente.

Diffatti la Russia, nei principii fondamentali che formano la base della costituzione del Regno d'Itala troverà elementi di sicuro rupprezzamento per conoscere quale sarà la condotta dell'Italia a fronte dei rivolgimenti d'Oriente. Ella ben sa, Signor Conte, che qualunque combinazione pratica venisse proposta sarà tanto più efficacemente appoggiata da noi, quanto più si avvicinerà all'attuazione dei principii del nostro diritto nazionale; e ciò sia detto specialmente in relazione coi concerti che si tenta di prendere presentemente tra Pietroburgo e Parigi pel ristabilimento della pace e pel soddisfacimento dei bisogni nazionali nell'Isola di Creta.

(l) -Non pubblicato. (2) -Cfr. n. 127. (3) -Cfr. n. 100.
145

IL MINISTRO DI GRAZIA GIUSTIZIA E DEI CULTI, BORGATTI, AL CONSIGLIERE DI STATO, TONELLO

Firenze, 29 gennaio 1867.

Dai graditissimi rapporti della S. V. Onorevolissima in data del 17 e 26 corrente (2), il Governo del Re ha raccolto con piena soddisfazione l'ultimo resultato delle pratiche da Lei condotte costì per la provvista delle sedi vescovili vacanti e per l'insediamento dei Vescovi già preconizzati; e non può che render merito alla saviezza e prudenza da Lei spiegata nello attenersi alle ricevute istruzioni.

Rimane dunque inteso e stabilito che:

I. Ella prenderà gli opportuni concerti verbali con la Santa Sede sulle diocesi da provvedersi e sulle persone da nominarsi o traslocarsi.

II. Intervenuto l'accordo, Ella annunzierà al Governo che in seguito ai concerti presi tra Lei e la Santa Sede, il Sommo Pontefice preconizzerebbe

N.N. alla diocesi N.N.

III. Fatta la preconizzazione la Santa Sede darebbe a Lei avviso della medesima e del rilascio che si farà al preconizzato delle bolle d'instituzione secondo la formola consueta.

IV. -Le bolle sarebbero rilasciate in conformità del modulo adottatosi per la nomina di Monsignor Charvaz alla sede di Genova, omessa la formola relativa alla presentazione fatta dal Re della persona da nominarsi. V. -Ricevuto l'avviso Ella scriverà al Governo per l'emanazione dei provvedimenti opportuni affinché il nominato possa conseguire il possesso delle temporalità.

VI. Eguale richiesta Ella farà pei preconizzati, non sì tosto, presi i concerti con la Santa Sede, crederemo che ne s:a venuto il momento opportuno.

Entrando ora nel particolare delle nomine e traslocazioni (l) di cui il Cardinale Antonelli per incarico del Santo Padre ha già tenuto con Lei proposito, il Governo del Re non esita a dichiarare d'aderire alla traslocazione alla Sede di Torino dell'attuale Vescovo di Savona Monsignor Riccardi di Netro; alla Sede di Sassari dell'attuale Vescovo d'Iglesias, Monsignor Montixi; alla Sede di Messina, di Monsignor Natoli, Vescovo di Caltagirone; ed alla nomina alla Sede di Savona di Monsignor Cerruti di Varazze.

Quanto alla Sede di Cagliari H Governo del Re desidererebbe che fosse conferita a Monsignor Ballerini, dappoiché se da u.u canto è propenso a far ragione ai motivi pei quali il Santo Padre vorrebbe che il Ballerini fosse chiamato ad una sede nel Regno, dall'altro canto non potrebbe aderire alla traslazione alla Sede di Milano dell'Arcivescovo di Lucca. Monsignor Arrigoni ebbe già grido in Milano per concetti ed opinioni, da cui fu in appresso accusato, a ragione od a torto, d'essersi allontanato; né sembra che ciò lo possa accreditare in una città quale è Milano. In quella vasta e popolosa città è più particolarmente mestieri d'un Vescovo sul cui passato non si trovi nulla da apporre, che sia sempre rimasto estraneo ad ogni parte, che sia segnalato per virtù pastorali e che possa agevolmente conciliarsi la benevolenza del clero e del popolo. Perciò il Governo sarebbe venuto nel pensiero di proporre la traslazione alla Sede di Milano di Monsignor di Calabiana, Vescovo di Casale, prelato a Lei ben noto, e di cui le verrà agevole di mettere in evidenza le qualità che lo rendono preferibile per quella sede. Ella vorrà dunque proporre che alla sede di Cagliari sia nominato Mons:gnor Ballerini e a quella di Milano Monsignor di Calabiana.

Quanto ai soggetti proposti per le Sedi di Catania, di Loreto e Recanati e di Iglesias o d'altra nell'Isola di Sardegna, il Governo Le farà conoscere le sue intenz.:oni tostoché abbia ricevuto intorno ai medesimi gli opportuni ragguagli, che si procaccerà con tutta sollecitudine. Ben converrà che Ella

s'informi costì intorno al Padre De Martis proposto per la Sede d'Iglesias o per altra dì Sardegna, dacché egli non è persona qui nota; e che nel modo più riserbato procuri altresì d'aver contezza del Padre Agarbati proposto dal Santo Padre per la Sede di Sinìgaglia, amnché il Governo sia posto in grado di rendere conto, ove ne sia richiesto, del soggetto scelto da Sua Santità per la sua città natale.

Ella vorrà inoltre significare al Cardinale Antonelli come sia nei desideril del Governo che si provvegga tosto alle Sedi vacanti più cospicue o vuote da maggior tempo, ed in ìspecie a quelle di Capua, di Asti, di Sarzana, d'Alessandria, di Girgenti ed Arezzo.

Sarà pur dicevole ch'Ella si intenda col Cardinale Antonelli circa il modo, con cui siano da farsi preventivamente conoscere ai soggetti designati le rispettive traslazioni e nomine atnnché si eviti il caso di un rifiuto.

Rimane da ultimo inteso e stabilito che i provvedimenti riguardanti i preconizzati non si dieno se non quando vengono fatte nuove nomine, e che siano subordinati ne' casi singoli alle ragioni d'ordine pubblico, di cui già Le fu accennato nelle primitive istruzioni e sempreché nelle bolle rispettive nulla si contenga in opposizione alle sanzioni civili o penali tuttavia vigenti nel Regno.

Le si compiegano alquanti esemplari della relazione e del disegno di legge sui beni ecclesiastici, intorno al quale si gradirà ch'Ella faccia conoscere i giudizi che ne corrono costì.

(l) -Cfr. n. 121. (2) -Cfr. nn. 130 e 142.

(l) Fin qui il documento è edito In LV 10, p. 47.

146

IL MINISTRO DEGLI ESTEHI, VISCONTI VENOSTA, ALL'INCARICATO D'AFFARI A VIENNA, RATI OPIZZONI

T. 55. Firenze, 30 gennaio 1867, ore 15,15.

Le chargé d'affaires d'Autriche est venu m'exprimer verbalement le regret de son Gouvernement pour l'incident de la ~ Formidable ». (l) Veuillez sans retard demander amicalement au Gouvernement autrichien dans l'intérèt de la bonne entente des deux pays et pour éviter des récriminations facheuses s'il voit quelque difficulté à ce qu'un salut soit fait au pavillon italien dans les eaux de Raguse, ce qui est une formalité d'usage en pareil cas, ou bien s'il veut nous déclarer que l'otncier qui a tiré sur la Formidable a été puni.

147

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, Al MINISTRI DELLA GUERRA, CUGIA, E DELLA MARINA, DEPRETIS

D. 22. Firenze, 30 gennaio 1867.

Gli interessi dei nostri nazionali nella Tunisia sono gravamente compromessi dalla impossibilità, da più anni provata, di ottenere con mezzi ordinarii

quel che è dovuto agli Italiani stabiliti nella Reggenza e quel che il Governo

del Re g,iustamente chiede al Governo del Bey.

Le tre vertenze principali che sono attualmente in sospeso sono le seguenti:

l o Il Governo tunisino rilasciò a negozianti italiani, suoi creditori, delle

ttschere od obbligazioni le quali non furono mai pagate, benché le scadenze, da

lungo tempo maturate siano state già più volte protratte: locché è cagione di

completa stagnazione degli affari sulle piazze della Tunisia, e di grave pertur

bazione anche nelle città del Regno le quali, come Genova e Livorno, hanno

più stretti rapporti con quelle contrade.

2° Il pagamento dei debiti di alcuni principi della famiglia del Bey, contratti da lungo tempo verso sudditi italiani, né mai soddisfatti.

3° I riclami per la pessima amministrazione nella Reggenza, la quale rende impossibile la continuazione di qualsiasi traffico fra i negozianti italiani e gli indigeni.

Il Governo del Re ha posto in opera tutti i mezzi normali che erano in

poter suo per ottenere che fosse fatta ragione alle legittime esigenze dei nostri

connazionali. Tutto fu indarno: officii diplomaUci, minacce, persino una lettera

diretta personalmente dal Presidente del ConsigHo, Generale La Marmora, al

Primo Ministro tunisino, la quale ebbe ossequiosa accoglienza ma non conseguì

veruna utile risultanza.

L'Agente e Console Generale del Re a Tunisi, avendo esaurito ogni altro

tentativo, stima essere venuto il momento di appigl,iarsi ad un mezzo eccezio

nale cui egli ritiene efficace, e con Rapporto di cui si unisce copia (l) propone

che il R. Governo, dopo una ultima intimazione, occupi a titolo di pegno l'isola

tunisina di Gerbi.

Il Ministro degli Affari Esteri, dopo aver portata la quistione in Consiglio de~ Ministri, ha deliberato di dare effetto a quella proposta. Pertanto, a somiglianza di quel che fece la Francia nel 1865, inviando per analogo scopo a Tunisi il Segretario di Legazione barone Saillard, ed in conformità dei voti ripetutamente espressi dalla colonia nazionale, un membro del Corpo diplomaDico italiano avrà incarico di recarsi in qualità di R. Commissario a Tunisi e di formularvi le giuste nostre domande. Il R. Commissario sarà accompagnato da alcuni legni da guerra della R. Marina. Nel caso in cui il Governo tunisino non desse una soluzione favorevole alla vertenza, il R. Governo, avuto avviso della cosa, tosto darebbe esecuzione alle misure che all'uopo si saranno già previamente preparate colla massima segretezza dai Dicasteri competenti, per procedere all'occupazione dell'isola di Gerbi, della quale il R. Commissario prenderebbe possesso in nome del Governo del Re facendo risultare nelle forme d'uso come quella occupazione sia a semplice titolo di pegno per il soddisfacimento delle giuste domande del Governo del Re.

(per la Marina) -Trattandosi ora di prendere senza ritardo i concerti opportuni, lo scrivente disidererebbe conoscere dall'onorevole suo Collega, Mi

16 -Documenti diplomatici -Serle I -Vol. VIII

nistro della Marina, se possano senza difficoltà essere tradotti ad effetto i seguenti provvedimenti.

Sarebbero riuniti entro otto giorni in un porto del Regno, prontd a salpare per Tuni..c;i, due fregate ed un avviso. Sovra uno di quei legni prenderebbe imbarco il R. Commissario, rimanendo poi tutti a disposizione di quest'ultimo nelle acque della Goletta.

Sarebbero riuniti intanto in un porto delle provincie meridionali altri legni della R. marina, i quali, non appena giunga la notizia del non essere riuscito il negoziato amichevole tra il R. Commissario ed il Governo del Bey, imbarcherebbero colla possibile celerità la truppa ed il materiale da guerra necessario per l'occupazione dell'isola di Gerbi.

Le due fregate rimaste alla Goletta, con a bordo il R. Commissario si recherebbero all'isola di Gerbi pel momento in cui vi giungerebbero gli altri legni colle truppe di sbarco.

Il Comandante della squadra concertebbe col Comandante delle truppe il piano d'operazione, e coopererebbe colle forze navali che saranno a sua disposizione alla esecuzione del piano stesso.

La squadra d'operazione rimarrebbe indi nelle acque di Gerbi a disposizione del R. Commissario, il quale avrà intanto preso possesso dell'isola nelle forme anzi accennate, e vi attenderebbe nuove istruzioni dal R. Governo.

Il sottoscritto gradirà di ricevere dall'onorevole suo Collega della Marina un sollecito riscontro alla presente nota.

(Alla Guerra) -Devesi pertanto prendere fin d'ora e colla massima segretezza ogni opportuno provvedimento perché giunta la notizia della rottura dell'amichevole negoziato tra il R. Commissario e il Governo del Bey, possa essere immediatamente imbarcato in un porto delle provincie meridionali fissato d'accordo col Ministero della Marina, un nerbo di truppe sufficiente ed il materiale da guerra che sarà stimato necessario per l'occupazione dell'isola di Gerbi.

Il Ministero della Guerra giudicherà della opportunità di far intanto procedere colla massima segretezza ad una r:cognizione di quell'isola. Lo scrivente gradirà di ricevere dall'onorevole suo Collega un pronto e particolareggiato riscontro alla presente Nota.

(l) Con t. 44 del 22 gennaio VIsconti Venosta aveva Incaricato Ratl di richiedere una riparazione per alcuni colpi di cannone tirati sulla nave Italiana «Formidabile », al suo Ingresso nel porto di Gravosa.

(l) C!r. n. 124.

148

L'INCARICATO D'AFFARI A COSTANTINOPOLI, DELLA CROCE, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 88. Costantinopoli, 30 gennaio 1867 (per. il 7 febbraio).

Da qualche tempo corre qui la voce che !il Vice Re d'Egitto, profittando delle critiche circostanze in cui versa attualmente l'Impero Ottomano tenda ad acquistare nuove franchigie e nuovi aumenti d'autorità e di territorio. V'ha chi assicura ch'egli abbia formalmente chiesto alla Porta il Governo dell'Hedjaz; altri vanno buccinando ch'egli minacci di dichiarare l'assoluta indipendenza dell'Egitto, a proclamare ed attuare la quale egli avrebbe unicamente radunato

quel simulacro di Parlamento di cui menarono tanto rumore i periodici europei. Tali tendenze d'Ismail Pacha sarebbero segretamente spalleggiate dagli Agenti francesi.

Di tutte queste supposizioni che qui ottengono qualche credenza, e che ho quindi creduto di riferire a V.E., non ho però avuto alcuna notizia dal R. Console in Alessandria.

149

IL MINISTRO A PIETROBURGO, DE LAUNAY, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. CONFIDENZIALE 169. Pietroburgo, 30 gennaio 1867 (per. il 9 febbraio).

J'ai l'honneur d'accuser réception des dépèches de V.E., N. 55, 56, 57, 58, 59 et 60, de la Série Politique, Cabinet. (l)

Les détails, aussi nombreux qu'intéressants, renfermés dans ces dépeches m'ont mis à meme, dans un entretien que j'ai eu avant hier avec le Prince Gortchacow, de foumir et de provoquer des explications sur les questions à l'ordre du jour.

Je savais, entre autres, d'une manière indirecte, que M. de Kisseleff, en rendant compte de notre attitude lors de l'inoi:dent relatif à la reconnaissance du Prince de Hohenzollern, avait allégué que nous procédérlons à cet acte en nous tenant à la forme qui serait adoptée par la majorité 'Cles Puissances garantes. J'ai bien établi, en me référant à ce que me mandait V.E., que nous nous étions proposé de maintenir, dans cette circonstance camme par le passé, un accol'd entre les six Puissances. Nous n'avions admis le projet d'une note identique, qu'après nous étre assurés de son acceptation par chacun des Gouvernements qui, camme nous, n'avaient pas encore adhéré au firman d'investiture, et que la Russie ne soulèverait aucune objection. Par cette conduite, nous avions une fois de plus témoigné de notre bon vouloir envers le Cabinet de St. Pétersbourg, sans toutefois nous écarter de notre base d'action dans les afiaires orientales. Après cette rectification, qui a été très bien accuedllie, j'ai donné lecture de la Note identique, dont le Prince Gortchacow ne connaissait pas encore le texte. Il a remarqué avec satisfaction qu'il n'y était pas fait mention du traité de 1856. Mais, à ses yeux, ce n'était là qu'un billet à la Chatre!

Rela1Jl.vement à l'attitude des autres Puissances, il n'a pas dit un mot sur la Prusse; mais quant à l'Autriche, si elle obtenait ses suffrages, c'était pour autant qu'elle paraphrasait les propres vues du Cabinet russe, mais il n'admettait d'aucune façon une médiation quelconque de sa part pour concilier les intérets de la France avec ceux de la Russie. Celle-ci n'avait nul besoin de cet intermédiaire, et de son còté le Baron de Beust était trop nouveau dans le maniement des grandes affaires, pour qu'il put lui-méme s'exagérer son infiuence. La politique anglaise était moins accentuée que celle de la France.

Le Vice-Ghancelier ne pouvait s'empecher néanmoins de noter combien le langage de Lord Stanley différait de celui qu'il avait tenu en 1864, en présence de ses électeurs. Cet homme d'Etat prévoyait alors la chute prochaine de l'Empire Ottoman, et, sauf pour ce qui concernait l'Egypte et la possession de Gonstantinople, il était d'avis que l'Angleterre avait un intéret des plus urgents, nommément pour son commerce, à s'assurer les sympathies des races chrétiennes, qui secoueront immanquablement le joug de la Turquie. N'est-pas une tàche difficile de traiter avec un personnage qui varie son point de vue à tout vent de l'opinion publique, sans prendre conseil exclusivement des intérets réels et permanents de son Pays? Il est vrai que la Grande Bretagne se rangera du còté du fait accompli, quel qu'il soit.

Ayant trouvé le joint pour faire allusion à des solutions partielles que certaines Puissances pourraient méditer en prenant pour point de départ des actes diplomatiques antérieures au Traité du 30 Mars 1856, je n'ai pas manqué, suivant les instructions de V.E., d'aft1rmer et de justifier notre droit de participation à toute négociation qui aurait trait de près ou de loin aux destinées du Levant; je mettais en meme temps en relief les convenances particulières de la Russie à ce que ce droit incontestable fut incontesté. Le Vice-Chancelier n'a élevé aucun doute sur la légalité et sur l'utilité de notre concours. Il s'agissait bien moins pour nous d'un acte théorique de participation apte à satisfaire notre amour propre, que de l'exercise meme de ce droit, tel qu'il appartient à une Puissance comme l'Italie, parfaitement en mesure de prendre elle meme position et de jouer un ròle indépendant dans le concert européen. Au reste S.E., à propos de la dernière circulaire d'Aali Pacha incriminant le Gouvernement hellénique, n'a rien dit qui puisse porter à croire qu'Elle interprétàt cette Note comme une invitation directe aux trois Puissances protectrices, d'intervenir à elles-seules pour aplanir les affaires de Candie. J'ai déjà mandé quelle a été la réponse du Prince, la quelle se résume par ces mots: audiatur et altera pars. L'Angleterre a répondu qu'elle ne jugerait pas à propos de renouveler des remontrances faites précédemment déjà par son représentant à Athènes. La France, selon un télégramme parvenu au Ministre Impérial, aurait de son còté répondu par une fin de non-recevoir.

Le Général Ignatieff avait aussi transmis ici des détails qui permettaient d'admettre que, à Constantinople, on avait de meilleures dispositions que par le passé à accueillir les demandes de la Serbie pour l'évacuation des forteresses; mais des rapports postérieurs signalent une nouvelle résistance, au moins pour ce qui concerne Belgrade.

J'ai voulu également sonder le terrain relativement à un extrait de la correspondance du Ministre du Roi à Londres, (annexe à la dépeche de V.E.,

N. 60 du 17 Janvier). Bien entendu, selon mon habitude, je n'ai pas révélé ma source de renseignement. Je me suis donc nouvellement assuré que la Russie va plus loin que la France dans ses projets sur Candie. Elle demande, non seulement sa séparation complète de la Turquie, mais l'annexion de cette ile au Royaume hellénique, et, comme minimum, une autonomie semblable à celle des Roumans. Au reste la Russie, le Vice-Chancelier me le déclara de rechef, n'a fait aucune allusion à une intention quelconque, de sa part, de

recourir meme à la force pour contraindre la Porte à accepter les décisions qui seraient concertées entre les Puissances. Seulement, il s'est permis de critiquer Lord Stanley, qui, tout en se montrant pret à user de son influence pour ménager à Constantinople un bon accueil aux démarches qui seraient faites en commun par les Puissances, se proposait en meme temps de bien laisser entendre que jamais le Gouvernement de la Reine n'irait jusqu'à l'emploi des moyens coercitifs. Ce serait le meilleur moyen d'encourager les résistances du Sultan. Le Cabinet de St. Pétersbourg tient trop au succès de ces démarches, si tant est qu'on parvienne à les concerter, pour leur enlever d'avance toute chance de réussite. Au reste, en principe et sans le crier sur les toits, il est lui aussi contraire à une intervention armée, et il consent à se lier les mains, si chacun en fait autant. Si la diplomatie européenne se décidait d'un commun accord à tenir un langage ferme et identique pour obtenir les concessions de rigueur, le Cabinet Ottoman pourrait diiDcilement se soustraire à cette pression morale. Autrement, il faut s'attendre à de grands bouleversements en Orient.

En attendant, le Prince ne croyait nullement à l'authenticité des nouvelles de Constantinople sur un prétendu apaisement des troubles dans l'ile de Crète. II se préoccupait beacoup du sort des malheureuses victimes de cette lutte. II ne comprenait pas que les Puissances n'élévassent pas la voix pour protester contre cette odieuse prétention des croiseurs Tures, de défendre l'exportation de vieillards, des femmes et des enfants, et de ne permettre que le départ des volontaires. S. E. regrettait que le vaisseau le Grand amiral eùt subi des avaries qui l'ont empeché, avant le blocus soi-disant effectif, d'aller nouvellement recueillir bon nombre de ces infortunés, sans pain et sans asUe dans une saison rigoureuse.

M. de Kisseleff recevra incessamment un rapport très circonstancié, et qu'il communiquera à V.E., sur l'état des choses en Candie.

Avant de lever la séance, j'ai demandé au Prince Gortchacow s'il était à meme de me confier quelques nouveaux détails sur ses pourparlers avec le Baron de Talleyrand. S.E. n'a fait que me confirmer ce qu'il m'avait dlt précédemment. Je l'ai consigné dans ma correspondance. Ces pourparlers n'ont encore abouti à aucun résultat pratique, Le Vice chancelier attendait des réponses de Paris rpour mieux s'éclairer sur les intentions de L'Empereur des Français. Vouloir une application, et meme une extension du hatt-humayoum, serait une mesure tout à fait insuffisante. Au reste, M. Bourée est arrlvé depuis trop peu de temrps à son poste, pour avoir pu déjà prendre position avec une entière connaissances du terrain. Ce serait là du moins un des motifs invoqués pour tacher d'expliquer des retards si facheux dans son action, qu'il comblnera, il faut l'espérer, avec ses collègues.

Je remercie V.E. de m'avoir communiqué les instructions transmises à notre Légation à Constantinople, pour que les Agents consulalres de son ressort observent une extreme réserve d'attitude et de langage (1).

(l) Cfr. n. 109 e 121. Gli altri dispacci non sono pubblicati.

(l) Cfr. n. 106.

150

IL MINLSTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, ALL'INCARICATO D'AFFARI A COSTANTINOPOLI, DELLA CROCE

D. 13. Firenze, 31 gennaio 1867.

Ebbi a suo tempo i di Lei fogli nn. 79, 80 e 81 politici e due giorni dopo soltanto quelli ch'Ella mi indirizzava coi nn. 77 e 78 della medesima serie. (l) Le notizie ch'Ella mi dà confermano tutte la gravità della presente situazione di cose nelle varie provincie turche.

Come Ella ben prevede, la conversione al cattolicismo dei capi tribù di Zeitum è fra quegli incidenti che possono mettere in lotta fra di loro influenze straniere. A questo riguardo Le ho già espresso gli intendimenti del R. Governo ed io, dopo quest'ultime notizie, non posso che confermare quanto Le dissi nel mio foglio del 16 corrente (n. 8 di questa serie). (2)

La quistione relativa all'atto di adesione al firmano imperiale d'investitura del Principe di Hohenzollern è per quanto ci riguarda un affare terminato; suppongo che tutti i Rappresentanti a Costantinopoli avranno ricevuto le istruzioni necessarie per presentare la Nota identica, e che cosi ogni formalità sarà a quest'ora compiuta. A quanto mi si dice l'idea di questo mezzo termine che conciliò in qualche maniera e sovra un terreno pratico le opposte esigenze della Francia e della Russia nacque a Vienna, e fu adottata poscia dal Marchese di Moustier. Segno quest'incidente retrospettivo perché dinota sempre maggiormente qual contegno voglia tener il Governo austriaco, intento ad allontanare ad ogni costo le complicazioni premature che potrebbero sorgere in Oriente. Forse questo suo interesse più che lo scopo preciso di associarsi ai tentativi fatti per condurre alla ricostituzione delle nazionalità orientali, fece sì che l'Austria suggerisse la prima alla Porta la cessione delle fortezze serbiane domandate dal Principe Michele. Intanto è che sovra questa quistione non si presero ancora decisioni ed è facile lo scorgere che, perdurando la situazione presente, la posizione della Serbia rimpetto alla Turchia può costituire un vero pericolo anche pella tranquillità delle altre provincie ottomane di Europa.

Di questa situazione si preoccupano, come è ben naturale, tutti i Gabinetti dei paesi direttamente interessati nelle quistioni orientali.

Mi venne riferito che negoziati s'erano iniziati fra la Francia e la Russia e fra la Francia e l'Inghilterra allo scopo di giungere ad un accordo completo sull'atteggiamento che convenga prendere a fronte dei rivolgimenti d'Oriente. Le trattative, tuttoché condotte con grande segreto, ebbero per risultato di porre quelle potenze nella necessità di meglio formolare il loro programma. L'Inghilterra ritrosa a prendere impegni locché si spiega anche dalla situazione del Ministero tory, avrebbe recisamente ricusato di associarsi a tutto ciò che potrebbe farla uscire dal limite dei puri consigli e degli amichevoli suggerimenti. La Russia proclama altamente il bisogno di radicali provvedimenti per tutte le popolazioni cristiane dell'Impero ottomano, e sembra decisa a doman

dare che il Governo del Sultano sia lasciato da solo a fronte dei suoi popoli, e che il principio di non intervenzione sia applicato nella maggior sua accezione per parte di tutti i Governi cointeressati anche nel caso in cui i popoli orientali cercassero di prestarsi ajuto fra di loro. La linea di condotta della Francia fu sin qui meno precisa. Partendo da un punto di vista pratico il Governo dell'Imperatore crede forse che nelle attuali condizioni sociali dell'Oriente il proclamare in modo assoluto l'applicazione del principio di non intervenzione potrebbe condurre conflitti e confusioni tali da rendere poi necessaria l'azione delle Potenze, quando il male che ora si potrebbe antivenire, richiederebbe rimedi estremi. Intanto se il programma francese non sembra ancora abbastanza sviluppato, in ogni caso però non pare doversi fondare sovra altre considerazioni fuorché quelle che già ho indicato, e che per ultimo si riassumono nel concetto che le popolazioni cristiane dell'Impero ottomano non essendo giunte al grado necessario di sviluppo morale e sociale non è possibile la loro ricostituzione in nazionalità aventi vita lor propria ed indipendente.

Questi apprezzamenti sulla politica delle principali Corti europee desumo da varii dati pervenutimi in questi ultimi giorni ed hanno per iscopo di mettere la S. V. in grado di attentamente ed effl.cacemente sorvegliare l'azione diplomatica delle varie missioni accreditate presso la Sublime Porta.

(l) -Non pubblicati. (2) -Non pubblicato.
151

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DELL'INTERNO, RICASOLI, AL MINISTRO A WASHINGTON, BERTINATTI (AVV, ed. in MoRI, pp. 549-553 e in Carteggi Ricasoli, vol. XXV, pp. 7-12)

... gennaio 1867.

Dacché l'Italia diede opera al proprio riscatto, e vide tra gli altri ostacoli onde attenerlo, la questione religiosa, tal quale si volle introdurre e farla prevalere, veniva ad esserne se non l'unico almeno uno dei più gravi ed irritanti, ragion voleva che di questo ostacolo essa se ne preoccupasse in modo specialissimo, e che quindi mercé appositi e costanti negozi con la Corte di Roma cercasse modo di scartarla, e possibilmente convertire questa stessa questione piuttosto in sussidio e puntello, anziché costantemente incontrarla qual pietra d'inciampo ad ogni passo che l'Italia doveva fare per compiere la sua rigenerazione politica, e dar solida base alla sua nazionalità. Opera delle varie amministrazioni che si succedettero in ,questo delicato arringo fu sempre quella di conciliare i diritti della nazione colle esigenze religiose e coi debiti riguardi alla Santa Sede, e di ottenere da questa, con quei temperamenti che la ragion dei tempi possono comportare, tal modo di relazioni tra la società civile e l'ecclesiastica che potesser giovarsi a vicenda anziché asteggiarsi, e conseguir mercé un'armonia reciproca quel che a stento e non senza pericoli la forza delle circostanze e l'incalzar degli avvenimenti fa talvolta ottener con dolorosi conflitti e con lotte sempre deplorabili.

Se non che quando i tempi son maturi e le nazioni spinte dalla forza degli eventi nei quali si ravvisa la Provvidenza, sono addotte a nuova vita, dopo lungo letargo, e peggio, e vogliono quindi far prova di vera esistenza, d'autonomia propria, sì interna che esterna. questa stessa Provvidenza che diede il primitivo impulso alla riscossa dà ordinariamente i mezzi, a chi li cerca con deliberato animo, e con lealtà di intendimenti, onde tr:onfare nei solenni propositi, o fa riuscire ad opera durevole quel che parve dapprima un conato di audacia, ed un sogno di spirito innovatore.

Dacché lo Stato e la Chiesa più non poterono procedere di concerto nelle loro anteriori relazioni, e che le male soddisfazioni ingenerate da tal condizion di cose potevan tornar, col prolungarsi di soverchio, fatali alla religione medesima, che ogni buon Governo non può non desiderare prospera ed emcace,

o potevan far credere che l'Italia non sentisse e non senta qual pregio ed onere gliene torni dall'esser la sede del successore di Pietro, egli era naturale, egli era un dovere per noi di veder modo onde troncare al più presto possibile il male stesso nella sua radice, e cercar, come abbiamo fatto, nella libertà da dare alla Chiesa, la soluzione pratica di un troppo lungo conflitto.

Quando le due Società, civile ed ecclesiastica, andavan commiste, erano inevitabili i conflitti non meno che le usurpazioni. Chi chiamava come diritto suo proprio ed esclusivo l'insegnare, il dirozzar gli spiriti, il moralizzar la gente, il recar la buona novella alle nazioni, dovea chiamare come conseguenza aiuto del braccio secolare, onde far forza prat~ca a' suoi dettati; ed esortava, ammoniva e censurava chiunque, individuo o governo, si attraversasse alla sua missione, che si estese successivamente alle relazioni della famiglia, ai rapporti civili, ai beni temporali, e compenetrò per gradi la società tutta intera. Allorché il laicato volle esser di ragion propria, come era dimcile di segnare la linea di confine fra la ragion civile e l'ecclesiastica, questi volle intromettersi a sua vicenda nei penetrali del Santuario e farla talvolta da teologante dove gli mancava la competenza e dove saria stato per avventura più utile il ragionevole ossequio del credente e del cittadino. Se si pon mente alla storia facendo capo da Gregorio Settimo sino ai dì nostri; se si ha l'occhio alle lotte memorabili tra il sacerdozio e l'Impero, allo avvicendarsi delle censure, degli interdetti, delle scomuniche, da un lato, alle cautele, ai rimedli, alle precauzioni di vario genere prese, dall'altro, onde aver tregua, o meno acerbo conflitto, non si può non ammirare quanta solerzia sia stata mostrata da ambo le parti nella tutela di quanto sì da questa che da quella si chiamava proprio diritto, e quanta dottrina sì civile, che ecclesiastica sia stata invocata a sussidio della propria causa. Non è nemmeno da passarsi inosservata la circostanza che fra i molti, forse anco i p:ù dotti, tra gli scrittori che si fecero con alterna vicenda ad affermare, a rivendicare i diritti della potestà civile, i chierici, ed i monaci ebbero una parte notevole, preponderante. Non è quindi da stunirsi se i difensori. a modo d'esempio, delle libertà gallicane, i promotori di quelle riforme che s'intitolano, da Giuseppe Secondo, da Leopoldo, dal Tanucci, e simili, trovaron nel cìero caldi e convinti zelatori, non meno che nei magistrati civili, nelle scuole, ed in una serie di pubblicisti, e di canonisti che saria un fuor d'opera d'annoverare.

Elevati noi a questa scuola, ben ci saria stato facile il continuar la lotta, ed alle armi che ci si oppongono opporre altre armi di nota emcacia. È egli utile, è egli conforme ad una previdente politica, e quando si tratta di compiere 11 grande edlficio nazionale e dargli base incrollabile lo sprecar l'opera, e l'ingegno in conflitti altrettanto sterili quanto irritanti?

II Governo ha pensato che saria miglior consiglio non solo l'evitarli affatto, ma anzi di veder modo di trovare una forza, una amica e benigna influenza anche dal Iato politico, Iaddove non si trovaron in passato fuorché urti, contrasti, ed opposizioni. Nel svincolarci, mercé la libertà da quel nodi che fin qui ci irretirono, noi siam convinti di dare alla Chiesa un'autorità ed una morale influenza non prima posseduta, e che conferirà non meno al farle riconquistare 11 suo primitivo splendore, quanto al benessere morale e religioso cosi di questa come delle generazioni avvenire. L'Italia non men che la Francia non potranno mai essere altro che nazioni cattoliche diceva 11 Tocqueville ad un suo amico. A questa stregua esse devono amicarsi il Papato e la Chiesa e convivere insieme in bella e durevole armonia. In ogni tempo, e fin dal suo nascere, la Chiesa non chiese altro fuorché la libertà, e, quando l'ottenne ebbe ben presto ragione sul politeismo romano. Quando le fu dato di penetrar nell'Asia e nell'Africa onde evangelizzar le genti, essa non creò altro fuorché la libertà, e, se si leggon gli annali delle missioni cominciando dal Padre Daniella Bartoli sino al vivente Padre Hac si vede in prova quanta messe sia stata raccolta nella Cina, nel Giappone, nel Tibet ed altrove sempreché, ora in questo, ora in quest'altro punto del globo, fu libero il varco alle parole evangelizzatrici. È lecito a chiunque di fra noi il constatar quando che sia i rapidi successi ottenuti dal cattolicesimo presso le nazioni protestanti dal di che queste gli consentirono il libero propagarsi presso di loro, e nessuno ignora il meraviglioso e giornai:ero incremento del medesimo presso la Confederazione degli Stati Uniti. In ordine ai quali io sono convinto che se altri volesse, o potesse introdurvi un sistema di dirato pubblico ecclesiastico tal quale regnò, o regna tuttavia in qualche parte del vecchio continente, esso sarebbe recisamente respinto da coloro medesimi in favor dei quali si tentasse di stabilirlo. Chi abbia presente alla memoria le sagaci e profonde avvertenze del Tocqueville, su questo proposito, dividerà ben di leggieri la mia opinione, come quella che poggia sopra i fatti irrecusabili.

Dal dì che il mio predecessore, il Conte Cavour formulò il concetto di libera Chiesa in libero Stato sino al dì d'oggi, e sempre quando s'ebbe l'opportunità di far pratiche presso la Corte di Roma ed in modo omcioso, ed altrimenti, o per mezzo di laici, o per mezzo di chierici, sempre si ebbe l'occhio a farle conoscere quanta fosse la nostra fiducia nell'emcacia della formula in discorso, e come con la franca e leale applicazione della medesima noi fossimo convinti di trovare una soluzione razionale, e di comune vantaggio, alle attuali dimcoltà, ed amicare la Chiesa e Stato in modo permanente.

Non ci fecer desister dall'ardua impresa cui ci accingemmo, né le prevenzioni contrarie al nostro fenno proposito, né il tenace resistere di chi,

tosto o tardi, speravamo doverci essere propizio. Avendo fiducia nella libertà largamente applicata, e perciò facente parte del diritto comune, noi credevamo, come crediamo, che la medesima, a guisa di lancia d'Achille, ha virtù di sanar le ferite che essa ha fatto dapprima.

Chi ha l'onore di essere al posto in cui mi trovo, ed ha dovuto pigliar qualche notizia dei negoziati successivamente intavolati con la Santa Sede cominciando, per non risalir più alto. dal Cardinale d'Ossat sino al Pellegrino Rossi, di cui il Governo del Re si pregia sempre di onorar la memoria, non men che di usufruttarne i consigli, ha potuto convincersi che sempre quando si perorò presso di essa una buona causa, si ebbe la costanza di propugnarla con l'ossequio dovuto alle somme chiavi, e la pazienda di attenderne rispettosamente gli oracoli, raro è che questi non siano riusciti propizii, e con essi non si sia provvisto alla pace religiosa. La buona causa che noi caldeggiamo è quella della libertà, e se la Corte di Roma poté nel secolo dodicesimo separarsi dalla medesima «parce qu'elle mourait (come s'esprime appunto il Rossi) voudra-t-on aujourd'hui rester fidèle à l'agonie du despotisme? C'est-là une 'erreur (prosiegue il Rossi) où Rome ne tombera pas parce qu'il n'est pas dans sa nature d'y tomber. Il faudrait qu'elle eùt un pouvoir qu'elle n'a pas, le pouvoir de se dénaturer à ses principes, à ses traditions, à sa mission. Rome salt proportionner l'instrument mondain aux temps, aux circonstances, aux besoins. Elle ne se sépare jamais définitivement de l'avenir, et l'avenir aujourd'hui appartient aux gouvernements constitutionnels ». Queste parole pronunziava il Rossi nel 1842. E chi avverta come in questo quarto di secolo al dispotismo dapprima agonizzante sia ormai sottentrato il rantolo che ne preannunzia la morte, troverà nelle profetiche parole del nostro grande pubblicista un motivo di credere, sperare que Rome ne se séparera jamais définitivement de l'avenir, e che perciò, avuto riguardo ai tempi ed alle circostanze, in cui versiamo, i nostri conati non dovevano sortire un infelice successo.

Non ci dissimuliamo di certo quali giudizi diversi saran portati, sì in Italia che fuori, sopra la soluzione che noi, dopo lungo e maturo esame, e facendo tesoro delle pratiche in varii modi già iniziate colla Corte di Roma, abbiam creata ed applicata onde comporre le nostre vertenze colla medesima. Non ignoriamo quanto sia difflcile, anche per gli intelletti i più potenti e penetrativi, Io scostarsi ad un tratto dalle prese abitudini, il rinunziare a massime diventate quasi assiomatiche allorché si tratta di regolare i rapporti tra Io Stato e la Chiesa; ed il dismettere perché ormai senza scopo fuorché per servire alla storia, un ordine di studi, che ricorda a chi i ridenti anni passati coi condiscepoli nei varii atenei, nonché gli illustri nomi d'autori e di maestri

la cui rimembranza sarà sempre venerata e cara; a chi i trionfi ottenuti nel foro, e nell'alta magistratura, e nel maneggio dei civili negozi, o nella tutela delle ragioni del Principe.

Una chiesa prosciolta dalle pastoie statuali segna un nuovo ordine di fatti e d'idee non prima avveratisi sulla nostra penisola ed altrove, e ravvicina d'un tratto il nuovo continente all'antico. La nostra impresa è ardita, non l'ignoriamo, ma la nostra entratura virilmente presa e coraggiosamente

sostenuta, avrà, siam certi, non pochi ammiratori e fautori. Se l'Italia poté con le arti e colle scienze dar lume al mondo in epoche non lontane; se col Digesto e col codice poté dar norma altra volta a tutte le legislazioni europee, ella potrà anche al dì d'Qggi colle formole da essa francamente adottate d'una libera Chiesa in un libero Stato dare un novello impulso alla civiltà presente, dare un nuovo ed insolito vigore alla religione dei nostri maggiori nella quale ci pregiam d'esser nati, e educati, ed offrire agli altri paesi che ci contemplano non senza qualche apprensione un perenne esempio ed un pegno di stabile confidenza che dovranno o tosto o tardi essi stessi imitare.

152

IL CONSIGLIERE DI STATO, TONELLO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI. VISCONTI VENOSTA

Roma, 1° febbraio 1867.

*Ricevute le istruzioni contenute nel dispaccio ministeriale del 29 cessatQ gennaio (1), dalle quali rilevai con piacere essere stata dal Governo accettata la forma di procedimento da me intesa colla Santa Sede per le nomine dei Vescovi alle sedi vacanti, e per l'insediamento dei Vescovi già preconizzati, ebbi jeri sera, 31 detto, una nuova conferenza col Cardinale Antonelli.

Non essendovi più materia a discutere sulla questione preliminare si venne tosto a parlare delle persone * (2).

Io manifestai al Cardinale le ragioni per le quali il Governo non poteva accedere al progetto proposto nella seduta precedente per la provvista della sede Arcivescovile di Milano; ed avanzai che lasciato in disparte l'Arrigoni Arcivescovo di Lucca vi fosse invece destinato Monsignor di Calabiana Vescovo di Casale, mandando Monsignor Ballerini alla sede Arcivescovile di Cagliari già prima designata pel Calabiana. Questo progetto, che a me parve felice, come quello che porgeva modo di destinare alla importantissima sede di Milano un prelato savio, temperato, e che aveva saputo sinora nell'esercizio dell'apostolico suo ministero mantenersi superiore ad ogni eccezione, e riservava in pari tempo a Monsignor Ballerini una sede ArcivescQvile di non lieve importanza secondo gli intendimenti del Santo Padre, incontrò il pieno gradimento anche del Cardinale, il quale tuttavia si riservò di riferirne al Sommo Pontefice, che aveva avuta l'iniziativa del progetto precedente.

Avvertii il Cardinale, che io m'era data sollecita cura di far conoscere al Governo i nomi dei quattro proposti dalla Santa Sede per Loreto e Recanati, Sinigaglia, Iglesias od altra Sede in Sardegna, ed infine per Catania; e che non sì tosto io avessi ricevuto r:scontro ne avrei nuovamente tenuto parola colla Eminenza Sua.

Intanto essendomi dal mio canto informato, come mi si diceva nella nota ministeriale, sui padri Aggarbati e Demartis riseppi che il primo, di nome Giuseppe è membro del Collegio Teologico nell'Università della Sapienza qui in

Roma, ed il De Martis, di nome Angelo, è professore di Teologia morale nella stessa Università. Di quest'ultimo ebbi già buoni ragguagli ed altri ne aspetto ancora; del primo sinora non ho riscontri, ma ne otterrò quanto prima.

Feci sentire al Cardinale il desiderio del Governo che fosse tosto provveduto alle sedi vacanti più cospicue o vuote da maggior tempo, ed in ispecie, oltre alle già indicate, a quelle di Capua. Asti, Sarzana, Alessandria, Girgenti, Arezzo, Siena e Grosseto. Il Card:nale disse non esservi difficoltà ad accettare la proposta traslocazione di Monsignor Benini dalla Sede vescovile di Pescia a quella Arcivescovile di Siena; come pure la nomina a Vescovo di Monsignor Barabesi Vicario Capitolare di Grosseto. Se non che per quest'ultimo avvertì, come anche in genere per tutti gli altri Vicari Capitolari, essersi per una lunga esperienza riconosciuto, e quindi adottato correlativamente per massima, non tornare conveniente la destinazione d'un Vicario Capitolare a Vescovo nella stessa sede ove esercitò tale qualità; e pokrsi conseguentemente cercare pel Barabesi altra sede. Eguale osservazione mi fece pel Vicario Capitolare d'Aosta proposto a Vescovo nella stessa città. Io senza entrare nel merito della massima, osservai, che per Aosta esisteva una speciale ragione, per la quale difficilmente si sarebbe potuto ricorrere ad estranei, cioè l'uso della lingua francese. Ad ogni modo riferisco al Governo la fatta eccezione, avvertendo, che ove nulla si avesse in contrario, s1 potrebbe proporre Monsignor Barabesi per la Diocesi di Arezzo, e per quella di Aosta il Vicario Capitolare di Susa, nella cui Diocesi molte popolazioni parlano pure il francese. Quanto a Sarzana il Cardinale mi avverti, che il Padre Isnardi propostovi erasi reso defunto già da due anni, come mi era pure stato supposto dal Ministro della Pubbl:ca Istruzione. Per le altre proposte contenute nella nota governativa da me rimessagli disse che si stavano tuttora raccogliendo gli elementi, e che avrebbe accelerato al possibile il lavoro.

Intanto mi comunicò una nota, che qui unisco ritenutane copia, di persone a giudizio della Santa Sede proponibili a Sedi Episcopali, sulle quali invitò il Governo ad informarsi. Io ho ragione di ritenere, che la parte di tale nota riguardante il Piemonte sia stata suggerita dal Sacerdote Torinese Don Bosco, che venne qui credo appositamente. Nell'altra parte concernente la Toscana si vedono riprodotti i nomi dei Vicar:i Capitolari di Arezzo, Fiesole, Pistoja e Prato sebbene su di essi non avessi già mancato di far sentire le ra;gioni per le quali la loro nomina non poteva gradirsi dal Governo. Attenderò a suo tempo che il Ministero mi comunichi sulle persone in detta nota designate le sue intenzioni.

Io mossi parola della convenienza di tener presto un Concistoro onde cominciare intanto a far qualche cosa e presentare un documento esterno dell'intervenuto accordo. Sua Eminenza ne convenne pienamente soggiungendomi tale appunto essere ora anche l'intenzione di Sua Santità, e che perciò appena vi fosse in pronto materia sufficiente il Concistoro avrebbe senz'altro avuto luogo.

In ordine al modo di esplorare la volontà per parte dei Candidati di accettare le ideate nomine o traslocazioni, oggetto del quale mi si fa cenno nella nota ministeriale, il Cardinale Antonelli mi disse essere usanza ciò farsi dalla Santa Sede, la quale ha in tal guisa il mezzo di vincere talvolta colla sua auto

rltà, e colla persuasione certe resistenze, che la volontà indiv1duale opporrebbe ai provvedimenti concepiti nel migliore interes,se del pubblico. Il Governo è quindi in tal parte esente da ogni cura.

*Finito il discorso sulle materie religiose pensai profittare dell'occasione per ritoccare alcuni degli altri argomenti già stati precedentemente messi in campo.

Incominciai dalle monete. Io aveva riconosciuto nella prat:ca quotidiana essere le monete romane di nuovo conio modellate bensì al sistema decimale, come già accennai in un precedente mio rapporto, ma non avere nei cambi egual valore delle monete italiane e francesi. Credetti ciò provenisse da differenza nel titolo, ma da persone competenti venni assicurato essere in esse il fino e la lega in perfetta corrispondenza con quelli delle altre monete decimali anzidette; provenire bensì il diverso valore in corso da ristrettezza del campo di circolazione, inquantoché le medesime non fossero ricevute fuori del territorio pontificio. Io ebbi a meravigliarmene, giacché l'Ambasciatore di Francia, col quale aveva già di ciò tenuto discorso, mi aveva più volte affermato essersi dal Governo della Santa Sede fatta adesione al Trattato francese in proposito, il che portava la reciprocità della circolazione per tutti i paesi ai quali il trattato si estendeva; ma venni assicurato tale asserzione essere inesatta. Io adunque ne mossi parola al Cardinale, il quale mi confessò essere vero che finora non si era fatta adesione al Trattato francese; ma disse essere ora il Governo Pontificio disposto a farla, dimodoché su tale punto nulla più vi sarà a desiderare.

Quanto alle poste il Cardinale mi ripeté, che il Ministro delle Lnanze di qui aveva già scritto a Firenze per poter prendere tutte le intelligenze che fossero di comune interesse.

Parlai per ultimo delle Dogane. Su questo tema importantissimo io aveva qui avuto da persone ragguardevoli nel Commercio e nelle Finanze non poche comunicazioni ed eccitamenti. Convenivano tutti nel sostenere la necessità di togliere ogni barriera doganale tra il Regno e lo Stato Pontificio, proponevano poi in surrogazione varii sistemi. V'era chi diceva potersi dal Governo Italiano dare a quello del Pontefice l'equivalente in somma fissa di quanto attualmente da lui si percepisce concertandosi poi con lui sul modo di sorvegliare la frontiera esterna, cioè quella del mare, con appositi suoi agenti. Altri invece proponeva, abolirsi semplicemente le Dogane interne ammettendosi il Governo pontificio a dividere col Governo Ital:ano in proporzione di popolazione il prodotto comune delle Dogane esterne. Mi si soggiungeva essersene già parlato direttamente al Pontefice, il quale non aveva mostrato alcuna renuenza all'abolizione totale, scostandosi però dal sistema del compenso a somma fissa; ma che il Cardinale Antonelli essendovi contrario ogni buona dispos:zione di Sua Santità era rimasta infruttuosa.

Io adunque senza impegno in alcun determinato sistema, e collo scopo piuttosto di riconoscere più esattamente il terreno e di dare una spinta ai lavori che il Cardinale mi aveva detto essere allo studio su questa materia, mi determinai a rimetterla sul tappeto, mostrandogli la necessità di prendere larghi e radicali provvedimenti in proposito; tanto più che sistemate colle dogane le

relazioni commerciali dei due paesi, si sarebbe potuto più agevolmente venire anche ad intelligenze pel riordinamento della Banca in relazione con quella d'Italia pel che sapeva essere già in corso trattative.

Il Cardinale mi fece su questa materia lunghi discorsi, che sarebbe faticoso il ripetere, la cui sostanza ·però si risolveva in questo, non potersi per ora far altro o più di quanto egli aveva già precedentemente accennato, di riformare cioè le tariffe nella misura, per quanto possibile di quelle del Regno d'Italia; benché io gli facessi notare, come con ciò non si provvedesse punto a rimuovere il dannoso impaccio delle barriere, che era il principale blsogno che si sentiva.

Nulla potendo quindi per ora avanzare in tal parte, vedrò se maturate meglio le cose mi verrà momento più opportuno per ritrattare di questo argomento, sul quale del resto io non ho sinora ricevuta alcuna precisa istruzione nemmeno sulle basi principali, che potrebbero darsi alla trattat:va.

Il modo poi studiosamente evasivo tenutomi dal Cardinale su questo tema, mi persuase dell'inutilità pel momento di toccarne altri, oltreché l'ora fattasi assai tarda, non me lo avrebbe più consentito*.

ALLEGATO.

Il Parroco della Cattedrale di Torino. Il Canonico Gastaldi di Torino. Il Canonico Galletti. Il Canonico Dottore di Collegio Savio di Torino. Il Canonico Parroco della Cattedrale di Vercelli. Il Canonico Parroco della Cattedrale di Alba. Il Vicario Generale di Sarzana. Il Vicario Generale di Susa. Il Canonico Vicario Generale di Cuneo. Il Padre Gottolengo Domenico di s. Maria di Castaldo in Genova. Canonico Colli di Novara. Canonico Gaudenzi di Vercelli. Parroco Frassinetto di Genova.

Toscana:

Giovanni Broschi Vicario Capitolare di Pistoja.. Giovanni Pierallini Vicario Capitolare di Prato. Anibale Barabesi Vicario Capitolare di Grosseto. Lorenzo Frescobaldi Vicario Capitolare di Fiesole. Giuseppe Rosati Vicario Capitolare di Arezzo. Giuseppe Giusti Canonico Teologo di Pisa.

D. Sozzifanti Arcidiacono della Cattedrale di Pistoja. Padre Maestro Sensi Provinciale dei Minori Conventuali. Padre Anselmo di S. Luigi Gonzaga Carmelitano ex provinciale ed ex definitore. Canonico Pucci Sisti di Siena.

Canonico Palazzi di Firenze.

(l) -Cfr. n. 145. (2) -I brani fra asterischi sono editi In Lettere Rioasolt, vol. IX, pp. 222-225 e In Carteggi Ricasoli, vol. XXV, pp. 157-160.
153

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, ALL'AGENTE E CONSOLE GENERALE A TUNISI, PINNA

T. 61. Firenze, 2 febbraio 1867, ore 17,35.

Le Gouvernement s'occupe des moyens de faire donner enfin satisfaction à nos nationaux. Si l'on se décide à occuper un point du territoire il semble qu'il serait rplus efficace d'occuper sinon la Golette du moin Sousse. Cela exercerait plus de pression et il y aurait des droits de douane à .percevoir. Mais les graves conséquences possibles d'une occupation quelconque nous feraient préférer tout autre moyen de coaction. Veuillez me télégraphier s'il en existe un, si par exemple le Bey a quelque établissement maritime ou arsénal qu'on détruirait ou quelques navires qu'on prendrait. Dites-nous si le Gouvernement tunisien a quelques bàtiments de guerre (1).

154

IL PREFETTO DI PERUGIA, GADDA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA (AVV)

L. P. Perugia, 2 febbraio 1867.

Il Bonfadini mi scrive se accade un avvenimento che si comincia a considerare come vicino, le cose possono trovarsi molto cangiate in un mese. Intendo parlare della morte del Cardinale Antonelli che si dice stia male assai. Nulla avvenendo però temo che le cose tireranno passabilmente in lungo. Elementi buoni ce ne son pochi ed il Comitato battuto in breccia a diritta e a sin:stra si trova scombussolato assai. V'è poi il partito Mazziniano che si è organizzato e vuol fare qualcosa. Non so se riusciranno a sventarlo. Per questo accorrerebbero denari e credo che se ne abbiano pochi. Mi pare veramente che sia questo il caso di non lesinare. I Mazziniani è fatto che anche all'interno tornano ad agitarsi, ma finora nulla fanno di concreto.

155

L'INCARICATO D'AFFARI A VIENNA, RATI OPIZZONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 78. Vienna, 3 febbraio 1867, ore 8,20 (per. ore 9,35).

A la suite de mon télégramme du 30 janvier dernier (2), j'ai l'honneur de vous annoncer que ce ministre des affaires étrangères m'a adressé hier une

note officielle dans la quelle il me déclare que les auteurs du fait regrettable qu'a eu lieu à l'entrée du port de Gravosa, ont été déférés à l'autorité supérieure compétente reconnus coupables et punis en conséquence. Pensant qu'elle pourra vous servir je vous envoie aujourd'hui par la poste la note dans son originai (1).

(l) -Per la risposta cfr. n. 163. (2) -Non pubblicato ma cfr. n. 146.
156

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, ALL'AGENTE E CONSOLE GENERALE A TUNISI, PINNA

T. 62. Firenze, 3 febbraio 1867, ore 17,15.

Veuillez me faire savoir si le blocus serait un moyen de coaction efficace et dans quelle mesure il serait nuisible aux intérets du bey (2).

157

IL MINISTRO DI GRAZIA E GIUSTIZIA E DEI CULTI, BORGATTI, AL CONSIGLIERE DI STATO, TONELLO

Firenze, 3 febbraio 1867.

Facendo seguito alla precedente comunicazione del 29 gennaio p.p. (3) mi affretto ad annunziare alla S. V. Illustrissima l'assenso del Governo del Re a che Monsignor Gallucci, già v:cario Generale del defunto Cardinale Baluffi Vescovo d'Imola, sia assunto alla sede vescoviie di Loreto e Recanati e che il padre Carmelitano Martis venga preconizzato vescovo di qualche sede vacante nella Sardegna.

Solo si desidererebbe che in luogo della designata sede d'Iglesias, il padre

Martis fosse assunto a taluna delle sedi di Nuoro o di Ales, le quali per ragioni

topografiche hanno maggiore urgenza di essere riprovviste.

Non potrebbe il Governo convenire nella proposta fatta di elevare alla sede vescovile di Catania Monsignor Giuseppe Maria Pappardo Vescovo di Sinope in partibus. Sebbene si encomino le qualità intellettuali del Pappardo, tuttavia i suoi precedenti politici e le sue attinenze personali renderebbero assai difficile e disagiata la sua posizione in Sicil"a ed esporrebbero il Governo a troppi pericoli di disappunti e censure.

Col partito messo innanzi dal Governo nell'antecedente lettera del 29 gen

naio, di trasferire all'Arcivescovado di Milano Monsignor Nazari di Calabiana,

si renderebbe vacante la sede vescovile di Casale. Ora il Governo desidererebbe

vivamente che la S. V. Illustrissima cercasse di indurre la Santa Sede ad ade

rire al trasferimento a Casale di Monsignor Ferrè Vescovo di Crema era stato pre

conizzato a Vescovo di Pavia.

Senza voler menomare i meriti di pietà e di dottrina di Monsignor Ferrè,

è però indubitato che egli non sarebbe opportuno alla difficile Diocesi di Pavia,

(-3) Cfr. n. 145.

avendo in più incontri spiegato uno zelo non temperante e dato al Governo argomento di disturbi. Questo trasferimento se da una parte nulla costa alla Santa Sede, dall'altra toglierebbe possibili imbarazzi al Governo, e acconsentito, costituirebbe una novella prova degli spiriti di conciliazione che animano la Santa Sede nelle presenti trattative.

Pel Vescovado di Pavia il Governo designerebbe il Sacerdote Ghiringhello, Professore dell'Università di Torino, alla cui dottrina, pietà e purezza di costumi non bastano elogi.

Data questa opportunità, rappresento alla S. V. Illustrissima che sarebbero accetti al Governo per qualche sede vescovile il Cav. Luigi Martini Arciprete parroco della Cattedrale di Mantova, il Padre Benedetto Dusmet già abate del Convento de' Benedettini di Catania, il Sacerdote Pietro Colli Vicario Capitolare della Diocesi d'Adria, il Sacerdote Giuseppe Bedetti della Diocesi di Bologna, ed il Sacerdote Giovanni Spanò Canon:co della Cattedrale di Cagliari.

Rimanendo nell'aspettativa degli ulteriori concerti sulle altre sedi da provvedersi...

(l) -Con d. 12 del 10 febbraio Barbolani comunicò a Rati: «Il Gabinetto di Vienna avendo con questa sua ufficiale dichiarazione soddisfatto a quanto Ella era stata incaricata di chiedergli,l'incidente è ora risoluto nel miglior modo che da noi potevasl desiderare ed lo la felicito, Signor Conte, d'aver saputo condurre a termine la trattativa con piena nostra soddisfazione». (2) -Per la risposta cfr. n. 163.
158

IL CONSIGLIERE DI STATO, TONELLO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

Roma, 3 febbraio 1867 (per. il 4).

Secondo un concerto preso nell'ultimo mio abboccamento col Cardinale Antonelli, jeri sera 2 corrente io mi recai da Lui 'per intendere le risoluzioni del Sommo Pontefice relativamente alla nuova proposta da noi fatta per la provvista della Sede Arcivescovile di Milano. Il Cardinale mi disse esser dolente di dovermi partecipare che il Santo Padre si era mostrato molto contrariato c!1e il primo progetto da Lui presentato non fosse stato accettato. Essendo questo tutto di sua iniziativa, ed avendo lo stesso Sommo Pontefice molto concetto della capacità ed attitudine dell'Arrigoni nel quale dopo un lungo scrutinio credeva aver rinvenuto la persona meglio adatta a coprire quel posto importantissimo, non poteva indursi ad aderire ad altra nomina qualsiasi. Non essendovi adunque pel momento il concorso in un solo volere delle due podestà né tornando opportuno nelle disposizioni in cui si trova su tal punto il Santo Padre fare ricorso ad altre combinazioni, non resta che di lasciare sprovveduta per ora l'anzidetta Sede.

Il Cardinale intanto mi comunicò altra nota di candidati in numero di cinque appartenenti alle Provincie Napoletane, Nota che, dopo averne presa cop1a, mi do premura di trasmettere come l'antecedente al Ministero amnché voglia assumere le occorrenti informazioni.

A tale riguardo debbo avvertire, che durando sempre nel Pontefice il desider:o di addivenire presto ad un Concistoro, anzi facendosi tale desiderio ogni giorno più vivo, come mi dichiarò il Cardinale, sarebbe di tutta convenienza, che per parte nostra si sollecitassero al possibile le informazioni e deliberazioni, che tuttora si attendono sui nomi presentati dalla Santa Sede. Si potrà cosi colla scorta di esse e di quelle che la Santa Sede prenderà sui Candidati pro

17 -Documenti diplomatici -Serle I -Vol. VIII

posti dal Governo, tra i quali va pure compreso il Professore nell'Università di Torino Teologo Ghiringhello da me dato in nota, secondo gli ordini ricevuti, fin dalla precedente seduta, si potrà, ripeto, venire senza troppo indugio ad una conclusione sopra un numero sufficiente di nomine. Pare che il Santo Padre sia per contentarsi attualmente anche di poche, riservandosi di annunciare nel Concistoro, che si provvederà più tardi anche ad altre fra le vacanti, onde non si creda esaurito colle prime il tema che si sta ora trattando.

Si è già d'accordo per Torino, Savona, Sassari, e Messina. Per Cagliari vedrà il Governo, se non avendo luogo la destinazione di Monsignor Calabiana a Milano convenga riproporlo a quella Sede. Per Aosta ove non si trovasse dal Governo accettabile il Vicario Capitolare di Susa, come si era proposto, la Santa Sede non farebbe difficoltà ad accettare l'attuale Vicario Capitolare del luogo. Si è pure concordi per Siena, e potrebbe facilmente concordarsi anche la nomina per Arezzo, ove il Governo non avesse obbiezioni alla destinazione ivi di Monsignor Barbesi da lui proposto per Grosseto. Vi sono inoltre i quattro proposti dalla Santa Sede per Catania, Loreto e Recanati, Sinigaglia, ed Iglesias od altra sede in Sardegna, sui quali si potrà pure presto deliberare, non si tosto il Governo creda aver ragguagli sufficienti. Su questi ultimi, eccetto il Gallucci proposto per Loreto e Recanati sul quale potrà meglio e più presto informarsi il Governo, non ho mancato anch'io, secondo l'invito avutone e come già annunciava nell'ultima mia (1), di cercare riscontri, ed eccone il risultato.

Sul Pappardo proposto per Catania aveva già avute buone notizie. Chiestene ad altre fonti ne ottenni la conferma. È qualificato di molta capacità e reputazione come Ecclesiastico, e di opinioni temperate in politica.

Sul Demart:s proposto per Iglesias od altro luogo dell'Isola di Sardegna ebbi pure la conferma di quanto prima mi si era già detto in bene sul di lui conto. Egli è Sardo; è stimato di moltissima dottrina, sebbene come professore abbia scarsa comunicativa; in politica qui passa per intinto di liberalismo, tanto che desterebbe meraviglia se si sapesse che la Santa Sede lo propone. Qui farò un'avvertenza. Se non si credesse di riproporre per Cagliari Monsignor di Calabiana, inquantoché è probabile che egli non accetti, in tal caso l'attual Vescovo d'Iglesias Monsignor Montixi, invece di Sassari, potrebbe, secondo me con molta opportunità destinarsi alla città di Cagliari più vicina, nella cui provincia appunto ed in contiguità di Diocesi si trova Iglesias. Ciò facendosi gll si potrebbe lasciare in amministrazione anche l'attuai sua Diocesi, che non è di tale importanza da essere nei futuri riassestamenti conservata con proprio Vescovo; e cosi il professore De Martis potrebbe, tolta Iglesias, designarsi per altra Sede in Sardegna, che il Governo vorrà indicare, e forse anche, ave così si credesse, per la stessa Sede Arcivescovile di Sassari, che d~verrebbe disponibile. Attendo su di ciò precisi riscontri.

Sull'Aggarbati proposto per Sinigaglia ho pure ricevuto informazioni sotto ogni riguardo favorevoli, non esclusa la temperanza delle opinioni in materia politlca. Egli è persona dotta, modesta, ritirata, ed aliena dalle brighe, e quindi pare un'ottima scelta.

Passando ad altro argomento, siccome nella precedente conferenza io aveva rimesso al Cardinale Antonelli una copia del progetto di Legge sui beni Ecclesiastici, egli ora, esaurite le precedenti materie, me ne tenne discorso. Parlò a iungo, e come vi si era già prima mostrato avverso, così ora confermò e dichiarò recisamente la sua contrarietà alla medesima. In riassunto disse, che quanto alla libertà della Chiesa egli preferiva assai il sistema d'andare d'accordo col Governo, il che presentava anche per la Santa Sede molto minori inconvenienti, che non tutta quella pienezza di libertà della quale la si voleva investire. E quanto ai beni dichiarò che la Santa Sede non poteva in qualsivoglia modo prestar la mano ad un atto che secondo i suoi principii costituisce una spoglìazione. Che per tale motivo aveva dovuto fare smentire due volte nel Giornale di Roma l'asserzione che essa avesse data la sua approvazione al contratto col signor Langrand-Dumenceau. Nell'ottobre scorso aveva questi infatti mandato a Roma un suo agente, ma gli si rispose che la Santa Sede non poteva prestare il suo assenso ad un atto di tale natura. Come era supposta quella della Santa Sede, così credere egli al tutto immaginaria l'approvazione che il Langrand-Dumenceau nella sua lettera stampata nei giornali dice aver ottenuto dai Vescovi. Questi, a detta del Cardinale, né hanno aderito, né possono aderire, di modo che lo sperare una cooperazione da tal parte sembra essere una illusione.

Nel farmi sollecito di riferire quanto sovra al Governo per sua norma...

ALLEGATO.

NOTA RIMESSA DAL CARDINALE ANTONELLI NELLA CONFERENZA DEL 2 FEBBRAIO 1867

Il Sacerdote Gennaro Trama Procuratore Fiscale della Curia Arcivescovile di Napoli.

Il Sacerdote Antonio Dalena Arciprete di Rutigliano (Provincia di Bari) Diocesi di Conversano, Comune di oltre 6.000 anime, autore di varie opere filosofiche e polemiche, e secondo le informazioni avutene, uomo esemplare nella cura delle anime, e sembra aver tutti li numeri richiesti per un buon Vescovo.

Il Sacerdote Alfonso Maria Barretta Canonico teologo della Chiesa ex-cattedrale di Frigento, Diocesi di Avellino, Vicario Generale dell'attuale Monsignor Vescovo.

Il molto reverendo Padre Giovanni de Franciscis Preposito Generale de' Padri Pii

Operaj residente in S. Giorgio a Forcella in Napoli. Il Sacerdote Vito Luigi Gioja Canonico Cantore della Chiesa collegiale di oci, Comune di oltre 7.000 anime nella Provincia di Bari Diocesi di Conversano.

(l) Cfr. n. 142.

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IL MINISTRO A BERLINO, DE BARRAL, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R.R. CONFIDENZIALE S.N. Berlino, 3 febbraio 1867 (per. il 9).

J'ai l'honneur de rendre compte à V. E. des pourparlers qui ont eu lieu ici à l'égard du refus de S.E. M. le Président du Conseil d'accepter la décoration Prussienne de l'Aigle Noir.

J'ai été reçu trois fois par M. de Thile; dans les deux premières entrevues le Sous-secrétaire Prussien m'exprima ses vifs regrets, qu'une mesure qui avait été adoptée dans le but de resserrer les liens d'amitié heureusement existants entre l'Italie et la Prusse, n'ait abouti qu'à un malentendu pouvant amener des conséquences facheuses. Le Roi avait été indigné, c'était la première fois que l'Ordre supreme de la Prusse avait été refusé. La Prusse ne pouvait pas dans de telles conditions accepter les Ordres Italiens.

Je m'attachais à lui démontrer, ainsi que V. E. me l'avait indiqué dans ses instructions confidentielles, que le refus du Baron Ricasoli n'avait qu'un caractère tout à fait temporaire et ne provenait que d'un sentiment exquis de délicatesse, dont lui seul pouvait étre juge, qu'au fond personne n'était fautif, et que dans ce malentendu on ne pouvait soupçonner rien de blessant pour le Gouvernement Prussien. M. de Thile m'objecta que l'usage veut qu'on décore le Président du Conseil de la Puissance qui a signé la paix, que la Prusse avait décoré M. de La Valette après sa fameuse circulaire, et que le Ministre de l'Intérieur Français n'avait pas cru devoir refuser. Je répondis que chacun était libre d'apprécier les choses selon sa manière de voir, et que d'ailleurs M. de La Valette en acceptant ne faisait du tort à personne, tandis que le Baron Ricasoli croyait dans sa modestie léser les droits du Général La Marmora à cette haute distinction. Jamais, s'écria avec beaucoup de véhémence

M. de Thile, nous ne donnerons l'Aigle Noir au Général La Marmora. Il nous résulte de la manière la plus positive qu'il n'a pas dépendu de lui si l'Alliance Italo-Prussienne a heureusement abouti. Et ses hésitations après Custoza auraient conduit la Prusse à de dures extrémités, si ses éelatants succès ne l'avaient pas mise hors de danger. J'ai laissé cette boutade du Sous-Secrétaire d'Etat sans réponse, n'ayant pas jugé à propos d'entrer dans des détails qui ne touchaient pas de près à mon affaire. Si je rapporte cet incident c'est uniquement pour prouver à V. E. que le compromis auquel Elle avait fait allusion dans ses instructions confidentielles susdites, ne pouvait pas avoir lieu.

Cette détermination du Gouvernement Prussien pourrait aussi jusqu'à un certain point induire S.E. le Baron Ricasoli à accepter franchement un honneur qui lui revient à tant de titres. J'ai quitté M. de Thile les deux fois en le priant de rapporter notre conversation au Président du Conseil, et à Sa :Vlajesté, en leur ajoutant que, d'après mon avis, il était abondamment prouvé qu'il n'y pouvait avoir rien de blessant de notre part dans ce simple malentendu, tandis qu'une mesure de rétorsion de la part de la Prusse révétissait un caractère plus grave et plus accentué: que si le Gouvernement Prussien tenait coonme le Gouvernement du Roi à la continuation des bons rapports des deux Nations, nous chercherions de commun accord un moyen pour tourner la difficulté.

Hier je me rendls de nouveau au Ministère des Affaires Etrangères, et M. de Thile me communiqua la décision à laquelle le Comte de Bismarck s'était arrété, et que je me suis empressé de faire connaitre à V.E. en résumé par le télégraphe. La Prusse, m'a-t-il dit, acceptera avec reconnaissance les deux Colliers de l'Annonciade que le Gouvernement Italien veut bien lui octroyer: nous ne pouvons pas forcer le Baron Ricasoli à accepter l'Aigle Noir, auquel nous aurions souhaité un meilleur accueil, mals nous ni pouvons pas non plus

en aucune manière la reprendre, ni annuler une signature de Sa Majesté. Le

Président du Conseil est parfaitement libre de mettre cette décoration dans

son tiroir, de ne pas la porter, de la considérer comme un paquet ,quelconque

envoyé par M. d'Usedom, et de ne nous envoyer aucun signe d'acceptation.

Nous n'en parlerons plus. M. de Thile m'ayant averti que cette décision du

Comte de Bismarck était irrévocable, je me suis séparé de lui, en lui disant

4ue je m'empresserai de la télégraphier à V. E. (l).

Si maintenant V. E. juge convenable de m'autoriser dans ces conditions

à transmettre nos Colliers de l'Annonciade, je demanderai une audience à

S.A.R. le Prince Frédéric-Charles pour Lui remettre les insignes de l'Ordre ainsi que la lettre Royale, et je transmettrai ensuite à S.E. le Président du Conseil la décoration qui lui est destinée.

160

IL CONSIGLIERE DI STATO, TONELLO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

Roma, 4 febbraio 1867.

*Alcune parole di Sua Santità statemi d'ordine suo riferite jeri sera, non che la nota del Giornale di Roma di venerdì l o corrente, che per una singolare combinazione non ho potuto leggere testualmente che questa mattina, m'indussero a portarmi tosto dal Cardinale Antonelli per chiedere un'udienza dal Santo Padre. Avendo inoltre stamane ricevuto col mezzo del Corriere Anielli, il dispaccio ministeriale di jeri (2) mi si porgeva pure l'occasione di comunicare immediatamente al Cardinale quanto occorreva in seguito al dispaccio medesimo.

L'udienza mi fu promessa, ed appena avrà avuto luogo, mi farò premura di riferirne il risultato.

Non lasciai di fare vive rimostranze al Cardinale per l'art:colo suindicato. Egli mi fece molte scuse dicendo, che non bisogna inquietarsi di cose di giornali, e che quell'articolo non era essenzialmente diretto che a smentire le dicerie circolanti negli altri pubblici fogli. E siccome tale scusa, trattandosi di giornale uffidale, non riusciva molto appagante, ed io gli feci sentire. che se si dimostravano sentimenti di quella natura restava ormai poco conveniente il continuare ie trattative, egli mi fece molte proteste in contrario, e mi osservò che il Santo Padre essendo disposto a tenere il Concistoro tra i 20 ed i 25 di questo mese, c:ò avrebbe data la migliore smentita sia a quello, che agli articoli degli altri giornali* (3).

Riservandomi su tal punto di dar seguito ad ogni altro ordine, che fosse per impartirmi il Governo, intanto io passai a dar comunicazione al Cardinale dell'assenso prestato dal Governo, giusta il contenuto del precitato dispaccio m!nisteriale, alla nomina di Monsignor Gallucci, già Vicario Generale in Imola, alla sede Vescovile di Loreto e Recanati, e del Padre Carmelinato Angelo Demartis ad una Diocesi di Sardegna da intendersi ulteriormente, sol che mi riferisco a quanto ebbi già l'onore di esporre nella precedente mia relazione, e mi riservo di tcnerne nuovamente discorso col Cardinale o secondo il progetto da me esposto, o secondo quello indicatomi ora dal Ministero, appena egli mi avrà fatto conoscere, anche per telegramma, i suoi definitivi intendimenti. A questo riguardo devo però osservare, che da quanto mi disse oggi il Cardinale, il Santo Padre avrebbe l'intenzione d'interpellare anzitutto Monsignor di Calabiana se accetterebbe il posto di Cagliari per cui fu primitivamente dal Governo desi{.':nato. Tolsi pure sopra di me di esprimere l'assenso del Governo alla nomina del Padre Giuseppe Aggarbati alla Diocesi di Sinigaglia in vista delle buone informazioni che io aveva ricevuto, del posto di cui si trattava, e della facoltà in tal parte lasciata alla libera scelta del Pontefice.

Il Cardinale mi diede in nota per comunicarsi al Governo il nome di un altro candidato a Sede Episcopale, il quale sarebbe certo Abate Lorenzo Peirano Segretario della Penitenzieria Apostolica, sul quale, abitando qui, non mancherò di prendere informazioni. Si desidererebbe proporlo per la sede di Crema inquantoché con molti ricorsi indirizzati al Pontefice si è instato urgentemente che si addivenga alla nomina d'un titolare per timore di vedere soppressa quella Diocesi.

Dal mio canto comunicai pure al Cardinale la nota degli Ecclesiastici eleggibili indicati nell'accennato dispaccio governativo del 3 corrente, cioè dei signori sacerdoti Martini, Dusmet, Colli, Bedetti, e Spanò. Non ho più potuto intrattenere il Cardinale delle combinazioni successive alla progettata provvista della Sede arcivescovile di Milano per le ragioni che il Ministero vedrà nel precedente mio rapporto (1).

Si fissò nuovo convegno per la sera di mercoledì prossimo 6 corrente per vedere se si avrà altro in pronto da concertare sulle persone, onde comprenderle nel prossimo concistoro.

Intanto il Cardinale mi avverti, che fatto il Concistoro, e cosi provvistosi anzitutto alle nuove nomine, non doveva esservi ragione per non farvi succedere anche i provvedimenti per l'ammissione dei preconizzati in conformità di quanto si era sempre discorso, ed io non aveva mancato di riferire al Governo.

Passando ad altro argomento, siccome il Corriere Anielli qui giungendo mi aveva dato contezza esser egli stato testimone che alcuni viaggiatori erano stati stanotte respinti alla frontiera pontificia, perché non avevano il passaporto corredato del visto del Console Spagnuolo, io non mancai di farne subito parola al Cardinale. Egli si mostrò stupito d'un tal fatto; asserì nel modo più preciso aver dati su tale materia gli ordini nel modo già statomi partecipato, e concluse doversi quindi la cosa attribuire a difetto di qualche subalterno.

Ad ogni modo ne prese memoria, e vomise di dare i provvedimenti richiesti

dalla circostanza. A questo riguardo, ed in risposta anche alla nota di codesto

Dicastero del 31 scorso (l) devo dichiarare, che l'esenzione dal visto del Console

Spagnuolo riguarda soltanto i passaporti per l'interno rilasciati a quelli che

passano dall'una all'atra parte del territorio italiano traversando senza fer

marsi il territorio pontificio.

Nel porgere alla S. V. Onorevolisim3. questi ragguagli...

(l) -La questione fU sottoposta al Consigl!o dei ministri che il 6 aprile prese la seguente decisione: «Il Consiglio, esaminate le considerazioni che pone innanzi il presidente del Consigl!o per non accettare la decorazione dell'ordine prussiano dell'Aquila nera, dal momento che non è stata conferita al generale La Marmora; avuto riguardo al modo com'è stata inviata senza condizioni di reciprocanza e ad altri motivi di convenienza pol!tica, delibera che il Presidente debba accertarla». ACS, Verbali dei Consigl! dci Ministri, ed. in Carteggi Ricasoli, clt., vol. XXV, p. 524). (2) -Cfr. n. 157. (3) -I brani fra asterischi sono editi In Lettere Ricasoli, vol. IX, pp. 226-228, e In Carteggi Ricasoli, vol. XXV, pp. 176-177.

(l) Cfr. n. 158.

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ROMUALDO BONFADINI AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

(AVV)

L. P. Roma, 4 febbraio 1867.

Ho inteso ieri che la questione dei teatri sia trattata quì con piena intelligenza del Governo Italiano e che sia proprio col consenso del barone Ricasoli che si destinano i 50.000 franchi a tacitare il Signor Jacovacci. Se così è, non ho nulla a soggiungere, e ti prego a considerare per non dette le cose che ti scrissi ieri in proposito (2). Non mi rassegno però a crederle sbagliate.

Ora v'è un altro argomento a sbrigare. Si vorrebbe r:comporre qui un nucleo di forze liberali, pigliate soprattutto nella parte più giovane dell'aristocrazia, il quale diriga, secondo i consigli di Firenze, ma con partecipaz'one più seria e più intelligente, il movimento liberalE-interno, a cui l'attuale Comitato non è più bastevole, specialmente dopo le recenti tracasserie, che gli hanno tolto autorità e influenza. La cosa sarebbe fatta d'accordo ed anzi per iniziativa del Comitato stesso, il quale, composto di onestissime persone, sente la situazione e desidera assai di mutarla. Il nucleo non mancherebbe, ma ci vuole il pivot, attorno a cui costituirlo, e siccome qui sono assuefatti a vedere in ogni cosa un principe romano, il pivot più opportuno per l'attualità sarebbe Don Francesco Pallavicino, l'unico principe capace di moto, ma che ha pur bisogno per questo di spinte efficaci. Ora io credo, e con me lo credono altri, che la cosa sia di assoluta urgenza qui, per non lasciar cadere affatto l'influenza del partito nazionale e per non lasciar l'iniziativa, che è cosa sempre pericolosa e pel presente e per l'avvenire, ai partiti estremi o alle classi più turbolente della Società. Credo altresì che al Governo italiano dovrebbe piacere assai di trovare costituito qui un nucleo serio e all'unisono col paese, a cui rivolgersi sia per informazioni e consigli, sia per quelle iniziative che il tempo andasse man mano indicando opportune. Arrogi che il compromettere un po' l'aristocrazia verso il partito liberale è utilissimo qui, dove l'aristocrazia vive ancora fra due mura e senza contatti personali col resto della nazione.

Ora, se questo vi garba, bisognerebbe che una lettera od un avviso in proposito giungesse da qualcuno di Firenze e di Napoli al detto principe Pallavicina,

il quale aspetta soltanto che gli si mostri il desiderio di averlo, per prestare il suo appoggio in simile faccenda. E bisognerebbe che il desiderio fosse espresso da qualcuno più in su di Checchetelli, perché il nostro principe, per essere un liberale, è sempre un principe. Io non so se Ricasoli sia au miex con esso lui, ma certamente lo è Gualterio, e forse Minghetti, Se non Ricasoli, Gualterio e Minghetti potrebbero mandargli un avviso in questo senso, mostrandogli il desiderio che accetti, e credo che allora non esiterebbe più. Non ti dico ora i nomi che si mescolerebbero in questo nucleo, ma sono certamente le persone più stimabili e più intelligenti di Roma.

Se poi la cosa vi pare inutile o indifferente, amen. Ti prego soltanto a bruciar subito questa lettera, perché avendo dovuto necessariamente pronunciare un nome, desidererei non ne restasse traccia, in una probabile inavvertenza.

(l) -Non pubblicata. (2) -Cfr. in A VV la lettera di Bonfadlni del 3 febbraio.
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L'INCARICATO D'AFFARI A CITTA DEL MESSICO, CURTOPASSI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 4/3. Messico, 5 febbraio 1867 (per. il 18).

L'ultimo Corriere che conduceva a Vera Cruz le Valigie pel Battello Inglese del 2 corrente, essendo stato rubato tra Cordova e Paso del Macho da una banda di Liberali, tutta la corrispondenza venne forse letta e quindi bruciata.

A riparare tale inconveniente approfitto della partenza per Francia dell'Ispettore Generale delle Finanze francesi, M. de Maintenant, confidandogli un duplicato del mio Rapporto Politico di n. 2 (29 gennaio ultimo) (l) ed il presente.

Da quella data non ho a segnalare all'E. V. fatti di alto rilievo se non l'evacuazione totale della Capitale per parte dei Francesi (avvenuta questa mattina) e la rottura completa di relazioni tra l'Imperatore ed il Maresciallo Bazaine il quale faceva jeri l'altro affiggere per la Capitale il Proclama che qui unito ho l'onore di spedire.

«Pochi giorni dopo tutti i Capi di Legazione furono individualmente richiesti dal Signor Presidente del Consiglio di volergU indicare un'ora alla quale potrebbe visitarli avendo a far loro una Comunicazione importante per ordine di Sua Maestà l'Imperatore. Essendo io già prevenuto intorno alle intenzioni del Signor Lares ebbi 11 vantaggio di non essere colto alla sprovvista e potei cosi, senza reticenze, rispondergli. Ci furono dirette le stesse parole lette alla Junta con l'avvertenza che l'Imperatore desiderava il nostro parere in Unea atratto privata e confidenziale e senza tener conto del nostro carattere ufficiale. Feci dapprima notare al Signor Lares che non potevo fare tale distinzione credendo il mio carattere inseparabiledal mio individuo: dissi poi che la mia Missione non era quella d'ingerirmi nella Politica Interna dell'Impero, ma che pertanto il suo consolidamento incontrerebbe sempre la più franca simpatia del Governo del Re che avrebbe veduto con soddisfazione perdurare la Monarchia al Messico senza ricorrere però a mezzi illegali e violenti. Ebbi a fargli quest'ultima dichiarazione perché mi era già noto come proponevasi questo Governo di avvalorarsi dell'opinione del Corpo Diplomatico (se l'avesse ottenuta) per mettere in opera misure esagerate ed eccezionali. Oso sperare, Signor Ministro, d'avere in questa circostanza interpretato rettamente la Politica del Rea! Governo, tanto maggiormente che indi a pochi giorni imponevansi tasse ed impostestraordinarie senza accordare il tempo necessario per riunire le somme chieste né accettare le ragioni d'impossibilità assoluta: fu così che molti Signori, tra i quali parecchi appartenenti alla Corte, vennero arrestati e ritenuti in prigione fino a che pagarono ».

Juarez travasi g1a m Zacatecas e la nuova d'esserne stato sloggiato dal Generale Miramon non è ancora ufficiale. I corpi liberali di Porfirio Diaz, Martinez, Rodriquez, Riva Palacio e Regules circondano la Valle di Messico e, tra pochi giorni quando l'ultima Colonna francese uscirà dall'Altipiano, non cape dubbio che la Capitale sarà bloccata. Sl proseguono con grande attività i provvedimenti per la difesa di Messico ed il Generale Marquez che li dirige confida nei suoi talenti militari per battere il nemico in una giornata campale fuori le mura della Città: se la capacità di questo Ufficiale inspira fiducia nei Conservatori non può dirsi lo stesso della fedeltà delle truppe mal pagate e composte in gran parte di giovani soldati.

S. M. l'Imperatore sembra contentissimo dell'allontanamento dei Francesi e persiste più che mai nella risoluzione di difendere la sua Corona fino alle ultime estremità.

In questo momento mi giunge il riverito Dispaccio R:servato di n. 26 (22 Decembre ultimo) (l) ed in riscontro mi pregio di assicurare l'E. V. che mi uniformerò affatto alle istruzioni che in esso mi si favoriscono. Mi farò eziandio uno scrupoloso dovere di proteggere più che mai i nostri nazionali frammezzo alle gravi contingenze che andremo qui a traversare e, forte della imparzialità ed onestà di questa Colonia italiana alla quale non ho mai mancato di consigliare una completa astensione in qualsiasi movimento politico, dirigerò tutti i miei sforzi perché i loro d'ritti e le loro sostanze non abbiano menomamente a soffrire dal Partito che verrà definitivamente al potere. Mi è grato a questo proposito informare il Rea! Governo d'aver già ricevuto le maggiori assicurazioni da parecchi Capi liberali intorno al rispetto che si userebbe verso la Legazione di Sua Maestà il Re ed alla simpatia pel nome italiano.

Non mancherò nelle circostanze che mi si presenteranno di consigliare la moderazione e la clemenza e la proscrizione di tutte quelle misure che non servirebbero che ad aumentare le ire e le vendette: generalmente temesi più del Partito Conservatore il quale, rimasto oramai con piena libertà d'azione per la partenza dei Francesi, si dispone a porre in opera vessazioni d'ogni sorta, che del Liberale i cui atti finora promettono la magg'ore moderazione.

In vista della difficoltà delle comunicazioni tra Vera Cruz e Messico per le numerose bande che infestano la via, mi parrebbe più sicuro che codesto Ministero mi dirigesse la corrispondenza politica per mezzo della R. Legazione in Londra la quale la rimetterebbe al Foreign Office con preghiera di farmela pervenire: è questo il solo mezzo che offra vere garanzie, avvenendo che nei momenti di maggiore anarchia i soli Corrieri della Legazione d'Inghilterra non furono mai molestati.

Dal mio conto mi servirò dello stesso mezzo e così mi auguro che il Real servizio non avrà molto a soffrire durante gli sconvolg'menti che minacciano da vicino questo sventurato Paese.

Pel prossimo Corriere spedirò all'E. V. i duplicati degli Annessi che accompagnavano il mio Rapporto originale del 29 scorso non potendoli ora raccogliere per mancanza assoluta di tempo.

(l) Di tale rapporto si pubblica 11 brano seguente:

(l) Cfr. n. 73.

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L'AGENTE E CONSOLE GENERALE A TUNISI, PINNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. CONFIDENZIALE S. N. Tunisi, 5 febbraio 1867 (per. l'11).

Jeri l'altro alle 2 pomeridiane ho ricevuto il dispaccio telegrafico in cifre di V. E. (l), e sebbene ne avessi capito il senso e la portata, ne chiesi tuttavia la ripetizione che per interruzione avvenuta la stessa sera nei fili tra Tunisi e Biserta ho appena stamane ricevuto, e di cui ad ogni buon fine pregiomi unirle il testo r:cavato dalle cifre.

Stimo pure non inutile compiegare a V. E. la versione del telegramma cifrato che mi feci premura d'indirizzarle la stessa sera (2), come altresì il tenore del secondo di Lei Dispaccio (3) e della mia risposta (4).

L'occupaz'one della Goletta a mio avviso presenterebbe molte difficoltà. In primo luogo si richiederebbe un grande apparato di forze in uomini e bastimenti, e non essendo intenzione di venire a Tunisi esporrebbe a serj pericoli la vita di questi abitanti europei. Secondariamente l'ancoraggio della Goletta oltre di essere in questa stagione mal sicuro non permette ai legni di grossa portata di avvicinarsi e di distruggere i forti senza rovinare in pari tempo gli altri fabbricati per lo più di proprietà europea. Eppoi sarebbero più facili i mezzi di difesa. Non è questione della truppa che oggi riducesi tutt'al più a 10 mila uomini, di cui un 1 mila fra Tunisi, il Bardo e la Goletta; ma sono i Mori che dimentichi del malcontento vi accorrerebbero in armi da ogni parte per fanatismo religioso. La Goletta d'altronde nulla contiene di rilievo; il suo ars,enale è per così dire vuoto, e la piccola squadra del Bey, di cui unisco le occorrenti indicazioni, trovasi in disarmo a Sfax. In quanto a Susa, le d'flicoltà sarebbero maggiori. La città è piuttosto ben fortificata con almeno 100 pezzi di cannone, de' quali 50 e più guardano il mare. Aggiungasi che la sua rada è più esposta di quella della Goletta. Nè devesi perder di mira la sua vicinanza colla città santa di Kairman e colle tribù più belligere della Reggenza.

Se ben mi è dato di leggere addentro nel pensiero di V. E. (e questo lo scorgo chiaramente dal 2o de' suddetti dispacci telegrafici) si penserebbe soltanto di trovare il mezzo che siano soddisfatt'. gl'interessi nazionali. Ora si potrebbe raggiungere lo scopo con un colpo di mano, come sarebbe la progettata occupazione di Gerba, per la quale non accorrerebbero che un 1500 uomini, pochi bastimenti leggieri ed altrettante barche cannoniere per lo sbarco e per impedire nel canale tutte le comunicaz'oni colla terraferma. La dogana di Tunisi e della Goletta è data in appalto per 900 mila lire incirca, mentre Gerba rende al Governo oltre L. 450 mila, ed è talmente ricca che nel 1865 per imposizione di guerra pagò senza grandi sforzi cinque milioni di Piastre, ossia L. 3.300.000. Del resto sono convinto che un colpo di mano di tal fatta basterebbe a scuotere l'apatia, o meglio la cattiva volontà di questi governanti.

Considerando d'altra parte il poco commercio di questo paese, la poca marina tunisina e la via di terra aperta coll'Algeria, non credo si possa ottenere il nostro intento col semplice blocco che non farebbe che aumentare la regnante carestia e la miseria del popolo di cui ben poco si curano il Bey ed i suoi Ministri.

Nell'alta di Lei saviezza V. E. deve aver preveduto che il blocco, come qualunque altra apertura effettiva di ostilità trarrebbe seco necessariamente il mio allontanamento dalla Reggenza, e quindi l'obbligo di affidare ad altro Consolato la protezione della Colonia, non meno che le ulteriori trattative col Bey; quando invece dichiarando che l'occupazione dell'isola di Gerbi non sarebbe che un pegno per meramente garantire il soddisfacimento degl'interessi italiani, oserei credere che il Bey non vorrebbe rompere le relazioni, ed in questo caso potressimo noi, senza mediazione di terzi più o meno interessati, finire tutte le nostre pendenze.

In ogni modo non ravviserei opportuno di aversi a scrivere a Sua Altezza, senza esporsi di andare incontro a nuove delusioni, prima dell'arrivo in queste acque della squadra d'operazione.

Nel chiudere il presente rapporto giovami informare l'E. V. che da qualche giorno a questa parte ha pur luogo tra il Signor de Bellecourt ed il suo Governo una viva corrispondenza telegrafica, di cui sinora non mi fu dato di penetrare l'oggetto.

(1) -Cfr. n. 153. (2) -T. 81 del 4 febbraio, non pubblicato. (3) -Cfr. n. 156. (4) -T. 84 del 5 febbraio, non pubblicato.
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IL MINISTRO DI GRAZIA E GIUSTIZIA E DEI CULTI, BORGATTI, AL CONSIGLIERE DI STATO, TONELLO

Firenze, 6 febbraio 1867.

Mi pregio rispondere ai graditissimi rapporti della S. V. Onorevolissima in data del l o del 3 e del 4 di questo mese (l) per ciò che riguarda la provvista delle Diocesi, essendomi nell'intervallo pervenuti gli opportuni ragguagli, intorno a quasi tutti i soggetti di cui era cenno nei medesimi.

Duole al Governo che la divisata combinazione per coprire la Sede di Milano e conf,erire un titolo Arcivescovile a Monsignor Ballerini non abbia incontrato il gradimento del Santo Padre; ma la piena notizia che ha delle disposizioni della popolazione milanese e di una parte di quel clero non gli consente di removersi dal suo proposito. Ben sarebbe inchinevole ad accogliere il partito che l'Arcivescovo di Lucca Monsignor Arrigoni fosse trasmutato a sede Arcivescovile di maggiore importanza; e di buon grado lo vedrebbe collocato in quella di Catania, per la quale, a cagione dei motivi addotti nella precedente nota, non può assolutamente accogliere la proposta fatta a favore di Monsignor Papardo del Parco. Ella vedrà nella sua saviezza se sia il caso di riavviar discorso sulla provvista delle sede di Milano; ma non vorrà lasciare sfuggire l'occasione di far notare che il Governo del Re nella provvista di talune sedi deve tener

gran riguardo delle ragioni dell'ordine pubblico, e che, ad apprezzarle, egli move da fatti e da criteri, di cui ha intiera sicurezza. Al che vorrà pure aggiungere che il Governo del Re, il quale ha già dato molte e non dubbie prove della sua deferenza alla Santa Sede, circa la scelta dei soggetti, s'attende che essa gli sia cortese d'eguale deferenza per quelli, che specialmente raccomanda per talune sedi, quando contro di essi non si sollevi alcun motivo canonico di esclusione.

Ciò ritenuto, s'intendono presi definitivamente i concerti per la provvista delle sedi arcivescovili di Torino, Messina e Siena e delle Sedi Vescovili di Savona, Sinigaglia e Loreto e Recanati.

Quanto alla sede di Cagliari, il Governo, nel concetto di persistere nel suo divisamento, circa Monsignor di Calabiana, accoglie l'opportuna proposta che vien fatta da Lei di trasferirvi Monsignor Montixi Vescovo d'Iglesias, a cui si lascierebbe in amministrazione anche l'attuale sua Diocesi. La Sede arcivescovile di Sassari giova lasciarla vacante, finché non siasi trovato modo di provvedere a Monsignor BaHerini. Quanto al Professore De Martis è intenzione del Governo che sia designato per la Sede di Nuoro, la quale, per le condizioni topografiche è tra le sedi di Sardegna la più meritevole di essere provveduta.

Ella si compiacerà di far conoscere alla Santa Sede quegli intendimenti del Governo circa la Diocesi di Pavia, di cui era cenno nella precedente nota, ritenuto che non potendosi più far luogo alla combinazione del trasferimento di Monsignor Ferrè a Casale, sarebbe il caso di proporlo per altra sede nelle vecchie provincie, e preferibilmente per quella d'Alessandria. In pari tempo vorrà far osservare che non si potrebbe destinare per la sede di Crema l'Abate Lorenzo Peirana, Segretario della Penitenziaria apostolica, essendo quella sede stata accordata al Sacerdote Carlo Macchi di Milano, preconizzato col Ballerini e col Ferré nel Concistoro del 20 giugno 1859. Però Ella si compiacerà di assumere gli opportuni ragguagli intorno al Peirano che potrebbe essere designato per qualche altra sede.

Poiché la Santa Sede non fa difficoltà di accettare per la Diocesi di Aosta quel Vicario Capitolare Canonico Jans, s'intenderanno definitivamente presi anche i concerti per quella Sede. Il Governo desidera che si provvegga al più presto anche alla Sede di Asti, e non dubita che sia per essere accettato il candidato da lui proposto nella persona di Monsignor Jacopo Bernardi, Vicario generale della Diocesi di Pinerolo. Quanto alle altre Sedi vacanti nelle Vecchie Provincie, si esprimerà un avviso definitivo, quando siansi potuti appurare i ragguagli pervenuti sui vari soggetti proposti: però il Governo non avrebbe difficoltà che alla Sede di Sarzana fosse destinato il Canonico Giusti, di Pisa, altro dei designati della Santa Sede, e che r;ode la stima pubblica per pietà, prudenza e dottrina.

Riguardo alle Sedi vacanti di Toscana, sarebbe desiderio del Governo che per ora si riempissero quelle di Pistoja, Arezzo, S. Miniato e Grosseto. Per le ragioni esposte più sopra ed in correlazione a particolari notizie che si sono procurate, i soggetti che il Governo avvisa esclusivamente convenevoli per le due prime sedi, sono il Sacerdote Giuseppe Barzacchini, Parroco di S. Giovanni Maggiore in Mugello, per Pistoja, ed il Sacerdote Bini, Canonico della

Metropolitana di Firenze, per Arezzo. Accetta poi di pieno buon grado il Vicario Capitolare di Grosseto, Monsignor Barabesi, per la Diocesi di S. Miniato, ed il Padre Anselmo da S. Luigi Gonzaga, Carmelitano, per la Diocesi di Grosseto. Ma deve recisamente dichiarare che non può consentire ad alcuna proposta a favore de' Vicari Capitolari di Fiesole, Pistoja e Prato, che hanno del tutto avverso il giudizio dell'opinione pubblica; solo potrebbe accogliere una proposta a favore di Monsignor Rosati, Vicario Capitolare di Arezzo per qualche sede fuori della Toscana.

Circa i soggetti proposti per le Provincie Napoletane, s'attendono ancora i chiesti ragguagli; intanto se costì si pensasse alla provvista di talune di quelle Sedi, Ella tenga presente i soggetti compresi nella lista che Le fu trasmessa, ed in ispecie Monsignor Mirabelli, il quale deve essere anche costì favorevolmente conosciuto.

Attendo ch'Ella mi faccia sapere quali saranno definitivamente le sedi a cui si provvederà nel prossimo Concistoro, ritenuto che in esso il Santo Padre annuncierebbe che si provvederà più tardi anche ad altre fra le vacanti.

Quanto ai provvedimenti per l'ammissione dei preconizzati, rimane sempre inteso che pei casi singoli resta in facoltà del Governo di prender norma da quelle considerazioni d'ordine pubblico e da quei principii a cui costantemente si accennò nel corso della di Lei missione.

Il Governo attende il ragguaglio della Udienza ch'Ella avrà dal Santo Padre: fràttanto Le rende il dovuto merito delle franche dichiaraz:oni ch'Ella fece al Cardinale Antonelli intorno all'inqualificabile articolo del Giornale di Roma, e non dubita ch'Ella spiegherà la stessa energia, ogni volta che sorga occasione di mettere in ev:denza la lealtà delle intenzioni e dei procedimenti del Re e del suo Governo.

Ove Le avvenga di riappiccar discorso col Cardinale Antonelli sul noto progetto di legge, non ometta di signicargli che il Governo s'attiene fermamente al proposito di recare in atto i prlncipii onde è informato, e che persiste nell'avviso che con quel progetto sostanzialmente si assicurano i più preziosi interessi della Chiesa e dello Stato.

(l) Cfr. nn. 152, 158 e 160.

165

L'INCARICATO D'AFFARI A COSTANTINOPOLI, DELLA CROCE, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 89. Costantinopoli, 6 febbraio 1867 (per. il 15).

Dal mio dispaccio politico del 18 Gennaio ultimo scorso n. 81 (l) l'E. V. avrà scorto che al primo sentore di nuovi torbidi nel Libano, io aveva immeditamente richiamato l'attenzione d'i questo Ministro degli Affari Esteri sulla posizione fatta all'Italia nella quistione di Siria. Gli ultimi avvenimenti, la repentina e inopinata resa di Giuseppe Ka.ram (della quale V. E. sarà stata d1rettamente ragguagliata dal Console a Beiruth) sorprendendo al pari degli altri la Sublime Porta hanno forse impedito a questa di prendere a nostro riguardo una

risoluzione che mi era quas! stata promessa e che io mi lusingava ci sarebbe stata favorevole. Ad ogni modo ieri dopo ricevuto il dispaccio di V. E. del 22 Gennaio n. 10 (l) in una lunga conversazione che ebbi con Aali Pascià, mentre questi mi esprimeva per la quarta o quinta volta la sua riconoscenza per la condotta tenuta dall'Italia negli affari di Creta, io colsi il destro per dirgli, che il Governo del Re non poteva dividere gli stessi sentimenti verso la Sublime Porta, g:acché pochi giorni sono ancora, questa escludeva nuovamente il Rappresentante d'Italia dalla conferenza tenutasi a Beirouth per gli Affari del Libano.

Aali Pacha mi rispose che la SubLme Porta aveva disapprovato in principio la convocazione dei Consoli fatta da Daoud Pacha senza alcuna autorizzazione, che mi pregava quindi di indugiare alcuni giorni prima di porgergli ufficialmente i reclami dei quali il Governo del Re mi aveva incaricato e che io gli aveva annunziato, assicurandomi che fra pochi giorni egli mi avrebbe fatto una comunicazione su quest'argomento.

M'è sembrato di capire che Aali Pascià provasse un reale dispiacere dell'accaduto e fosse deciso questa volta a riconoscere i nostri diritti. Dovendone però conferire col Gran Vizir era naturale che egli non potesse darmi una esplicita risposta.

Col giorno d'oggi termina il Ramadan e comincia il Bairam. Fra pochi g'iorni dunque si riapriranno gli Ufftzii della Sublime Porta e gli affari potranno riprendere il loro corso. È dunque a sperare che questa risoluzione non tarderà di troppo ed io non mancherò di sollecitarla per parte mia.

(l) Non pubbl!cato.

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IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AL MINISTRO A PARIGI, NIGRA

D. 206. Firenze, 7 febbraio 1867.

Troverà qui unito l'estratto di un dispaccio del Marchese d'Azeglio che ci dà le informazioni da Lui raccolte a Londra sullo stato delle trattative che la Francia ha creduto di iniziare per la soluzione della questione Cretese (2). Nello stadio affatto preliminare :n cui trovansi questi negoziati, che non si potrebbero compiere senza il nostro concorso, è inutile entrare in un esame particolareggiato dei modi coi quali si cercherebbe di provvedere alla parte più urgente della questione Orientale. Il Governo francese ha pensato forse che un accordo primordiale con quei Governi che pei loro precedenti potevano credersi sopra vie più divergenti, avrebbe reso più facile anche agli altri, lo avvicinarsi ad una soluzione comune. Nei diversi colloquii avuti cogl'Inviati stranieri ebbi più volte l'occasione di far intendere quale sia il modo di vedere generale del Governo Italiano in cosifatta questione. Il nostro Governo non ha certo né l'intenzione né il desiderio di allargarla oltre i limiti in cui vien posta dagli avvenimenti attuali. Uno degli scopi che si prefisse il trattato di Parigi fu la protezione

delle diverse razze cristiane che convivono nell'Impero ottomano. Non si può veramente dire che queste guarentigie protettrici abbiano nella pratica corrisposto alle speranze, ed i dieci anni trascorsi dall'epoca del trattato portano con sé una esperlenza che non bisogna disconoscere. Se le Potenze firmatrici del Trattato di Parigi credessero che queste guarentigie e la condizione generale delle popolazioni cristiane dovessero formare l'oggetto di un esame e di un accordo comune, noi siamo pronti a parteciparvi, prendendo appunto per base la prova fattane.

Ma oltre ai s;ntomi generali di questo malessere delle razze cristiane ai quali si tratta di cercare un rimedio comune, vi sono quistioni parziali poste dagli avvenimenti, e che domandano una soluzione ancor più sollecita. Rispetto alla Serv:a lo sgombro delle fortezze per parte dei Turchi è consigliato da tutte le Potenze alla Sublime Porta. Noi non abbiamo mancato di far sentire la nostra voce a Costantinopoli nel medesimo senso. Rispetto a Creta fu posto innanzi il concetto di un Governo autonomo sotto l'Alta Sovranità della Porta. Si pensò forse di aggiungere una nuova combinazione alla ser:e di quelle che già si vedono attuate nelle diverse provincie dell'Impero ottomano e che non escludono il mantenimento della sua integrità. È un concetto sin qui non ancora abbastanza delineato per paterne apprezzare tutta l'importanza. Ad ogni modo se le soluzioni parziali o graduate sembrano ancora il mezzo più opportuno per risolvere pacificamente questo complicato problema che si chiama la questione d'Oriente, esse non devono, agli occhi del Governo italiano, essere tali da pregiudicare le soluzioni avven:re. Il Trattato di Parigi rimarrà sempre l'ultimo atto dal quale le Potenze dovranno prendere le mosse per avviarsi su questo difil.cile cammino, e l'Italia ha certamente ereditati i diritti e gli obblighi di quel Trattato. Ma la sua importanza politica attuale lo fa rappresentante di tradizioni, di simpatie e d'interessi che sarebbero già per sé soli un titolo per esercitare nella questione Orientale quell'influenza che attualmente le appartiene. Il Governo italiano non ha ambizioni proprie in Oriente; esso però des:dera che nessuna ambizione vi prevalga; è il solo modo di non complicare con elementi estrane·i una questione che ne ha già tanti di propri, i quaH. possono trovare gradatamente in se stessi uno sviluppo conforme all'indole, ai bisogni ·ed agli interessi loro.

Da questo linguaggio tenuto con parecchi Inviati stranieri Ella potrà prender norma per le future sue conversazioni in proposito col Marchese di Moustier.

(l) -Cfr. n. 136. (2) -Cfr. n. 138.
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IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AL CONSIGLIERE DI STATO, TONELLO

Firenze, 7 febbraio 1867.

Colla mia lettera del 5 gennaio ultimo passato (l) io le indicava la necessità di toccare nei di Lei convegni col Cardinale Antonelli a due argomenti che si riferiscono ad una quistione di moralità e di umanità, voglio dire all'argomento

dell'estradizione dei malfattori italiani che ora trovano asilo sul territorio pontificio ed a quello dei prigionieri politici appartenenti alle provincie annesse al Regno d'Italia.

Sovra l'uno e l'altro di questi argomenti, Ella mi scriveva sin dall'll gennaio (1), d'aver conversato col Cardinale Antonelli e dalle prime disposizioni incontrate il Governo del Re si augurava di poter giungere a qualche pratico, soddisfacente risultato.

Come la S. V. bene si espresse in quel primo colloquio, senza addivenire ad un formale trattato di estradizione, potrebbesi stabilire una prammatica per la reciproca consegna dei malfattori, esclusi sempre quelli imputati di reato politico

o di diserzione. Non basterebbe a nostro avviso alla sicurezza de' due paesi che si continuassero ora fra le autorità militari pontificie ed italiane quelle stesse intelligenze che prima esistevano fra le nostre truppe e le francesi stanziate al confine, perocché se è vero che da quel sistema si ebbero talvolta buoni risultati, sovra tutto pella repressione di alcuni casi di brigantaggio, tuttavia da così vaghe intelligenze e da rapporti così mal definiti non si potrebbero aspettare tutJti quei vantJaggi che si otterrebbero da un accordo più preciso, effetto del quale dovrebbero essere la ricerca e la consegna di fatto degli imputati di qualsiasi grave reato comune da operarsi col concorso e la cooperazione delle autorità politiche e giudiziarie dei due Stati, osservate le forme ordinarue della materia. E dappoiché il Cardinale Antonelli le si mostrò in massima pronto ad aderire al pl"incipio della reciproca consegna dei delinquenti noi stimeremmo opportuno ch'Ella ritornasse sovra queS'to argomento, sviluppando nei suoi discorsi le cose sovra sommariamente accennate. La pregherei poi di informarmi delle disposizioni ch'Ella sarà per incontrare al riguardo.

Anche dei detenuti politici che trovansi tutt'ora nelle carceri romane debbo oggi di nuovo trattenere la S. V. perocché mentre il Cardinale Antonelli le disse che nelle prigioni pontificie si trova un solo detenuto per titolo meramente politico, un tal Petroni, e che altri non molti, che vi sono con condanna politica hanno tutti anche altra condanna per reati comuni, a noi invece risulterebbe che per causa puramentJe politica sono tutt'ora de'tenute in carcere dal Governo pontificio varie altre persone appartenenti alle provincie del Regno, e qui unito Ella troverà un esatto elenco de' nomi di esse (2). Che se per avventura queste fossero state oggetto di particolari provvedimenti, ovvero alcuna di esse avesse cessato di vivere, converrebbe fosse data di ciò comunicazione a Le.i atnnché dal

R. Governo si possano far avere gli opportuni avvisi alle famiglie. Da uWmo noi non possiamo comprendere per quali ragioni il Governo Pontificio voglia rifiutarsi di rilasciare in libertà codesti individui, dopo averci riconsegnati con sì sollecita cura i condannati per delitti comuni, originari benanche delle provincie annesse. Rimossa ormai, per tale avvenuta consegna, ogni qillstione di principio, dovrebbe il Governo Pontificio stesso desideral"e di vedere eliminata ogni odiosa distinzione fra queste due categorie di condannati e non dar motivo a poco benevole interpretazioni sulla sua condotta in tale argomento.

È questo, come Ella sa, un argomento assai delicato sul quale mi occorre un pronto riscontro poiché la quistione dei detenuti polit:ci è fra quelle che

più appassionano gli animi e pelle quali, nell'interesse reciproco di stabllire i migliori rapporti possibili fra i due Governi, conviene si trovi una soluzione soddi~ sfacente. A questo riguardo non potrei che ripeterle quanto già le scrissi nella mia lettera del giorno 5 gennaio; la migliore soluzione possibile sarebbe quella di un'amnistia che il Governo pontificio accorderebbe di sua completa e libera iniziativa.

(l) Cfr. n. 99.

(l) -Cfr. n. 110. (2) -Non si pubblica.
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IL MINISTRO D'AUSTRIA A FIRENZE, KuBECK, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

N. 376. Firenze, 7 febbraio 1867.

Le Gouvernement Impérial animé du désir de régler dans le plus bref délai possible toutes les stipulations contractées par le Traité de paix du 30 Octobre dernier, afin de mettre fin à toutes les difficultés qui pourraient entraver les relations amicales réciproques des deux Etats, attache naturellement une grande importance à l'exécution de l'art. IV du dit traité.

C'est à cet effet, ainsi que V. E. aura du reste bien voulu le relever de la note que le Baron de Bruck était dans le cas de Lui adresser le 4 Décembre demier, que les pleins pouvoirs nécessaires avaient été délivrés au Major de l'Etat-major Impérial et Royal de Korwin et que cet officier avait été chargé de signer, avec l'officier délégué dans le méme but par le Gouvemement italien, l'acte définif de la délimination des frontières entre l'Italie et l'Autriche. Cette manière d'envisager la question semblait d'autant plus apte à résoudre l'article IV, que celui-ci règle de la manière la plus positive l'entière frontière à établir et que ces confins une fois connus, il aurait pu suffire de les faire constater par deux officiers de l'Etat-major qui auraient en méme temps pu résoudre les quelques questions de détail qui se seraient éventuellement présentées.

Telle n'en a pas été l'opinion du Gouvemement italien qui avait entre-temps adressé au Gouvernement Impérial par son Chargé d'Affiaires à Vienne une proposition tendante à nommer une Commission de 6 officiers supérieurs pour résoudre la question des frontières et laisser aux deux officiers, qui eri attendant s'étaient occupés de cette affaire, le soin de préparer toutes les données nécessaires à la Commission et faciliter ainsi le travail.

Le Gouvernement Impérial voulant en autant que cela dépend de lui, donner une nouvelle preuve de son désir manifeste de faciliter une entente complète avec le Gouvernement italien, vient de m'autoris,er de déclarer à V. E. qu'il acceptait la proposition du Gouvernement italien par rapport à la deHmination des frontières et qu'il était donc tout disposé à nommer de son còté un Général et deux offiders pour la Commission à instituer à cet effet: le Gouvernement Impérial adopte aussi la seconde proposition d'adjo:ndre à ces officiers un employé civU, mais voulant laisser à cette Commission le caractère militaire qui semble dériver du texte de l'artide IV, cet employé n'aurait que voix consultative, pour aider à écarter ou à résoudre toutes les questions se rapportant à des droits de particuliers ou à des questions des biens des Communes.

18 -Documenti diplomatici -Serle I -Vol. VIII

Si cependant le Gouvernement Impérial se range ainsi complètement aux opinions émises par le Gouvernement itaHen, il croit pouvoir ~tre assuré que le Cabinet Royal est ainsi que lui anlmé du désir de terminer ce travail et que ces propositions ont pour but non de retarder mais d'accélerer la marche de cette questlon.

Il serait donc à désirer que les deux olllciers d'Etat-major, M. Korwin pour l'Autriche, et M. Mazza pour l'Italie, continuent sans aucun retard le travail proviso,ire que leur incombe et soient ainsi à m~me de le soumettre sans délai à la Commission militaire qui pourrait alors en peu de jours flxer déflnitivement la délimination des frontières dans tous les détails. Le travail provisoire sera du reste d'autant plus facile aux deux officiers susdits que la frontière future entre les deux pays est déjà tracée d'avance vu qu'elle suit la m~me ligne que les conflns administratifs que lors de la cession de la Vénétie séparaient la Province Vénitienne du reste de l'Empire d'Autriche.

Voilà le point principal qui devrait étre la base de ce travail et le Gouvernement Impérial doute d'autant moins que le Gouvernement italien partage cette manière de voir qu'elle est entièrement conforme au texte de l'article IV du Traité de paix.

V. E. voudra bien, je n'en doute pas, apprécier la pensée conciliative qui décida le Gouv,ernement Impérial a accéder aux propositions du Gouvernement itaHen et je suis certain qu'Elle est désireuse d'aider de son còté à la prompte réussite de la déHmination des frontières. C'est ainsi qui je suis sftr d'avance qu'Elle voudra bien faire parvenir au Major Mazza les ordres nécessaires pour accélerer cette question et qu'Elle sera bientot à m~me de me faire connaitre les noms des officiers ,qui feront part de la Commission chargée de la dél<imination definitive.

Le travaux provisoires peuvent donc continuer sans retard et la Commission peut également se réunir sans aucun délai pour changer le travail provisoire en travail déflnitif. De cette façon l'article IV s'acheminerait vers la solution et il serait possible de protlter de la bonne saison qui arrive pour poser Ies marques de la nouvelle frontière.

J'attends la réponse que V. E. sera dans le cas de faire à ma présente démarche et j'ose croire qu'Elle ne tardera pas à m'arriver pour me fournir la preuve que le Gouvernement italien partage l'empressement du Gouvernement Impérial à vider toutes les questions que se rattachent au Traité de paix du 3 Octobre.

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IL CONSIGLIERE DI STATO, TONELLO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

Roma, 7 febbraio 1867 (per. 1'8).

*Trovatomi jeri sera 6 corrente di nuovo col Cardinale Antonelli, giusta il concerto preso, egli riferendosi alle comunicazioni da me antecedentemente avute mi disse, che poiché il Governo non credeva di poter accettare per la sede vesco·vile di Catania Monsignor Giuserpp(! Maria Papardo propostovi dalla Santa Sede, il Sommo Pontefice crederebbe poterv.isi destinare il Padre Benedetto Dusmet già abate del Convento dei Benedettini di Catania proposto genericamente dal Governo nell'ultima sua nota del 3 andante, sul che non credo esservi nulla da ridire • (l).

Per Monsignor Barbesi già proposto dal Governo per Grosseto, e quindi da me, quando sentii che la Santa Sede non lo gradiva nel luogo stesso ove esercita rattuale sua qualità di Vicar·io Capitolare, indicato per Arezzo, il Cardinale, dopo averne conferito col Pontefice, mi disse sembrargli per una prima nomina troppo importante la sede di Arezzo, e poiché fra le Diocesi ane quali si voleva provvedere in Toscana v'era pure quella di S. Miniato, preferirsi dalla Santa Sede la di lui destinazione a quest'ultimo posto. Anche ciò pare a me potersi senza difficoltà accettare.

Mi disse pure il Cardinale, che Sua Santità ripensando a Monsi:gnor di Calabiana, che il Governo avrebbe ultimamente voluto promuovere all'Archidiocesi di Milano, immaginò un'altra combinaz_one per dare un'adeguata distinzione a quell'ottimo prelato. La combinazione sarebbe di destinare Monsi:gnor Riccardi di Netro all'Arcivescovado di Genova invece di quello di Torino, ed a quest'ultimo promuovere il Calabiana. Ciò si faceva sentire al Governo non per disdire i concerti già presi per Torino, ma solo nel caso, che anche a Lui sembrasse presentare ciò un mezzo di più facile assestamento di tutti gli interessi. Quanto a me non trovo che tale variante possa dar luogo ad obbiezioni.

Poiché colla detta proposta, ove venisse accettata, la Sede di Casale si troverebbe di nuovo vacante, rio suggerii in conformità delle intenzioni manifestatemi dal Governo la nomina alla sede medesima di Monsignor Ferré preconizzato per Pavia, e la destinaz.one a quest'ultimo posto del Teologo Ghiringhello da me già dato in nota per una sede Vescovile. Il Cardinale rispose, che il progetto non gli pareva di difficile accettazione, ma che prima di pronunziarsi definitivamente, aspettava ancora 1nformaz~oni.

*Intanto Egli mi ri:peté, che il Concistoro si sarebbe senza fallo tenuto od il 21 od il 24 corrente e siccome oltre all'interpellare i candidati deve la s. Sede, secondo le prammatiche, compire ancora qualche altro mcombente, resta neces:;::ario il sollecitare ogni cosa, il tempo facendosi ormai strettissimo, e cosi il Governo per quelle nomine per le quali non ha di!Ilcoltà potrebbe rispondere subito, anche con telegramma.

Terminato il discorso sulle materie Ecclesiastiche, Sua Eminenza mi partecipò avere prontamente presi ragguagli sul fatto, da me accennatogli, dei due viaggiatori stati respinti dalla frontiera pontificia, e soggiunse essergli risultato, che quei due non avevano assolutamente alcun passa;porto. Ricevuta tale spiegazione, io ne presi occasione per ritornare sul tema dei passaporti, e gli dissi, che sebbene, secondo quanto mi aveva detto altra volta, l'esenzione dal visto del Console Spagnuolo fosse stata ordinata soltanto pei passaporti rilasciati per l'interno, io non vedeva alcuna plausibile ragione per la quale tale provvedimento non dovesse estendersi anche a quelli rilasciati da un'Autorità residente nel Regno

per l'estero, semprecché non si fosse trattato pel portatore di tali passaporti, che di traversare il territorio pontificio senza fermarsi, nello stesso modo di eh~ era munito di semplice passaporto per l'Interno. Il prelato rispose, che per verità una ragione di differenza non ce la trovava, e che fatta l)iesaminare la cosa mi avrebbe poi comunicatL come io gliene espressi desiderio, i termini precisi dell'ordine definitivo da emanarsi in proposito.

Io gli chiesi ancora se nulla si fosse provveduto rela1Ji.vamente ai bagagli, ed alle merci in transito dei viaggiatori, sul che mi aveva detto precedentemente non aspettarsi che H voto della Consulta delle Finanze. Mi rispose che non gU risultava ancora che tale voto fosse stato emesso.

Relativamente alle poste io gli rimisi la nota delle basi per un accordo tra i due Stati quale mi era stata trasmessa da codesto Ministero. Il Cardinale l'accettò a disamina, sebbene mi dicesse credere egli eff.ettivamente che ciò la Soprintendenza delle Poste Pontificie si fosse già messa in trattativa colla Direzione generale delle poste italiane.

Ripresi anche la questione del passaggio d'un vagone postale n~ modi e nei termini accennatimi nella nota ministeriale. Il Cardinale si schermi assai or con una ragione, or con un'altra, come aveva già fatto precedentemente; ragioni per vero poco solide, gettate là soltanto per coprire la ragione vera, di averne cioè per non so quale adombramento poca voglia. Ad ogni modo incalzato da me promise che avrebbe fatto studiare di nuovo tale proposta, e che se ne sarebbe rtparlato ulteriormente. Con ciò ebbe termine il nostro colloquio.

Frattanto avendo jeri ricevuto l'invito per quest'oggi stesso relativamente all'Udienza da me domandata da Sua Santità, mi vi recai alle 11 antimeridiane, ora destinatami. Il Santo Padre mi ricevette colla solita squisita cortesia e bene\'Olenza. Dalle parole di Lui che mi erano state riferite, e da quanto intesi di presenza, mi accorsi, che il partito avverso alle trattative, giovandosi d'ogni occasione e pretesto, era riuscito a far nascere nell'animo di Lui gravi dubbi sulla seria intenzione colla quale erano state le medesime intraprese e condotte; e gli aveva fatto sospettare, che come già col Comm. Vegezzi, il Governo Italiano giunto all'ultimo, avrebbe trovato qualche pretesto per mandare in dileguo ogni cosa; al che pare anche fosse allusivo il contenuto dell'articolo d.nserto nel Giornale di Roma.

Con quella energia che inspira la lealtà e la coscienza d'un animo retto io mi feci premura di dargli le spiegazioni le più franche ed esplicite, non solo per mio proprio conto, ma eziandio per quello del Governo, assicurandolo che senza la certezza della serietà e fermezza ded propositi del medesimo, io da uomo d'onore non avrei mai accettato H presente incarico. Ho veduto che ciò fece sul di Lui animo la più gradevole impressione, ed avendo io sogg.iunto, che appunto per far cessare ogni dubbio era necessario che si venisse presto ad un risultato, mi rispose che senz'altro il Concistoro si sarebbe tenuto nel giorno 21 corrente. È tempo adunque di usare tutta la sollecitudine, acciò non intervengano altre mene ostili a turbar le avviate pratiche. Epperciò il Ministero vorrà sui punti tuttora pendenti mandare anche per telegrafo, come già suggeriva, le sue risoluzioni.

Il Santo Padre mi fece egli pure speciale ricordo dei preconizzati, pei quali si aspettava infallantemente i provvedimenti del Governo appena si fossero fatte le nuove nomine. Risposi che per parte mia avrei cercato di togliere ogni dimcoltà se mai ve ne fossero, ma che io doveva anzitutto prendere su ciò g1i ordini definitivi del Ministero. Ed anche su questo punto devo pregare caldamente perché si dimettano le esitazioni, e gli indugi, e non si tengano più in sospeso le decisioni sopra un argomento sul quale fin dal tempo della missione Vegezzi non si erano mosse dimcoltà sostanziali.

Dl resto si riprese col Pontefice il discorso su quasi tutte le materie state sin qui trattate col Cardinale Antonelli sia ecclesiastiche che amministrative, riandando e notando i punti sui quali si era d'accordo, e gli altri che erano tuttora in discussione, e procurando io di determinare con ogni miglior argomento le convinzioni personali del Santo Padre nel senso propugnato dal Governo. Ma vidi che in ciò Egli, sebbene si mostrasse animato dalle disposizioni più concilianti, non differiva sostanzialmente in nulla da quanto man mano m'aveva esposto il Cardinale Segretado di Stato; e che perciò non vi era con tal mezzo da progredire maggtormente, od altramente che non avessi fatto con quest'ultimo*.

Fra le cose passate ·in disamina essendo venuta quella della destinazione di Monsignor Riccardi a Genova e di Monsignor di Calabiana a Torino, della quale come ho già riferito mi aveva nella sera precedente intrattenuto il Cardinal Antonelli, Sua Santità mi disse, che con ciò restando pretermesso H Vescovo di Pineroro, egli credeva che si sarebbe questi potuto destinare all'Arcivescovado di Cagliari. Di questo mi aveva già dato un cenno anche il Cardinale; ed io risposi al Pontefice, come aveva già risposto a quest'ultimo, che il prelato, il quale nell'antiche provincie godeva universalmente maggiore estimazione era il Vescovo di Pinerolo; che perciò appunto il Governo l'avrebbe veduto con molta soddisfazione destinato ad una delle due Sedi maggiori, cioè a Torino od a Genova. Ma che poiché Sua Santità non credeva potersi ora accostare a questo concetto, la di Lui destinazione a Cagliari non avrebbe punto vestito agli occhi del pubblico il carattere di promozione, essendosi anzi già veduti Arcivescovi in Sardegna cercare ed ottenere qual favore la destinazione ad una semplice Sede Vescovile in Piemonte. Avendo perciò la certezza che un tale provvedimento non sarebbe tornato gradito né a Monsignor Renaldi, né a chicchessia, pregava Sua Santità a non farne nemmeno oggetto di formale proposta da riferirsi al Governo.

Il Pontefice disse che non insisteva; soggiunse poi che ricordava esservi a Torino un Vescovo in partibus, del quale non seppe ben dirmi il nome, e che io,-salvo-errore;-credo-denominarsi.-Monsigrior-Balma.ìl-qualegià-dà-lungo tempo era solito, in mancanza del titolare della Diocesi di quella città, disimpegnare, quando ne occorreva il bisogno, le attribuzioni richiedenti l'Ordine Episcopale. Questo Monsignore a suo avviso, avrebbe potuto destinarsi, invece del vescovo di Pinerolo, alla s·ede arcivescovile di Cagliari.

Questa proposta essendo nuova, né avendo io sufficiente cognizione di quel Vescovo, ed istruzioni dal Governo l'accolsi a riferirne. Vorrà quindi il Ministero assumere le occorrenti informaz,ioni e mettermi in grado di dare un riscontro; per altro quando ciò non potesse farsi subito, non dovrà ritardare il

resto, e potrà riservarsi ad un altro Concistoro, avendomi Sua Santità manifestato che dopo quello del 21 corrente intende tra non molto tenerne un secondo, e quindi anche un terzo.

(l) l brani fra asterischi sono editi in Lettere Rtcasoli, vol. IX, pp. 231-234 e in Carteggf Ricasoli, vol. XXV, pp. 198-201.

170

IL MINISTRO A LONDRA, D'AZEGLIO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 566/187. Londra, 7 febbraio 1867 (per. l'11).

Da quanto seppi ieri a buona fonte, le proposizioni che l'Ambasciatore di Francia ebbe 'incarico di fare al Governo Inglese, vennero come egli ben prevedeva respinte. Benché egii non amasse spiegarsi trattavasi credo della separazione totaie dell'Isola di Candia, riunendola alla Grecia; ed anzi per più chiarezza lord Stanley introdusse nel discorso della Corona una frase per dir che l'Inghilterra erasi unita ad altri Governi per dar consigli alla Porta di concessioni in accordo colla sua sovranità.

Questa frase non fu punto gradita dal Principe La Tour d'Auvergne, che ieri ancora provatosi al Foreign Office a far mutar d'idea, non ricevette altro che nuove negative con complimenti.

Egli par d'opinione però che ove incalzassero gli evenimenti si cederebbe. Gli osservai a questo riguardo che se quella frase non contentava lui, non contentava neppure me, e non sapevo se contenterebbe Firenze; poiché dicevasi in quel discorso solenne che la Regina d'accordo coi suoi due alleati di Francia e di Russia, aveva fatto rimostranze, lasciando da banda le altre potenze che avevano concorso a mantener la Turchia anche col loro eserciti. Ma egli mi fece osservare che benché esprimendosi male s'intendeva nel caso attuale parlare dell'azione comune delle Potenze garanti della Grecia e non della Turchia.

Dal poco che si lasciò sfuggire ieri lord Stanley discorrendo col Principe sembra poter rilevarsi che realmente trattasi non tanto di proporre un bill d1 riforma, come di procedere nella stessa via per mezzo di risoluzioni discusse dalla Camera.

171

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AL MINISTRO A PARIGI, NIGRA

T. 71. Firenze, 8 febbraio 1867, ore 16,30.

Le ministre de l'Intérieur m'assure qu'il n'y a pas à Terni de dépòt d'armes don t Garibaldi puisse disposer (l). On exerce la surveillance la plus active. Des fusils en nombre peu considérable ont été saisis dans quelque localité de la frontière.

(l) La notizia era stata data da Nigra con t. 86 del 6 febbraio, non pubblicato.

172

IL PREFETTO DI PERUGIA, GADDA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

(AVV)

L. P. Perugia, 8 febbraio 1867.

Ho ricevuto la tua lettera (l) e di conformità scrissi subito al Bonfadini che ritengo avrà domani la lettera. Tutta la emigrazione in questi giorni si agita molto. Chi vuole l'adesione al Comitato Romano ed al suo programma e chi non vuole. Naturalmente il Governo è tira.to sempre fuori nei loro discorsi. Gli uni per dirsi d'accordo ad acquistar fede alle loro parole, gli altri per imprecarvi ed evocare Aspromonte e simili galanterie. Io ll"ipeto sa,rebbe opportuno far cessare gli uni e gli altri dal parlare e dall'agitarsi. Ne scrissi al Governo e proposi anche di recarmi costà occorrendo per intendersi meglio a voce. Ma finora non ho risposta. Ad ogni momento poi si ripete che il part1to d'azione mandi emissari per radunar gente e tentar invasioni di suo capo. Finora non vi ha nulla, ma si raddoppia di vigilanza (2). È una vita da galera e spero che qualche Santo verrà a 1iberarmi. Intanto sono qui tutto a tua disposizione, e tutto orecchi pei tuoi consigli.

173

IL MINISTRO A PARIGI, NIGRA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA (AVV)

L. P. Parigi, 8 febbraio 1867.

Vi scrivo d'ufficio sugli affari d'Oriente. Ho comunicato al Marchese di Mousti:er la vostra risposta intorno al ristabilimento dei Consoli italiani e pontificii (3). Il Marchese di Moustier mi disse

«A la pr!ère du Cardinal Antonelli, j'al lnformé v. E. que les menées garibaldiennes se multlpl!ent aux frontlères. et que l:'ianca, alde de camp de Garibaldi, seralt parti de Plttlgllano, chargé d'effectuer de concert avec Menottl Garibaldi l'lnvaslon des Provlnces pontlf!cales. Leur but seralt d'appeler les troupes romaines aux frontières pour favoriser un soulèvement dans Rome. Je donne à M. de Malaret les memes informations. Il serait peutètre utile de falre remplacer à Civita-Vecchia, mème momentanément, par un bAtiment de guerre le Catinat parti ».

(Les origtnes diplomatiques de la guerre de 1870-71, Vol. XIV, p. 318) Malaret rispose a Moustier Il 19 febbraio:

«Le Gouvernement ital!en eroit que l'on s'exagère beaucoup à Rome les dangers qui me sont slgnalés par le Comte de Sartiges. Le Préfet de Pérouse, qui est lei depuls ce matin, et qui a quitté sa résidence hler seulement, constate, il est vral, une certaine recrudescence d'agltation parmi les émlgrés, mais ils sont surve1llés de près, et il n•y a, selon lui, aucun danger prochain.

Les choses sont dans le mème état du còté de la frontlère napolitaine. Le directeur de la pollce, que le Baron Ricasoli a interrogé en ma présence, dit avoir la certitude que Menotti Garibaldi est à Caprera. On va cependant redoubler de survelllance. Le Gouvernement ltallen ne eroit pas à une tentative d'invasion, mals U n'épargnera aucun e:ffort pour · déjouer celles qui pourralent se tramer, et il est prèt à les réprimer au besoln.

J'envole ces lnformations, par le télégraphe, au Comte de Sartlges ». (Ibidem, p. 328).

che era afflitto di questa risposta; che ammette perfettamente che noi siamo nel nostro diritto; ma che questa non è una quistione di diritto, ma di convenienza verso un vecchio, anzi verso due vecchi come sono il Papa, e il suo ex-Console a Napoli. Moustier insiste ancora perché sia da voi autorizzato ad esprimere al Papa il nostro regret per le circostanze che dJedero luogo al fatto, etc., etc.

Basterebbe a Moustier che noi non lo sconfessassimo se egli esprime il regret a nostro nome. S'impegnerebbe ad ottenere dal Papa che non si dia pubblicità alla cosa. Io promisi a Moustier di scrivervene di nuovo, come faccio.

Moustier mi disse poi che l'Ambasciatore di Portogallo a Roma aveva ultimamente detto al Papa che il suo Governo metteva a sua disposizione un bastimento che si trovava a Civitavecchia, ed offriva un asilo in Portogallo al Papa stesso, ove fosse costretto a lasc·iar Roma. Queste offerte fanno credere al Papa che tutto il mondo gli dà ragione e lo sostiene. La cosa spiacque a Moustier, il quale mi pregò d·i segnalarvela. Sarebbe utile che ne scriveste a Lisbona, affinché il Governo portoghese non nuoccia a noi e alla Francia senza volerlo.

Ho domandato la decorazione della Legion d'onore per Negri. Spero che l'otterrò. Ho annoverato tutti ,i suoi titoli. Ma mi son ben guardato dall'aggiungervi i suoi libri, mentovati nel vostro dispaccio (1). Su questo punto ho conservato un prudente silenzio. Se per avventura l'Imperatore e il Marchese di Moustier s'avvisassero di leggere una pagina di storia antica di Negri, la proposta di decorazione temo pericolerebbe forte.

(l) -Non rinvenuta In AVV. (2) -Il 18 febbraio Sart!ges inviò 8 Moustier il seguente telegramma:

(3) Cfr. n. 120.

174

IL DIRETTORE SUPERIORE DEGLI AFFARI POLITICI, ULISSE BARBOLANI, ALL'INCARICATO D'AFFARI A VIENNA, RATI OPIZZONI

D. 11. Firenze, 9 febbraio 1867.

Il signor Barone di Kiibeck, Inviato Straordinar:io e Ministro Plenipotenziario d'Austria è giunto in Firenze addi 3 di questo mese e S. M. il Re, Nostro Augusto Sovrano assente da qualche giorno dalla sua capitale, ritornatovi appena nella sera del 6, affrettavas·i riceverlo in udienza particolare sino da ieri !'altro giorno 7 corrente. Il Ministro austriaco che in quest'occasione ebbe l'onore di presentare le sue credenziali alla Maestà sua fu accolto non solo col cer·imoniale d'uso ma per espresso desiderio del Re venne condotto all'udienza in carrozza di Corte e coll'altre distinzioni sin qui riservate agli Ambasciatori .ed . agli Inviati in missione straordinaria.

Lo stesso giorno il signor di Kiibeck m'indirizzò una sua nota (2) per chiamare l'attenzione del Governo italiano sulla necessità di spingere con sollecitudine i lavori della Commissione incaricata della delimitazione della frontiera austro-italiana. Mi affrettai trasmettere quel documento all'onorevole mio col

lega il Ministro della Guerra, ed oggi stesso esporrò al signor :Ktibeck che da noi già si è fatto quanto era necessario perché la Commissione possa riunirsi al più presto. Non saprei però nasconderLe che alcune parole della nota del Ministro d'Austria non fecero sull'animo m:o buona impressione. Dovrebbe il Governo austriaco essere persuaso che non occorrono prove della nostra premura di dsolvere tutte le qu1stioni dipendenti dal trattato di pace ultimamente conchiuso a Vienna.

Se da parte del Governo austriaco come voglio augurarmi esistono le stesse disposizioni ho fiducia che le pratiche delle quali la S. V. è stata incaricata pella liberazione del Favetti, saranno a quest'ora riuscite al risultato favorevole che siamo in diritto di aspettarci. Dal canto nostro un'interpretazione assai larga è stata data al Decreto d'amnistia del 31 gennaio dai magistrati chiamati a pronunziare le declaratorie e l'Inviato d'Austria ha potuto convincersene dappoiché privatamente egli s'era interessato appunto per alcuni imputati che per effetto di quel Decreto riebbero in questi giorni la libertà.

(l) -Non pubblicato. (2) -Cfr. n. 168.
175

IL CONSIGLIERE DI STATO, TONELLO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

Roma, 9 febbraio 1867 (per. il 10).

Ricevuti i dispacci recatimi ieri dal Corriere {1), mi porta.i nella sera del giorno stesso dal Cardinale Antonelli per essere ,in tempo a proporre le modificazioni e le addizioni alle conc'ertate nomine episcopali secondo il contenuto delle ultime istruzioni trasmessemi dal Ministero.

Parlai subito del nuovo progetto di trasferire a Catania l'Arcivescovo di Lucca Monsignor Arrigoni; ma mi si rispose non essere ciò prudente né accettabile, perché a parte altre considerazioni, non era mai stato possibile fare accogliere in Sicilia Vescovi non Siciliani, ed erasi talvolta dovuto addivenire perfino a revoca di nomine già fatte per non altro motivo che quello. D'altra parte essendosi nella precedente conferenza in sostituzione del Papardo scartato dal Governo, accettato dalla Santa Sede il Padre Dusmet fra i proposti governativi, sul che non si era più espressa altra difficoltà, la Santa Sede gli aveva già scritto per interpellarlo sulla sua accettazione per detta chiesa.

Proposi pure la traslazione di Monsignor Montixi a Cagliari invece di Sassari, come si era prima progettato ed inteso. Ma anche qui le cose non erano più integre, perché era stata già eziandio a Lui diretta }',interpellanza per Sassari.

Nella tardanza di riscontri governativi sulle innovazioni proposte pel Montlxi, e non pa,rendo che la nomina del Dusmet potesse dar luogo a difficoltà, io aveva acconsentito, urgendo il tempo, che quando per la lontananza dei luoghi e la difficoltà delle comunicazioni si fosse creduto di non dovere più oltre differire per averne risposta in tempo, si scrivesse ai medes,imi.

Proposi per Grosseto il Padre Anselmo da S. Luigi Gonzaga Carmelitano. Per 1Sarzana proposi il Canonico Giusti di Pisa come era indicato dal Governo. Ma non essendo accettato il Canonico Bini per Arezzo, ed instandosi pe·r la nomina a qualche sede di Monsignor Rosati Vicario Capitolare di quest'ultima città, che il Governo accetterebbe soltanto per una Diocesi fuori di Toscana, pensai poscia con opportuno scambio di proporre per Sarzana il Rosati, ed il Giusti per Arezzo. Queste due nomine non meno che quella per Grosseto sono state accettate, e già se ne scrisse ai nominandi.

Per la traslocazione di Monsignor Ferrè ad Alessandria il Santo Padre disse di non poter assentire.

Si accettò per Lanciano la traslocazione di Monsignor Rossini Arcivescovo di Acerenza e Matera; e quindi a questo la Santa Sede muoverà subito l'occorrente interpellanza.

Si accettò anche la nomina del Canonico Francesco Zunnui Vicario Capitolare di Nuoro per la Diocesi di Ales, come venne proposto dal Governo. Non so però se gli si potrà far pervenire in tempo l'interpellanza pel prossimo Conc-istoro.

Per ultimo si annui alla nomina del Canonico Pietro Virdis Vicario Capitolare della Diocesi di Bisarcio per quella Diocesi che venisse tndicata dal Governo, ·in quantoché quella di Nuoro prima proposta sarebbe stata già de!<tlnata al Padre De Martis.

Per tutto il resto non si trovarono le cose abbastanza mature da poter concludere, cosicché ogni altra nomina resterà riservata ad un Concistoro ulteriore.

Per Torino, per cui si era già concordata la nomina di Monsignor Riccardi, si propose testé dal Sommo Pontefice un'altra combinazione già da me trasmessa al Governo. Sinora non si è ricevuto alcun dispaccio dal quale ne risulti la accettazione, e non potendo, a parer mio, in queste prime nomine lasciarsi fuori una sede di tanta importanza, e da sì lungo tempo priva di Pastore qual è l'anzidetta, ho sollecitato oggi stesso dal Ministero per telegramma una categorica risposta, secondo la quale prenderò domani a mezzogiorno col Cardinale Antonelli gli ultimi concerti. In un modo però o nell'altro v-i sarà al certo provveduto.

Riassumendo quindi le nomine da portarsi al prossimo Concistoro, pel quale le definitive disposizioni non possono tardare oltre a domani, sarebbero secondo i concerti presi tra me e la Santa Sede, i seguenti:

Per Torino: il prelato che mi verrà indicato nel chiesto dispaccio.

Per Savona: Monsignor Cerruti di Varazze.

Per Messina: Monsignor Natoli Vescovo di Caltagirone.

Per Siena: Monsignor Benini Vescovo di Pescia.

Per Sinigaglia: Padre Giuseppe Aggarbati.

Per Loreto e Recanati: Monsignor Gallucci già Vicario Generale d'Imola.

Per Nuoro: Padre Angelo Demartis.

Per Aosta: Canonico Jans Vic•ario Capitolare ·ivi.

Per San Miniato: Monsignor Barabesi Vicario Capitolare di Grosseto.

Per Catania: Padre Benedetto Dusmet.

Per Sassari: Monsignor Montixi Vescovo d'Iglesias.

Per Sarzana: Monsignor Rosati Vicario Capitolare di Arezzo.

Per Grosseto: Padre Anselmo da S. Luigi Gonzaga Carmelitano.

Per Arezzo: Canonico Giusti di Pisa.

Per Lanciano: Monsignor Rossini Arcivescovo di Acerenza e Matera.

Per Ales: Canonico Zunnui Vicario Capitolare di Nuoro.

Le traslocazioni e le nomine in tutto sarebbero adunque sedici; alle ·quali si aggiungerebbe quella di Genova, ove venisse approvata l'ultima proposta del Santo Padre.

Si fecero di nuovo vive istanze pei preconizzati.

A tal riguardo è necessario r.itenere, che dei preconizzati per Rimini, Or• vieto, Osimo e Cingoli, e Loreto e Recanati, più non occorre occuparsi, perché non accettarono la nomina.

Al preconizzato per Crema la Santa Sede già cerca di sostituire un altro; quindi vedrà il Governo se convenga richiamarlo in questione.

Quanto agli altri, la Santa Sede desidera che sia tosto provveduto, ònde, dcpo fatte le nuove nomine, possano andare in possesso delle loro Diocesi. Dalle informazioni scritte che ho qui, e mi vennero rimesse dal Ministerò non risulterebbe alcun motivo d'apprensione o d'opposizione, salvo forse per quello di Borgo S. Dannino, giacché non sembrerebbe esservi sufficiente materia ad ostacolo neppure pel Cardinale Guidi. Ad ogni modo mi si scriva quali siano quelli, pei quali il Governo desidera un ritardo.

Di Milano, non essendo spembile pel prossimo concistoro una conclusione, non ho creduto per ora di rinnovare il discorso.

Devo intanto osservare non aver io mancato d'invoca.re 1a deferenza della Santa Sede per le proposte fatte dal Governo, segnatamente per alcune sedi maggiori, valendomi appunto dei motivi, a cui si accenna nel dispaccio ministeriale; ma per parte della Santa Sede, senza disdire che in sUfatti casi si debbano usare da essa molti riguardi, mi si sogg:iungeva però, che le intelligenze prese tra noi per la provvista delle Sedi vacanti erano che si facesse non già per presentazione di candidati per parte del Governo, ma per concerto preso tra ambedue le parti: cosicché ambedue avevano eguale iniziativa, e bisognava che U candidato fosse di gradimento all'una ed all'altra di esse; e che perciò appunto si era anche accordato di fare la scelta fra quelli, che in materia politica non si fossero in alcun senso pronunziati troppo spiegatamente. Io per verità non manco mai di sostenere quanto posso i candidati governativi; ma spesso non posso vincere la ripugnanza che incontrano; la Santa Sede poi, bisogna confessarlo, non ha mai insistito per l'accettazione di quelli, che incontravano la ripugnanza del Governo, salvo quanto all'Arrigoni, pel quale, come già annunziai, mi si fece intendere esserne il rifiuto assai dispiaciuto al Pontefice.

Quanto ai condannati politici, del quali mi si scrive nuovamente, io tenuto conto dell'accoglienza avuta dal Oardinale quando ne parlai la prima volta, e dell'essersi le circostanze politiche fatte più critiche, non ho creduto per ora, e finché gli accordi ecclesiastici non abbiano avuto effetto, di riaprire su ciò

Il discorso per timore che tale discussione, nella quale prevedo le più gravi difficoltà, possa non solo inacerbire gli animi, ma portare a qualche rottura. Nel porgere questi ragguagli alla S. V. Onorevolissima, le acchiudo una nuova nota di eligibili rimessami dal Cardinale...

ALLEGATO.

Nota di Candidati a Sedi Episcopali presentata dal Cardinale Antonelli addi 9 febbraio 1867.

Il Vicario Generale di Cuneo Monsignor Molinari. Il Sacerdote Ortalda Canonico della Metropolitana di Torino. Il Canonico Gaudenzi Arciprete della Metropolitana di Vercelli. Il Dottor Savio Canonico del Corpus Domini di Torino. L'Abbate Gazzelli Limosiniere del Re. Il Padre Cottolengo Domenicano residente in Genova. Il Canonico Formica, Arciprete della Cattedrale di Alba. Il Canonico Alimondo Prevosto della Metropolitana di Genova. Monsignor Balma Vescovo di Tolemaide in partibus in/idelium. Il Vicario Capitolare di Bisarcio (1). Il Vicario Capitolare di Galtelli -Nuoro Mons. Zunnui (2), Il Sacerdote Jaras Canonico di Cagliari. Il Sacerdote Nurra Rettore del Seminario di Sassari. Il Vicario Capitolare di Sassari Mons. Marongiu. Il Canonico Spano Professore di scrittura e di lingue orientali. Il Sacerdote Tudeò Canonico della Collegiata di Sarzana. Il Sacerdote Bedini Canonico della suddetta Collegiata. Il Canonico Teologo Avv. Fissare. Il Canonico Teologo Naris della Metropolitana di Torino. Il Parroco di S. Andrea del Bra Don Briotti Rettore del Seminario. Il Parroco di Caranova Don Delfi. Il Teologo Parroco Serra Canonico Arciprete della Collegiata di Carmagnola. Il Rettore del Seminario e Collegio di Mondovi. Il Rev. Padre Spada procuratore generale dell'Ordine dei Domenicani. Il Rev. Padre Adragna dei Padri Conventuali.

Il Rev. Padre Cirino dei padri Teatini.

(l) Cfr. nn. 164 e 167.

176

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AL MINISTRO A PARIGI, NIGRA

T. 74. Firenze, 10 febbraio 1867, ore 15.

De Launay mande (2) que entente parait s'étabUr entre la France et la Russie sur la question d'Orient et plus particulièrement sur le sort des popu

lations chrétiennes. Veuillez vérlfier auprès de M. de Moustier l'état actuel des négociations. Nous sommes pour ce qui nous concerne préts à entrer dans un accord général après communication préalable des ouvertures faites par la France à Saint-Pétersbourg. Veuillez me télégraphler le résultat de la conversation que vous aurez avec M. de Moustier.

(l) -Già proposto ed accettato (nota del documento). (2) -Cfr. t. 94 del 9 febbraio. non pubblicato.
177

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, ALL'INCARICATO D'AFFARI A COSTANTINOPOLI, DELLA CROCE

D. 16. Firenze, 11 febbraio 1867.

Ieri ho avuto occasione di vedere Rustem Bey il quale mi ha dato comunicazione ufficiosa d'un firmano imperiale tendente a rappacificare gli spiriti nell'isola dt Creta, ora che l'ordine materiale vi sarebbe secondo le sue affermazioni pressoché interamente ristabilito. Lo scopo di questo firmano sarebbe quello d'introdurvi delle dforme che potessero soddisfare ai desiderl della popolazione, per conoscere i quali il Sultano intenderebbe di raccogliere a Costantinopoli un certo numero di Deputati cristiani o musulmani scelti nei vari distretti dell'isola. A questa comunicazione :io non poteva rispondere altrimenti che rallegrandomi in genere col Governo Imperiale della via nella quale sembrerebbe vo~ersi mettere. Consultare i voti ed i bisogni delle popolazioni è rendere omaggio ad un principio che va diventando ogni giorno più una necessità di Governo. Ma appunto perché noi crediamo alla efficacia di questo principio mi pareva lecito di esporre qualche dubbio sulla portata delle dispos:zioni contenute nel firmano imperiale. Dopo una lotta cosi grave e colle passioni eccitate dalla vittoria come credere che la popolazione cristiana dell'isola avesse a riconoscere sufficienti guarent"gie in un modo di rappresentanza della quale non si dice altro, se non che sarà indifferentemente composta di musulmani e di cristiani? E la convocazione a Costantinopoli non ci troverebbe influenze poco disposte a rispondere alle doman-de anche le più ragionevoli? E in che modo si provvederebbe all'indipendenza dei Deputati? I precedenti, bisogna pur dirlo, non sono tali da far credere all'efficacia di provvedimenti che spesso non andarono più in là delle vane promesse.

Se per altro il Governo Imperiale è persuaso che vi sono epoche in cui n

solo rimedio contro la rivoluzione sta nelle riforme liberamente date e larga

mente applicate, e se vorrà entrare con risoluzione e coraggio su questa via

non gli potrà mancare il plauso di tutti i Governi civili, e la riconoscenza

dell'Europa.

Questo fu a un dipresso il linguaggio da me tenuto coll'Inviato del Sul

tano. Ella potrà pigliarne norme per le sue conversazioni con Aali Pacha, no

tando che trattandosi di una comunicazione verbale io non ho potuto entrare

in nessun esame particolareggiato; né approfondire veramente le questioni a

cui il firmano potrebbe dar luogo.

Quando venisse l'occasione di studiare un sistema generale di riforme atte

a soddisfare le aspirazioni e gli interessi delle varie confessioni cristiane nell'Impero, il Governo del Re non mancherebbe certamente al suo compito, e d'accordo colle altre Potenze garanti sarebbe lieto di cooperare alla protezione efficace d'una causa che tanto gli sta a cuore.

Ella potrà informarsi delle comunicazioni che per avventura .fossero state fatte intorno a questo firmano ai Rappresentanti delle Potenze accreditate presso la Sublime Porta, e scrivermi in proposito quelle notizie che avrà potuto raccogliere.

178

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AL MINISTRO A LONDRA, D'AZEGLIO

D. 4. Firenze, 11 febbraio 1867 (1).

Nel suo discorso reale S.M. la Regina dopo aver constatato che il malcontento che domina in parecchie provincie dell'Impero Turco era scoppiato nell'attuale insurrezione di Creta, soggiungeva che d'accordo co' suoi alleati l'Imperatore dei Francesi e l'Imperatore di Russia s'era astenuta da ogni intervento attivo in questi interni rivolgimenti, ma che i loro sforzi congiunti erano stati dir·etti a produrre migliori relazioni tra la Porta ed i suoi sudditi cristiani, non inconciliabili coi sovrani diritti del Sultano.

Risulta da questo linguaggio officiale che il Governo Inglese non intende in~erirsi negli affari di Candia che mediante consigli amichevoli da far pervenire alla Porta. Risulta ancora che nella intenzione del Governo Inglese il miglioramento delle reiazioni tra la Sublime Porta ed i suoi sudditi Cristiani devesi conciliare coi diritti di Sovranità del Sultano. Sarebbe tn altri termini la linea di condotta tracciata alle potenze garanti dall'art. 9 del Trattato di Parigi. La menzione però fatta nel discorso della Regina di due sole potenze e precisamente. di quelle che presero parte altre volte alla pacificazione della Grecia potrebbe far credere che il punto di partenza d·el Governo Inglese nel considerare la questione di candia fosse appunto in atti diplomatici molto anteriori al Trattato di Parigi. Al Governo del Re non può essere indi-fferente di conoscere quale sia in questo proposito il modo di vedere del Governo Inglese; e però La prego di voler proporre a lord Stanley i dubbi che hanno fatto sorgere nell'argomento le espressioni del discorso reale ed a ottenere gli opportuni schiarimenti. Del resto qualunque sia stata l'occasione, e qualunque possa essere il modo col quale alcune Potenze hanno voluto iniziate delle pratiche relative alla quistione in discorso, il Governo del Re è sicuro che nessuno vorrà porre in dubbio il suo diritto di parteciparvi a tempo opportuno. È un titolo che non gli deriva soltanto dal Trattato del 1856, ma dalle condizioni stesse della sua politica e dall'importanza dei rapporti d'ogni maniera che il nuovo Regno ha coll'Oriente.

Amerei di sapere il risultato della sua conversazione in proposito col Ministro di S.M. la Regina (2).

(l) -Annotazione a margine: «Copia a Vienna 26 febbraio 1867 ». (2) -Cfr. n. 191.
179

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AL MINISTRO D'AUSTRIA A FIRENZE, KUBECK

Firenze, 11 febbraio 1867.

J'ai reçu la Note que vous avez bien voulu m'adresser en date du 7 de ce mol.s (l) pour m'annoncer que le Gouvemement Impérial, animé du désir de régler dans le plus bref délai possible les questions se rattachant aux stipulations du Traité de paix du 3 Octobre dernier et dans le but d'écarter les dimcultés qui pourrai-ent retarder l'exécution de l'article IV, s'était décidé à accepter la proposition du Gouvernement du Roi tendant à ce qu'il fO.t nommé à cet effet une Commission d'officiers supérieurs.

C'est avec la plus sincère satisfaction que le Gouvernement de Sa Majesté a appris une telle décision qui témoigne de l'empressement du Gouvernement Impérial à vider toutes les questions qui se rattachent à l'exécution du Traité de paix du 3 Octobre.

Vous pouvez etre si'tr, M. le Baron, que le Gouvernement du Roi est animé de ces memes sentiments. Nous n'avons rien de plus pressé que d'écarter tout sujet de controverse afin d'établir sur une base solide les relat:ons amicales réciproques des deux Etats.

Si le Gouvernement du Roi a insistè pour la nomination d'une commission militaire chargée de procéder à la délimitation des frontières, les démarches faites à cet égard par la Légation du Roi auprès du Cabinet Impérial ne pouvaient avoir d'autre but que l',application fidèle de l'art. IV du Traité d'après lequel une Commission militaire doit etre instituée par les deux Puissances contractantes.

Toutefo1s le Gouvernement du Roi afin de faciliter autant que possible la tache qui incombera à cette Commission, s'est empressé d'envoyer à Vénise le Major Mazza, en le chargeant de recueillir et préparer tous les matériaux qui pourront lui etre utiles.

Les Commissaires italiens seraient: Le Major Général Comte Nicolis de Robilant, l<e Major de l'Etat Major Général Baron Mazza, et le Capitaine du Génie Chevalier De Charbonneau.

Je me réserve de Vous faire connaitre le nom de l'Employé civil, qui, vu le caractère purement militai<re de la Commission, n'aurait, ainsi que Vous le proposez dans Votre note, qu'un vote simplement consultati!.

Le Gouvernement du Roi serait d'avis que la Commission mixte, une fois réunie et installée, pourrait aussitòt et sans perte de temps, s'occuper de la résolution des questions qui se présenteraient et s'ajourner ensuite, en déléguant à deux de ces membres, MM. les Majors Mazza et Korwin, la tache de pourvoir au placement des termes sur les lieux. Cette opération absorbera probablement une grande partie de l'été, de manière qu'avant le commencement de l'hiver la Commission pourra:t dans une tournée rapide d'inspection reconnaitre et valider l'ouvrage des deux Commissaires. S'il arrivait toutefois que par

défaut de cartes topographiques de détail on jugeat nécessalre de lever le plan de quelque petite partie de terrain, cette opération, selon l'avis du Ministère Royal de la Guerre, pourrait ètre confiée à des officiers d'Etat Major ainsi que cela se fit en 1860 à l'occasion de la délimitation des frontières entre l'Italle et la France.

Dans l'espoir que ces mesures, dictées seulement pour accélérer la plelne et entière exécution des engagements stipulés dans le Traité de paix du Mais d'Octobre dernier, seront tout-à-fait en conformité des vues du Gouvernement de S. M. Impériale, je Vous prierais, M. le Baron, de vouloir bien me faire connaitre les noms des Commissaires désignés par l'Autrlche.

(l) Cfr. n. 168.

180

IL MINISTRO DI GRAZIA E GIUSTIZIA E DEI CULTI, BORGATTI, AL CONSIGLIERE DI STATO, TONELLO

Firenze, 11 febbraio 1867.

In risposta agli ultimi graditi rapporti della S. V. Onorevolissima, il Governo del Re, dandosi per inteso dei particolari ragguagli in essi contenuti, si pregia dichiarare, che ritiene stabiliti definitivamente i concerti per la provvista delle sedici Sedi Arcivescovili e vescovili specificate nel Rapporto di Lei in data del 9 di questo mese (l) mercé la traslazione e la nomina dei soggetti nel medesimo designati, ad eccezione della sede Arcivescovile di Torino, per la quale, a sensi del telegramma che Le fu indirizzato jeri l'altro (2), si mantiene fermo il concerto primitivamente preso che vi sia trasferito il Vescovo di Savona Monsignor Riccardi.

Quanto ai preconizzati, r:tenuto che non si provvegga per ora ai preconlzzati nelle Provincie Lombarde, pei quali pendono i concerti, desidera il Governo che si:a ritardato lo insediamento del Cardinale Guidi a Bologna e di Monsignor Benassi a Borgo San Donnina, reputando che l'insediamento del primo non potrebbe seguire per ora senza turbamento dell'ordine pubblico, e che per l'altro duri l'efficacia di quei motivi, di cui è cenno nelle informazioni scritte a Lei rimesse.

Per le future provviste cl sarà tempo di prendere i conc·erti: frattanto Ella non vorrà cessare dal sostenere i candidati governativi massime per le sedi più cospicue e per quelle che Le vengono particolarmente indicate.

Si procureranno gli opportuni ragguagli su tutti i soggetti compresi nella Nota che Le fu presentata dal Cardinale AntoneHi la sera del 9, alcuni dei quali erano già compresi in precedenti note. Sin d'ora Ella è autorizzata ad ammettere dei soggetti compresi nelle var:e note trasmesse, il Vicario Capitolare di Susa Canonico Sciandra, il parroco della Cattedrale d'Alba Canonico Formica, i Sacerdoti Savio e Galletti della Diocesi di Torino, il Canonico Colli della Cattedrale di Novara, e ad escludere rec:samente Monsignor Palma, il

Vicario Generale del Vescovo di Avellino Canonico Barretta e l'Arciprete di Rutigliano Sacerdote Antonio Dalena.

Gioverà ch'Ella trovi modo di far sentire al Cardinale Antonelli come il Governo del Re sia nella piena fiducia che il Santo Padre neUa allocuzione che terrà nel Concistoro, in cui saranno preconizzati i vescovi per le sedi vacanti nel Regno, si esprimerà colla maggioDe riserva e si asterrà da qualsivoglia cenno che possa avere un sign.fìcato politico e dar luogo a commenti. La prudenza del Santo Padre riconoscerà fuor di dubbio che è il caso di toccar solo delle necessità religiose, a cui, mercé i presi concerti, fu provveduto in egual modo anche in appresso.

Gioverà pure ch'Ella trasmetta al più presto la comunicazione di cui è cenno al n. 2 della nota in data del 29 Gennaio ultimo scorso (1), della quale è mestieri al Governo per la relazione che circa l'esito della missione di Lei ha in animo di presentare a Sua Maestà e per altri analoghi provvedimenti.

In questo punto vien notificato al Governo, che a Milano giunse 1'8 di questo mese, un Rescritto pontificio, col quale viene interdetto a quel Vicario Capitolare il conferimento dei beneficii, per modo che egli sarebbe costretto a contramandare i concorsi già indetti per oltre 40 parrocchie V'acanti nella città e Diocesi. Si soggiunge, correr voce che dalla Santa Sede si voglia che il Vicario Capitolare di Milano agisca come V~cario di Monsignor Ballerini, già segretamente consacDato, anziché come Vicario Capitolare. Per quanto sia poco attendibile il fatto d'un arcivescovo consacrato in segreto, e per quanto sia del pari non presumibile che vogliasi imporre al Capitolo di Milano un .&rcivescovo, di cui non gli possono essere state presentate le bolle, ad ogni modo il Govemo è in molta apprensione dell'effetto che produrrà 1n MHano la notizia del sovraccennato Rescritto Pontificio, il quale sarebbe pur sempre un fatto in contraddizione coi concerti che si stanno prendendo. Ella voDrà teneme subito proposito col Cardinale Antonelli, e chiederà che venga tolto l'interdetto intimato al Vicario Capitolare di Milano, rimostrando come si,a mestieri d'un fatto che ponga in calma quella popolazione ed attesti che si stanno prendendo concerti per la provvista di quella sede nel concetto già accolto dal Santo Padre che non vi possa essere insediato Monsignor Ballerini.

(l) -Cfr. n. 175. (2) -Non pubblicato.
181

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AL CONSOLE A BEIRUT, MACCiò

D. 2. Firenze, 12 febbraio 1867.

Confermandole il dispaccio che le scrissi addì 2 gennaio or scorso (2), le accuso ricevuta d,ei fogli ch'Ella mi diresse addì 11, 13, 19, 20 e 23 di questo stesso mese (3) nei quali ho trovato la ragguagliata narrazione degli ultimi fatti del Libano e della partenza di Karam dalla Siria.

19 -Documenti diplomatici -Serie I -Vol. VIII

L'attenta lettura di quelle corrispondenze mi persuade sempre più essere necessario che d'ora innanzi Ella non accetti la posizione che le venne fatta allorché gli altri consoli furono convocati a consiglio. Ritengo che al Console d'Italia appartiene il diritto di ricevere le comunicazioni riguardanti le cose del Libano nello stesso modo e colle stesse forme seguite pei Consoli delle altre Potenze garanti. La nostra situazione politica generale in Europa è assad cresciuta ed i nostri interessi richieggono sia in ogni circostanza mantenuta la posizione che ci appartiene in Oriente.

Qui unito Le trasmetto una mia circolare colla quale confermando quanto le fu già scritto sulla condotta generale politica da tenersi dagli Agenti italiani le accenno la necessità di tenere una corrispondenza seguita di politiche informazioni colla R. Legazione e col Ministero.

(l) -Cfr. n. 145. (2) -Non pubblicato ma cfr. n. 136. (3) -Cfr. n. 114; gli altri rapporti non sono pubblicati.
182

IL MINISTRO DI GRAZIA E GIUSTIZIA E DEI CULTI, BORGATTI, AL CONSIGLIERE DI STATO, TONELLO

Firenze, 12 febbraio 1867.

l"acendo seguito al precedente dispaccio di jeri (l) debbo richiamare tutta la di. Leri. attenzione sul qui unito avviso a stampa del Vicario Capitolare della Arcidiocesi di Milano, col quale, in conferma delle voci corse, vengono sospesi i concorsi già pubblicati pel conferimento di benefici parrocchiali vacanti.

Questo avviso conferma inoltre il divieto, di cui ho fatto cenno nel precedente dispaccio, e porta naturalmente alla conclusione, che la Santa Sede sia nell'intendimento di provvedere immediatamente all'Archidiocesi di Milano in uno di questi tre modi: persistendo cioè o sull'avvenuta preconizzazione di Monsignor Ballerini, o sul desiderato trasferimento di Monsignor Arrigoni o per la nomina di uno dei candidati da noi proposti.

Intorno a ciò Ella deve chiedere una pronta e precisa spiegazione (2). Se il divieto è stato dato dalla Santa Sede coll'intendimento di persistere in favore di Monsignor Ballel1ini o di Monsignor Arrigoni per quell'Archidiocesi, Ella dimanderà ed insisterà perché il divieto sia tolto. Se poi l'intendimento della Santa Sede è quello unicamente di provvedere tosto all'Archidiocesi di Milano, con uno de' candidati nostri, Ella allora ins:sterà unicamente afllnché la scelta cada sopra uno dei due Prelati da noi proposti per quella Sede, Monsignor Corti cioè o Monsignor di Calabiana.

(l) -Cfr. n. 180. (2) -Cfr. n. 185.
183

L'AGENTE E CONSOLE GENERALE A TUNISI, PINNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. CONFIDENZIALE S. N. Tunisi, 12 febbraio 1867 (per. il 16).

Ho l'onore di qui appresso trascrivere a V. E. la versione del mio telegramma cUrato di Sabato scorso 9 andante.

c Offre emprunt encore refusé. Conférence sérieuse aujourd'hui avec prem1er Milùstre; rien à espérer amicalement. Nouveaux ordres à M. Bellecourt d'en presser dénouement; il me semble voir meme dispositions France venir aux voies de fait ».

Io le spediva questo telegramma appena di ritorno dal Bardo, ove ebbi una seria conferenza col Primo Ministro del Bey che stimo mio dovere di qui riferire integralmente.

Io c Signor Mirustro! Sono circa 4 mesi che dichiarava al Bey la ferma intenzione del Gov,erno del Re mio Augusto S:gnore di prevalersi d'ogni mezzo per garantire le ragioni e gl'interessi del Commercio italiano di Tunisi gravemente compromessi per l'inadempimento degli obblighi assunti da Sua Altezza. Mi fu risposto allora che vi si stava pensando seriamente, e che altro non si domandava che un po' di tempo. Di tempo mi pare siavene stato abbastanza; ma nulla sinora si è fatto: anzi le scadenze di nuov,i pagamenti si succedono le une alle altre sempre coll'istesso risultato. Quindi li negozianti italiani minacciati nelle loro sostanze e nel loro onore dimandano istantemente l'azione del Governo del Re, il quale non può ormai rimaner sordo a questo grido della Colonia italiana».

Ministro: «Avete tutta la ragione; non ho nulla ad opporre a quanto mi dite. Ora però vi prometto di occuparmene con maggiore premura, e spero che fra pochi giorni avrete not:zie soddisfacenti>>.

Io: «Molto bene, trattandosi come mi dite di pochi giorni; ricordatevi però che mi avete fatto ripetutamente simili promesse, e che le altrettante volte andarono fallite. Oggi sento che avete contratto a Parigi un altro p:ccolo imprestito, onerosissimo perché avreste preso 6 1/2 milioni coll'obbligo di renderne 9 fra 15 mesi a rate di 3 in 3 mesi, e questo per pagare dei debiti fatti in quella città. Insomma da quanto vedo sono i francesi che ne hanno profittato e nulla gl'italiani. Ditemi: non sarebbe stato meglio di accettare le offerte che avete avuto per un grande e solo imprestito il quale vi avrebbe liberato dagl'imbarazzi in cui vi trovate? E non vi accorgete che con espedienti di questa fatta finirete per rovinarvi? ».

Mirustro: «In quanto al piccolo imprestito bisognava farlo per pagare il semestre deil. Coupons a Parigi, e ~e cambiali tirate in questo frattempo su quel Commissario Tunisino, come pure per liberare alcuni valori impegnati presso il Credito mobiliare della stessa città; le offerte poi, quelle serie cioè, erano inaccettabili perché superiori alle nostre forze. Noi speriamo trovare altre risorse, e con queste far fronte ai nostri impegni. Ancora, vi ripeto, un po' di tempo, e vedrete che riuscir,emo a contentare il commercio, e a conservarci la benevolenza e l'amicizia sommamente prez:osa ,per noi del Governo del Re d'Italia».

Io: «Voi confidate troppo sul tempo; ma fate attenzione che questo non vi manchi sul più bello. In ogni modo non vogliate perdere di mira che la giustizia, siccome la dignità del Governo del Re non possono permettere che gl'interessi nazionali siano più oltre compromessi).

Volendo poi riassumere i nostri griejs riparlai dei debiti (che insieme con quelli del Bey sono i soli che abbiamo, perché gli altri affari camminano piuttosto regola,rmente) del Principe Sidi El-Hemin verso il Signor Gariglio, la Vedova Pandolfo, il Dottore Scavo ed il giardiniere Imperato, che il Bey s1 ostina a comprendere nella categoria dei debiti delli altr.i Principi: decisione questa che equivale ad un assoluto diniego di giustizia. Avendo quindi di nuovo insistito là sopra, il Ministro si riservò di riferirne nuovamente a Sua Altezza e di darmi una r.isposta.

Ecco, Signor Ministro, il risultato di questa mia conferenza. Io però non ispero nulla. Se sono bene informato tutti gli sforzi del Khasnadar si ridurrebbero a pagare gl'interessi con un acconto sul debito d'un 10 o 15 %. e di rJ.nnovare per altri 6 mesi le tischere: proposizione che prima sarebbe stata accettata, ma di cui oggi non si vorrà sentir parlare, non avendo il Commercio più fiducia nel Governo Tunisino, tanto più che in Maggio p.v. vi sono delle nuove scadenze per altri 16 milioni di Piastre che porteranno H debito fluttuante a circa 50 milioni.

L'esasperazione poi è così grande nel commercio europeo, che ultimamente vi furono persino delle dimostrazioni contro del Signor Wood Agente e Console Generale d'Inghilterra. Ed ecco perché ed in quali circostanze.

È uso che nelli ultimi giorni del Ramadan il Bey uscendo di notte dalla gran Moschea passeggi per la città, e traversi la piazza del quartiere europeo, dove trovansi il Casino de' negozianti e il Consolato inglese, i quaii in questa occasione erano illuminati. Ora tanto il Casino che il Signor Wood furono pregati con lettere anonime di astenersene in quest'anno; il primo profittò dell'avviso, mentre l'altro che non ne fece caso, si ebbe una pioggia di sassate che gli ruppero alcuni lampioni e non pochi vetri della gallertia. Aggiungasi che la piazza contro il soiito era in quella sera completamente deserta. Pare del resto che lo stesso Bey ne fosse stato informato, perché non si recò nemmeno a fare la sua preghiera alla Moschea.

In questo stato di cose è naturale che si facciano ogni giorno più freddi i rapporti fra i Consoli, quali protettori del commercio, e il Governo locale. Tant'è che nel ricevimento ufficiale di mercoldì scorso in occasione del Bairam si osservò una sostenutezza generale, ad eccezione dell'inglese, verso del Khasnadar che, secondo l'etichetta di questa Corte, era venuto a complimentare il Corpo Consolare pria che fosse introdotto dal Bey, e ciò malgrado i ripetuti atti della più ricercata affabilità dal medesimo usati a ciascuno di essi in particolare, ed in modo più evJ.dente a quelli d'Italia e di Francta.

Nel suddetto mio telegramma accennavo ai dubbi che avevo come la Francia si disponesse egualmente ad agire. Questi provengono dal sapere in via positiva che il Signor Bellecourt ha scambiato in questo frattempo ripetuti dispacci col suo Governo. Eppoi da franco ed aperto com'era prima con me, el divenne d'un tratto riservato, sebbene sempre cortese ed amico; né altro ho

potuto raccogliere dai suoi discorsi che per adesso dovea rinunz1Iare di andare ai bagni di Courbes, perché gli affari lo tenevano sequestrato l.n città. È pure da notarsi ch'era sua intenzione stante la vicinanza -e questo me lo disse più volte -di calare almeno due volte la settimana in Tunisi.

Venendo adesso a dJ.scorrere dei mezzi di azione nulla aggiungerò sull'idea del blocco, perché da pa,rte mia continuo a ravvisarla come una mezza misura insumciente allo scopo. In quanto alla occupazione deUa Goletta o di Susa crederei che potrebbero consultarsi in proposito il Cavaliere Ricd Maggiore del Genio, ed H Cavaliere Di Sun1 Capitano di Frega,ta. Il primo durante la rivoluzione ebbe l'incarico di studiare tanto la posizione della Goletta, che di Tunisl e dintorni, ed il secondo tenne nella stessa epoca per qualche tempo colla Cannoniera l'Etna la staZlione di Susa che sono certo entrambi più competenti di me.

Comunque, io vado sempre persuaso che senza di una dimostrazione non verremo a capo di nulla. Colla gente con cui abbiamo da fare ci vogliono dei fatti; i mori, come i turchi non si scuotono che al tuono del cannone. Potrò forse ingannarmi, ma ho fiducia per poco che si faccia che il Bey disseppellirà il suo tesoro, o per lo meno che il Khasnadar soddisfi del proprio rL crediti italiani.

Ed appunto per ciò io mi feci ardito di proporre a V. E. in questo caso, come più facile, sicura e meno dispendiosa l'occupazione dell'Isola dd Gerbi, come sarei oggi a proporre ancora d'impossessarsi in pari tempo della flottiglia tunisina che travasi in completo disarmo ancorata a Sfax, la cui immensa rada presenta sicuro e comodo posto ancora ai bastimenti della più grossa portata..

E qui siami lecito di rilevare a V. E. che ogni operazione generale di ostilità contro il paese av·rebbe per prima ed immediata conseguenz·a d'•incagliare il poco commercio esteriore che travasi per intero nelle mani degli europei, indipendentemente dagli altri inconvenienti che ne derliverebbero alle loro persone e sostanze, come pregiavami di accenna.re nell'·ultimo mio rapporto. Non istarò poi a parlare del necessa,r.io intervento delle altre potenze dnteressate, fra cui principalmente l'Inghilterra e la Francia che contano in questa Reggenza dopo l'Italia maggior numero di colonisti. Incontrandosi invece accettabile il mio avviso, nessun danno ne avverrebbe al Commercio e nessun pericolo agld abitanti non musulmani. Dippiù si toglierebbe il pretesto di una cointervenzione, ed avressimo la soddisfazione di finire insieme coi nostri gli affari comuni, donde ne risulterebbe lustro e sempre maggiore prestigio alla bandiera italiana.

184

ROMUALDO BONFADINI AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

(AVV)

L. P. Roma, 12 febbraio 1867.

Non so se valga la pena d'informarti che lieri sera, .in un crocchio intimo, dove si parlava con molta espansione e con molto calore, il Signor di Sartiges si mostrò più che a tre quarti sfiduciato della sua politica conciLiativa. Diceva che non dissimulavasi come dall'alto cominciasse a imperversare la reazione, mentre a fior di terra cominciava già a sentirsi la rivoluzione; che la politica conciliativa era molto difficile e la situazione molto grave; che però ogni speranza non era perduta e che, mettendovi molta persistenza, fra otto o nove mesi forse qualche risultato conciliativo si poteva attenerlo. Al che, avendogli io chiesto se credeva egualmente che la tranquillità si sarebbe potuta mantenere in così equivoca situazione, per otto o nove mesi, si strinse nelle spalle e mostrò dubitarne. Queste confidenze, che non significherebbero gran cosa sulla bocca di tutt'altra persona, possono significare qualche cosa di più venendo da Sartiges, che tu conosci come riservato e cauto soglia parlare.

Del resto, è questa l'opinione generale in tutti i cittadini romani e diplomatici esteri seri, che nessun passo di qualche conseguenza si farà dalla Corte di Roma, finché prevale l'influenza del cardinale Antonelli. Dei diplomatici poi, Hubner e San Luis sono antonelliani sfegatati, Amim non ha ingegno né influenza, Saldanha va troppo a messa per poter lottare contro cardinali, e Sartiges è visto al Vaticano come il fuoco negli occhi. Se aggiungi che ora sperano molto nella gravissima crisi parlamentare, che cosa vuoi che faccia il povero Tonello? La politica della conciliazione tiene ad un filo, la permanenza di RicasoH al potere; se cade lui, Roma è in rivoluzione ed in reazione, non dico subito, certo fra due o tre mesi.

Io ho l'animo amareggiato dalle notizie di Firenze. Noi camminiamo diritti ad un colpo di Stato, chi sa con quali istrumenti? Sarà abbastanza forte in Italia la libertà, da poter resistere ad un punto contro la dialettica degli avvocati e contro la sciabola dei generali?

Addio, fra dieci o dodici giorni spero vederti a Firenze.

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IL CONSIGLIERE DI STATO, TONELLO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

Roma, 13 febbraio 1867.

Appena ricevuti i dispacc.i inviatimi stamane col mezzo del corriere Longa (1), mi portai sul mezzogiorno dal Cardinale Antonelli, ed espostogli l'incidente ,relativo alla provvista delle parrocchie della Diocesi di Milano, e gl'inconvenienti che da ciò già derivavano per le dicerie e commenti, che se ne spargevano nel pubblico, instai per avere le occorrenti spiegazioni, e perché si dessero pronti provvedimenti, affinché la giurisdizione di quel Vicario Capitolare non fosse menomata.

Il Cardinale si mostrò intieramente ignaro e sorpreso di questo fatto; disse che si sarebbe affrettato a prenderne cognizione per parlarmene ulteriormente, e che intanto nulla era variato di quanto si era precedentemente inteso circa

quella Sede Arcivescovile, cioè rimanere la medesima vuota finché un accordo tra le parti non porga il modo di provvedervi.

Pei preconizzati io gli partecipai le riserve, che il Governo faceva relativamente all',immissione in possesso di quelli di Bologna e di Borgo San Donnino, nonché ·per quelli delle provincie Lombarde; e colsi occasione da ciò per insistere nuovamente per la traslocazione ad altra sede di Monsignor Ferrè, il che avrebbe tolto di mezzo uno degli ostacoli esistenti.

Il Cardinale mi espresse qualche stupore per l'opposizione che si faceva al Cardinale Guidi, creduto qui persona delle più quiete e tranquille, né tale certamente da suscitare impacci al Governo. Ad ogni modo sia per questo, che per gli altri rispettava i temperamenti, che il Governo neU'interesse della pubblica tranquillità credeva dover adottare.

Io aveva già altra volta aperto il discorso col Cardlnale sulla convenienza somma, che nello stato attuale delle nostre relazioni, e dei partiti politici in Italia, l'Allocuzione Concistoriale evitasse di fare allusioni dispiacenti od irritanti. Mi si era data l'assicurazione, che tale era appunto l'intenzione di Sua Santità; che avrebbe ben parlato in genere delle condiz,ioni poco felic'i in cui si trova la Chiesa, ma senza riferimenti speciali, od altro, che potesse offendere il Governo Italiano. Rinnovatane ora con maggior calore la istanza nel senso divisatomi colla nota ministeriale dell'H corrente, ebbi dal Cardinale nuova assicurazione, che il tenore dell'allocuzione sarebbe stato improntato alla più conveniente riserva, e si sarebbero evitate le allusioni a materie politiche.

Non credetti opportuno nella brevità del tempo di parlare del varii candidati per le future provviste, dei quali si fa cenno nella precitata nota miilllsteriale. Ne parlerò nel nuovo convegno fissato per sabato prossimo a sera.

Intanto il Cardinale, giusta le promesse fattemi antecedentemente mi rimise il testo scritto delle disposizioni date da questo Governo relativamente ai passaporti, ed io presane copia, lo rimetto alla S.S. Onorevolissima (1).

Pel transito delle merci e bagagli, premesso che questo mi era stato, giorni sono, concesso subito senza tasse od altra formalità per gli oggetti m transito diretti al Principe di Carignano a Napoli, pei quali in conformità di un avviso ricevuto dalla Casa del Principe io aveva fatta richiesta,. il Cardinale mi riferì, che la Consulta delle finanze aveva non ha guari emesso H suo voto favorevole; ma che vi aveva inserta una clausola imbarazzante, che egli riferendone m Consiglio dei Ministri aveva intenzione di far leva·re. Si riservò quindi di rispondermi definitivamente più tardi.

Riguardo alle poste mi disse, che si facevano studi sulla nota da me trasmessa, e che fra poco me ne avrebbe comunicato il risultato.

Io profittai inoltre delle attuali circostanze politiche, le quali dovrebbero ragionevolmente indurre la Santa Sede a smettere molte prevenzioni, ed entrare con minore ritenutezza in un sistema d'accordi pel comune bene dei due Stati, ne profittai, dico, per ritoccare l'argomento delle estradizioni, e con quanta maggiore efficacia io seppi, procurai di dimostrargli la necessità d'dntendersi m tale materia. Egli mi ripetè, che si erano date alla frontiera le più larghe disposizioni per operare d'accordo colle truppe italiane, onde arrestare e con

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segnarsi reciprocamente i briganti. Risposi che ciò era bene, ma non era sufficiente, giacché quelli che riusC'ivano ad internarsi, e tutti gli altrt imputati e condannati in genere dimoranti nello Stato pontificio non erano punto colpiti da quegli ordini, e potevano qui stare impunemente in onta alla pubblica morale, ed al reciproco interesse della sociale sicurezza. Smosso, mi parve, dalle mie ragioni ed istanze il Cardinale finì per dirmi, che non si sarebbe, ben inteso, fatto alcun trattato, il che non era neppure né miei intendimenti né -in quelli del Governo, ma che restava concordato ed inteso, che tra i due Stati avrebbe in via di fatto avuto luogo ·reciprocamente l'estradizione. Ammesso il principio occorrerà senza dubbio ritornare su quest'argomento per meglio intenderne e regolarne i particolari; ma su ciò mi riservo a momento opportuno.

Vedendo favorevoli le disposizioni entrai anche nel delicato tema dei detenuti politici, sui quali aveva prima incontrata una resistenza quasi assoluta, e addussi tutti gli argomenti già altre volte accennatimi dal Ministero, e quanti altri ne seppi per indurre il Governo pontificio all'atto desiderato; al quale uopo ne rimisi a Sua Eminenza la nota in conformità di quella comunicatami dal Ministero. Il Cardinale presa la nota si riservò di farla esaminare, e di darmi quindi l'occotVente riscontro.

(l) Cfr. nn. 180 e 182.

(l) Non si pubblica.

186

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, ALL'INCARICATO D'AFFARI A COSTANTINOPOLI, DELLA CROCE

D. 18. Firenze, 14 febbraio 1867.

Dacché col mio foglio delli 31 gennaio (l) io le indicava la posizione che le varie Potenze sembravano voler prendere nella fase attuale della quistione d'Oriente, sopravvennero alcune mutazioni nei divisamenti dei varl Gabinetti le quali occorre qui notare.

La politica del Governo inglese che dapprima erasi mostrata favorevole alla causa degli ·insorti di Candia e che perciò sembrava dover avviarsi sopra un cammino sin qui non ancora seguito, è ora assai chiaramente delineata nelle parole del discorso della regina, le quali parole, se non hanno il tuono affermativo che da alcuni loro si attribuisce nel senso cioè d'indicare che fra le Potenze siano già intervenuti positivi accordi sulla base di conserva.re integri i diritti del Sultano, accennano non di meno in modo non dubbio che l'Inghilterra fedele ai suoi principi d'astensione vorrebbe limitarsi, per quanto la riguarda, ad puri consigli, •rifugge da qualsiasi concerto che potrebbe eventualmente impegnarne anche l'azione.

Quest'ultima interpretazione è conforme a quanto riferisce il R. rappresentante in Londra. Non sarebbe infatti che cedendo aUe replicate istanze della Francia e mosso fors'anche dal timore che la Russia avesse a procedere sola che il Gabinetto ·inglese si sarebbe deciso ad ascoltare le proposizioni che gli venivano da Parigi daddove spiegavasl in questi ultimi tempi grande attività diplomatica simultaneamente a Londra ed a Pietroburgo.

Il contegno della Russia non sembra essersi sens-ibilmente modificato. Il Gabinetto di Pietroburgo dopo aver proclamata la necessità di lasciare che la quistione orientale si risolva senza 'intervento straniero non avrebbe potuto aderire ad alcuna combinazione che non avesse per iscopo di avviare ad una soluzione favorevole agl'interessi delle popolazioni cristiane.

È in questo senso che dovette quindi delinearsi in modo più preciso la politica francese e gli ultimi rapporti ricevuti indicano infatti che un ravvic.inamento s'era operato fra i due Gabinetti di Parigi e di Pietroburgo, della qual cosa noi non possiamo che rallegrarci perocché una politica che, dando soddisfazione alle tendenze nazionali delle popolazioni cristiane, riavvicina i due imperi e sc·ema il pericolo di perniciosissimi confUtti è interamente conforme agli interessi italiani.

In un recente colloquio il Marchese di Moustier ha chiaramente esposto al CavaUer Nigm intendimenti ai quali noi non avremmo difficoltà di sottoscrivere. Ultime notizie ricevute po·rtano che anche la Prussia avrebbe aderito al nuovo programma della politica francese.

La condotta del R. Governo rimane quella stessa ch'io già le feci conoscere nelle mie lettere precedenti. D'altra parte il nostro diritto di partecipare agli atti diplomatici che riguardano l'Oriente non sembra dover essere contestato, per ora dunque io mi limiterò a riferirmi alle istruzioni già date indicandole espressamente che non avendo noi fondata ·ragione di credere che alcuna delle Potenze voglia contestare questo nostro diritto, Ella deve in ogni caso vivamente reclamare verso la Porta contro qualsiasi atto internazionale che questa foss·e per avventura tentata di fare senza il nostro concorso.

ALLEGATO.

ANNESSO CIFRATO.

Le Marquis de Moustier a dit dans sa conversation avec Nigra que la Fra.nce admettrait annexion de Candie et peut-etre aussi de la Théssalie à la Grece.

(l) Cfr. n. 150.

187

IL MINISTRO A PARIGI, NIGRA. AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 408. Parigi, 14 febbraio 1867 (per. il 17).

Oggi ad un'ora S. M. l'Imperatore inaugurò la nuova sessione del senato e del Corpo Legislativo colle formaiità solite. Trasmetto qui unito a V. E. un esemplare del discorso imperiale (1), il cui testo sarà del resto comunicato quasi per intero dal telegmfo. L'impressione generale del discorso è pacifica, e pare non venga meno in esso la consueta abilità imperiale. I risultati impreveduti della guerra di Germania sono francamente accettati dall'Imperatore, il quale trovò acconciamente nel Memoriale di S. Elena alcune parole di Napoleone I che accennano alla tendenza dei popoli a raccogliersi in grandi nazional.ità ed a formare una Confederazione Europea. La neutralità fu mante

nuta dall'Imperatore perché tale era la volontà della Francia, manifestata nel Senato e nel Corpo Legislativo; tuttavia l'influenza francese bastò ad arrestare il corso delle vittorie prussiane, e ad affrettare la pace. La Prussia evita con cura ogni passo che possa eccitare le suscettività francesi. L'Austria, benché abbia perduta la Venezia, conservò quella grande .Importanza che è necessaria all'Europa. La Russia dal canto suo rinuncia a voler esercitare neHa quest.~one d'Oriente un'influenza esclusiva: un accordo ebbe luogo fra questa Potenza, l'Austria e la Francia per fare cessare le complicazioni in Oriente dando soddisfazione alle tendenze delle popolazioni e riservando i diritti del Sultano. La Francia eseguì lealmente la Convenzione del 15 settembre; il Governo papale si trova ora in una nuova fase della sua esistenza; esso si regge sulle proprie forze, mentre ai confini la più leale sorveglianza è mantenuta dal Governo italiano. Che se le cospirazioni demagogiche riuscissero a rovesciare il potere temporale, l'Imperatore spera che l'Europa non lo permetterà. È mio debito di notare che queste parole furono assai applaud1te dagli uditori, i quaU accolsero pure con favore quelle che accennano alla conservazione della influenza austriaca. Non così fu, naturalmente, della parte relativa al Messico, benché vi sia annunziata chiaramente l'intenzione di mantenersi in buoni termini cogli Stati Uniti. Anche la parte relativa alle riforme interne fu accolta senza entusiasmo, benché l'Imperatore abbia saputo con rara saviezza astenersi dal promettere o dal rifiutare sin d'ora di far nuove concess:oni. Credo tuttavia di non ingannarmi affermando che, tenuto conto delle circostanze e delle difficoltà spec'iali del momento, il discorso fu redatto con molta abilità

e che esso avrà favorevole accoglienza dell'opinione pubblica in Francia.

(l) Non si pubblica.

188

IL MINISTRO A PARIGI, NIGRA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 108. Parigi, 15 febbraio 1867, ore 18,30 (per. ore 21).

Paragraphe du discours du tròne sur Rome doit etre interprété dans les sens que France dans cette question camme dans la question polonaise ne se croit plus désormais engagée à agir séparée et ne séparera pas son action de celle des autres puissances. Toute autre interprétation ne serait pas fondée.

189

IL DIRETTORE SUPERIORE DEGLI AFFARI POLITICI, ULISSE BARBOLANI, AL CONSOLE A SERAJEVO, DURANDO

D. l. Firenze, 16 febbraio 1867.

Il dispaccio ch'Ella mi diresse il 24 gennaio ultimo passato (l) mi giunse regolarmente.

La ringrazio delle .informazioni ch'Ella mi diede sulla situazione delle cose m Bosnia e sulle varie influenze che vi si agitano fra le quali prevalente sembra dover esse·re quella della Serbia che nel suo movimento interno potrebbe forse trovar forza di espansione sufficiente per tirare a sé una provincia dove l'elemento serbiano rappresenta una frazione discreta della popolazione.

Per ragioni di vicinanza e di inte·ressi molteplici l'Austria potrebbe essa pure cercare di neutralizzare l'influenza della Serbia al punto di vista esclusivo de' propri vantaggi commerciali e politici. Ella farà bene di vegliare particolarmente sovra tutto quanto in questo senso si operasse nel di lei distretto consolare molto importando che il Ministero sia continuamente informato de' vari incidenti che si producono nelle provincie ottomane.

Quanto Ella mi narra essere recentemente occorso nelle nomine dei membri dell'assemblea dell'Eyalet, riesce di molto interesse in questo momento sovratutto in cui la Porta è sollecitata da ogni parte a soddisfare aUe giuste esigenze de' suoi sudditi Cristiani. I giornali hanno riprodotto il discorso che Osman Pacha ha pronunziato nell'occasione dell'apertura di quella assemblea, ma si astennero dal riferire come a comporla siano stati chiamati in grande maggioranza membri musulmani contrariamente a quanto le cost!ituzioni locali statuiscono.

Qualunque osservazione EHa sarà in grado di fare sul trattamento che i Cristiani di Bosnia e d'Erzegovina ricevono dal Governo ottomano in confronto di quello dal medesimo usato pei musulmani dovrà fare oggetto de' suoi rapporti. Fu segnat·amente sovra le condizioni di queste due provincie che nel 1860 la Russia chiamò l'attenzione delle Potenze denunziando altamente la non osservanza da parte delle Autorità ottomane dei principii di civile uguaglianza decretati nell'Hatti-Houmayoum.

A seguito di questi richiami la Porta ordinò l'inchiesta che il Gran Vizir compì in persona percorrendo le varie provincie europe·e dell'impero..Era allora appunto Gran Vizitr quello stesso Kuprisli Pacha che ancor oggi siede nel Consiglio dei Ministri del Sultano.

Queste circostanze r.tcordo perché sono pure di qualche rilievo trattandosi di apprezzare gli effetti di un'amministrazione che non ignora i bisogni deHe popolazioni Cristiane della Bosnia e dell'Erzegovina. Ora poi è necessario prevedere il caso in cui le potenze interessate nella quistione orientale abbiano ad essere chiamate a fare un esame accurato delle condizioni in cui versano le popolazioni Cristiane della Turchia.

Epperò Ella dovrà sin d'ora seriamente occuparsi di esaminare ogni particolarità degna d'essermi riferita e vorrà farne argomento di successive .relazioni.

Non mi sarebbe possibile tracciare di qui il programma delle investigazioni ch'Ella dovrà fare, stimo tuttavia opportuno ind.icarle alcuni punti prin,. cipali sui quali è necessario ch'Ella faccia le più accurate ricerche.

Accenno brevemente gli argomenti principali:

l o -Proporzione relativa delle varie fra:z;ioni che compongono la popolazione della Bosnia e dell'Erzegovina tanto al punto di vista della religione, quanto a quello delle razze. Importerà definire se fra queste frazioni ve n'abbia alcuna che riunisca in sé elementi sufficienti per acquistare una ·stabile pre

ponderanza sovra le altre e se gli abitanti di diversa religione o di diversa razza abitino frammisti negli stessi villaggi oppure se formino colonie separate.

2° -Carattere della popolazione e quali conseguenze abbia prodotto il duro regime sofferto sullo sviluppo sociale dei Cristiani. Attitudini intellettuali e morali di quest'ultima parte della popolazione in confronto dell'eiemento musulmano.

3° -Riparto della proprietà fondiaria, rapporti fra 1 proprietari ed i contadini, carattere particolare di questi rapporti. Converrà a questo proposito indagare l'effetto delle varie leggi successivamente decreta<te per fa'r scomparire quella specie di feodalismo della classe dei propl'ietll<ri musulmani che fu la causa de' maggiori patimenti sofferti dai coltivatori Cristiani e sarà opportuno ben investigare se al sudditi Raya ora si l"'iconosca in diritto ed in fatto la facoltà di possedere beni stabili ad ugual titolo de' musulmani.

4° -Le imposte, la loro specie, il modo col quale vengono percepite formeranno oggetto di particolari studi. È ind1spensabile sapere se i balzelli siano uguali per tutti senza distinzione di religioni e sovratutto se vennero o no aboliti quei particolari tributi che ricadendo esclusivamente sui cristiani creavano una vera disuguaglianza fra questa parte della popolazione ed i musulmani. In tale disuguaglianza si volle altre volte trovare la principale cagione del malumore ed anche di seri conflitti che si produssero.

5o -Il commercio e le condizioni alle quali Musulmani e Cristiani sono ora ammessi ad esercitarlo potranno formare argomento di utili investigazioni perocché 1n alcune parti dell'Impero turco fu un tempo in cui il comme,rcio nelle città sulle nere e sui mercati prestava argomento ad odiose differenze di regime a danno dei Cristiani.

6° -La costituzione particolare delle provincie di Bosnia ed Erzegovina, l'indole delle rappresentanze provinciali, la posizione fatta in queste rappresentanze all'elemento Cristiano, la giustizia, l'amministrazione ed il trattamento che da queste ricevono l sudditi non musulmani della Porta potranno fornire oggetto di particolareggiate relazioni. Importa poi anche ch'Ella mi renda esatto conto del modo col quale è applicata in fatto l'uguaglianza di diritto che dovrebbe esistere fra tutti i sudditi del Sultano senza distinzione di reiiglone nella partecipazione tanto agli impieghi provinciali quanto alle cariche governative e gradirei inoltre sapere se i Cristiani siano inscritti nelle file dell'esercito regolare e se loro sia concesso di portar armi a propria difesa.

Questi punti pl'incipali io accenno, ma Ella ben altd saprà trovare sui quali è ugualmente necessario fissare l'attenzione di chiunque voglia rendersi esatto conto della situazione presente del Cristiani di Bosnia e di Erzegovina; ed io facendo assegno sullo zelo ch'Ella ha sempre d1mostra.to nel servizio del

R. Governo, aspetto da lei un seguito di interessanti relazioni che forniranno a questo R. Ministero precisi e sicuri elementi di informazioni dei quali eventualmente potrebbe abbisognare (1).

ALLEGATO.

ANNSSO CIFRATO.

Surveillez de près les menées autrichiennes et croates. Il est essentiel que vous me teniez au courant promptement et exactement de tout ce qui pourrait se faire en ce sens.

Votre collègue de Russie doit avoir reçu des instructions à ce sujet. Si son caractère vous met à l'abri de tout danger d'indiscrétion de sa part, sondez-le mais avec prudence et réserve, car ce n'est qu'en ne laissant rien entrevoir à vos autres collègues que vous parviendrez à exercer une surveillance utile.

(l) Non pubblicato.

(l) Analogo dispaccio venne diretto il 21 febbraio al console a Salonlcco.

190

IL MINISTRO AD ATENE, DELLA MINERVA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 17. Atene, 16 febbraio 1867 (per. il 22).

Il dispaccio di V. E. delli 31 gennaio, serie Politica n. 3 Gabinetto mi pervenne il 10 corrente un giorno dopo Ia partenza del corriere. Ringrazio l'E. V. dell'interessante communicazione del dispaccio diretto sotto Ja stessa data al

R. Incaricato d'Affari in Costantinopol<i (1). Io dubito che l'attuazione del principio di non intervento in un senso assoluto possa essere vantaggiosa alle popolazioni cristiane ove queste in un conflitto colla Turchia fossero lasciate sole. Il solo dsultato certo sarebbe l'indebolimento sempre magg,iore, una confusione ed un'anarchia neJle provincie, ove esiste l'elemento cristiano, ed infine uno stato di cose il quale anziché tornare a benefizio delle nazionalità che si agitano sarebbe utilizzato più tardi da quelle potenze che fossero costrette ad intervenire spinte da interessi di politica, di religione, d'influenza e di commercio.

La Grec.ia si lancerebbe certamente nel vortice quand'anche potesse a ragione temere che la non intervenzione delle Potenze Protettrici portasse l'invasione del suo territorio per parte della Turchia.

Qualunque possono essere li vantaggi che la Turchia debba concedere all'Isola di Candia quando ne ottenga la completa sottomissione essi non soddisferanno la Grecia la quale non cesserà d'agitarsi se non altro internamente e tenterà di spingere le cose. al massimo disordine per paterne poi trarre profitto; ma di quelle concessioni stesse se ne servirà come pretesto per eccitare le popolazioni cristiane delle altre provincie nell'intento di obbligare la Turchia ad accordarle egualmente a queste.

Il 14 mi è pervenuto il dispaccio Pol<itico n. 4 (2) e ne ho dato communicazione al R. Vice Console in Cand:a per quanto riguarda il Comandante della Fregata «Gaeta».

Ho parimenti ricevuto colla stessa occasione la circolare Ministeriale (2) in stampa colla quale mi sono annunziate la nomina del Signor Marchese Guer

rieri · Gonzaga a Segretario Generale in luogo del Commendatore Cerruti, e le altre disposizioni riguardanti il servizio interno del Ministero degli Affari Esteri.

P. S. Il 13 ricevetti il telegramma di V. E. del 12 (l) col quale mi è annunziata la proroga del Parlamento fino al 28 febbraio.

(l) -Cfr. n. 150. (2) -Non pubblicato.
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IL MINISTRO A LONDRA, D'AZEGLIO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 580/192. Londra, 16 febbraio 1867 (per. il 20).

Sono stato al «Foreign Office » per parlare a lord Stanley, secondo le istruzioni trasmessemi da V. E. (Serie Politica n. 4) in data delli 11 febbraio (2). Potei vedere S. S. un momento quando appunto rientrava dal Cons'glio, e mi rispose essere ,la menzione fatta delle due sole potenze la Francia e la Russia dovuta all'essersi considerata la questione di Candia come una frazione di quella che concerne specialmente la Grecia di cui esse tre potenze erano garanti, che inoltre quei due Gabinetti eransi tenuti in più frequenti comunicazioni per l'assestamento di questa questione negli ultimi avvenimenti.

E siccome gli feci osservare che a Ftrenze bramavasi non lasciar stabilirsi un benché menomo dubbio sul nostro diritto di prender parte a quanto concerneva la Turchia e l'Oriente, diritto conquistato da noi le armi alla mano egli mi r,ispose, che la cosa non ammetteva dubbio e precisai che in quel senso avrei risposto a V. E. (3). Del resto avevo precisamente scritto nel medesimo senso sul medes~mo argomento nel mio dispaccio del 7 corrente n. 187 Politico (4).

Ed in quanto alle tendenze generali del Governo Inglese in quest'attuale questione oltre d'averlo a più riprese trattato nella mia recente corrispondenza, ho l'onore di spedire anche oggi un sunto di quanto disse lo,rd Stanley nella seduta d'jeri. Ed inoltre il Blue Book con tutta la corrispondenza diplomatica su questo argomento, presentato al Parlamento. V. E. r:ceverà inoltre un Blue Book relativo ai Principati Danubiani. Aggiungo parimenti un Blue Book relativamente al sequestro del «Tornado», affare che prende cattiva piega siccome ne fa fede l'ultimo dispaccio da qui mandato a Madrid.

Da quanto mi si d~sse oggi a.l Foreign Office il Governo Inglese non prende

in considerazione il caso stesso. Anzi da certe carte che saranno pubblicate

«Approvo il linguaggio ch'Ella ha tenuto con Lord Stanley nell'occasione In cui, a seguito del mio dispaccio delll 11 corrente, Ella ha chiamato l'attenzione del Ministro degli Affar! Esteri della Regina sovra quelle parole del discorso di Sua Maestà all'apertura del Parlamento, colle quali sembravasl voler accennare al progetto di risolvere la vertenza di Candia col solo concorso di tre fra le Potenze Interessate. La dichiarazione espl!clta di Lord Stanley circa il nostro diritto di prender parte a qualslvogl!a atto internazionale riguardante le cose d'Oriente, mi riuscì tanto più gradita, In quanto !n essa trovo la conferma d! quella stessa polltlca antecedentemente adottata dal Gabinetto Britannico a nostro riguardo, allorché trattandosi degll atrarl di Siria, commetteva al proprio rappresentante !n Costantlnopoll di astenersi dal plgllar parte a Conferenze, alle quali non fosse ammesso Il Ministro d'Ital!a ».

apparirà di certo che il «Tornado» era destinato al Chili, avendone il Presidente in un documento espresso suo rincrescimento che non si fosse fatto sfuggire alle crociere Spagnuole nell'istesso modo che il suo compagno il « Cyclone » che giunse a buon porto.

Ma si protestò qua contro un processo fatto in fuori degli usi dei paesi inciviliti, senza aver esaminato l'equipaggio ed anzi averlo tenuto in prigione e maltrattato. Richiedesi dunque un nuovo processo e la Jtberazione dell'equipaggio, riservandosi di domandare un'indennità pecuniaria.

Ma lord Stanley medesimo non mi negò che l'affare prendesse cattiva piega.

P. S. Aggiungo una lettera particolare per V. E. (1).

(l) -Non pubblicato. (2) -Cfr. n. 178. (3) -Cfr. quanto comunicò Bflrbolani a D'Azegl!o con d. 6 del 27 febbraio:

(4) Cfr. n. 170.

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IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AI RAPPRESENTANTI DIPLOMATICI ALL'ESTERO

CIRCOLARE 39. Firenze, 17 febbraio 1867.

Il Trattato di pace sottoscritto il 3 ottobre a Vienna fra i Plenipotenziari di S. M. il Re e quelli di S. M. l'Imperatore d'Austria segna una nuova era nei nostri rapporti internazionali. Cessando ormai mediante l'avvenuta riunione delle Provincie Venete alla Monarchia Ita.Uana, ogni estera preoccupazione, il

R. Governo può rivolgere tutti i suoi sforzi al riordinamento interno del Regno e ·al tanto necessario assetto delle nostre Finanze. In tale intend.imento ha egli presentato al Parlamento riconvocato il 15 dicembre scorso, parecchi importanti progetti di legge, che è da sperare saranno tosto presi in seria disamina dai rappresentanti della Nazione.

Ma se le principali cure de.l R. Governo sono ora rivolte ai miglioramenti interni egli non intende perciò abdicare la influenza che gli è dovuta nei Consigli de' grandi Stati e molto meno la tutela del decoro, della dignità e degli interessi nazionali all'estero.

È mio pensiero, Signor... (2), di esporle brevemente nella presente Circolare quale sia stata l'azione politica del Governo del Re negli affari speciali d'indole internazionale nei quali ebbe a prender parte in questo ultimo periodo, La scadenza del termine fissato dalla Convenz:one del 15 settembre per lo sgombro del territorio romano, ben lungi dal porgere occasione a quelle agita

«Andai un momento fa al l''oreign Office banché sapessi Lord Stanley al Consiglioonde discorrerne con Hammond Il quale benché un po' bulldog di carattere è pur l'uomo che fa gli affari e quando si conosce come lo conosco per pratica di tanti anni, piuttostoburbero benefico prevedeva che il buon Stanley preso all'improvviso lui risponderebbe tutto per storto e siccome lo vedrei dai Derby stassera era meglio fosse preparato. Ma l'Hammond al primo momento parve non ammettere che si chiedessero spiegazioni su linguaggio reale. Ed aggiunse che in casi s1m111 si era ricusato risponder affatto.

Io mi burlai di lui dicendogli che qualunque potesse essere il rispetto per sacre parole non era ingiuria Il chiederne Il senso. Ed a noi conveniva farlo per non lasciar stabiUre nessun precedente di trattative separate in affari di cui era nostro diritto ingerirei. Egli rispose che non ammetteva nemmeno che lvi potesse esistere un dubbio sul nostro diritto e miglior per noi il nemmeno aver l'aria di far codeste riserve. Ed allora gli feci notare che non dubitavamo di questo e glielo provai leggendogli il dispaccio in cui puramente bramavasi sapere da che punto di vista si fosse partiti qua nel redigere Il discorso».

zioni che fuori d'Italia s'erano tenute, ha invece sensibilmente migliorata la reciproca situazione del Regno e della Santa Sede. L'evacuazione di Roma per parte delle truppe Francesi doveva infatti esercitare una influenza tanto più favorevole in quanto che coincidendo colla liberazione del Veneto veniva a consacrare definitivamente il principio della inviolabilità del territorio nazionale. Le difflColtà nascenti dal risentimento per l'occupazione straniera, e daUa condizione ano·rmale di un governo spogliato d'ogni libertà d'azione e d'ogni responsabilità, venivano per tal guisa ad essere tolte di mezzo.

Il Governo del Re, sollecito di dimostrare come fosse in lui since·ro il desiderio di un vicendevole ravvicinamento nelle cose della religione, senza dissimularsi gli ostacoli che ancora rimanevano a sormontare, volle giovarsi senz'altro della nuova situazione di cose per ripigliare a Roma quei negoziati i quali, sospesi nell'anno precedente per ragioni e per circostanze ormai venute meno, porgevano fondato argomento a confidare che sarebbero riuscite a pra1lica risultanza. Difatti, dopo l'interruzione delle trattative state condotte dal Comm. Vegezzi, il nuovo Codice civile aveva eliminato ogni quistione relativa all'immistione dell'autontà ecclesiastica nello stato civile delle persone, e la Je~~:ge sulle corporazioni !l'e1ig1ose e sull'asse ecclesiastico aveva ri:soluto una vertenza la quale avrebbe necessariamente recato inciampo al negoziato. Nel tempo stesso il potere civile fatto più libero rispetto alla Chiesa, poteva dal canto suo mostrars1 più arrendevole nella trattazione della materia religiosa colla Santa Sede, per le stesse ragioni che lo avevano cons1igliato a consentire spontaneamente il ritorno nelle rispettive diocesi a quei Vescovi che ne erano da gran tempo assenti.

Quindi è che sin dai primi giorni del dicembre scorso, non appena cioè gli fu fatto conoscere che la Corte Pontificia era disposta a riprendere gli interrotti negoziati, il Governo del Re delegava il Comm. Tonello a Roma con l'incar1co di intendersi col Governo della Santa Sede circa le materie di indole puramente religiosa, sopratutto riguardo alla nomina de' nuovi Vescovi nelle provincie annesse, e con la speciale raccomandazione di evitare qualsiasi discussione di principi, che risvegl1ando le suscettibilità della Corte di Roma ponesse a repentaglio la riuscita delle trattative.

Queste procedono già in modo soddisfacente ed è a spem.re che gl'intendimenti si manifesti del R. Governo di voler dare alla Chiesa le maggiori possd.bili larghezze contribuiranno potentemente a menarle a buon fine. E affinché sempre meglio apparissero i sentimenti di moderazione che animano il

R. Governo e per aderire al desiderio espressoci dalla Francia H Comm. Tonello ebbe incarico di trattenere il Cardinale Segretario di Stato della Santa Sede sulla convenienza reciproca di stabilire fra i due Governi un «modus vivendi » che senza creare alcun vincolo politico, facilitasse i rapporti amministrativi fra il territorio romano e le provincie del Regno. Le dogane, i passaporti, le poste, i telegrafi, l'estradiz:one degli imputati dei più gravi reati comuni, il ristabilimento dei Consolati furono altrettanti argomenti sui quali il Commissario Italiano ebbe campo di conversare col Cardinale Antonelli; ma da quei colloqui, sebbene ristretti in modestissimi limiti, non s'ebbero sin qui che pochi ed insignificanti risultati.

Le nostre relazioni coll'Austria sono sempre più soddisfacenti e ne abbiamo avuto una prova nella facil1tà colla quale venne condotto a termine l'incidente spiacevole occorso alla pirofregata .italiana la «Formidabile», mentre questa avvicinavasi al porto austriaco di Gravosa. Da una batteria di terra le &a stato tirato un colpo di ca.nnone a palla al momento in cui forzatovi dal tempo quel

R. legno si apprestava ad entrare in quel porto. Chiesti i necessari schiarJmenti e ·riconosciutosi essere ciò avvenuto per colpa di chi comandava in quella località, il Governo Austriaco si mostrò disposto ad accogliere d1n ogni punto le nostre dimande e dichiarò ufHcialmente in una sua Nota, diretta al rappresentante italiano in Vienna, che il colpevole era già deferito ai tliibunali per essere punito a norma delle leggi militari dell'Impero e così, mercé le concilianti ed amichevoli disposizioni dei due Governi anche questo incidente fu prontamente condotto a conclusione soddisfacente.

Il Signor Conte di Barrai, ora Ministro del Re a Berlino, è destinato al posto di Vienna e si rrecherà fra breve alla sua nuova residenza. Il Barone Ktibeck, già Inviato dell'Austria presso la disciolta Confederazione Germanica, è giunto in Firenze e fu ammesso a presentare le sue credenziali a S. M. il nostro Augusto Sovrano. Colla nom~na dei due Plenipotenziari le nostre relazioni diplomatiche coll'Impe•ro d'Austria sono ristabilite nelle migliori condizioni possibili.

Chiamando l'attenzione dell'Europa sulla situazione dei Oristia·ni d'Oriente, gli ultimi rivolgimenti di Candia hanno attribuito alle val"lie vertenze sin da prima pendenti un particolare carattere di gravità e fecero sì che le Potenze dovessero prendere un atteggiamento più o meno dedso e definitivo a fronte delle possibili maggiori complicazioni delle quistioni orientali.

Discioltasi la Conferenza di Parigi a seguito delle dichiarazioni fatte dal Plenipotenziario Russo, le Potenze fkmatarie del Trattato del 1856 non ebbero campo di pronunziarsi collettivamente sui fatti compiutisi nella Rumenia a seguito de' quali per voto popolare era stato eletto a Principe di quel paese S.A.R. il Principe Carlo di Hohenzollern con eredità diretta ne' suoi discendenti. La

S. V. non ignora che fra la Porta Ottomana ed il Principe Cado intervennero dippoi trattative dirette per effetto delle quali il P·rincipe venne riconosc·iuto dal Sultano ed ebbe un solenne Firmano d'investitura.

L'azione diplomatica che l'Italia esercitò durante queste trattative si conformò costantemente ai sentimenti di naturale simpatia che professiamo per tutto ciò che può avviare .allo sviluppo progressivo e pacifico delle va:rie nazionalità cristiane. Benché le nuove istituzioni della Rumenia modificassero sostanzialmente quanto era stato convenuto a Par[gi pell'ordinamento dei Principati di Moldavi:a e Valacchia, tuttavia il Firmano Imperiale che sanzionava quei mutamenti fu accolto senza obbiezioni da tutte le Potenze garanti allorché la Sublime Porta loro ne fece separata comunicazione. Se non che lo stesso accordo non sembrò potersi ugualmente ottenere quando si trattò di aderire al Firmano e riconoscere il nuovo ordine di cose in forma collettiva. La Russia che aveva prima d'ogni altra riconosciuto il Principe e fatto pervenire a Costantinopoli un suo atto di esplicita adesione, respingeva assolutamente la proposta di alcune altre Potenze tendente a riunire in Parigi la Con

20 -Documenti diplomatici -Serle I -Vol. VIII

ferenza allo scopo di sanzionare gli atti che aveano creato l'attuale ordinamento della Rumenia. Uno scambio di idee fra i Gabinetti cointeressati nella questione condusse ad un componimento. Ader:,rono cioè i vari Governi, i quali non avevano ancora compiuto la formalità dell'atto di riconoscimento, al progetto di presentare a questo effetto una loro nota identica, ma separata, alla Sublime Porta. I rispettivi rappresentanti a Costantinopoli ·ricevettero diggià le necessarie istruzioni al riguardo e per tal modo gli ultimi atti concernenti i Principati Uniti ebbero essi pure la sanzione delle Potenze garanti il concerto delle quali fu mantenuto nella sostanza, se non nella forma, anche in questa occasione.

Un'agitazione assai grave regna da alcun tempo in Serbia ove tuttora è pendente una quistione che pelle sue possibili conseguenze ebbe già a preoccupare i Governi interessati al mantenimento de1la pace in Oriente. Per effetto degli accordi del 1862 la Turchia conserva ancora il diritto di presidiare la fortezza di Belgrado ed altre di minor conto poste entro i confLui del Principato. Sul finire d'Ottobre dell'anno passato il P:r.ncipe Michele in una sua lettera al Gran Vizir si fece a chiedere l'evacua~one completa del temtorio Se1rbi:ano dagli Ottomani e la dimanda concepita in termini convenientissimi e fondata sovra buone mg.~oni ottenne l'appoggio più o meno esplicito di tutte le Potenze. L'a?ione diplomatica de' vari Gove'l"ni non si eserclitò collet1Jivamente i:n questa circostanza. L'Austria più dell'altre Potenze interessata a mantenere la tranqullUtà nei paesi turchi a lei finitimi, consigliò la prima a Oostantinopolii. l'adesione completa alla dimanda d'evacuazione fatta dal Pl1incdJpe Michele. Benché lo stesso diretto interesse non ci muovesse, tuttavd:a anche da parte nostra non mancarono consigli al Governo deil Sultano perché coùl'evacuazione delle fo:rtezze Serbiane fosse tolta di mezzo una causa di gravi dJsstdi. L'ItaJ:i:a che già nel 1862 avea suggerito nelle Conferenze il principio di una ·soJUZiione definitiva di questa quistione, ha potuto ora che l'esperienza ne ha dimostrato la necessità, tenere un linguaggio temperato si ma preciso ed espd'icito senza d:scostarsi dalla linea precedentemente seguita dalla sua poUtic,a. Noi d·esi!deriamo le progressive pac.ifiche transazioni ope'l"ate coll'accordo compl,eto di tutte le Potenze cointeressate.

Anche in s.~ria si produssero in questi ultimi tempi fatti d'tmportanza sufliciente perché '}e Autorità Ottomane di quella locaJità sti.masse~~:o dover chiamare a consiglio i rappresentanti Consolari d'Austria, Franctia, Inghhlterra, Prussia e Russia residenti ·in Bairouth. Il R. Console :italiano non fu invitato ad inte:rvenire alle adunanze convocate dal Governatore del Libano, onde il Governo del Re, non !stimando dover rinnovare le proteste già fatte ailtra volta per tale esclusione, si limitò a confermare il v·alore deihle sue dichia<raziom precedenti ed espose alla Sublime Porta dover egli inscrivere il nuovo fatto fra quelH pei quali il Governo Ottomano sembra voler egli stesso dis:truggere ll concerto ·europeo che ne ha guarentito :l'integrità territoriale. Nel tempo steSISO il Console ItaLiano 1n BaArouth ebbe istruzioni di dove'r mantenere ilil ogni circostanza integro H nostro diritto di prender parte agl1 atti internazionali che concernono il Libano.

Dai documenti pubblicati nel libro verde stato presentato a1l'apl'irsi della presente sessione al Parlamento Nazionale, Ella ha potuto vedere quale contegno assunse il Governo Italiano a fronte degli ultimi rrivo•lgimenti di Candia.

Le istruzioni date posteriol'mente ai Comandanti delle RR. navi in stazione nelle acque di quell'isola furono costantemente dirette ad assocda;re Ja bandiera nazionale ad ogni atto di umanità. Sino dai primi g1iorni ·in cUli venne dichiarato il blocco di Candia dalle forze di mare della Turchia, noi ebbimo a sostenere gravi discussioni peT abusi commessi dagli incrociatori Ottomailli, compiuti a danno della nostra navigazione mercantlle.

L'incidente più gmve fu quello occorso al piroscafo nazionale «Principe Tommaso » il quale, aggredito in mare l'ibero da due fregate turche, ebbe a soffrrire danni rilevanti. La SubHme Porta alla quale la R. Legazr'one di Costantinopoli presentò viV'i richiami, finì coll'accondiscendere alle nostlre giuste dimande e, dichiaratoci in una sua nota utllciale che ordinli seved sarebbero dati agli incrociatori pella stretta osservanza dei diritti dei naV'igantJi stranieri, ha provveduto a che un saluto di riparazo"one venga fatto alla nostra bandiera in Candia ed ha riconosciuto 1J. principio di Ullla conveniente -indennità da accordarsi alla Compagnia proprietaria del Piroscafo danneggiato sulla quale indennità si convenne poi di accettare il giudizio di un arbitro sce.Ito di comune accordo.

I principii che guidarono la politica italiana in Or.iente accrebbero le simpatie delle popolazioni Cristiane de11a Turchia verso il nostro paese. Il Governo del Re ne ebbe ripetute testfmonianz;e ·in questi ultJilrni tempL In parecchie località le rappresentanze Consolari d'Ltalla furono oggetto di simpatiche viV'issime dimostrazioni per parte deLle Colonie Greche ed anche nelle provirncie stesse costituenti il Regno Ellenico la nostra .influenza e pos!izione crebbero assai d'ilmportan2'la.

Rendendo omaggio ai sentimenti della na:?Jione, S. M. il Re di Grecia ha deciso ed il Padamento Ellenico ha votato nnvio di una missLone diplomatica permanente in Firenze. Il rappresentante del Re Giorgio troverà in Italia per pa.rte del Governo ·e della Nazione .le migliori accoglienze.

Anche col Regno di Virtemberga le nostre re~azioni diplomatiche si fecero più intime. Il Barone di Ow venne acc.reditato in quwl•ità di Inviato straordinario e Ministro Plenipotenziario presso la Real Corte ed il Conte Greppi è stato dest:.nato da Sua Maestà per ·rappresenta!re nella medesima qualità il Governo Italiano presso H Re di Virtemberga.

La missione del Duca di Rivas nuovo Inviato di Spagna in Firenze fu già segnata da un risultato soddisfacente. La veTtenza da molto tempo pendente fra il Governo Italiano e lo Spagnuolo pella conseg·na degU Archivi Napoletani, poté finalmente essere condotta a term'ne e la S.V. da apposita mia Circolare (l) già venne informata del contegno ch'Ella deve se'rbare pell'esecuzione del componimento occorso fra i due paesi.

La lotta che arde tuttora nel Sud dell'America fra il Brasi'le e le due Repubbliche 1l'Argentina ed Orientale, da una parte ed hl Paraguay dall'altra riesce di non poco nocumento alle estese nostre relazioni mercantili ed agli

interessi rilevanti della navigazione italiana in ·quei paesi. Nel bomba~damento di Paysandù, operato dal naviglio brasiliano, parecchi italiani ebbero a soffdre perdite pelle quali rivolsero dimanda d'indennizzo al Governo de~ Brasile. Ritenendo che quel bomba,Tdamento non si possa annoverare fra i fatti di guerra che la necessità giustifica noi inclinavamo a credere che il Brasile fosse tenuto a risarcire i danni recati dalle sue navi. Cionondimeno l'Inghilterra essendosi dimostrata d'avviso contrario, e la Francia, la Prussia, il Portogallo e la Spagna a;l pari di noi interessate non essendosi ancor messe d'accordo sulla linea di condotta che conviene seguire in questa circostanza, noi eredemmo dover per ora soprassedere ad ogni definitiva risoluzione al proposito.

Consimili di.mande erano state da noi sporte alla Spagna a seguito del bombardamento di Callao, ma l'Inghilterra, gli Stati Uruti e la Svizzera dichiararono che, a loro avviso, era quello un fatto di guerra legittimo e •regolare e non trovarono perciò fondati i richiami dei loro danneggiati. Per effetto di siffatte dichiarazioni rimasero un poco rallentate le praUche da noi già intavolate col Gabinetto di Madrtd allo scopo di ottenere un risarc:mento a quei RR. sudditi che ebbero a soffrire in Callao danni di qualche rilevanza. Anche la guerra che dura da tanto tempo fra la Spagna e ie Repubbliche Americane del Pacifico C•rea complicazioni ed imb!l!razzi gravi al nostro .traffico ed è un ostacolo grandissimo allo sviluppo tanto desiderabile delle nostre relazioni mercantili con quei paesi. L'Italia non può vedere che con sommo suo rammarico che alcune di quelle Repubbliche abbiano sin qui ricusato di ascoltare le trattative di mediazione tentate da alcune Potenze eua:-opee e dagli Stati Uniti d'America perocché un componimento è pur necessario si trovi a quelle contese e la pace, da tutti desiderata, è ormai richiesta imperiosamente dai bisogni i più urgenti del commercio di quelle contrade. Sventuratamente il Governo deUa Repubblica Orientale mootrasi tuttora ritroso a soddisfare i nostri giusti richiami sull'antica verte·nza de' crediti italiani. Ma U R. Governo è deciso a non tollerare più oltre un siffatto stato di cose e a prendere senza ulte'l'iore indugio le misure richteste dalla dignità nazionale e dagli interessi de' nostri conc!i.ttadini dimoranti al Plata.

Interessi italiani assai gravi sono impegnati nei paesi che formano la Confederazione di Venezuela. La legazione stabilita a Camcas ebbe nel breve periodo di tempo dacché è instituita ad occuparsi di varie imp<Jrtanti quistioni riguardanti le nostre emigrazioni ed i crediti del commercio italiano verso il Governo della Repubblica. Purtroppo le emigrazioni nostre alle quali n concorso di una nostra Società nazionale che avea ottenute larghe concessioni dal Governo di Venezueìa sembrava promettere !i mig.Uori risultati non produssero quegli effetti che si speravano. n Governo del Re fu costretto a dichiarare lo scioglimento della Società d'emigrazione tosto che vide ritornar vano ogni suo sforzo per impedire gli abusi e gli !inconvenienti che si producevano e per mantenere nndispensabile sua sorveglianza sovra gli atti di quella associazione.

Con una Convenzione delli 23 aprile 1866 il Governo Venezue·lano ha riconosciuto definitivamente i credtti degLi italiani e l'ammontare ne venne stabilito ad 1.600.000 Ure per comune accordo fra di due Gove.rni. Sperasi che fra breve anche questa vertenza sarà finalmente condotta a term1ne mediante il pagamento di quella somma.

(l) Di tale lettera, in data 14 febbraio, conservata In AVV, si pubblica Il brano seguente:

(2) Qualifica del destinatario.

(l) Non pubbllcata.

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IL CONSIGLIERE DI STATO, TONEILO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

Roma, 17 febbraio 1867.

Dopo il mio colloquio con il Cal'dinale Antonel1i del 13 corrente del quale diedi ragguaglio col mio dispaccio dello stesso giorno (l) non essendo rimasto ben tranquillo sui fatti concernenti la provvista delle paf!l"occhie di Milano, tanto più che H Cardina,le nulla aveva saputo dirmi intorno ai medesimi, e che nel frattempo avendo conferito con Mons':gnor Prevosti Deputato del Capitolo Cattedrale di detta città qui venuto, aveva risaputo la prima origine di essi doversi a.ttr.ibuire a certe ingerenze nell'Amministrazione della Diocesi, le quali Monsignor Ballerini voleva indirettamente attrl:buksi, io mi decisi di tornare nel successivo giorno 14 dal Cardinale per esporgli Ja condizione delle cose, e trarne argomento ad instare vivamente perché si volesse tronca:re il male alla radice coll'addivenire senza ritardo a.Ila tanto deside.rata nomina del Titolare a quella Diocesi importantissima, e coll'accettarsi per la medesima il degnissimo prelato proposto dal Governo, e che non poteva a meno di essere accetto anche alla Santa Sede, Monsignor di Ca'labiana Vescovo di Casale. Pel Ballerini poi avendo inteso da qualche prelato influente, che proponendolo per qualche sede non molto lontana da Roma, e massimamente di quene, che sebbene di non molta importanza solevano coprirsi da Cardinali, la proposta sarebbe probabilmente accettata dalla Santa Sede, mi risolsi ad indicarlo per Osimo, una delle vacanti che si trovava appunto in tali condizioni. Le mie proposte fatte con molto calore parve trovassero favorevole accoglimento presso il Cardinale AntoneUi, 11 quale mi disse ne avrebbe prima parla:to a Sua Santità, e se come credeva fossero state accettate, si sarebbe subito scritto ai due prelati per l'occorrente interpellanza sull'accettazione. Ciò le spiegherà il motivo del mio telegramma dello stesso giorno 14 (2), col quale chiedeva se il Governo approvava

o non siffatta combinazione, richiesta alla quale giunse rtosto risposta affermativa. Premesse tali dilucidazioni, Le riferirò ora 11 ·risultato del nuovo colloquio che, secondo l'inteso, ebbi jeri sera col Cardinale Segretario dd Stato.

Egli mi disse, che il Santo Padre aveva aderito alla destinazione di Monsignor di Calabiana a Milano, ma che non vi era più stato tempo sufllciente per iscrivere ed averne risposta in modo da poterlo comprendere fra le nomine del prossimo Concistoro; e che perciò era necessi·tà aspettare sino al Concistoro, che fra poco deve succedere al primo.

Intanto il concerto preso per Milano si ritiene così fermo, che fui auturizzato ad enuncia,rlo a chi potesse occorrere, onde provvedere alla tranquillità di Milano, tacendo però naturalmente il nome del nominando. Ed io essendomi valso di questa facoltà con Monsignor Prevosti, vidi che la notizia fu accolta colla più manifesta soddisfazione.

Non voglio tralasciare di avvertire, a proposito della Diocesi di Milano, che il Cardinale mi notificò aver testé Monsignor Corti scri:tto al Santo Padre pregandolo, in vista di questi concerti che si stavano trattando, a non voler pensare a veruna traslocazione di Lui ,tuttoché onorifica, perché egli ad ogni modo non l'avrebbe potuta accettare.

Per Monsignor Ballerini mi riferì, che tutto ben considerato, la sede di Osimo non era sembrata adattata; e che :non potendosi del 'pari accogliere convenientemente le altre progettate destinazioni, il Santo Padre era tornato alla prima idea già stata da noi proposta, di accorda,rgli cioè la pensione che già aveva Monsignor Caccia Vescovo di Famagosta, riservandosi poi la Santa Sede di pensare a dargli qualche altro ufficio, il cui provento unito alla pensione possa somministrargli un sumciente e decoroso trattenimento.

Monstgnor Benini Vescovo di Pescia proposto ed interpellato per l'Arcivescovado di Siena aveva ,risposto non poter acce,ttare per ra,gioni, che escludevano la speranza di poter adoperare emcace persuasione in contrario. Questo il Cardinale me lo aveva già fatto presentire nell'ultimo nostro colloquio del 14; epperciò, dovendo quella sede lasciarsi V3!Cante il meno possibile, io mi era già preparato un successore da proporre nella persona di Monsignor Traversi Vescovo di Massa Marittima, che nelle informazioni trasmessemi sugli attuali prelati di Toscana trovai il megUo notato, e che trovandosi già vicino coll'attuale sua Diocesi a Siena, avrebbe anche potuto conservarla in amministrazione, non essendo essa tale da meritare una nuova nomina. Il Cardinale a cui feci tale proposta ne prese nota e dal canto suo avendo avuto pensiero eguale al mio, teneva pure in pronto il nome di due nuovi Candidati che mi propose, e sarebbero Monsignor Paoletti Vescovo di Montepulciano, o Monsignor Targioni Vescovo di Volterra. Dei due è per fermo preferibile il primo a quanto mi consta; ma ad ogni modo per trattare ulteriormente, e concludere su questo punto, aspetterò le istruzioni che vorrà impartirmi il Governo.

Mi disse il Card'nale, che anche il Padre Anselmo da San Luigi Gonzaga avrebbe declinata la sua nomina al Vescovado di Grosseto, mi soggiunse però, che avevano ancora speranza di poterlo indurre ad accettarla.

Altre rinuncie finora non erano pervenute.

Significai al Cardinale l'accettazione per parte del Governo dei cinque candidati indicati nella nota ministeriale dell'll corrente, cioè dei Sacerdoti Sciandra, Formica, Savio, Galletti e Colli; ci riservammo per altro prima di passare alla scelta delle sedi per ciascuno di essi, che fossero giunte le informazioni, che il Cardinale aspetta di giorno in giorno per Ghiringhello, e qualche altro dei primi proposti dal Governo, amnché questi in caso di esito favorevole non restassero pregiudicati. Quando le informazioni sul Teologo Ghiringhello fossero appaganti per la Santa Sede, pare che non si farà più dinlcoltà alla di

Lui nomina alla Sede di Pavia, in ~:>sti:tuzione del preconizzato Monsignor Ferrè da destinarsi a Casale.

Il Canonico Virdis Vicario Capitolare di Bisarcio essendo da entrambe le parti accettato, io lo proposi per la sede di Arnpurias e Tempio, altra di quelle di Sardegna date in nota per provvedersi. La proposta venne senza difficoltà accettata.

Mi era già stato parlato dal Garcrnale del Vescovo di Poggio Mirteto in Sabina, il quale si trova affatto sprovvisto di mezzi di sussistenza, inquantoché la Mensa che consisteva quasi esclusivamente in decime, colla soppressione di queste si è dileguata. Io aveva detto potersi quello trasferire ad alcuna delle viciniori sedi vacanti dell'Umbria, ed aveva ad esempio indicato Foligno. Tornatosi ora su tale argomento si ritenne che la destinazione a Foligno sarebbe appunto la p:ù conveniente, lasciandosi, ben inteso, vuota la sede di Poggio Mirteto, che potrà darsi in amministrazione ad altro dei Vescovi più vicini.

Soggiunse per altro il Cardinale, che anche l'attuai Vicario Capitolare di Foligno Monsignor Franchini essendo persona degna di molti riguardi, la Santa Sede lo vedrebbe volentieri destinato alla Diocesi vacante di Macerata.

Anche su questi due progetti prima di progredire io aspe·tterò di conoscere le intenzioni del Governo.

Il Cardinale mi diede in nota due nuovi nomi a studio, accennando che potrebbero tenersi presenti per le provviste alle sedi delle provincie Napoletane. Essi sono Monstgnor Guadalupi residente in Roma, ed il Padre da Rignano, sui quali non mi fornì pel momento alcun'altra maggiore indicazione. Se io potrò qui raccogliere qualche cosa non mancherò di ragguagliarne prontamente il Governo, il quale dal suo canto vedrà anche se potrà informarsene (1).

Sua Eminenza infine mi ricordò, che gli Episcopii di molte Sedi, alle quali ora dopo un lungo intervallo si provvede, o verranno ammessi, secondo le intelligenze i preconizzati, saranno mancanti di non poche delle cose necessarie; epperciò si raccomandò perché il Governo fosse sollecito a dare i provvedimenti richiesti dal bisogno, ed anche perché i Vescovi entrando in Diocesi, oltre al decente alloggio trovassero qualche fondo disponibile per trarsi innanzi sino alla maturazione dei frutti deH'annata in corso. Io gli promisi che ne avrei fatta al Governo premurosa istanza.

Lasciati gli argomenti religiosi il Cardinale entrò a parla·mni degli accordi relativi alle corrispondenze postali. Fin dall'ultimo nostro convegno del 14, egli fil aveva fatto leggere un rapporto indirizzatogli dal Ministro delle Finanze e concernente le basi da noi proposte; nel quale notai che queste erano in gran p::trte accettate, e ·Che sopra qualche punto soltanto si proponevano modificazioni. Egli mi disse per altro allora, e mi ripeté jeri sera, che trattandosi di cose tecniche era meglio, che le due Direzioni Superiori delle poste discutessero, e

[Nota del documento].

s'intendessero direttamente. Sarà bene quindi che se la Direzione Pontificia tardasse ad entrare con quella del Regno in quelle comunicazioni, che il Cardinale già più volte mi promise, ne prenda la nostra stessa l'iniziativa.

(l) -Cfr. n. 185. (2) -Non pubblicato.

(l) Prima di spedire la presente Relazione ho saputo che il l" si chiama Domenico Guadalupl prelato aggiunto alla Sacra Congregazione del Concilio per ricevere ed esamina;:e le Relazioni, che gli Ordinari! danno sullo stato delle loro Chiese. Ed il 2° è denominato Padre Antonio Maria da Rignano ex-procuratore generale del Minori Osservanti addetto pure a Varie Congregazioni.

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IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, ALL'INCARICATO D'AFFARI A COSTANTINOPOLI, DELLA CROCE

T. 84. Firenze, 19 febbraio 1867, ore 20,40.

Veuillez vous associer au ministre de Prusse en tout ce qu'il fera pour appuyer les démarches de la Russie, de la France et de l'Angletene pour obteniT que la Porte ottomane permette aux navires étrangers de contribuer au sauvetage des fami:lles candiotes.

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IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DI GRAZIA E GIUSTIZIA E DEI CULTI AD INTERIM, RICASOLI, AL CONSlGLIERE DI STATO, TONELLO (Ed. in Carteggi Ricasoli, vol. XXV, pp. 290-291)

Firenze, 19 febbraio 1867.

L'interinale reggenza affidatami dalla Maestà del Re del Ministero di Grazia e Giustizia e dei Culti, imponendomi di rispondere al gradito rappo·rto della

S. V. Onorevolissima in data del 17 di questo mese (1), mi procura la opportunità d'esprLmerLe la mia piena soddisfazione per la solerzia e prudenza, con che Ella si va sdebitando dell'arduo incarico che Le fu commesso, e di assicurarLa che troverà in me, come in chi sarà per succedermi, la stessa fiducia, che nel senno e nella dottrina di Lei era riposta dall'egregio commendatore Borgatti.

Ciò premesso, mi è grato dichiararLe, che al Governo tornò lieto l'annunzio dell'accettazione •di Monsignor di Calablana per la sede arcivescovile di Milano: solo gli duole che la preconizzazione di lui non possa seguire nel prossimo Concistoro; ben tiene per fermo che nell'intervallo la Santa Sede PlfOVvederà, affinché si componga la controversia sorta per la provvista delle parrocchie di quella diocesi, e riescano a ·buon esito gli officii a tal fine interposti rosti dal canonico di quella Metropolitana Monsignor Prevosti, sicché sia remosso ogni pericolo che abbia seguito in quella città la risentita polemica suscitata su tale a·rgomento, e che nelle circostanze presenti potrebbe turbare l'ordine pubblico.

Mentre il Governo tiene ad opportuna notizia ciò che Ella riferisce intorno alle pratiche fatte presso il Santo Padre dal Vescovo di Mantova per non essere trasmutato di sede, Ella può dichiarare, che sarà disposto per l'assegnazione a Monsignor Ballerini della pensione attribuita al Vescovo di Famagosta, appena si conosceranno le definitive determinazioni della Santa Sede intorno a quel prelato, le quali dovranno naturalmente promovere l'assunzione di lui alla sede in partibus di Famagosta.

Rincresce al Governo, che Monsignor · Benini vescovo di Pescia non accetti d'essere trasmutato a Siena, e più gli rincresce di non poter annuire che a quella importante sede arcivescovile sianò trasferiti o il Vescovo di Vòlterra o qnello di Montepulciano, i quali in più incontri non ispiegarono né prudenza di consiglio, né temperanza di modi, e si chiarirono aperta;mente aNversi al presente ordine di cose. Or siccome non è possibile che si trasferisca a Siena Monsignor Traversi vescovo di Massa Marittima per la sua grave età di 88 ::tnni, conve·rrà che Ella pigli tempo pe.r fare qualche altra proposta in ordine a quelle istruzioni ch'io sarò sollecito di trasmetterLe.

Attende il Governo che siano recate in a·tto le favorevoli disposizioni della Santa Sede circa la provvista delle sedi. di Pavia e di Casale, per le quali Ella non cesserà d'insistere, come altresì per quella d'Asti nella persona dell'ottimo Monsl:gnor Bernardi sull'appoggio degli argomenti che già Le vennero addotti.

Là proposta di Lei pel trasferimento alla sede di Foli.gno del Vescovo di Poggio Mirteto e per lasciarsi vuota quest'ultima sede viene accolta in pieno buon grado, e potrà essere senza più mandata ad effetto: 11 Governo però si riserva di farLe conoscere i suoi intendimenti circa la destinazione alla sede di Macerata del vicario capitolare di Foligno, come abbia raccolto intorno ad esso gli occorrenti ragguagli. La stessa rìServa fa circa la proposta di Monsi:gnor Guadalupi per qualche sede nelle provincie napoletane, mentre accetta quella del Padre Antonio Maria da Rignano, del •quale ebbe ottime informazioni, ed invita Lei ad assumerne intorno al Padre G:rolamo Priori, Priore generale de' Carmelitani Calzati, costi residente, che fu raccomandato ad autorevoli personaggi.

Dia al Cardinale Antonelli le più formali assicurazioni; .che il Governo disporrà immed:atamente dopo la preconizzazione de' nuovi Vescovi, acciocché i loro episcopii siano decentemente provveduti del necessario e venga loro fatto un conveniente assegno per sostenere le spese d'insediamento a norma delle discipline vigenti in proposito.

Il Governo attende che circa il Concistoro Ella gli faccia le intese comunicazioni, e per ogni altro particolare riposa ..nella sperimentata di Lei saviezza.

Il Ministro dei Lavori Pubblici sarà avvertito di quanto Ella r:feri circa gli accordi relativi alle corrispondenze postali, affinché la nostra Direzione generale delle Poste prenda, ove sia d'uopo, l'iniziativa deUe prat'che occorrenti.

(l) Cfr. n. 193.

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IL MINISTRO DI PRUSSIA A FIRENZE, USEDOM; AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

(AVV)

L. P. CONFIDENZIALE. Firenze, 19 febbraio 1867.

Ayant communiqué à mon Gouvernement le désir de V. E. quant à I'extradition des condamnés politiques à Rome, natifs des anciennes provinces papales, le Comte Bismarck me fait savoir qu'il souhaiterait vivement pouvoir rendre ce service au Gouvernement Italien.

En conséquence il a transmls au Baron d'Arnim, Ministre du Roi à Rome, l'ordre d'y sonder le terraln et s'il le trouve tant solt peu favorable, d'lntercéder confidentlellement en faveur des indlv:dus en questlon.

197

L'INCARICATO D'AFFARI A COSTANTINOPOLI, DELLA CROCE, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 115. Costantinopoli, 20 febbraio 1867, ore 12,17 (per. ore 5,55 del 21).

La Sublime Porte a décidé abandon de toutes les fortéresses de la Serbie. On attend publicatlon, d'un jour à l'autre, de cette résolutlon dont personne ne connait encore nl la forme ni les détails (1).

198

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AL MINISTRO D'AUSTRIA A FIRENZE, KuBECK

Firenze, 20 febbraio 1867.

Par ma note du 26 Décembre 1866 adressée à M. de Bruck (2) j'ai eu l'honneur de falre connaltre au Gouvernement lmpérlal les noms des Commissaires que le Gouvernement du Roi avait déslgnés à l'efiet de donner exécution à l'article XVIII du traité du 3 octobre (3). J'ignore si de son còté le Gouvernement impérial a falt le choix des personnes qu'il entend déléguér pour cette afiaire. Gomme depuis ma dernière communicatlon à ce sujet le Gouvemement de l'Empereur ne nous en a rlen fa!t savoir, je m'adresse encore à vous, M. le Baron, pour vous prier de soll1citer une réponse auprès de M. de Beust. Vous m'avez exprimé le désir de donner une prompte solution à tout ce qui se rappor,te à l'exécutlon du traité de Vienne. Nous partageons sincèrement ce déslr et nous ne manquerons pas de donner tous nos soins à ce que les articles du traité de Vienne reçolvent le plus tòt possible leur plelne et entière exécutlon. Malntenant je ne peux pas vous cacher, M. le Baron, le prix particulier que nous attachons à la prompte exécutlon de l'artlcle XVIII. Ce n'est pas seulement une quest:on d'lntérets matérlels mais d'affectlons et de traditlons sclentlfiques artistlques Utéralres aux quelles nous tenons grandement. Ce sont des sentlments dont vous comprendrez à coup stlr le caractère et la valeur. C'est donc en toute confiance que je viens vous demander de solliciter auprès de votre Gouvemement la nomina

telegramma.

tion de ses Commissaires, et de nous faire savoir l'époque autant que possible rapprochée, à laquelle les nòtres pourront se rencontrer avec eux pour l'accomplissement de leur mandat.

(l) Con t. 87 del 21 febbraio VIsconti Venosta comunicò a Scovasso Il contenut odi questo

(2) -Non pubblicata. (3) -L'articolo XVIII del trattato di pace con l'Austria riguardava la consegna all'Italia degli Archivi del Veneto.
199

IL MINISTRO A VIENNA, DE B~RRAL, AL MINIS':DRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. l. Vienna, 20 febbraio 1867.

Je suis arrivé ici avant-hier, et ce matin meme j'avais mon premier entretien avec M. de Beust auquel j'ai remis la copie de mes Iettres de créance en le priant de vouloir bien prendre les ordres de l'Empereur pour le jour de mon audience. Je pensais pouvoir étre reçu demain mais la nouvelle inattendue de la mort de l'Archiduc Etienne cousin de Sa Majesté pourra peut-étre retarder de quelques jours ma récéptlon.

Le Baron de Beust m'a accueilli avec beaucoup de bienveillance et m'a rappelé avec amitié nos anciennes relations de Dresde et de Francfort. « Ni vous ni moi, m'a-t-il dit, en souriant, n'aurions pensé l'année dernière de nous retrouver ici». S. E. s'est immédiatement mise ensuite à parler des nouvelles relations politlques récemment inaugurées entre l'Italie et l'Autriche. « L'Empereur, m'a-t-il dit, a été très sensible à l'express:on des sentlments du Roi à son égard que s'est empressé de nous transmettre le Baron de KUbeck. De son còté, Sa Majesté a complètement et franchement oublié tout le passé, et désire vivre dans la meilleure harmonie avec l'ItaUe ».

J'ai interrompu M. de Beust pour lui dire que les sentiments comme les intentions du Roi étaient exactement les mémes et que j'avais été expressément chargé par Sa Majesté de m'en rendre l'interprete auprès de l'Empereur. J'ai ajouté que la cause de discorde qui nous avait jusqu'ici divisés étant disparue nous n'avions plus qu'à nous tendre la main et à penser au développement des intéréts réciproques des deux pays.

« C'est tout à fait la manlère de volr du Gouvernement Impérial, m'a répondu M. de Beust. Seulement il y a encore deux sujets, je ne diTais pas de trouble, mais slmplement de tiralllement qu'il importerait de faire disparaitre le plus tòt possible. Je veux d'abord parler de la rest'tution de la fortune privée des Archiducs autrichiens en Italie ainsi qu'elle a été convenue par le Traité. Leurs Altesses Impériales s'adressent à chaque instant à l'Empereur pour obtenir la fin de cette affaire, et Sa Majesté se trouve fort embarrassé de leurs répondre d'une manière cathégorique. Je sais bien que dans cette occasion vous devez tenicr compte de certaines nécessités parlementa'res, mais je crois aussi qu'il y aurait moyen de hàter une conclusion définitive. L'autre point sur lequel je désire appeler Votre attention se rapporte aux troubles qui viennent d'avoir lieu dans le Tyrol et qui sont fomentés par des excitations venant de certaines villes de votre frontière. Nous sommes bien convaincus que Votre Gouvernement n'entre pour rien dans les mouvements révolutionnalres auxquels nous avons dO. répondre par la proclamatlon d'un quasi état de siège, mais peut-etre pourrait-il y porter un rémède décisif en donnant à sa désapprobation une forme plus accentuée ».

Je me suis borné à répondre à M. de Beust que je ne manquerai pas de signaler à l'attention de mon Gouvernement ces deux dernières causes de tiraillements et je m'accquitte avec d'autant plus d'empressement de cette promesse que, dans ma conviction, il est de notre intéret bien entendu d'en finir d'une façon large et généreuse, telle qu'elle convient à un grand pays, avec tout ce qui tient à la fortune privée des Archiducs autrichiens; et que d'autre part, en ce qui concerne la position du Tyrol, les troubles et les démonstrations sont évidemment les derniers moyens auxquels il faudrait avoir recours pour obtenir la cession d'une Province que, dans les circonstances actuelles, la dignité de l'Autriche ne lui permettrait jamais d'abandonner sous une pareille pression.

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IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AL MINISTRO A PARIGI, NIGRA (AVV)

L. P. Firenze, 21 febbraio 1867.

Vi chiedo mìlle scuse se non ho ancora risposto alla vostra lettera (1). Fui in questi giorni ingolfato nelle faccende del Ministero e delle elezioni. I giornali vi avranno press'a poco posto al corrente dei particolari e la Circolare del Barone Ricasoli del carattere della crisi parlamentare e ministeriale (2). Malgrado le nostre difficoltà interne e il malcontento che ha la causa nel nostro sistema finanziario non ancora ordinato, esperimentato, corretto, le notizie che abbiamo finora sulle future elezioni sono piuttosto buone. Quanto alla politica del Ministero, specialmente negli affari di Roma, essa non è punto mutata o modificata e potete darne l'assicurazione la più formale. Il Governo ha fatto un appello al paese appunto per rimanere fedele al suo programma che è quello di restaurare l'autorità e la stabilità del Governo. È un'opera nella quale le simpatie del Governo francese ci devono incoraggiare a seguire.

Il Governo francese ce ne può dare una prova per toglierei da una grave difficoltà nella quale ci troviamo. Io non saprei, a nome dell'intero Gabinetto, raccomandare abbastanza alla vostra sollecitudine questa questione.

Voi sapete che il 15 del prossimo marzo noi dobbiamo versare al Governo francese gli arretrati del debito pontificio dei tre ultimi semestri. Conosce,te le gravi difficoltà sorte per questo pagamento a Parigi al momento di firmare. La Convenzione, per le più espresse disposizioni dello Statuto, doveva essere approvata dal Parlamento e noi non potevamo fare un pagamento prima di questa approvazione, senza violare lo Statuto. Il Governo francese istesso non

po~va ign_orare e_sser_e questa una assoluta necessità pel Governo col quale contraeva. ~a combinazione allora accettata vi è nota. La somma fu da noi puramente e semplicemente depositata alla cassa dei prestiti e depositi, la quale fece un prestito al Governo pontificio dietro assicurazione del Governo francese. Il termine del pagamento fu nella Convenzione fissato al 15 marzo perché a quell'epoca noi avremmo potuto metterei in regola colle misure legislative delle quali, a termini dello Statuto, avevamo bisogno. Ora essendo stata sciolta la Camera, l'approvazione legislativa per quel termine è diventata impossibile. Il pagamento fatto il 15 marzo sarebbe irregolare, noi saremmo nella necessità di chiedere alla Camera un bill d'indennità, sollevando una di quelle quistioni di costituzionalità che sono sempre nei parlamenti le più difficiU e pericolose.

Lo scambio stesso delle ratifiche, fatto prima del voto del Parlamento, fu una concessione fatta per dare ogni guarentigia maggiore alla Francia, ma d'una regolarità .. assai dubbia. Scambiando le ratifiche andammo fino agli estremi limiti che sarebbero varcati eseguendo il pagamento. Noi desideriamo dunque che il termine sia prorogato dal 15 marzo alla fine di aprile, o meglio ancora, al 15 maggio. Si potrebbe fare un protocollo per ciò. Il deposito nostro rimarrebbe qual'è e se il Governo pontificio ha urgente bisogno di denaro, il Governo francese non troverebbe dilfficoltà ad agevolare una combinazione simile a quella che già ebbe luogo. Io spero che ora che il Signor Rouher è alle finanze si potrà intenderei e venire ad un accordo. Lo spero vivamente perché non so come potremmo uscire diversamente da un così grave imbarazzo. Il Governo francese dovrebbe tanto più acconsentire alla nostra domanda in quanto che, all'aprirsi de' negoziati pel debito pontificio voi avete esplicitamente avvertito il signor Drouyn de Lhuys che la Convenzione doveva essere approvata dal Parlamento.

D'altronde la Convenzione non corre alcun pericolo. Essa era gtà stata discussa negli uffici della Camera, la Commissione era nominata ed eletto il Relatore che aveva presentato il rapporto. Il relatore era Minghetti e il suo rapporto constata che la Convenzione era stata approvata all'unanimità, malgrado che nella Commissione ci fossero tre deputati dell'estrema sinistra.

Vi prego dunque di adoperarvi perché non siano accresciute le difficoltà già gravi del Governo e informatemi dei risultati per telegrafo (1).

(l) -Cfr. n. 173. (2) -Il 17 febbraio v! era stato un rimpasto del Governo. Rlcasoll aveva assunto l'lnterlm del Ministero d! Grazia e Giustizia che fu poi affidato Il 24 marzo a Cordova; Depretls aveva sostituito alle Finanze Scialoja lasciando Il Ministero della Marina che era stato assunto da Biancheri; Correnti aveva sostituito Berti alla Pubblica Istruzione e De Vincenzl Jaclni ai Lavori Pubbllci.
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IL CONSIGLIERE DI STATO, TONELLO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

Roma, 22 febbraio 186?.

Secondo i concerti da me, in conformità degli ordini ricevuti dal Governo, presi colla Santa Sede, e che ho già annunziati alla S. S. Onorevolissima colla

mia nota del 13 volgente febbrajo (1), ho l'onore di parteciparle, che il Sommo pontef1ce in solenne Concistoro tenuto stamane ha fatto la preconizzazione dei prelati indicati nel qui unito elenco alle sedi arcivescovili e vescovili per ciascuno ivi rispettivamente indicate.

Ricevutone oggi stesso dalla Santa Sede medes:ma (2) l'avviso coll'assicurazione che ai nominati saranno prontamente rilasciate le Bolle d'Instituzione secondo la formula intesa, devo colla presente interessare il Governo affinché voglia emanare i provvedimenti opportuni, onde ciascuno di essi possa conseguire il possesso delle temporalità assegnate alla Diocesi alla quale è stato destinato.

Nell'elenco la S. S. Onorevolissima non troverà il nome di Monsignor Benlni Vescovo di Pesc:a che si era concertato promuoversi alla Sede Arcivescovile di Siena, e ciò per le ragioni già da me esposte nella nota del 17 andante (3), né il nome di Monsignor Rossini Arcivescovo d'Acerenza e Matera designato d'accordo per la Sede Arcivescovile di Lanciano, perché non si poterono ultimare in tempo i preliminari occorrenti all'effettuazione di siffatta traslocazione.

Fatte le anzidette nomine, m'incombe pure, secondo l concerti inerentemente agli ordini del Governo da me presi colla Santa Sede, di interessare il Governo stesso per l'emanazione del provvedimenti relativi alla concessione del possesso della temporalità ai prelati, che erano stati già prima preconizzati dal Sommo Pontefice, eccezione fatta di Monsignor Ballerini preconizzato alla Sede di Milano, e di Monsignor Ferrè Vescovo di Crema traslato a Pavia, e conseguentemente anche di Monsignor Macchi, che era stato designato al posto ora tenuto da Monsignor Ferrè in Crema; ed eccettuato pure il Cardinal Guidi preconizzato per Bologna, e Monsignor Benazzi per Borgo S. Dannino. Per questi tutte le trattative sono rimaste pendenti secondo le istruzioni impartitemi dal Governo.

I preconizzati adunque ai quali occorrerebbe di provvedere ritenute le anzidette eccezioni, e la rinuncia emessa da quelli destinati alle sedi di Rimini, Orvieto, ed Osimo e Cingoli (giacché per quello di Loreto e Recanati si ha già perfino la nomina del successore) sarebbero i seguenti:

Il Cardinale Enrico Orfei dalla sede di Cesena promosso a quella di Ravenna. Moretti Monsignor Vincenzo traslato dalla sede di Comacchio a quella di Cesena. Bufarini Monsignor Fedele traslato dalla sede di Ripatransone a quella di Comacchio.

Monetti Monsignor Giovanni nominato alla Diocesi di Cervia.

Andreoli Monsignor Francesco, Vicario Generale della Diocesi d'Anagni nominato a quella di Cagli e Pergola. Micaleff Padre Paolo priore generale degli Agostiniani nominato Vescovo di Città di Castello.

Pettinati Padre Antonio Maria Segretario generale dell'Ordine dei Minori Osservanti nominato Vescovo di Nocera.

ALLEGATO.

Elenco delle provviste fatte da Sua Santità nel Concistoro del 22 febbraio 1867 di Sedi Arcivescovili e Vescovili tra quelle rimaste vacanti in più luoghi d'Italia.

Chiesa Arcivescovile di Torino: Monsignor Alessandro Riccardi, traslato dalla Chiesa di Savona e Noli.

Chiesa Arcivescovile di Sassari: Monsignor Giovanni Battista Montixi traslato da Iglesias.

Chiesa Arcivescovile di Messina: Monsignor Luigi Natoli traslato da Caltagirone.

Chiesa Arcivescovile di Catania: R.P. Abate Don Giuseppe Benedetto Dusmet dell'Ordine di S. Benedetto della Congregazione Cassinese.

Chiesa Vescovile di Sinigallia: R. P. Fr. Giuseppe Aggarbati Procuratore Generale dell'Ordine Eremitico di S. Agostino.

Chiesa Vescovile di Loreto e Recanati: Monsignor Tommaso Gallucci Canonico della Cattedrale d'Imola.

Chiesa Vescovile di Savona e Noli: Monsignor Giovanni Battista Cerruti Prelato Domestico di Sua Santità.

Chiesa Vescovile di Arezzo: R. Don Giuseppe Giusti Canonico della Metropolitana di Pisa.

Chiesa Vescovile di Luni, Sarzana e Brugnato: R. Don Giuseppe Rosati Canonico Decano in S. Maria della Pieve.

Chiesa Vescovile di Grosseto: R.P. Fr. Anselmo di S. Luigi, nato Francesco Fauli, stato Definitore Provinciale e Generale dell'Ordine de' Carmelitani Scalzi.

Chiesa vescovile di Galtelli Nuoro: R.P. Fr. Salvatore Angelo de Martis dell'Ordine Carmelitano dell'antica osservanza, esaminatore del Clero Romano.

Chiesa Vescovile di Ales e Terralba: R. Canonico Don Francesco zunnui Vicario Capitolare di Galtelli Nuoro.

Chiesa Vescovlle di Aosta: R. Canonico Don Giacomo Giuseppe Jans, Vicario Capitolare di Aosta.

(l) Cfr. n. 221.

(l) -Non pubblicato. (2) -In PIRRI, vol. III. p. II, p, 104 è edita parzialmente la comunicazione di Antonelll a Tonello. Ibid., pp. 105-113, è pubblicata o riassunta altra corrispondenza del periodo seguente fra Antonelll e Tonello. (3) -Cfr. n. 193.
202

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI 'VENOSTA, ALL'INCARICATO D'AFFARI A PIETROBURGO, INCONTRI

D. 64. Firenze, 23 febbraio 1867.

M. de Kisseleff vient de me lire une dépéche datée du 29 janvier-10 février par laquelle le Prince Gortchakoff, d'ordre de l'Empereur, nous communique quelles so n t les idées _princi1Jales. du • Cabinet de St. Pétersbourg sur la question d'Orient (1).

S. E. en exprimant l'espoir que nous partagerons ses vues, nous prie d'envisager sa communication comme un appel positif adressé au Gouvemement Italien.

D'un autre còté le Comte de Launay m'a rendu compte de ses derniers entretiens avec le Vice Chancelier qui l'avait initié dans une certaine mesure à la marche· des négociations.

Veuillez, M. le Marquis, remercier le Ministre Impérial des Affaires Etrangéres de cette intéressante communication. Ainsi que M. de Launay a été chargé de ·le lui répéter en maintes circonstances, nous ajoutons un grand prix à entretenir et à rendre méme plus intimes encore nos bonnes relations avec le Cabinet de St. Pétersbourg.

Aussi voyons nous avec une véritable satisfaction que la dépeche précitée énonce des idées générales auxquelles nous nous assoclons en principe, lors méme que nous . réservons n otre liberté de jugement sur les questions de détail qui offrent encore des lacunes. Le Gouvernement Impérial mu par un sentiment de délicatesse vis-à-vis du Cabinet des TuUeries ne s'est pas cru au

. . .

torisé à combler de son propre chef ces lacunes.

Ainsi que je l'ai dit à M. de Kisseleff nous sommes animés des meilleures dispositions en faveur des di:fférentes ·populations chrétiennes placées sous la domination du Sultan. Nous croyons, comme nous avons toujours cru, qu'elles ne peuvent étre satisfaites que moyennant de larges concessions et un système d'institutions protectrices de nature à leur inspirer de la confiance.

«L'ldée principale de S. M. l'Empereur est que la question d'Orient, en s'ouvrant ne compromette pas la paix générale. Notre Augùste Maitre trouve que la meilleure voie pour arr!ver à ce résultat sera\t un accord entre !es Grandes Pu!ssances, et un langage unanime tenu à Constantinople pour obten!r de la Porte des concess!ons sérieuses et de nature à

satisfaire les populations chrétiennes sous la domlnatlon du Sultan.

Nous sommes convaincus que si toutes !es grandes ·Puissances se placent franchement et résolument sur cette voie, la Porte, fln!ssant par comprendre ses !ntérèts vér!tables, ne sauralt réslster. Alors toutes -!es compllcatlons lmmédiates dont la dlsposltlon des esprlts en Orient menace la paix générale, seralent écartées, méme sans l'empio! de presslon matérlelle. Mals la condltlon sine qua non sera!t qu'on ne se contente pas d'un nouveau Batti Houmayoun -li n'a aboutl qu'à des phrases et à des déceptlons -mais que l'autonomie qui seralt assurée aux populatlons ·chrétiennes reposàt sur des garantles qui leur lnsplreralent de la confiance. Sans cette conflance, l'espo!r d'un apa!sement seralt une llluslon. Quelle serait la forme de cet te autonomie et le degré de son extension? Quelles seront !es garanties à offrir aux Chrétiens? Ce sont des questions de détall qu'll ne seralt pas dlfficlle de réglerdu moment où le principe seralt soutenu unanimement à Constantinople par !es grandes Puissances, et admis par la Porte comme une conséquence inévltable.

Nous n'avons rencontré d'oppos!t!on n! à Vienne, n! à Berlln, ni à Londres, encore mo!ns à Paris. Mai li y a des nuances dans le degré de concours, nuances qui ont leur grav!té parce que les prévent!ons et !es !llusions de la Porte ne sauraient étre dom!nées que si elle se sent en présence de la grande Europe unanime. Ces nuances se manifestent surtout à Londres, où le M!nistère actuel n'est pas sur de la durée de son pouvo!r. Il consent à donner !es mémes conseils que nous, il en reconna!t l'opportunlté, mals il écarte jusqu'à l'apparence d'une pressh;m morale.

Malgré ces hésitatlons, nous pensons que si !es autres grandes Cours conviennent d'une att!tude !dent!que, le Cabinet ·.Anglals ne voudra pas s'isoler du moment où il se trouvera en présence d'un de ces fa!ts accomplls devant lesquels il a l'habitude de s'incl!ner.

Les pr!ncipes qui constituent la base de l'existence du Royaume d'Ital!e, ne permettent pas a priori de le supposer défavorable à une oeuvre qui s'accorde avec !es lois de l'équité et de l'humanité. Mais .. il y a· plus, nous avons la certitude des bonnes dispositions du Cabinet de Florence et de son désir de marcher d'accord avec nous. M. le Comte de Launay nous en a donné plus!eurs fois l'assurance, et tout dernièrement li m'a fait la lecture d'une dépeche de M. Visconti Venosta qui accentue ce dés!r de la manlère la plus positive. [Cfr. n. 144].

Nous espérons · donc trouver -le· Gouvernement Ital!en . à nos còtés dans la poursu!te de cette oeuvre où notre Auguste Maitre n'apporte aucune vue personnelle et où Sa Majesté ne s'!nsplre que de sentiments· qui .dolvent ètrP ·communs à tous !es Oouvernements Chrét!ens ''·

Nous partageons complètement l'avis que la meilleure voie à suivre pour atteindre ce résultat serait en effet celle de combiner entre les puissances dégagées -comme chacune d'elles le déclare -de toutes vues personnelles un langage unanime et méme coUectif à Constantinople afin d'y obtenir des concessions propres à contenter d'une manière équitable les populations chrétiennes. On écarterait, du moins, alors le danger de complication imminentes dont l'Europe a le droi-t et le devolr de se préoccuper en tout état de cause, mais surtout quand le besoin de la paix se fait de jour en jour plus universellement sentir.

La situation dans le Levant est déjà assez grave pour que les Puissances ne tardent pas à donner d'un commun accord à la SubUme Porte des conseils sérieux et de nature à la convaincre qu'il y a péril en la demeure.

Notre manière de voir nous permet donc de répondre sans hésiter à l'appel

que le Prince Gortchakoff vient de nous faire.

Sans perdre de vue l'ensemble des intéréts des races chrétiennes nous serions aussi enclins à émettre un vote favorable à l'agrandissement territorlal du Royaume Hellénique. Cette extension en lui assurant des conditions durables de vitalité et de progrès pacifique permettrait désormais à ce pays de vivre par lui méme après avoir traversé tant d'ép:reuves et empécherait le retour de crises périodiques.

Quant à la Serbie le Gouvernement Impérial sait déjà que nous avons conseillé l'évacuation -y compris Belgrade -de tou1Jes les fortéresses encore occupées par des garnisons turques et nos renseignements nous permettent de croire que la résolution de déférer à la demande du Prince Miche! et aux conseils des Puissances a été déjà adoptée en principe par la Porte.

Le Prince Gortchakow vena, nous l'espérons, dans ces explications notre intention de marcher d'accord avec le Cabinet de S. M. l'Empereur.

Nous attachons ,beaucoup de prix à continuer un échange de vues avec le Cabinet Impérial de Russie dans le but d'obtenir, conformément à ses voeux et à ses désirs, une entente générale. Cette entente serait à la fois une condition de plus pour Ies chances de succès et un gage du maintien de la paix à laquelle l'Italie comme les autres puissances est si vivement intéressée. Sous ce rapport il n'est pas besoin d'ajouter que pour conjurer le péril d'un conflit aux proportions rédoutables il ne faudrait pas ramener les choses à cet état vague et indécis où elles flotta:ent avant l'explosion du mouvement de Crete. Nous insisterons donc pour une solution essentiellement pratique.

Si nous réservons notre liberté d'appréciation sur les combinaisons qui doivent amener ce résultat et sur lesquelles la Russie au reste ne fait point encore d'ouvertures bien précises c'est que nous pensons aussi qu'il importe avant tout de soutenir unanimement à Constantinople la nécessité et l'urgence de larges concessions.

Je Vous prie de donner lecture de cette dépéche au Prince Gortchacoff qui voudra, je l'espère, y voir une preuve de l'empressement que nous mettons à répondre à l'initiative amicale que son Gouvernement à bien voulu prendre vis-à-vis de nous (l).

21 -Documenti diplomatici -Serie I -Vol. VIII

(l) Si pubblica qui un brano di tale nota:

(l) Con d. 212 del 27 febbraio Nigra fu informato del contenuto di questo dispaccio.

203

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DI GRAZIA E GIUSTIZIA E DEI CULTI AD INTERIM, RICASOLI, AL CONSIGLIERE DI STATO, TONELLO

Firenze, 23 febbraio 1867.

Son lieto di significare alla S. V. Onorevolissima che si ebbero favorevoli

riscontri intorno a Monsignor Franceschini, vicario capito-lare della diocesi di

Foligno, di guisa che nulla osta da parte del Governo del Re perché sia no

minato alla sede vescovile vacante di Macerata.

Quanto alla sede arcivescovile di Siena, Ella vorrà proporre che vi sia assunto o il sacerdote Domenico Danesi, canonico di quella Metropolitana, o il Sacerdote Francesco Bertini, parroco di quella città, avvertendo che ambidue sono compresi nelle due terne rassegnate al Governo da quel Municipio in ossequio alla consuetudine antica, ond'era concesso un tal diritto alla Balia dei Priori, a cui succedette il Municipio; consuetudine che il Governo stimò conveniente rispettare ed avvertendo altresì che si preferirebbe il secondo per retà sua più valida.

Ella vorrà altresì tener presente il sacerdote Francesco Napoli, canonico della Metropol1tana di Salerno, per qualche sede vescovile nelle provincie meridionali, e segnatamente per quella di Diano, il cui titolare, Monsignor Domenico Fanelli fu proposto per la traslazione a qualche sede arcivescovile.

Gioverà che Ella affretti i concerti per la provvista di tutte le altre sedi, ch"è ne' propositi del Governo di riempire, affinché 1a sua missione possa aver compimento e siano preparate le preconizzazioni del successivo Concistoro. In ispecie studierà modo di ottenere che siano accettati i candidati del Ooverno per quelle sedi, circa le quali già Le furono fatte raccomandaz:oni particolari, e segnatamente per quelle di Asti, di Pistoia e di Girgenti.

Monsignor Arcivescovo di Genova dura nel proposito di rinunciare alla Sede, e lo ha annunziato anche al Governo. Ella insisterà nella proposta di surrogarlo con Monsignor Renaldi, vescovo di Pinerolo, al quale potrà ora, se lo crede ancora opportuno, indirizzare il consaputo officio, perché si conduca costì, tenendone altresì discorso col Santo Padre e col Cardinale Antonelli. Ove accadesse che il Vescovo di Pinerolo fosse trasmutato a Genova, sarebbe intenzione del Governo di promuovere la riunione di quella sede vescovile con la prossima di Susa, lasciata facoltà alla Santa Sede di designare la residenza del titolare.

Reputo opportuno inviarle un elenco di quelle sedi (1), che in capo a matura deUberazione si vorrebbero lasciar vacanti, perché Ella ne pigli indirizzo ne' discorsi che Le accadesse di tenere in proposito e possa esplorare su tale so.ggetto le intenzioni della Santa Sede. Nell'elenco è un cenno de' motivi pe' quali le indicate sedi non sarebbero da riempirsi; motivi a cui Ella vorrà dare il conveniente appoggio.

Le sarò grato, se si compiacerà di trasmettermi una nota delle Sedi, intorno aJle quali si sono già presi i concerti pel secondo Concistoro, fra cui spero che saranno comprese quelle di Milano, di Pavia e di Casale.

(l) Non rinvenuto.

204

IL CONSIGLIERE DI STATO, TONELLO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

Roma, 23 febbraio 1867 (per. il 24).

Jeri ebbe luogo il Concistoro, nel quale Sua Santità prima di preconizzare i Vescovi già indicati nella mia di jeri sera (l) ed altri di varie nazioni, tenne l'Allocuzione che la S. V. Onorevolissima troverà riferita nel qui unito foglio del Giornale di Roma (2).

Dovendo io nella sera stessa, secondo l'inteso, recarmi dal Cardinale Antonelli, ed avendo pochi momenti prima potuto leggerne U testo, moss1 innanzi tutto viva lagnanza al Cardinale per ciò che si conteneva nella detta Allocuzione, inquantoché io lo trovava in contraddizione con quello che mi era stato esplicitamente promesso, che nulla vi sarebbe stato di disgustoso m allusione alle cose politiche d'Italia. Aggiunsi che tanto più le cose dette mi sembravano fuori di posto, inquantoché cadevano in un momento, nel quale il Governo faceva ogni possibile per la conciLazione, esponendosi anche per ciò ai più fieri attacchi. Dissi anche essere sommamente dispiacevole, che in simile occasione si facessero pronunciare da Sua Santità cose contrarie al vero, quali erano le frasi r.guardanti le Monache, non essendo queste, conformemente al disposto della Legge, state punto impedite dal risiedere ne' Monasteri; e quali erano eziandio le lagnanze fatte nella difficoltà di accordarci sulla scelta delle persone, avendo io quale organo del Governo sempre mostrata la più grande arrendevolezza. Conchiusi quindi che non sapeva quale risoluzione avrebbe presa il Governo in seguito a questi fatti.

Il Cardinale con moltissima cura si studiò di calmarmi, e di scusare quello che era stato detto nell'Allocuzione asserendo che nulla v'era in essa propriamente di politico, ma soltanto un qualche cenno dello stato materiale delle cose ecclesiastiche in Italia, dal che il Sommo Pontefice non aveva potuto dispensarsi in segu:to ai lamenti che aveva anche recentemente ricevuti dai Vescovi; epperciò credeva che l'occorso non dovesse impedire il seguito delle nostre trattative.

In riprova poi di quanto mi aveva accennato sulle continuate lagnanze dei Vescovi, una me ne accennò del Cardinale Arcivescovo di Ferrara, il quale faceva conoscere alla Santa Sede, che in seguito alle operazioni fatte dal Governo circa la propria Mensa egli si trovava con questo risultato, di avere Lire 28 mila di rendita, e Lire 31 mila di pesi gravitanti sulla medesima, in guisaché gli restava una passività di Lire 3 mila. Me ne rammostrò anche un'altra del Vescovo e del Capitolo Cattedrale di Piacenza, i quali esponevano essere state

loro sequestrate la mensa e le prebende, e non essersi intanto assegnato loro in compenso cosa alcuna. Sui quali fatti, che come altri simili quando saputi dal Pontefice sogliano poi indisporne gravemente l'animo, mi pregò a voler provocare dal Governo gli opportuni provvedimenti.

Intanto il Cardinale ripigliando il discorso sulle persone, siccome io in difetto di riscontri alla mia nota precedente non aveva pel momento cosa a proporre, egli mi annunziò avere finalmente ricevuto le aspettate informazioni pel Teologo Ghiringhello, le quali erano sotto ogni riguardo favorevoli Ce me le fece anche vedere), ma vi si diceva essere egli esclusivamente dato allo studio, e menare vita così ritirata da non credersi rotto a quella esperienza degli affari, che si richiede per amministrare convenientemente un Vescovado; epperciò Sua Eminenza credeva meglio !asciarlo in disparte, né potei vincere tale risoluzione, tanto più che la circostanza accennata mi pareva in coscienza non al tutto priva di fondamento.

Il Cardinale inoltre, al quale io più e più volte aveva fatto vive istanze perché si vedesse modo di destinare altramente il Cardinale Guidi, che non poteva accettarsi dal Governo per Bologna, e che da molti ragguagli da me raccolti anche qui da persone bene affette alla Santa Sede era giudicato affatto improprio alla detta importantissima Diocesi, il Cardinale, ripeto, mi disse che prendendosi in considerazione i desiderii del Governo si era progettato, come mi proponeva con tutta la possibile riservatezza, di trasferire a Bologna il Cardinale Morichini Vescovo di Jesi, riservandosi però di muoverne parola a quest'ultimo solo quando il Governo aderisse.

Sua Eminenza volgendo indi il discorso all'Arcivescovado di Siena, al quale occorre urgentemente di provvedere, ai candidati già datimi a tal uopo in nota ne aggiunse un terzo nella persona dell'attuai Vescovo di Colle, il quale anzi sarebbe più vicino degli altri alla Sede proposta.

Il Cardinale per ultimo mi disse, che essendosi non ha guari resa vacante in Toscana la Diocesi di Borgo S. Sepolcro, si era addivenuto alla elezione del Vicario Capitolare, nella quale per altro erano successe irregolarità, che recherebbero serii imbarazzi a volerle risolvere canonicamente, e che lascierebbero intanto l'amministrazione della Diocesi nell'incertezza e nella confusione. n rimedio più ovvio, anche per salvare tutte le suscettività e le convenienze sarebbe di nominare prontamente un titolare. Qualora il Governo convenga in tale idea ed abbia qualche persona speciale a proporre è bene me lo faccia conoscere senza indugio.

A questo punto io credo opportuno di notare all'attenzione del Governo,

che fra le Diocesi importanti a provvedersi essendovi pure quella di Cagliari,

per la quale stante le altre determinazioni prese intorno a Monsignor di Ca

labiana, Monsignor Ballerini, e Monsignor Montixi verrebbe meno in oggi ogni

proposta governativa, occorrerebbe che mi si dicesse se si ha intendimento

speciale verso qualche persona, la quale io possa conseguentemente di nuovo

proporre. In caso negativo, e ad ogni modo io osserverei, che da informazioni

varie d'origine, e tutte concordi che ho raccolte qui, e dal concetto che me ne

sono fatto anche personalmente in colloquii avuti, mi sembrerebbe che Mon

signor De Martis stato nel Concistoro di jeri preconizzato pel Vescovado di Nuoro sia molto adattato alla detta sede Arcivescovile di Cagliari, tanto per le sue malte e pregevoli qualità, tanto in !specie pei vivi e cordiali sentimenti di devozione che dimostra al paese ed alla Dinastia. Ove io proponessi la di lui traslazione a Cagliari avrei ragione di credere, che la Santa Sede non si opporrebbe.

Avendo io sollecitato le deliberazioni della Santa Sede sui proposti per Como, Pistoja, Reggio d'Emilia, Girgenti ed altre Diocesi principali, che importa non lasciare ulteriormente vacanti, il Cardinale mi rispose non avere ancora per la massima parte di essi potuto raccogliere quel pieno corredo di informazioni, che era necessario ad emettere un fondato giudizio; ma che quanto ai proposti per Reggio d'Emilia e Pistoja era già sin d'ora in caso di dichiarare, in seguito alle nozioni pervenutegli, che la Santa Sede non poteva annuire alla loro nomina. Occorre perciò di pensare ad altri soggetti mettendomi presto in caso di fare una nuova proposta.

A tal uopo è bene che il Governo resti fin d'ora per sua norma avvertito che il secondo Concistoro, da quanto mi si accenna, si terrà forse non più tardi della metà del prossimo mese di marzo, e che siccome gli atti preliminari al medesimo, quali la compilazione del solito così detto processo e le pratiche per risapere se si accetta o non, esigono non meno di dodici o quindici giorni, il tempo utile che resta per maturare le nomine, che ancora si desiderano, è come si vede, brevissimo.

Darò anche notizia alla S. V. Onorevolissima che essendomi io inte,rposto presso il Cardinale Antonelli, affinché si considerasse la difficoltà nella quale la massima parte dei nuovi nominati g'ià gravata di tante altre spese, si sarebbe trovata riguardo al pagamento delle gravi tasse che si esigono pe,l rilascio delle Bolle d'Instituzione, egli mi disse che ne sarebbero dispensati tutti quelli che ne facessero dimanda.

Passando agli affari non ecc.lesiastici Sua Eminenza mi partecipò essersi poi definitivamente deliberato dal Governo Pontificio l'esenzione da ogni diritto di tassa per le merci e bagagli dei viaggiatori in transito sulle ferrovie, e che si mrebbero prontamente dati gli ordini per recare in atto tale deliberazione. Procurerò di averne il testo preciso, e lo spedirò senza ritardo al Governo.

(l) -Cfr. n. 201. (2) -Non si pubblica.
205

IL MINISTRO A PARIGI, NIGRA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 412. Parigi, 23 febbraio 1867 (per. il 27).

Il Libro Giallo, di cui ho trasmesso a V. E. un esemplare il 20 corrente (l) non contiene alcun dispaccio che fornisca sulla politica seguita dal Governo Francese nello scorso anno informazioni maggiori di quelle che io ebbi l'onore

di trasmettere a V. E. nelle mie corrispondenze oHiciali e private. Nella parte che concerne gli affari di Germania e d'Italia, il solo documento nuovo è la Convenzione del 24 settembre fra la Francia e l'Austria rispetto alla cessione del Veneto; ma anche di quest'atto V. E. ebbe testuale contezza prima che esso fosse firmato. Noterò solo che non fu pubblicato nel tempo stesso l'articolo addizionale con cui l'Austria riservò a sé la proprietà dei palazzi Veneti a Roma ed a Costantinopoli. Mancano del resto, come è naturale, tutti i documenti [che] si riferiscono al periodo trascorso fra la lettera dell'Imperatore al Signor Drouyn De Lhuys (l) e l'articolo del Moniteur del 5 luglio: il più completo silenzio è pure mantenuto sulle laboriose trattative concernenti l'armistizio, e la forma che dovevano assumere i nostri negoziati coll'Austria. •Per quanto concerne la questione romana non può riescire nuova a V. E. la dichiarazione che si legge nel dispaccio indirizzato al Barone di Malaret in data del 15 ottobre 1866 in cui si afferma che il richiamo delle truppe francesi costituisce soltanto un cambiamento nella forma di tutela adoperata dalla Francia in favore del Pontefice. Questa frase del resto perdé assai della sua importanza in seguito alle parole dell'Imperatore, il quale nel suo discorso d'inaugurazione del Corpo Legislativo, non considerò p:ù la questione Romana come riservata all'azione della politica francese, ma la dichiarò invece questione d'ordine Europeo, a cui la Francia non prenderà maggior interesse che le altre grandi Potenze. Colgo quest'opportunità per richiamare l'attenzione di V. E. su ·questa graduale trasformazione d'opinioni che andrà via via procedendo in Francia rispetto a Roma, purché la tranquillità rimanga ivi inalterata, ed il Governo del Re continui a far rispettare lealmente gli obblighi assunti colla Convenzione del 15 settembre. Lasciare al Governo francese tutto il tempo che gli è d'uopo per disimpegnare gli interessi francesi dalla questione ·Romana, ecco, per ora, a mio avviso l'obbiettivo principale della politica Italiana rispetto a Roma.

Gran parte dei dispacci contenuti nel Libro Giallo tratta della questione d'Oriente. Benché non contenga nulla di nuovo, almeno per chi dové, per proprio assunto, seguire con attenz· o ne lo svolgimento di codesta questione, questa parte offre un particolare interesse. L'attuale Ministro degli Esteri dell'Imperatore studiò personalmente a Costantinopoli le diverse fasi di codesta questione: e se il linguaggio dell'Ambasciatore non è sempre identico a quello che tenne poscia il Ministro degli Esteri, codesta differenza che è il risultato naturale e quasi direi necessario della differenza del punto di vista, fornisce materia a delle induzioni che non sfuggiranno alla perspicacia di V. E. Del resto il linguaggio del Marchese di Moustier benché assai benevolo, come doveva esserlo, al Governo presso cui era accreditato non cessa di essere quello di un giudice imparziale e talvolta severo: rammenterò a questo proposito, il rimprovero fatto al Governo turco di non aver dato al Principe Couza tutto l'appoggio che gli era necessario, quello di badare più alle apparenze di dignità che alla sostanza delle questioni politiche, ecc. Del resto il .linguaggio dell'ex Ambasciatore ora Ministro, è sempre chiaro, preciso, eievato, meno impigliato

in quelle circonlocuzioni nelle quali spesso si compiace la diplomazia fran

cese (l).

L'annunziata evacuazione del Messico per parte delle truppe francesi scema d'assai l'interesse del libro giallo per quanto concerne il Messico e gli Stati Uniti. Mi astengo quindi dal fare alcuna osservaz'one su questa parte della corrispondenza diplomatica Francese.

(l) 81 tratta del Livre Jaune n. VIII.

(l) Dell'll giugno 18B6, ed. In Livre jaune n. VIII, pp. 63-65, Cfr. in proposito Serie I, vol. VI. nn. 735 e 741.

206

ISTRUZIONI DEL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, ALL'AGENTE E CONSOLE GENERALE DESTJlNATO A BUCAREST, SUSINNO

Firenze, 25 febbraio 1867.

Gli importanti rivolgimenti politici compiutisi nel 1866 posero l'Italia ed i Principati-Uniti in un assetto più regolare e crearono una condizione di cose sempre più favorevole allo sviluppo delle naturali e storiche simpatie dei due popoli. L'Italia costituita rappresenta l'attuazione di quello stesso principio che guida la Rumania alla riconquista della sua nazionale indipendenza, opera questa che ha ormai una sicura base nella riconfermata unione dei Principati di Moldavia e Valachia e nello stabilimento del principio monarchico ereditario nella persona del Principe Carlo di Hohenzollern. Le simpatie naturali di due nazioni guidate dalle stesse tendenre diventano ancor più eHicaci allorché sono mantenute da relazioni diplomatiche seguite fra i Governi epperò nelle nuove condizioni de' due paesi sembrò che l'Italia dovesse essere rappresentata in Bukarest da persona che a lungo studio degli affari Orientali accoppiasse esperienza delle nostre cose politiche.

S. M. il Re nostro augusto Sovrano accredita la S. V. per rappresentare il suo R. Governo presso il Principe Carlo e le numerose prove di capacità e di attività ch'Ella diede negli importanti e delicati ufficii che ebbe ad occupare in questo Ministero, mi persuasero che difficilmente avrei potuto proporre a Sua Maestà la nomina di persona che meglio riunisse tutti i requisiti necessarii per ben disimpegnare la missione che la bontà del Re volle a Lei affidata.

Accrescere le simpatie dei due popoli, vegliare alla conservazione del principio nazionale già attuato in Rumenia, e far valere l'azione diplomatica che, d'accordo colle altre Potenze firmatarie del Trattato del 1856, l'Italia ha diritto e dovere di esercitare, al solo intento di accrescere lo sviluppo civile, sociale ed economico dei Principati Uniti, eccole, signor Commendatore, il campo

«La recente pubblicazione del Libro Giallo francese ha esercitato sugli animi, tanto In Grecia quanto In questo distretto, un'Influenza molto vantaggiosa alla Francia per ciò che tocca la politica orientale. Quella Potenza, fatta impopolarissima dalle tendenze soverchlamente favorevoli alla Turchia, che le si attribuivano, rlacqu!sta oggi !l campo che aveva Interamente perduto. Per altra parte, la fiducia, che si riponeva nell'Inghilterra, molto è scemata dopo l'apertura del Parlamento.

La pubblicazione del Libro Giallo induce 1 Greci a tenere per fermo che !l moto d! Candia deve fare ad ogni modo capo all'annessione d! quell'Isola al Regno Ellenico. Per non frapporre ostacoli alla politica della Francia che, secondo essi, s'Indirizza lenta ma sicura a quel fine, si sarebbe deciso d! non preoccupare minimamente la sua libertà d! azione.

In applicazione di tale principio, secondo Informazioni che dovrei credere esatte, !l Comitato fondato qui per agire sull'Eplro, avrebbe ricevuto dal Comitato Centrale di Atene ordine di non promuovervl per ora agitazione alcuna».

vastissimo entro il quale Ella è chiamata a spiegare la di Lei azione durante il suo soggiorno a Bukarest.

I voti del R. Governo furono constantemente favorevoli alle giuste esigenze della nazione rumena sino dal primo giorno in cui egli ebbe ad occuparsi nelle Conferenze del 1856 delle cose della Moldavia e della Valachia. Posta innanzi dalla Francia la questione preliminare se i due Principati dovessero essere in avvenire politicamente uniti o disgiunti, ci associammo al partito affermat~vo allora sostenuto dall'Inghilterra e dalla Russia nel senso delle tendenze unionistiche che già s'erano manifestate tra le popolazioni rumene. Che se non prevalsero negli articoli stipulati in quelle Conferenze i principii che avevano ottenuta la nostra adesione, l'opera non fu però da noi abbandonata quando, riunitasi la Commissione Europea di Bukarest coll'incarico di controllare la manifestazione del voto popolare nei Divani ad hoc, ebbimo a sostenere contro l'Austria la competenza dei Divani stessi a deliberare sulla questione dell'unione e la necessità di opporsi a qualsiasi armato intervento della Porta anche nel caso in cui scoppiassero disordini nei Principati. Ell&. ricorda certamente, signor Commendatore, con quale attenta cura il R. Governo si associasse nell'azione diplomatica che in quel tempo esercitavano a Costantinopoli la Francia, la Prussia e la Russia per controbilanciare gli effetti. delle irregolarità che si commettevano dai Commissari Ottomani e come la Sardegna, malgrado gli interessi diretti e gravissimi del proprio tramco nel Bosforo, non esitasse a seguire quelle Potenze sino ad interrompere le proprie relazioni diplomatiche colla Turchia per ottenere che quest'ultima rispettasse il principio della libera manifestazione del voto popolare in Moldavia. A noi è dato ricordare con compiacenza gli incidenti diplomatici di quel tempo perocchè quelle furono le fondamenta sulle quali ha potuto erigersi l'edificio attuale della nazionalità rumena. E se le nostre condizioni politiche di quegli anni non consentivano al nostro Commissario in Bukarest di spiegare una particolare iniziativa di azione, non è perciò men vero che ogni nostro studio ru sin d'allora rivolto a far trionfare nelle province danubiane i principi! che formavano la base delle nostre politiche aspirazioni. Sin dall'ottobre 1857 il Governo Subalpino suggeriva confidenzialmente a Parigi progr.tti di costituzione pei principati, tutti fondati sul principio dell'unione che in quegli stessi giorni i Divani separati di Moldavia e Valachia proclamavano solennemente chiedendo inoltre un Principe straniero. Né tardava a presentarsi a noi occasione più solenne di esprimere gli intendimenti nostri.

Ai 22 di Maggio dell'anno susseguente iJ. Conte di Cavour scriveva al Marchese di Villamarina parole degne d'essere in ogni tempo ricordate: «Partigiano e difensore del principio di nazionalità in Italia, scriveva egli, il Governo del Re ravvisa pur sempre nell'unione dei due Principati sotto un principe straniero l'unico mezzo di dare alla Rumania uno stabile assetto di Governo"· Indi addentrandosi nell'argomento esprimeva l'avviso che ove le altre Potenze rinunziassero pel momento a sostenere il principio d'unione immediata, il nostro Plenipotenziario, riservando l'opin:one astratta del Governo del Re, dovesse accettare soltanto le transazioni, le quali, non turbando la pace. non pregiudicassero in avvenire la causa dell'unione.

Sarebbe inutile rammentare qui come fra le opinioni discordanti delle Potenze, la Francia stessa, favorevole al concetto che noi sostenevamo, fosse poi costretta a rinunziarvi cercando invece nella Conferenza che discuteva sovra un progetto Inglese riguadagnare poco a poco il terreno che sul principio della Conferenza sembrava affatto perduto per la causa dell'unione. Noi possiamo menar legittimo vanto che l'azione nostra si trovasse durante tutto il periodo di tempo che trascorse s~no alla conclusione della Convenzione di Parigi del 19 Agosto 1858, associata a quella della sola Potenza che nella conferenza europea sosteneva il diritto nazionale ed il rispetto del voto popolare.

Vennero di poi le dichiarazioni delle Assemblee di Jassy e di Bukarest e la doppia elezione del Colonnello Couza. E fra il divergente avviso de' Gabinetti, il Rappresentante del Re alla Conferenza di nuovo riunita a Pari:gi, riceveva espresso mandato di chiarirsi redsamente favorevole in diritto ed in fatto alla elezione operata dalle due Assemblee.

Non è mestieri seguire uno ad uno i passi che fece di poi la causa dell'unione ne' Principati Danubiani. Basta accennal'e che dal compromesso dell'Aprile 1859 accettato poi anche dall'Austria e dalla Turchia nella Conferenza del 6 Settembre dello stesso anno, sino alle lettere separate di accettazione e di riserva colle quali i rappresentanti delle Potenze garanti in Costantinopoli accettarono d'ordine dei loro Governi il firmano del 2 Dicembre 1861 e riservarono la questione dell'unione per l'avvenire, la nostra politica non si discostò mai dai prindpii che ne avevano formato la base costante.

Così poté compiersi nelle m'gliori possibili condizioni l'opera costitutiva dell'unità nazionale rumena mercé la fusione delle due amministrazioni e delle due Assemblee in un solo potere centrale. Quanto avvenne dipoi appartiene quasi esclusivamente alla storia interna dei Principati, e l'Italia che aveva spiegato la sua azione politica al solo scopo di far prevalere in Rumenia i principii sui quali si fonda la sua propria costituzione, non avrebbe potuto in questo secondo periodo prendere iniziativa di intervenzioni diplomatiche, spesso nocive, sempre contrarie all'esplicamento della libertà d'un popolo. Senza abdicare alla posizione legittima che ci compete nelle cose d'Oriente ed in quelle in !specie che più direttamente concernono la Rumenia, noi ci siamo applicati nelle Conferenze dell'anno passato in Parigi a far intendere in ogni occasione che i voti della naz:one rumena per ciò che risguarda l'ordinamento interno dei Principati debbono essere rispettati. Allorché la questione della elezione di un principe straniero venne ripetutamente disputata il Plenipotenziario Italiano sostenne energicamente essere quello il voto delle popolazioni costantemente mantenuto. Attalché con un sentimento di giusta compiacenza noi possirumo affermare che anche in quest'ultima occasione, alla vigilia di minacciose complicazioni politiche che direttamente impegnavano la nostra azione, la politica italiana nella causa dei Principati si mostrò fedele ai prlncipii sempre propugnati né ammise prudenti riserve o tenne linguaggio meno esplicito allorché trattassi di esprimere un voto favorevole allo stabilimento della

nazionalità rumena.

Dlscioltasl la Conferenza di Parigi a seguito delle dichiarazioni fatte dal

Plenipotenziario Russo le Potenze firmatarie del Trattato del 1856 non ebbero

campo di pronunziarsi collettivamente sui fatti compiutisi nella Rumenia a seguito de' quali per voto popolare era stato eletto a Principe S.A.S. il Principe Carlo di Hohenzollern con eredità diretta ne' suoi discendenti. La nostra azione diplomatica durante le trattative che intervennero di poi fra il Principe e la Porta si conformò costantemente ai sentimenti che sempre abbiamo professato per tutto ciò che conduce al graduale sviluppo delle var~e nazionalità e se allorquando venne in discussione il doversi o non riunire la Conferenza Europea per aderire al firmano imperiale d'investitura del nuovo Principe noi ci siamo astenuti dall'appoggiare il partito affermativo, di ciò devesi principalmente cercar la cagione nel desiderio nostro di non ledere le suscettività del Principe e della nazione rumena che in troppo diretta ingerenza delle Potenze sembravano scorgere una soverchia diminuzione del proprio diritto d'indipendenza nazionale. La nostra adesione sancita in massima sin da quando la Porta ci comunicava il firmano d'investitura, ha potuto compiersi di concerto con le altre Potenze in una forma che lascia intatto il principio del rispetto della volontà nazionale.

E perché le simpatie dei popoli non hanno fondamento soli:do che nelle

tradizioni create da disinteressate relazioni politiche, noi abbiamo luogo di

credere che la S. V. debba essere accolta dal Governo e dalle popolazioni rumene

come il Rappresentante di una Nazione sinceramente amica e naturalmente

alleata. Infatti anche in questioni di minor importanza le nostre tendenze

furono ognora favorevoli ai Principati, né la nostra azione si associò mai a

quelle di altre Potenze che considerevano quelle questioni al punto di vista di

particolari interessi.

Ella comprende, signor Commendatore, che io accenno principalmente alla

vertenza tutt'ora pendente dei beni dei Conventi dedicati ai Luoghi Santi.

Un'anormale condizione di cose qual'era la proprietà di beni esistenti in uno

Stato, devoluta ad enti morali aventi sede all'estero, aggravata poi dalla cir

costanza che quei beni costituivano una frazione considerevolissima e la parte

migliore dei fondi suscettivi di produzione nei Principati, costituiva una vera

questione economica e sociale che poteva non poco influire sullo sviluppo pro

gressivo degli elementi nazionali della Rumenia. Fra gli interessi varii impe

gnati nella vertenza il voto del Governo del Re fu come sempre disinteressato,

a base d'ogni desiderabile soluzione, noi abbiamo proposto si prendessero i prin

cipi! ormai universalmente accolti nell'Europa civile in ordine ai beni di mano

morta e nel tempo stesso abbiamo propugnato il concetto doversi operare

lo svincolo dei fondi mediante una giusta indennità.

Le resistenze incontrate segnatamente nel clero greco furono forse la causa

principale per cui non si poté giungere ad accordo sulle basi che la giustizia

e l'interesse comune suggerivano. Noi non potevamo 'Però disconoscere compiu

tamente il carattere internazionale della questione. Le Potenze chiamate a sta

tuire in base al Trattato di Parigi del 1856 sulle condizioni dei Principati, l'ave

vano assunta ad esame; le risultanze di quell'esame erano state riassunte nel

13° Protocollo delle Conferenze dell'anno 1858 ed allora era statuito che la

soluzione della questione dovesse deferirsi dapprima ad una discussione tra

le parti interessate, indi trascorso infruttuosamente il termine di un anno,

ad un arbitramento da convenirsi tra le parti interessate ed infine ad un sovrarbitramento in base ad accordi tra la Sublime Porta e le Potenze garanti.

Ma se non era posstbile che in una quest~one così precisamente indicata fra quelle di competenza delle Potenze segnatarie della Convenzione di Parigi, l'Italia si astenesse dall'associarsi alle rimostranze cagionate dalle subitanee ed imprevedute risoluzioni del Governo del Princ~pe Couza, anche quando questi proponeva e l'Assemblea votava la legge del 25 Dicembre 1863 pella quale fu dichiarata nmmediata confisca dei beni conventuali mediante una indennità di 51 milioni di Piastre, il R. Governo si limitò a Jar sentire per mezzo del suo Agente a Bukarest il rammarico provato nello scorgere che il Governo rumeno avesse creduto miglior consiglio di sciogliere da solo la questione, mostrando così di diffidare dell'efficace concorso delle Potenze garanti.

Le istruzioni date al Conte Greppi (7 gennaio 1864) (l) R. Incaricato d'Affari in Costantinopoli recavano che nel pensi,ero del Governo del Re sarebbe sempre riuscito moralmente impossibile di giungere ad una soluzione soddisfacente se le Potenze garanti non convenissero nell'opportunità di applicare ai Conventi il principio dello svincolo dei beni di mano-morta mediante congrua idennità ed ingiungevano al R. Rappresentante di pronunciarsi ricisamente contro la proposta che per avventura venisse fatta di riporre cioè le cose nello stato pristino e di ricorrere poscia ad un arbitramento. In questa nostra opinione dapprima divisa soltanto dal Governo francese convennero di poi mano mano anche gli altri Gabinetti ad accezione di quello di Pietroburgo, per modo che all'aprirsi della Conferenza nel ma.ggio 1864 tutte le Potenze, la Russia sola eccettuata, ammettevano che l'atto del Governo rumeno contenuto nella Legge 25 Dicembre 1863, se pure era illegale, non esprimeva meno l'opinione ed il voto prevalente nei Principati e quindi doversene tener conto dalle Potenze garanti.

Le deliberazioni della Conferenza furono diffatti meno ostili al Governo Rumeno di quanto sarebbesi potuto aspettare dall'opposizione che sul principio aveva eccitato contro di sé la legge più volte citata del 25 dicembre 1863.

La conferenza riconobbe: l o -Che non si erano verificate le previsioni del 13° Protocollo dell'anno 1858;

2° -Che il Governo Moldo-Valacco aveva iHegalmente risoluto a proprio profitto la questione dei beni dedicati;

3° -Che gli atti del Governo Rumeno erano nulli e come non avvenuti e per essi doveasi esprimere un biasimo formale.

La stessa Conferenza poi deliberava di affidare ad una Commissione l'incarico di compilare uno stato generale delle proprietà in litigio, con notamento del reddito e dei carichi rispettivi e di farne oggetto di particolareggiata relazione.

I lavori di questa Commissione interrotti spesso da varii incidenti e da dilazioni rese necessarie dalla natura stessa delle sue operaz:oni, non giunsero a compimento. Servirono però a sempre meglio designare l'atteggiamento delle

due Potenze che nella questione presente emisero le più accentuate e le più opposte opinioni, quello cioè della Francia e della Russia. Avendo quest'ultima proposto a modo di transazione, la conservaz:one dei monasteri greci nei Principati col restituir loro gli edifici religiosi, mentre le proprietà fondiarie di questi enti morali verrebbero attribuite al Governo Moldo-Valacco contro una giusta indennità pecuniaria, il Governo Francese non esitò a dichiarare non potersi a priori contestare la facoltà onde si valsero gli altri Governi di Europa di secolarizzare i Conventi siti nei rispettivi territorli ed essere pretesa eccessiva obbligare il Governo Rumeno a tollerare nel suo territorio la presenza riconosciuta pericolosa di monaci forestieri.

La questione posta in questi termini riesce quasi esclusivamente d'ordine interno e non v'ha vicina probabilità che possa formar di nuovo oggetto di discussione internazionale. Appena è quindi necessario che io esprima a Lei quale opinione si sia fatta il Governo del Re al proposito.

La stretta logica dei nostri principii indica di per sé la via che in ogni caso il Rappresentante Italiano dovrebbe seguire ove un nuovo conflitto dovesse sorgere sullo stesso argomento. Non avendo noi interessi particolari impegnati direttamente nella questione non possiamo che associarci all'opinione che si mostra più favorevole a concedere al Governo Rumeno la più ampia sfera possibile di azione entro la quale, esplicando la propria attività, egli possa conquistare il posto che gli conviene fra gli Stati civili indipendenti.

Il qual ordine di considerazioni conduce naturalmente il discorso sovra altra assai importante questione ch'Ella, signor Commendatore, dovrà "Pnza ritardo studiare come quella che abbisogna di pronta soluzione. Vnglio parlare della vertenza che, sebbene più volte agitata, non ha potuto essere sinora risoluta, dell'estensione cioè che si deve dare all'applicazione nei Principati Uniti delle Capitolazioni es·stenti fra la Porta Ottomana e le Nazioni cristiane. J.e ultime leggi del Governo del Principe Couza avevano senza alcun riguardo pel disposto delle Convenzioni internazionali alterato il regime esistente coll'introdurre modificazioni di molta rilevanza nelle tasse, nei dazi ed in ciò che concerne lo sta-biltmento dei sudditi esteri nei Prinòpati.

Radunassi in Costantinopoli nel febbraio 1865 una Conferenza delle Potenze garanti 'ed i rappresentanti riuniti ebbero a riconoscere la necessità di fare rimostranze collettive presso il Governo Rumeno pelle fatte innovazioni. Una nota fu dunque diretta a Bukarest in questo senso e fatto un programma delle principali questioni da esaminarsi, la Conferenza intraprese il lavoro di revisione indispensabile per conoscere sin dove potessero giungere le innova

zioni al sistema delle antiche capitolazioni senza ledere gli interessi nazionali

degli stranieri residenti nei Principati e senza cnrrere pericolo che la Porta si

prevalesse della tolleranza delle Potenze verso il Principe Couza per chiedere

a proprio vantaggio una revisione delle capitolazioni e dei trattati che formano

la base del diritto internazionale privato nei rapporti degli Stati Europei col

l'Impero Ottnmano.

Ma sia che dal Governo Rumeno si facesse poco buon viso alle rimostranze

dei Rappresentanti esteri, sia che fra questi non fosse facil cosa raggiungere

una conformità di opinioni che rendesse autorevole e proficua l'azione della Conferenza, il vero è che quei lavori non condussero ad alcun pratico risultato se pur per tale non si vogliono avere i voti emessi da alcuni fra i Membri della Conferenza circa particolari questioni. Sovra i quali voti Ella potrà fare accurato studio esaminando le corrispondenze scambiate in quel ·tempo fra la IIAgazione di Sua Maestà in CostantinopoU ed il R. Agente in Bukarest.

L'Atto sottoscritto in quest'ultima città addi 7 aprile 1862, redatto dagli Agenti delle Potenze garanti rimane dunque tuttora la base legale sulla quale dovrebbesi fondare l'esame che si volesse di nuovo intraprendere della questione in discorso.

Ella sa, signor Commendatore, che ha bisogno di una conveni•ente soluzione è reso ormai anche più urgente dacché la questione di massima complicandosi ogni di con nuovi conflitti particolari nel quali si frammischiano interessi materiali di privati cittadini, crea una situazione spiacevole, in cui anche le rappresentanze delle Potenze che professano le più sincere e costanti simpatie pel popolo rumeno, sembrano vivere in urto permanente contro il Governo nazionale dei Principati. Alcuni di questi conflitti esistono tuttora fra la R. Agenzia e il Governo del Principe Carlo. Basta qui accennarli per avere occas~one di esprimere il nostro desiderio di vederli convenientemente e sollecitamente composti con comune sodisfazione.

Una Conferenza di tutti i Consoli delle Potenze garanti sembra essersi stabilita in modo permanente in Bukarest allo scopo di facilitare la comunicazione delle viste de' singoli rappresentanti ed all'intento di mantenere uniti il loro indirizzo e la loro azione. Ella vedrà però se lo scopo prefisso veramente si ottenga. ed in ogni caso mi riferirà l'impressione che questa riunione degli Agenti produce sul Governo locale, il quale forse potrebbe scorgere nel fatto stesso della riunione di quelle Conferenze alcunché di anormale e di contrario al proprio sviluppo civile e politico. Sovra questo delicato argomento Ella dovrà riferire al R. Governo, che al di Lei savio accorgimento lascia intanto il decidere, quale condotta convenga al Rappresentante italiano di seguire al suo primo giungere in Bukarest, per non indisporre l'animo de' colleghi delle altre Potenze e mostrarsi ad un tempo sollecito di acquistare le simpatie del Governo principesco. Se le prove fatte negli anni passati dal Governo Rumeno tanto nell'amministrazione interna, quanto nello sradicare le inveterate pecche cagionate dalle tristissime condizioni sociali e morali del paese non diedero sin qui motivo di rallegrarsi agli amici della indipendenza rumena, non può essere compito nostro frapporre ostacoli ad un miglioramento che non si può fondatamente sperare di ottenere se prima la Rumania non venga posta, per ciò che concerne l'interno suo reggimento, nella situazione normale di tutti gli altri paesi i quali godono i vantaggi ed offrono la guarentigia della civiltà.

Quando le leggi rumene applicassero alla famiglia, alla proprietà, alle convenzioni i principi! stessi che sono scritti nei codici europei, quando il diritto prohatorio fosse determinato in modo da presentare sicurezza nell'appl:cazione delle leggi civili e penali, quando infine gli ordinamenti organici dell'ammininistrazione e della giustizia apparissero soddisfacenti non v'ha dubbio che cesserebbe la ragione di mantenere per gli stranieri un diritto eccezionale ne' Principati. Ma appunto perché in questa parte della questione noi non possiamo

che esprimere un voto favorevole alla causa del progresso civile e politico dei Principati, ci crediamo tanto più autorizzati ad espr~mere un concetto contrario alle pretese del Governo Rumeno nella parte direi economica della medesima questione.

Non crediamo che uno Stato goda minor indipendenza pel fatto ch'egli debba rispettare per un tempo determinato certi Trattati Commerciali stipulati in di lui nome da un'estera Potenza. Non possiamo quindi neppur comprendere l'opera del Governo Rumeno tendente a disconoscere, per quanto lo riguarda, la validità della parte strettamente commerc.ale delle Convenzioni che noi abbiamo coll'Impero Ottomano. Che se invece si trattasse ora di rinnovare queste convenzioni col Governo del Sultano forse converrebbe che altrimenti si esaminasse la questione. Nello stato presente delle cose noi opiniamo che le disposizbioni del Trattato Italo-Ottomano del 1861 in tutto quanto concerne l'Lmportazione e l'esportazione, il transito, i depositi ed ogni altro oggetto puramente mercantile debbono essere mantenute nei Principati senza alterazione e che quanto ai dazii di consumo recentemente stabiliti dal Governo principesco convenga anzi tutto distinguere fra quelli che gravitano sovra merci provenienti dall'estero e quelli che colpiscono prodotti indigeni della Rumen.a. Opiniamo che i primi non debbano essere accettati ma che i secondi non eccedano i limiti entro i quali il Governo principesco gode intera la sua libertà di azione.

È questo forse il solo punto di divergenza che attualmente esiste fra le nostre vedute e quelle del Governo Rumeno, ma Ella sostenendo il nostro incontestabile diritto, saprà conciliare ne sono certo, le suscettività del paese presso il quale è accreditata colla necessità di mantenere integro il rispetto delle convenzioni commerciali che servono di guarentigia a considerevoli nostri interessi ~mpegnati nel traffico internazionale de' Principati.

La S. V. che col consiglio e coll'opera contribuì a mantenere in questo Ministero, attraverso infinite complicazioni e gravi rivolgimenti, la tradizione di una politica logica e nazionale nelle varie vertenze dei Principati, assisterà con vera soddisfazione al consolidamento in Rumenia di un Governo permanente e forte. Una nuova fase della ricostruzione di questo paese è ora incominciata, ma se nel secondo periodo che ora si apre l'azione diplomatica delle Potenze estere dovrà essere meno diretta, noi non dobbiamo perciò modJicare in alcuna maniera la nostra linea di condotta e nei varii casi che si potessero presentare, la sola via che ci proponiamo seguire è quella che ci viene tracciata dai nrincinii stessi sui quali l'Italia ha riedificato il proprio nazionale risorgimento.

Stabilito un governo forte ed onesto nelle provincie che già sono riunite in un sol corpo politico le altre popolazioni della medesima razza subiranno l'effetto della naturale attrazione che le chiama ad unirsi al loro centro costitutivo. La razza rumena di gran lunga inferiore per numero alle razze slave che la circondano, ha una incontestabile superiorità morale sui popoli che la attorniano; la sua indipendenza non correrà serio pericolo che il giorno in cui i Rumeni più non sapessero conservare il rango elevato che ora costituisce un tal quale compenso alla loro debolezza relativa rimpetto ai popoli vicini. E

qui senza pretendere di prevedere le future sorti delle nazioni non è forse inopportuno entrare brevemente in un ordine di considerazioni che ha tratto all'avvenire. La posizione geografica e lo sviluppo provvidenziale delle antiche colonie latine ora formanti una nazionalità distinta il cui centro è fortemente stabilito fra il Pruth ed il Danubio indicano chiaramente la missione che al popolo rumeno è riservata nella storia. Posto fra genti che sebbene appartengano a fam~glie diverse, vantano unità di razza, egli sembra destinato ad opporre una naturale barriera alla soverchia espansione del principio unitario slavo in questi tempi in cui le condizioni morali e sociali del popoli del Levante farebbero di quell'espansione un vero pericolo per le altre nazionalità dell'Oriente Europeo.

Vero è che i Principati quali trovansi attualmente costituiti possono lasciare qualche dubbio sulla sufficienza a compiel'e siffatta missione, ma a noi importa per ora confermare l'opinione che il loro graduale sviluppo civile e politico è uno dei principali elementi sui quali deve riposare l'assetto definitivo dell'Oriente.

Né Ella ignora, signor Commendatore, come di questa verità, che consiste in definitiva nel proclamare la necessità di un forte Stato Rumeno, si mostrino ormai ugualmente convinti tutti i partiti che dividono la publblica opinione in Europa. Ognuno però vorrebbe trovare il mezzo di attuare l'opera creduta indispensabile nel compimento delle proprie tendenze ed aspirazioni. È per tal maniera che potevano alcuni vagheggiare il progetto di unire la Rmnenia ad uno Stato militare potente il quale frapponendosi per tal maniera tra la Russia e la Turchia impedisse il pericoloso contatto territoriale dei due Imperi Orientali. Non sarà però mai che l'Italia presti il suo concorso all'eseguimento di siffatti progetti. Per noi la forza delle nazioni deve accrescersi naturalmente pe'r effetto dello svolg}mento progressivo de' principii al trionfo de' quali siamo direttamente interessati. Il movimento nazionale esiste in Rumenia ed ha vigoria che basta a spiegare un'azione profittevole; ma non devesi disconoscere che il comp1mento delle aspirazioni delle nazionalità é opera alla quale è indispensabile il concorso di molte circostanze interne ed ester~ori.

La Rumenia che con giusta soddisfazione può guardare il cammino consi

derevole percorso in breve periodo d'anni manche,rebbe gravemente verso se

stessa e verso la causa liberale d'Europa ove con impazienze intempestive com

promettesse i risultati già da Lei ottenuti. Vi hanno però, e noi non dobbiamo

nasconderlo, due casi nei quali la posizione dei Principati uniti può diventare

difficile e piena di pericoli. Accenno alle due ipotesi di guerra possbile del

l'Austria o della Turchia, perché è certo che nell'uno e nell'altro caso serie

complicazioni sorgerebbero pel Governo del Principe Carlo.

In evenienze cosi gravi il R. Min;stero non mancherebbe certamente di

darLe più positive e precise istruzioni; ma sin d'ora noi dobbiamo con ogni

franchezza esprimere la convinzione che ogni precipitazione nel voler ricer

care le definitive soluzioni delle questioni orientali potrebbe tornar pregiu

dicevole alla causa stessa della quale si vuole ottenere il trionfo e che è nel

nostro diretto interesse di far prevalere.

Che se circostanze pm forti d'ogni nostra volontà dovessecr:o avvolgere l'Oriente in una generale conflagrazione noi dovremmo forse !imitarci a procurare che il rispetto del principio di non intervenzione abbia a servire di unica norma alla politica dei vari Stati.

Nel rispetto infatti di questo salutare princ.ipio e nelle alleanze naturali dei popoli orientali fra di loro, sembrano trovarsi guarentigie sufficienti a tutetelare e far prevalere i diritti delle singole nazionalità.

Vi ha però un punto sul quale deve rimanere nssa ogn'ora la nostra attenzione e che per l'interesse speciale che ci presenta non potrebbe in alcun caso essere abbandonato interamente alla sorte degli avvenimenti.

Voglio parlare della ,questione danubiana che sotto i due suoi aspetti commerciale e politico tocca direttamente ad interessi italiani <M molta rilevanza.

Come Commissario italiano nella Commissione europea del Danubio, la S. V. avrà campo di occuparsi con nostro profitto delle varie questioni che ancora si agitano.

Nelle Conferenze tenutesi l'anno passato in Parigi ri Rappresentanti delle Potenze sì misero d'accordo per fissare a cinque anni il termine entro il quale la Commiss,i:one Europea dev~e compiere il proprio mandato. Nella medesima Conferenza fu approvato, come Ella sa, l'Atto Pubblico firmato in Galatz a dì 2 novembre 1865 e venne fatta una modificazione al 5° Articolo del Regolamento del 21 novembre 1864 annesso all'Atto Pubblico. Indi furono poste innanzi due questioni le quali rimangono tutt'ora in sospeso pe~r essere stati i lavori della Conferenza interrotti dagli avvenimenti politici di varie parti d'Europa.

La Commissione Europea di Galatz avendo votato nella sua seduta del 2 novembre 1865 un progetto di prestito di 251.000 ducati (3 milioni circa di franchi) per sopperire alle spese pei lavori necessarii alle Bocche di Sulina, la Conferenza venne interpellata dal Plenipotenziario francese circa l'opportunità di approvare con suo voto collettivo il progettato prestito.

L'altra questione è quella stata mossa dal Plenipotenziario Inglese in Parigi sull'opportunità di estendere sino ad Ibraila l'autorità e l'azione della Commissione Europea. Questa proposta appoggiata a ragioni tecniche di molta importanza venne accettata dall'Italia e dalla Prussia e con qualche riserva anche dall'Austria, ma la Turchia vi si oppose dichiarandola lesiva dei diritti della Commissione ripuaria nella quale prendono posto Stati non rappresentati nella Commissione Europea.

L'una e l'altra di queste due vertenze non ricevettero sin qui alcuna soluzione. Ove di nuovo si presentassero noi crederemmo dover emettere un voto affermativo, ma per ciò che concerne il progettato prestito, il voto contenendo una promessa di guarentigia dovrebbe essere riservato all'approvazione del Parlamento.

Nel termine di cinque anni stabilito per gli ultimi lavori della Commis

sione europea, l'Austria ha solennmente dichiarato di voler compiere l'orga

nizzazione della Commissione ripuaria e l'elaborazione definitiva del Regola

mento relativo alla navigazione del Danubio. Contro le viste del Gabinetto

di Vienna dovette altre volte il R. Governo sollevare serie obbiezi:mi.

Ella ricorda certamente il memoriale contenuto nella Gazzetta Ufficiale del 12 gennaio 1859 per ribattere appunto gli argomenti coi quali pretendevasi difendere l'atto di Navigazione del 7 novembre 1857, dichiarandolo conforme ai .principii <lel Congresso di Vienna relatiV'i alla navigazione dei fiumi. Il vero nodo della questione stava allora nel ricercare quali siano stati gli intendimenti del Congresso di Vienna, e che cosa abbia statuito il Congresso di Parigi, e noi sostenevamo l'opinione che l'Articolo 109 dell'Atto finale di Vienna stabilisce il principio della libertà della naV'igazione fluviale non solo pegli Stati ripuari, ma anche per tutte le altre bandiere e che in ogni caso il Trattato del 1856 non si riferisce puramente all'atto finale del 1815 ma determina le condizioni della ltbertà che intende di assicurare al Danubio.

Queste erano le opinioni che emetteva il Conte di Cavour intorno a cosi importante questione, né noi intendiamo discostarcene ove consimili discussion1 dovessero di nuovo venire agitate.

Gli studi che la S. V. preparerà successivamente sulle condizioni della navigazione italiana nel Danubio e sugli interessi particolari che la nostra bandiera ha nel commercio danubiano, metteranno questo Ministero sempre meglio in grado di apprezzare quanto verrà proposto dalla Commissione de,gli Stati ripuari e sovra questo argomento Ella riceverà, a suo tempo, ove ne sia il caso più precise e particolareggiate istruzioni.

Venendo poi alla parte politica della questione danubiana, l'importanza della medesima rientra nell'ord;ne generale delle considerazioni che toccano alla sicurezza della maggior parte degli Stati Europei i quali hanno interessi vitali impegnati nel commercio granario del Mar Nero.

Il Danubio deve esser libero; è questo uno dei punti cardinali d'ogni assetto stabile in Europa. Le aspirazioni del popolo rumeno, gli interessi del suo tramco, i bisogni della sua sicurezza politica ·richiederebbero forse che il territorio del Principati in un rior<Mnamento generale dell'Oriente si protendesse sino al mare. Sono queste combinazioni dell'avvenire alle quali non importerebbe qui accennare se le condizioni presenti del Levante promettessero un lungo periodo di pace. Ove la soluzione delle questioni territoriali dovesse prendere per unica base le circostanze etnografiche dei varli paesi, le due rive opposte del Delta Danubiano cesserebbero di appartenere ad un solo Stato epperò una simil soluzione presenterebbe forse ad un tempo la migliore possibile combinazione politica.

(l) SI pubblica qui un brano del r. 125 da Corfù del 24 febbraio:

(l) Non pubblicate in Serie I, vol. IV.

207

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DI GRAZIA E GIUSTIZIA E DEI CULTI AD INTERIM, RICASOLI, AL CONSIGLIERE DI STATO, 'l'ONELLO

Firenze, 25 febbraio 1867.

Mi pregio accusar ricevuta alla S. V. Onorevolissima dei graditi rapporti in data del 22 e del 23 di questo mese (l) e dei documenti annessi.

22 -Documenti diplomatici -Serle I -Vol. VIII

Il Governo del Re, a sensi de' concerti da Lei presi con la Santa Sede, provvederà che gli Arcivescovi e Vescovi preconizzati a diocesi del regno nel Concistoro del 22 febbraio scorso siano immessi in possesso delle rispettive Mense e che lo siano del pari i Vescovi già preconizzati, pe' quali viene da Lei fatta la medesima richiesta, cioè i preconizzati alle diocesi di Ravenna, Cesena, Comacchio, Cervia, CaJgli e Pergola, Città di Castello e Nocera.

A tale scopo si danno le istruzioni occorrenti tanto ai Procuratori generali presso le Corti d'Appello, quanto ai Prefetti ed agli Economi generali; e il Governo ha piena fiducia che le relative disposizioni saranno prontamente recate in atto senza far luogo a richiami.

Duole al Governo che fra le sedi, a cui debbono essere ammessi de' Vescovi già preconizzati, si trovino quelle di Cervia, di Cagli e Pergola e di Nocera, le quali son compvese nell'elenco delle sedi che si divisava lasciar vacanti; ma ciò non deve impedire l'eseguimento dei presi concerti.

*Ella opportunamente precorse ai desiderii del Governo con le osservazioni che mosse al Cardinale Antonelli circa il tenore dell'Allocuzione pronunciata dal Santo Padre nel Concistoro del 22 febbraio. Le spiegazioni che Le dtede il Cardinale, hanno potuto attenuare ma non distruggere l'ingrato senso prodotto dalle espressioni adoperate dal Santo Padre, e che, a tacer d'altro, sono al tutto remote da que' propositi conciliativi circa il componimento delle quistioni religiose, onde da ambo le parti sorse il pensiero di riaprire le relative negoziazioni: propositi, da' quali il Governo del Re ha coscienza di non essersi scostato anche a fronte delle molte difficoltà ch'ebbe ed ha per ciò da superare. Vogl:.a su questo punto esprimere al Cardinale il rammarico del Governo nella forma più recisa, e significargli che solo per amor di conciliazione e nell'intento di render sempre più manifesta la sincerità e lealtà, con cui si è proposto di soddisfare ai legittimi bisogni della Chiesa Cattolica nel regno, esso è disposto a continuare le riaperte negoziazioni, mentre confida che la Santa Sede vorrà quind'innanzi e ne' suoi procedimenti e ne' suoi discorsi toccanti il soggetto delle negoz:azioni stesse mostrargli una maggior deferenza * (1). In pari tempo si compiacerà d'assicurare il Cardinale, che si terrà conto dei richiami del Cardinale Arcivescovo di Ferrara e del Capitolo Cattedrale di Piacenza, intanto che il Governo, il quale non può essere ragionevolmente chiamato in colpa d'ogni ,esorbitanza a cui dagli esecutori si trascorra nell'applicazione della legge del 7 luglio, non lascia sfuggire occasione di raccomandare e disporre che si us:no tutte le cautele e tutti i riguardi possibili.

Rincresce al Governo l'esclusione del teologo Ghiringhello; ma le osservazioni di Lei lo persuadono che non occorre in proposito insistere di vantaggio.

Il progetto di trasferire alla sede di Bologna il Vescovo di Jesi cardinale Morichini viene accolto in pieno buon grado, tenendosi il debito riguardo della dottrina e della fama di quel Porporato, e presumendosi che egli si condurrà alla nuova sede con ispiriti conciliativi, e con l'animo sgombro d'ogni rancore

pei severi modi, con che il Governo fu costretto ad adoperare verso di lui nel 1864.

Quanto alla sede arcivescovile di Siena Ella vorrà attenersi alle proposte contenute nell'ultima m1a Nota ed escludere senza più il part~to di trasferirvi il vescovo di Colle, monsignor Chiaromanni, del quale il Governo non ha favorevole concetto.

Qui non si ebbe finora alcun suono di irregolarità seguite nella elezione del Vicario Capitolare della diocesi di 'S. 'Sepolcro; essa va tra quelle che si diviserebbe lasciare vacanti, onde io stimo ch'Ella possa suggerire il partito di darla in amministrazione al nuovo vescovo di Città di Castello da cui S. Sepolcro non dista che dieci miglia.

Mi giungono assai graditi i particolari ragguagli ch'Ella mi porge del nuovo vescovo di Nuoro, Monsignor Demartis; ma penso che la traslazione di lui alla sede di Cagliari, mentre ancora non è entrato in quella a cui fu nominato, potrebbe dar orig:ne a commenti di vario genere, onde parmi mLglior cons]glio !asciarlo a Nuoro, sede che per più titoli è importante e bisognevole d'esser riempita. Credo che la Santa Sede non farà dilll.coltà di trasmuta,rvi il Vescovo di Mondovi Monsignor Ghilardi, che sarebbe ut:Ie allontanare dal Piemonte e dal continente.

Rincresce assai al Governo dell'esclusione de' suoi due candidati per le sedi di Reggio d'Emilia e di Pisto:a, circa i quali si ha ragione di credere che i ragguagli giunti costì non siano stati attinti alle fonti più pure. Monsignor Vergalli, dotto, pio, temperato fu per lunghi anni vicario generale dell'ùltimo vescovo di Reggio Monsignor Raffaeli, ed ha la stima e l'affezione di tutta quella diocesi; il parroco Barzacchini è autore d'opere assai pregiate e· fra l'altre d'una lodatissima Storia del vecchio e nuovo Testamento, ed è tenuto notoriamente in molto concetto dall'arcivescovo di Firenze. Ella non ometta di far ciò pr·esente al Cardinale Antonelli, ritenuto che se costà si insiste nell'esclusione, sarà il caso di concertare qualche altra proposta. Starà bene che dell'esclusione assoluta Ella d:a ragguaglio con un telegramma, alll.ne di guadagnar tempo. Rispetto alle altre sedi da provvedersi, Le confermo le istruzioni delle due ultime mie Note (1).

Esprima al Cardinale Antonelli la soddisfazione del Governo circa la dispensa dal pagamento delle tasse pel rilascio delle bolle, eh:! la Santa Sede è disposta a concedere a tutti i nuovi provvisti, 1 quali ne faranno domanda, a cui è da presumere che da costi sarà fatta conoscere tale benigna disposizione.

Attenderò per ultimo ch'Ella mi trasmetta il testo della disposizione di cotesto Governo intorno all'esenzione da ogni diritto di tassa per le merci e i bag·agli dei viaggiatori in transito sulle ferrovie.

(l) Cfr. nn. 201 e 204.

(l) Il brano fra asterischi è edito in Carteggi Ricasoli, vol. XXV, n. 342.

(l) Cfr. nn. 195 e 203.

208

IL MINISTRO A VIENNA, DE BARRAL, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

ANNESSO CIFRATO (l). Vienna, 25 febbraio 1867.

Je viens donner la suite (2) de ma conversation avec I'Empereur, qui après m'avoli" chargé de transmettre au Roi l'expression de sa reconnaissance pour les assurances d'estime et d'amitié dont je m'étais rendu interprète, s'est mis immédiatement à me parler longuement et avec beaucoup d'abandon de la politique générale. L'Empereur a commencé d'abord par discourir sur la Prusse contre laquelle il ne déguis·e pas la profonde inimitié, mais dont il reconnait les éminentes qualités militaires et administratives. n est impossible, m'a-t-il dit, 'que les grandes extensions de territoire poursuivies par la Prusse ne finissent pas par compromettre l'intéret français. La guerre ne peut manquer d'éclater l'année prochaine entre les deux Etats et alors il faut espérer que la Prusse sera battue. Sa Majesté ne m'a pas dit qu'elle profiterait de cette occasion pour prendre de son còté sa revanche, mais le ton de la conversation semblait clairement l'indiquer.

A l'exemple de la France et de la Prusse qui préparent de formidables armements, a ajouté l'Empereur, je m'occupe activement de la transformation de mes armes, le fusil à aiguille est entré pour beaucoup dans les succès prus!Siens, tout le monde en aura blentòt et de meilleurs qu'eux.

Sa Majesté a termlné en me parlant de la situation de l'Italie pour laquelle il a manifesté les meilleurs sentiments. D'après son opinion le parti d'action était 'bien plus puissant qu'on ne le pensait généralement en Italle, et c'est à lui qu'il fallait attribuer les récents troubles et agitations dans le Tyrol. En ce qui concerne le parti d'actìon je me suis borné à répondre à Sa Majesté que ce qui pouvait faire croire à sa puissance était surtout le grand mouvement qu'il se donnait, mais que le sentiment monarchique était profondément inculqué dans les masses et que r~en ne saurait l'en déraciner.

209

IL CONSOLE A SALONICCO, FERNANDEZ, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R.R. CONFIDENZIALE S.N. Salonicco, 25 febbraio 1867 (per. il 13 marzo).

Mentre mantengo il massimo riserbo nei Convegni coi miei colleghi, e colle persone di mia relazione, è naturale anche che io ricerchi di conoscere

« Je viens de remettre mes !ettres de créance. L'Empereur m'a fait les plus gracieuxaccueil et m'a chargé d'etre auprès du Roi l'interprète de ses sentiments de haute estime et sincère amitié. "Le passé est fini et bien fini, m'a dit Sa Majesté. Nous n'avons plusqu'à ètre amis et de mon cOté Je !era! tout mon possible pour amener ce résultat qui est aussi le premier intéret des deux peuples ". Je manderai par poste fin de l'entretien ~. (t. 122 delle ore 16,10, per. ore 19,50).

quanto si passa per riguardo alle tendenze dei popoli Cristiani in queste provincie.

Mi resulterebbe dalle mie informazioni che oltre ai comitati segreti della Tessaglia, e dell'Epiro, la Grecia abbia preso di mira anche la Macedonia. costituendo per destare minori sospetti, un'affiliazione anche in Serres, che avrebbe il vantaggio di formarsi un partito con le popolazioni slave di questo circondario. Mi è stato riferito che il Comitato di Atene si sia messo in rapporti col Comitato rivoluzionario Italiano esistente a Corfù il quale potendo disporre di larghi mezzi, promette il suo appoggio e la sua azione, qualora si consenta formare delle provincie Greco-slave ancora sotto il Dominio, e la Sovranità del Sultano, degli stati federativi a guisa di quelli di America, in vece di proseguire l'intento a cui tende il Comitato di Atene per un regno della Grecia sotto nome d'Impero Bizantino.

Le trattative fra i due comitati sarebbero tuttavia pendenti e frattanto la propaganda ellenica guadagna terreno, senza che il molto dimenarsi dei Consolati Russi, abbia nulla acquistato nelle s:mpatie dei Cristiani di questa Provincia.

Queste notizie mi furono comunicate da persona integra, onesta dimorante in Serres, e in grado di conoscere quanto si passa, ed io in via confidenziale ne do partec:pazione a V. E. per sua norma, e per far specialmente sorvegliare il comitato di Corfù che sembra regolarsi colle aspirazioni di Mazzin!.

Nei Consolati Russi e specialmente in quello di Salonicco cresce il movimento coi preti e monaci di Monte Athos e dei varj Conventi sparsi nella Provincia. Essi han perfino stanza e nutrimento nel Consolato, ed a tal segno spinte sono le relazioni che l'autorità locale adombrata, sorveglia, senza che sia pervenuta a conoscere i progetti.

I rapporti del Consolato Russo con l'Arcivescovo Greco non sono in termini di buon'intelligenza.

Qualunque siano i sacriftzj che il Governo Russo s'impone egli è certo che poco o nulla può confidare per formarsi un partito malgrado le dimostrazioni politiche in favore dei Cristiani d'Oriente, i quali confidano negli slanci generosi della Francia e nelle simpatie dell'Italia dove han veduto con vera esaltazione di compiacenza erigersi Comitati di Soccorso per i cretesi in quasi tutte le città del Regno.

A misura che potrò conoscere fatti o notizie di qualche rilievo mi farò doverosa premura di rassegnarli alla considerazione di V. E.

(l) -Ad un r. s. n., non pubblicato. (2) -Il 23 febbraio De Barrai aveva inviato il seguente telegramma:
210

L'INCARICATO D'AFFARI A COSTANTINOPOLI, DELLA CROCE, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 130. Costantinopoli, 26 febbraio 1867, ore 18,45 (per. ore 21,30).

Aujourd'hui Mehemet Fuad pacha a annoncé au chevalier Vernoni que la Sublime Porte enverrait des instructions au Gouverneur du Li:ban pour que le consul italien soit admis dorénavant dans toutes les conférences à l'mstar des autres agents des puissances garantes. Cette déclaration verbale ne me paraissant point suffisante je compte demander au ministre des affaires étrangères une commun'cation écrite ou tout au moins copie des instructions envoyées à Daoud pacha.

211

ISTRUZIONI CONFIDENZIALI DEL MENISTRO DEGLI ESTERI, VISCO~"'!'! VENOSTA, AL MINISTRO DESTINATO A STOCCARDA, GREPPI

Firenze, 26 febbraio 1867.

In varii colloqui ebbi già ad esporLe i motivi che indussero il R. Governo a stabilire una sua Rappresentanza permanente in Stoccarda ed appena sarebbe necessario che qui li ricordassi, se lo scopo della di Lei missione quello non fosse appunto di raggiungere, nel miglior modo possibile, l'intento speciale che noi ci siamo prefissi nello istituire quella nuova Legaz'one.

Varie sono le ragioni di civile e commerciale convenienza che resero necessario coordinare e completare la nostra Rappresentanza diplomatica in Germania. L'acquisto della Venezia ha aperto alla nostra diplomazia un campo assai vasto d'osservazione ed eventualmente anche di azione dovunque si agita una qualche grave questione europea. Non potrebbe infatti l'Italia trascurare di prendere sin d'ora il posto che conviene ad una nazione costituita e forte, senza incorrere in serio pericolo d'averne a soffrire più tardi sicuro danno negli interessi suoi più vitali e diretti.

Coi paesi del mezzodì della German'a le nostre relazioni hanno poi acquistato maggiore importanza dacché, sciolto il vincolo federale che prima li univa ai due grandi Stati Tedeschi, e tolta di mezzo l'influenza austriaca, uno degli elementi dell'antica lotta in cui si sperdevano in gran parte le forze della nazione germanica, anche l Principati minori, non compresi nella nuova federazione sembrano dover acquistare una più completa autonomia nei loro rapporti internazionali.

Epperò fummo lieti di registrare fra i primi atti del Governo Wiirtemberghese, appena questo fu posto nelle nuove condizioni creategli dal recente assetto delle cose di Germania, l'invio in missione permanente a Firenze d'un suo Inviato straordinario e Ministro Plenipotenziario.

È nella stessa qualità che S. M. il Re, Nostro Augusto Sovrano, accredita la S. V. presso la Corte di Stoccarda. Le numerose prove di capacità e di attività ch'Ella ha dato nel reggere temporariamente altra Legazione e le speciali cognizioni, nonché gli studii ch'Ella ha fatto sulle cose di Germania anche durante il di Lei soggiorno in Berlino, mi persuasero che difficilmente avrei potuto proporre a Sua Maestà la nomina di persona che meglio riunisse tutti i requisiti necessarii per ben disimpegnare la missione che la bontà del Re volle a Lei affidata.

Ella non ignora, Signor Conte, quanto importa in generale che un diplomatico sappia tener conto delle relazioni di famiglia della Corte presso la quale egli è accreditato. La stretta parentela della Regina Olga collo Tzar e del Re Carlo col Sovrano dei Paesi Bassi pone la Real Gasa di Wilrtemberga in una specialissima condizione di rapporti famigliari sulla quale debbo chiamare la di Lei attenzione pella influenza che potrebbe avere nelle combinazioni politiche dell'avvenire.

Benché distinte entrambe per antichità di stirpe e per illustri parentadi, non strinsero mai fra di loro le case regnanti d'Italia e di Wii.rtemberga alleanze di famiglia. Ma se mancarono nella storia passata dei due paesi quelli che formavano per l'addietro i principali elementi dei vincoli politici degli Stati Sovrani, in tempi a noi vicini, vi supplirono in discreta misura le buone disposizioni dei Principi e le naturali simpatie dei popoli. Noi ricordiamo con compiacenza che nel 1857 invitato dall'Austria ad appoggiarne le pretese nel

-conflitto sorto fra noi e quell'Impero, il Governo Wilrtemberghese allora collegato con altri dei minori Stati tedeschi, nella Lega che fu detta federazione di Bamberga, prendeva l'iniziativa di un assoluto rifiuto opponendosi a che gli altri Governi Germanici s'associassero ai conflitti Austriaci in Italia. Ed anche quando la state scorsa scoppiò la guerra fra i due maggiori potentati tedeschi e tra noi e l'Austria, il Wilrtemberga non abbastanza forte per poter tenersi neutrale nel conflitto, tuttoché strascinato nella politica tradizionale dell'Impero, non volle rotta la pace con noi che pur in quel mentre pugnavamo contro il suo pnncipale alleato. Circostanza eccezionaUssima cne non ha forse riscontro neila storie, ma che rivela appunto la prevalenza delle tendenze amichevoli nelle relazioni dei due paesi.

Qualunque abbia ad essere la futura sorte delia Germania noi dobbiamo rallegrare! che nelle condizioni attuali fatte al Regno Wilrtemberghese quelle tendenze potranno sempre meglio esplicarsi ed acquistare un pratico valore.

L'Austria pella sua propria costituzione, pella posizione che occupava in Europa e pelle tradizioni del Romano Impero delle quali pretendeva essere depositaria, esercitava nella Dieta federale di Francoforte che presiedeva e sulle relazioni esteriori degli Stati Secondari tedeschi un'influenza nociva ad ogni tendenza unitaria e nazionale tanto in Germania che in Italia. Più volte i Stati Secondarii, durante i frequenti conflitti dell'Impero colla Prussia tentarono sottrarsi alle contrarie influenze di Vienna e di Berlino, formando tra di loro un'unione che valesse a creare una terza considerevole potenza in Germania. Ma intimiditi il più sovente dalle tendenze del partito unitario, tendenze molte volte anche ad arte esagerate dall'Austria, quegli Stati facilmente si lasciavano persuadere che nel solo Gabinetto di Vienna, essenzialmente conservatore, potevano trovare un sostegno pronto e since·ro contro lo spirito invadente del ·partito unitario tedesco. Di qui, e sinché l'Austria rimase nella Confederazione, nacque una situazione politica la quale faceva dei mi1tori Governi tedeschi altrettanti necessarii alleati dell'Impero, sia perché la posizione dell'Austria in Europa ed in Germania loro era una sufficiente guarentigia contro ogni suo progetto di ingrandimento, sia perché la stessa impo

polarità del Governo di Vienna era urn s!curo impedimento ad ogni sua impresa contro l'integrità delle altre Sovranità germaniche.

Il Regno di Wtirtemberga dovette subire la necessità di questa politica.

Quali mutamenti siano avvenuti nelle cose interne della Germania a segu~to dei rivolgimenti compiutisi nello scorso anno, non è mestieri ricordare. Basta che io Le indichi come i rapporti del Wtirtemberga tanto rimpetto alla Prussia ed agli Stati Secondarii tedeschi, quanto rimpetto all'Impero austriaco, siano ora sostanzialmente mutati in diritto ed in fatto. Gli effetti di queste mutazioni, il modo col quale i varii partiti le accolgono e gli uomini di Governo le accettano formeranno oggetto di particolare studio per 'Parte della

S. V. ed a Lei fomiranno argomento di interessanti relazioni.

La prevalenza del principio unitario è ormai assicurata in Gilrmania: l'esclusione dell'Austria e l'a-bbandono della politica austriaca ne sono ad un tempo una conseguenza ed una guarentigia.

Il concetto unitario trova la sua più semplice espressione nella riunione delle varie autonomie esistenti in un sol corpo, sotto un solo Governo centralizzatore e direttore di tutte le forze nazionali; ma non è perciò a dire che l'unità della nazione non possa trovar altra forma d'interna costituz:one e che pella sua attuazione sia assolutamente indispensabile il concentramento immediato d'ogni direzione governativa.

Nel breve periodo di tempo trascorso dacché la Prussia rappresenta da sola il maggior centro degli interessi tedeschi, ognuno ha potuto osservare che già si formarono direi quasi due diverse correnti della pubblica opinione, le quali, se entrambe tendono ad un medesimo intento, a quello cioè di costituire una Germania forte ed unita, a questo intento vorrebbero però giungere con mezzi diversi e per vie separate. Una larga frazione del partito ltberale, tuttoché plaudendo alle imprese unificatrici della Monarch'.a Prussiana, crede vedere nelle tendenze della Corte e del Gabinetto di Berlino serm pericoli per la causa della libertà interna della nazione. Anche le tradizioni antiche, le buone leggi, le istituzioni particolari e l'affetto stesso dei popoli pei loro Principi erano nelle singole località altrettanti elementi di resistenza contro una troppo assoluta unificazione, i quali, perché s'agitano entro una sfera più ristretta, non debbono perciò esser tenutA in minor conto. E per verità non pochi sono coloro i quali, riflettendo che l'unità territoriale e militare basterebbero a creare una forte Germania, stimano che una sola Confederazione di tutti gli Stati tedeschi sotto la direzione della Prussia meglio risponderebbe nelle contingenze presenti ai bisogni della nazione e ne assicurerebbe le sorti future. Non istà a noi il portare sopra sì delicato argomento un giudizio che solo potrebbesi forse pronunziare dopo un serio ed attento esame della situaZiione quando questa fosse ben definita ed i pericoli di nuove perturbazioni fossero allontanati. Né quindi io voglio qui entrare a giudicare dei fatti più recenti che si produssero in Monaco ed in Stoccarda, benché l'opinione pubblica in Europa se ne sia commossa e n'abbia voluto trarre non lievi conseguenze per un prossimo avvenire. Accenno soltanto al nuovo indirizzo politico che il Principe di Hohenlohe diede alla Baviera ed alla riunione militare convocata in Stoccarda, perché se da questi fatti deve

nascere alcun frutto, essi forniranno ne son certo, argomento alle di Lei attente e diligenti osservazion1.

Intanto è certo che nello svolgersi e nell'agitarsi di elementi tanto diversi e di interessi di cosi grande rilevanza è cosa da prevedersi che una lotta gravissima s'abbia ad impegnare fra i partiti e fors'anche 'fra i Governi. Noi deploreremmo sinceramente se influenze od ingerenze straniere avessero a mescolarsi nelle quistioni interne della nazione Germanica. Fedeli alla nostra politica tradizionale ed ai princlpii che abbiamo seguito nel rivendicarci a Nazione libera ed indipendente, no1 desidereremmo che la Germania si costituisse per sola virtù e forza propria in quella forma che più convenga ai suoi interessi e meglio risponda all'dndole de' suoi abitanti; epperò la S. V. dovrà evitare attentamente di associarsi a qualunque tentativo fosse fatto in senso opposto, mantenendosi pur smpre in una prudente riserva.

Ella non ignora che non solo la leale e stretta applicazione dei nostri principi! politici ci impone di astenerci da ogni indebita ingerenza, ma, ciò che più monta, qualsiasi deviazione da questa linea di condotta sarebbe contraria alla nostra attuale posizione rimpetto alla Prussia, con cui vogliamo mantenere le più cordiald ed amichevoli relazioni. Ella però avrà occasione di osservare il contegno dei varii agenti politici accreditati presso la R. Corte di Wilrtemberga e nel riferirmene, terrà conto sovratutto dell'azione diplomatica che vi spiegano l'Austria e la Francia.

212

L'INCARICATO D'AFFARI A CITTA DEL MESSICO, CURTOPASSI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI. VISCONTI VENOSTA

R. 7/5. Messico, 26 febbraio 1867.

Il Corriere pel battello Francese partito da Messico il 10 corrente venne anch'esso fermato a poche miglia dalla Capitale e la corrispondenza u!ficiale e privata in parte letta e spedita quindi a Vera Cruz ed in parte bruciata.

Ignorando quale sia stata la sorte del mio Rapporto n. 4 (Politico in cifra) (l) mi affretto trasmetterne qui unito un duplicato insieme agli annessi che lo accompagnavano; ci auguriamo che il Corriere della Legazione Inglese giunga al mare senza inconvenienti, sebbene la via fino ad Orizaba sia tutta quanta occupata da numerose bande di dissidenti.

Il Telegrafo transatlantico avrà senza dubbio annunziato 1già che S. M. l'Imperatore moveva per l'interiore il dì 13 corrente alla testa d'una colonna forte di 3000 uomini del Corpo di Marquez facendo pubblicare nella Gazzetta Ufficiale e spedire al Corpo diplomatico il Decreto che unisco al presente rapporto e portante la data del 12 corrente (2).

Il presente Marquez ed il Generale Vidaurri accompagnarono il Sovrano rimanendo qui in città il generale Tabera con una guarnigione di 4.000 uomini.

Nello stesso tempo per dare ancora un carattere più militare al Governo, il Generale Portilla veniva assunto al Ministero di Guerra (fin'ora diretto da un Sotto Segretario) e il Generale Horan nom·nato Prefetto polUico della Valle di Messico e Governatore della capitale. L'allontanamento delle truppe che formarono la colonna dell'Imperatore e, più ancora quello di Marquez, han messo coraggio nelle ·bande che circondano Messico e, quasi tutte le notti vengono scambiati dei colpi di fucile tra queste ed ·i posti avanzati delle diverse garitte. Non sono esse ancora abbastanza forti per o~erare un serio attacco, tanto maggiormente che le fortificazioni sono ben munite di artiglierie e rigorosamente sorvegliate. La guarnigione fa spesso delle sortite onde sgombrare i villaggi immediati alla città e cercare, se possibile, di battere queste bande alla spicciolata; ma fin'ora pongono queste la maggior cura ad evitare un fatto d'armi di qualche conseguenza accontentandosi di tenere continuamente i difensori della capitale sul Chi Vive.

Sua Maestà partendo pel campo volle senza dubbio guadagnarsi una popolarità messa fin oggi alquanto in non cale e la simpatia delle masse; veste Ella regolarmente il costume nazionale e nella sua colonna non ha voluto che ufficiali e soldati Messicani.

Prima di giungere in Queretaro, luogo di convenio per i Corpi di Miramon, Mejia e Mendez, ebbe il Sovrano due piccole azioni con le bande di Fragoso, Gelisto e Cosio delle qual1 ebbe facilmente rag:one; il Generale Marquez che ha il comando effettivo del Corpo fa una enfatica relazione di questi scontri nella lettera diretta al Ministro di Guerra che qui unita trasmetto.

Sono qui a confermare quanto ebbi l'onore di annunziare all'E. V. con mio Rapporto di n. 4 (pol,itico in cifra) relativamente alla sconfitta toccata a Miramon contro Escobedo dopo la effimera occupazione di Jacatecas: il combattimento fu lungo e sanguinoso e l'ex Presidente pagò ben caro 11 fio della sua temer:tà con la quale crede sempre poter supplire al numero. Di un corpo di

1.500 uomini non gli rimase che una mano di cavalieri insieme ai quali si fece strada verso San Luis Potosi ad incontrare le Forze di Mejia che dirigevansi sopra Queretaro. Questa battaglia, detta di San Jacinto, fu tanto più deplorevole che diede luogo ad un atto d'immenso rigore per parte de[ vincitorl: tra i prigionieri presi le armi alla mano eranvi 101 Stranieri (quasi tutti Francesi) i quali vennero fucilati dietro le ragioni ed i consideranti esposti in un ordine del Generale Escobado che V. E. troverà qui in seno.

Questo terribile esempio giustificato soltanto dal furore di una lunga Guerra Civile e, forse, dagli eccessi commessi dai condannati in Jacatecas durante H breve tempo che vi soggiornarono col Generale Miramon non mancherà di trascinare funeste conseguenze e non sarà certamente Marquez l'Ufficiale che si opporrà alle più severe rappresaglie; oltre che gli Stranieri rimasti al servizio dell'Impero 0200 circa) non vedendosi considerati come belligeranti e così privi affatto dei diritti di guerra generalmente riconosciuti, non tarderanno ad abbandonare la causa che difendono.

Il 19 corrente entrava il Sovrano in Queretaro dove, al dire di molti, ebbe un'accoglienza entusiastica dopo di essersi riunito ai Corpi di Miramon, Mejia e Mendez: due giorni prdma dava fuori l'ordine del giorno che qui compiego.

L'insieme di tutte queste forze ascende forse a un 12.000 uomini dei quali ben due terzi sono considerati come i migliori soldati dell'Esercito Imperiale non avendo mai cessato di battersi durante tre anni nel Michoacan, nel Tamaulipas e nel Nuevo Leon sotto Mendez e Mejia. Questa concentrazione di truppe in Queretaro, alle quali la leva può agginger numero, è destinata ad intraprendere una seria ed energica campagna contro i grossi Corpi dei Generali Juaristi, Escobedo, Corona, Regules, Trevino ecc. ecc. che occupano gli Stati di Jalisco, Guanajuato, Zacatecas e Nuevo Leon. Ma mentre si pensa a battere il nemico nel Nord, le Provincie Centrali trovansi grandemente esposte perché con pochissime truppe e queste circondate da forze dissidenti numerose ben comandate ed agguerrite. Puebla la cui guarnigione conta appena 2000 uomini, è già seriamente minacciata da Porfirio Diaz e, posso affermare che non si aspetta dai Liberali che l'imbarco totale dei Francesi, il che avverrà al più tardi verso la metà del prossimo marzo, per occupare quella seconda città dell'Impero. La stessa sorte può toccare alla capitale, con maggiori difficoltà senza dubbio, se fino a quell'epoca la vittoria non permetterà al grosso dell'Esercito Imperiale di ripiegarsi su Messico dove i nemici del Governo, sebbene rinchiusi nella più assoluta inazione, aspettano l'occasione per venire in aiuto a quelli di fuori: nella scorsa settimana fu scoperto presso la Cittadella un deposito di 5.000 bombe a mano, due pezzi di artiglieria e qualche migliajo di fucili.

Non presentandosi come impossibile l'occupazione di Messico da'i liberali, il Sovrano troverebbesi senza la capitale, operando in paese nemico e sguernito affatto alle spalle. Ciò avvenendo la posizione del Corpo diplomatico non potrebbe mancare di diventare estremamente difficile temendosi (e con qualche fondamento) che le autorità liberali esigeranno da noi una esplicita dichiarazione sia in favore dell'Impero, sia in favore della Repubblica. Nel primo caso il nostro rinvio sarebbe certo e ci toccherebbe così di abbandonare il paese dove risiede ancora il Principe presso il quale siamo accreditati, nel secondo bisognerebbe fare dimostrazioni simpatiche alla Repubblica mentre il Sovrano occuperebbe ancora una parte del territorio. Spedito appena il corriere, ci occuperemo seriamente di tanto importante fatto, mentre se l'Imperatore avesse, siccome nelle stesse circostanze altri Sovrani, chiamato presso di sé il Corpo diplomatico, non vi sarebbe alcuna difficoltà a temere.

Sua Maestà decidendosi ad intraprendere in persona la campagna del Nord non rinunzia pertanto ad un accomodamento onorevole col partito Liberale sotto la condizione espressa della sua abdicazione: avrebbe l'Imperatore voluto assicurare due punti principali cioè: l'integrità del territorio Messicano ed. una amnistia generale per tutti i compromessi politici. Ad ottenere questi risultati si rivolsero tutti i suoi sforzi fino dal viaggio ad Orizaba, ma l'odio inveterato tra i due Partiti e più ancora i maneggi del Maresciallo presso i Liberali non permisero l'attuazione dei suoi Piani.

Pochi giorni prima di partire per Queretaro decidevasi Sua Maestà ad un estremo tentativo invitando Porfirio Diaz, Generale in capo dell'Esercito repubblicano d'Oriente, ad accettare il comando delle Forze concentrate in Puebla e Messico promettendogli la sua pronta partenza ed esigendo le garanzie sopra citate. Il Generale Juarista rigettando le proposte imperiali dirigeva ai Prefetti

repubblicati la circolare che ho l'onore d'inviare in copia all'E. V. e che non ha ancora avuto pubblicità.

La Legione Austro-Belga quasi in totalità ed un reggimento Francese presero già il mare nei scorsi giorni: annunziasi quest'oggi a Vera Cruz di altri 6 Trasporti sotto gli ordini dell'Ammiraglio La Roncière le Noury sui quali saranno imbarcate le truppe cantonate tra quel porto e Paso del Macho. II grosso dell'Esercito Francese travasi tra Orizaba e Cordoba non potendosi concentrare molta gente nella Terra Calda per timore d'un sviluppo straordinario di febbre gialla: calcolasi che pel 20 Marzo il Corpo di Occupazione sarà tutto imbarcato.

Una nuova Convenzione fu stipulata nella scorsa settimana tra questo Governo e il Ministro di Francia in virtù della quale le Dogane di Vera Cruz saranno rese il lo marzo alle autorità Messican ccon condizione espressa di pagare

50.000 scudi al mese alla Francia.

II Governo Imperiale non ha fino a questa data risposto alla Nota collettiva del Corpo diplomatico del 9 corrente mese.

(l) -Non pubblicato. (2) -Non si pubblicano gli allegati.
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IL CONSIGLIERE DI STATO, TONELLO, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DI GRAZIA E GIUSTIZIA E DEI CULTI AD INTERIM, RICASOLI

Roma, 26 febbraio 1867.

* II Corriere da me spedito a Temi in esecuZione del telegramma ministeriale del 24 corrente (1), mi riportò jeri sera la Nota dell'E. V. del 23 stesso mese (2). Io sperava che in quel piego si contenesse già la risposta alle mie del 22 e del 23 (3), giunte costà domenica mattina 24; ma la data della ridetta nota mi mostrò essere la medesima stata compilata prima del loro arrivo.

Io significava nella seconda di esse le v-ive Iagnanze da me fatte al Cardinale Antonelli per le cose disaggradevoli contenute nell'allocuzione Concistoriale contro la esplicita promessa fattami precedentemente, e riservava l'ulteriore corso delle trattative alle deHb€razioni che su tale [ncidente avrebbe preso il Governo. Il silenzio però sinora osservato in proposito m'adduce a ritenere che li Governo, salvata colla fatta protesta la sua digrutà, non creda, com'è anche H mio avviso, dover ciò essere d'ostacolo al proseguimento delle trattative medesime. E per vero le querimonie contenute nell'Allocuz·ione qui non fecero quasi veruna impressione, ed anzi amici e nemici convennero nel trovare che il linguaggio tenuto dal Sommo Pontefice, specialmente in confronto di quello solito nelle allocuzioni precedenti era assai mite; ed io stesso se me ne richiamai virllmente, lo feci non tanto per la gravità delle cose dette, quanto per la mancata formale promessa di nulla dire. Terrò quindi il memorato incidente come esaurito senza mettervi altra insistenza.

Venendo quindi al contenuto dell'anzidetta nota Ministeriale del 23, ed in prima di quella precedente del giorno 19 (4), che per altro ricevetti soltanto

{2) Cfr. n. 203. { 3) Cfr. nn. 201 e 204. {4) Cfr. n. 195.

nel pomel"iggio del 24, e così dopo la partenza de' miei dispacci del 22 e del 23, devo anzitutto esprimere all'E. V. la mia gratitudine per Je parole di approvazione e d'incoraggiamento, che Ella volle accordare all'opera da me prestata in questa Città per la nobile causa di conciliazione, aHa quale tutti intendiamo, e benché le dlificoltà non manchino a rendermi il compito più grave, che io forse non credeva, non tralascerò di consacrarvi con sempre crescente devozione tutte le deboli mie .forze, sorretto dagli alti intendimenti, e dalla inconcussa lealtà dell'E. V. * (1).

Per la nomina all'Arcivescovado di Milano restano sempre fermi i concerti presi su Monsignor di Calabtana, benché a dir vero mi sia dispiaciuto che la cosa siasi anzitempo non so come divulgata, e l'abbiano perfino stampata i giornali di quella Città; il che potrebbe forse far nascere ostacoli impreveduti, Monsìgnor Ballerini sarà nominato ad un Patriarcato in partibus e chiamato a Roma, ferma sempre l'intelligenza per la concessione della pensione di cui già godeva il Vescovo di Famagosta, e che al Governo deve essere indifferente d'accordargli qualunque sia il titolo in partibus di cui la Santa Sede crede conveniente inslgnirlo. La vertenza poi per la provvista alle parrocchie di Milano, a quanto mi annunzia anche Monsignor Prevosti, è int:eramente composta.

Resteranno intese le nomine a Foligno dell'attuale Vescovo di Poggio Mirteto ed a Macerata di Monsignor Franceschini attuale Vicario Capitolare di Foligno, non si tosto io abbia significata alla Santa Sede l'adesione del Governo.

Per Siena, Pavia, Casale e le altre Diocesi delle quali si è già parlato più volte ne ritratterò secondo le istruzioni datemi dal Governo nella conferenza che avrò ,questa sera stessa col Cardinale Antonelli, proponendo anche i nuovi candidati des~gnatimi, e procurando di concludere il più che sia possibHe. Devo però dire, che né Monsignor Bernardi proposto per Asti, né molti degli altri contenuti nelle prime nostre proposte, specialmente per le provincie Napoletane sembra possibile farli accettare dalla Santa Sede, benché nelle lunghe conferenze di oltre due ore ciascuna, che tengo assai spesso col Cardinale, e non occupate in altro, che in discorsi sul personale, io mi adoperi, come il Governo può ben immaginarsi, con ogni argomento ed ingegno, e con una insistenza forse soverchia e certo maggiore di quella che nel sostenere i suoi pone il Cardinale, a propugnare i candidati governativi, e a dissipare le prevenzioni, che si hanno su molti di essi. Ma purtroppo mi accorgo, che quando la Santa Sede negli alti suoi Consigli crede di mettere il veto sopra una persona, difficilissimo riesce il farla rinvenire, come appunto mi accade col Bernardi, del quale ho più e più volte rinnovato col massimo calore il discorso e sempre senza risultato.

Intanto mi occorre riferire all'E. V. che le informazioni da me prese sul Padre Antonio Maria da Rignano confermarono ampiamente il favorevole concetto, che già me ne espresse il Governo al punto, che io credo di proporlo ad una sede fra le importanti delle provincie Napoletane. M'informai pure su Monsignor Guadalupi, e le risultanze, sebbene non pari a quelle del Padre da Rignano, furono però favorevoli, per cui credo potersi pure accettare. Quanto al padre Priori, che mi fu raccomandato sia prima della mia partenza in Firenze,

sia qui 'in Roma, ho avuto già qualche ragguaglio, ma non sufficiente ancora per accettarlo; qu'ndi mi riservo a più complete informazioni se mi sarà dato di attenerle.

Il dispaccio Ministeria~e del 23 corrente ha annesso un elenco delle sedi Episcopali che si pensa di lasciare vacanti. Per verità ho notato che alquante di esse negli elenchi precedenti, che mi si erano mandati, erano contemplate fra quelle da provvedersi (1), ed anzi si facevano dal Governo le proposte delle persone a nominarsi per alcuna, come accadde per Amalfi, Ariano, Diano e Teggiano, e Noto, proposte da me comunicate alla Santa Sede; anzi per un'altra di esse, quella di Ampurias e Tempio si sarebbe già progettata d'accordo la nomina nella persona dei Canonico Viridis Vicario Capttolare di Bisarcio. Tuttavia per questa sede la nomina essendo ancora allo stato di progetto, e per le altre non essendosi ancora concretata, procurerò benché non senza qualche dispiacere, di ritirare ciò che si era già avanzato, e di far prevalere questi nuovi e diversi disegni.

Ma ho notato con sorpresa, che fra le Sedi da non provvedersi sono pure annoverate quelle di Cervia, Cagli e Pergola, Città di Castello e iNocera, le quali sono tutte già provvedute coi preconizzati dalla Santa Sede (2). Di queste, in consideraz:one del fatto compiuto, nel quale era interessato il decoro della Santa Sede medesima, in tutto il corso delle trattative non si era mai fatto questione, ed io essendo stato autorizzato a consentirne l'immissione in possesso col dispaccio ministeriale dell'll corrente (3), giacché nel medesimo, quanto ai preconizzati non si faceva altra eccezione che del ritardo per quelli di Lombardia, al cui riguardo pendevano speciali trattative, e pel Cardinale Guidi di Bologna e Monsignor Benazzi di Borgo S. Dannino, la Santa Sede ha già scritto per partecipar loro l'ammessione, e quindi diventa impossibile, salva la lealtà ed il decoro del Governo (4), ritirare la parola data, e rimettere in questione tale materia, tanto più che la Santa Sede vi annette il più grande interesse, ed è di quelle sulle quali più vive e reiterate furono le sue istanze. Io credo quindi, che la menzione delle anzidette quattro Diocesi nell'elenco in discorso sia stato un effetto d'equivoco o d'inavvertenza alla speciale condizione in cui si trovano; e che qualunque possa essere l'intenzione del Governo per le provviste avvenire che possono riguardarle, nel che anch'io volontJieri soscriverei alla loro abolizione, per ora non possa .farsi altro, come vivissimamente raccomando, che darsi esecuzione alla richiesta, che secondo la procedura convenuta, e ricordata nei fogli ministeriali del 29 scorso gennaio, e del 19 corrente (5), io ho fatto colla mia nota del 22 andante (6).

Un altro equivoco poi od inavvertenza è certo occorsa quanto alla già accennata diocesi di Diano, sulla quale collo stesso dispaccio minis,teriale del 23 corrente mi si danno disposizioni affatto contraddittorie (l); giacché nel testo del dispaccio mi si fa premura perché proponga per essa il Sacerdote Francesco Napoli Canonico della Metropolitana di Salerno, e nell'e,lenco annesso la stessa Diocesi è annoverata fra quelle da non provvedersi. Per nulla pregiudicare io intanto proporrò semplicemente il Napoli fra gli eligiblli in genere.

*Porgendo all'E.V. questi ragguagli e con riserva di altro prossimo mio rapporto appena avrò questa sera conferito nuovamente col Cardinale Antonelli, e pregandola intanto a sollecito riscontro su quanto ultimamente le ho scritto...*.

P. S. Si prega per un qualche riscontro sulla supplica colla quale Monsignor Mazzarella qui esigliato chiedeva di poter visitare i suoi parenti in Fondi (2).

(l) Non pubbl!ca.to.

(l) I brani fra asterischi sono editi in Lettere Ricasoli, vol. IX, pp. 287-288 e in Carteggi Ricasoli, vol. XXV, pp. 350-351.

(l) -Annotazione a margine: «Perché questa contraddizione?, o, è conveniente il disdirsi. Fa d'uopo sentire il Comm. Mauri e al seguito, lnformarne il Ministro, e avutane la decisione si potrà rispondere per telegrafo urgendo che li Comm. Tonello non resti trattenuto. Anche occorre per telegrafo avvisare il Comm. Tonello del ricevimento di questo Ufficio sul qualeavrà in breve le necessarie avvertenze». (2) -Annotazione a margine: «Si vede chiaro che la Nota fu fatta a occhi chiusi, tanto più occorre telegrafare al Tonello che si tranquillizzi e che li Governo mantiene la parola, e non essere che un errore di copia. Tuttavolta è dolente che il Governo si trovi esposto a vedere compromessa la serietà e la dignità sua con tall errori provenienti dalla leggerezza con la quale si compiono gll affari interni». (3) -Cfr. n. 180. (4) -Annotazione a margine: «Sarà salva certame11te ». (5) -Cfr. nn. 245 e 295. (6) -Annotazione a margine: «Vogllo che cl mostriamo coerenti con quanto fu espresso dal Predecessore ».
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IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, ALL'INCARICATO D'AFFARI A COSTANTINOPOLI, DELLA CROCE

T. 104. Firenze, 27 febbraio 1867, ore 16,45

Je vous approuve et je vous remercie pour le résultat obtenu au sujet des conférences de Syrie (3). Aussitòt qu'une communication oUicieUe vous aura été faite, prenez-en-acte en remerciant la Porte par une note.

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ISTRUZIONI DEL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AL MINISTRO DESTINATO A BERNA, CERRUTI

Firenze, 27 jebbra:o 1867;

Il Governo del Re Le conferisce l'onorevole incarico di rappresentarlo presso la Confederazione Elvetica, e le porge così segnalata testimonianza della fiducia ch'esso ripone nello zelo intelligente di Lei e nell'affetto operoso che Ella porta alla patria nostra.

Alla S. V. Illustrissima che coprì da ult:mo un posto eminente in questo Dicastero (4) o ve s'accentra la direzione dei rapporti esteriori, sarebbe superfluo additare qual debba essere il compito che Ella ha a prefiggersi nella missione che Le si affida. Ella conosce diffatti qual sia stata in questi ultimi tempi

la situazione reciproca del Regno e della Confederazione e qual sia il nostro programma po1itico per quel che concerne le relazioni tra l'Italia e la Svizzera.

Tuttavia poiché v. S. Illustriss:ma m'ha dimostrato la brama di una norma più precisa in cui sia concretato il pensiero cui si ispira il. Governo del Re nel comme·tterLe Ja sua Rappresentanza a Berna. ben volentiert accondiscendo alla richiesta di Lei, ed io mi fo ad additarLe per sommi capi i punti ai quali dovrà più specialmente essere rivolta l'attenzione della S. V. Illustrissima.

I rapporti d'indole privata sono numerosi e rilevanti tra il Regno e la Confederazione. Le popolazioni industri ed intelligenti della Svizzera trovarono, fin da tempi remoti, in Italia un largo campo all'esercizio dei loro pacifici commerci, e vi fornirono prezioso elemento per lo sviluppo dei traffici locali. Nel Piemonte e più ancora nella Lombardia ove è maggiore la somiglianza del dialetto e delle consuetudini, i cittadini Svizzeri del Cantone Ticino emigrarono numerosi, cosi per iscopo di temporaria dimora, come nell'intento di stabilirvisi più fissamente e crearono in quelle nostre provincie considerevoli interessi in cui vennero a trovarsi implicati ad un tempo nazionali dei due paesi. È pur rilevante assai benché non raggiunga le stesse proporzioni l'emigrazione italiana, stabile o passeggiera, sul territorio svizzero. Manca una statistica completa a tal riguardo, dovendo considerarsi soltanto come approssimativa quella che il predecessore di Lei desunse da operazioni ufficiali di censimento e trasmise a questo Ministero. Tuttav:a è all'infuori d'ogni dubbio che il numero degli Italiani stabiliti o transeunti nella Confederazione raggiunge una cifra assai elevata; del che è prova indiretta ma sicura, la mole degli affari privati che assorbe gran parte del lavoro così della R. Legazione come dei RR. Consolati 1n !svizzera.

In tale stato di cose è naturale H desiderio del Governo del Re di veder continuate le eccellenti relazioni esistenti fra i due Stati e noi saremo sempre lieti di constatare che il Governo della Confederazione corrisponda con egual premura a quel nostro desiderio.

Ella coopererà certo, Signor Ministro, al conseguimento di un risultato che è ugualmente nei voti e nell'interesse di ambedue i paesi, ed il compito di Lei sarà facilitato dai sentimenti benevoli e concilianti da cui sono animati gli uomini che la fiducia dei loro concittadini chiamò al potere supremo della Confederazione.

Le preoccupazioni del Governo Elvetico sono rivolte principalmente al mantenimento della neutraUtà del territorio della Confederazione. Si comprende di leggieri come sia oggetto di giusta sollecitudine, in !svizzera, queHa disposizione, sola ormai superstite fra le stipulazioni del 1815, la cui bontà fu provata per cinquanta anni di fortunata esperienza e dal fatto stesso d'essere sopravvissuta a tanti rivolgimenti. Epperò tl Governo del iRe seppe darsi costantemente ragione delle legittime suscettibilità del Governo federale in tale argomento, e si recò a premura di calmarne le apprensioni anche quando esse non erano fondate sovra veruna base seria, come ad esempio avvenne allorché, in seguito alla Convenzione del 15 settembre 1864 si sparsero voci assurde di cessioni di territori Italiani alla Francia. Recentemente ancora, mentre erano per iscoppiare le ostilità fra l'Italia e l'Austria, il Ministro della Confederazione

avendo provocato dal Governo del Re una dich:arazione esplicita che si sarebbe rispettata la neutraHtà del territorio federale, siffatta dichiarazione fu enunciata dal mio onorevole predecessore in termini tali (l) che il Governo Elvetico ebbe a dimostrarsene pienamente sodd:sfatto. Non posso però dispensarmi, Signor Ministro, dall'esprimere a tal riguardo la f1iducia che il Governo federale vorrà in avvenire attingere le ragioni della propria sicurezza, in ogni futura contingenza che si presentasse, piuttosto nelle prove constanti di leale amicizia date dal Governo del Re, anziché nelle guarentigie ufficiali che può fornire una dichiarazione diplomatica.

Chiusa ormai colla cessione del Veneto la lunga e sanguinosa serie di conflitti per cui fu rivendicata l'indipendenza d'Italia contro la dominazione austriaca, riescirebbe forse meno opportuno che sia qui ricordata l'attitudine del Governo federale durante le due ultime guerre che furono per quello scopo combattute in Italia, se non vi si contenesse un sintomo di ingiuste prevenzioni le quaii vogliono essere con ogni sforzo combattute.

Già nel 1859 il Governo federale aveva dato luogo a dubitare della perfetta imparzialità con cui esso applicava le regole deUa neutralità nel conflitto pendente tra l'Italia e l'Impero Austrd.aco. In queHa circostanza poté forse essere ragione sufficiente delle misure insolitamente rigorose adottate a nostro svantaggio il timore che un movimento nazionale avente un programma non ancor bene definito potesse trascendere a danno della integrità territoriale della Confederazione. Però l'esperienza dei cinque anni che corsero dai 1861 al 1866 avrebbe dovuto convincere gli uomini di Stato che seggono alla direzione delle cose esteriori della Repubblica, che l'unità italiana, opera essenzialmente conservatrice e forte di sola forza morale, non poteva ledere i diritti e gli interessi deUa Confederazione, e ne meritava invece tutte le simpatie, dappoiché la causa Italiana è quella stessa causa della libertà per cui tra le generose popolazioni elvetiche è da secoli tradizionale la devozione.

Tali invece non furono le dis·posizioni dimostrate dal Governo Elvetico all'aprirsi dell'ultima guerra. Il diritto proibitivo di esportazione imposto dalle Autorità federali all'uscita dei cavalli dal territorio della Confederazione, fu bensì giustificato con allegare la necessità di impedire che gli apprestamenti militari fatti all'estero potessero nuocere alle esigenze della difesa naziona.le; ma è però a conoscenza di tutti che tra l'Austria e l'Italia quest'ultima ebbe a soffrire maggior pregiudizio da quella misura, e che l'interpretazione datane dalla pubblica opinione fu di provvedimento non conforme alle norme dell'imparzialità internazionale. Questi fatti ed altri minori che sarebbe superfluo di qui esporre dimostrano che è ben lungi dail'essere svanita dall'animo del Governo e delle popolazioni della Confederazione Elvetica quella diffidenza cui diede origine il rapido sviluppo dell'unità italiana, ·e cui porsero alimento voci ad arte diffuse dagli avversari nostri.

Benché nel periodo che s'apre ora per l'Italia sembri esclusa la possibilità che quella diffidenza si traduca ancora in atti effettivamente pregiudicevoli a noi, è tuttaV'ia necessario, nell'interesse dei buoni rapporti tra i due paesi, che

23 -Documenti diplomatici -Serie I -Vol. VIII

Ella si adoperi a distruggere ogni ingiusta apprensione in proposito. E perché Ella possa francamente esprimersi intorno a così delicato argomento, stimo utile di aprirLe senza ambagi il pensiero del R. Governo a tal riguardo.

Il territorio elvetico è abitato da popolazioni appartenenti a tre razze distinte, ciascuna delle quali ha il proprio nucleo principale costituito in potente nazione all'infuori della Confederazione. Attorno al gruppo centrale delle Alpi, nelle valli superiori dei bacini del Po, del Reno, e del Rodano, la lega dei Cantoni Svizzeri accolse italiani, tedeschi e francesi, in un tempo in cui Italia, Germania e Francia agitavansi, ancora confusamente divise ed inconscie della propria unità nazionale. Di siffatta condiz~one etnografica è conseguenza il sospetto e l'apprensione dei patrioti Svizzeri che al vincolo federale ed alla stessa indipendenza dei cantoni possa riuscire fatale quella forza d'attraz~one, per cui la Francia in epoca più remota e l'Italia a tempi nostri compirono l'opera della propria unif!i.cazione e che si manifesta attualmente p~ù vivace che mai tra gli Stati di Germania non per anca fusi in un sol corpo politico. A siffatti timori porge esca ogni complicaz:one che si produca od accenni di prodursi sul continente. Recentemente ancora ne fu agitatissima, in !svizzera, la pubblica opinione in occasione della questione delle ferrovie del Giura bernese. Si dubitò che quella frazione del Cantone di Berna, già dipendente dal Vescovado di Basilea, incorporata aHa Francia nel 1798 e restituita al Cantone nel 1815 volesse staccarsi dalla Confederazione ed annettersi alla Francia se non sì fossero votati dal Governo Cantonale i sussidii da essa desiderati per le proprie ferrov1e, né le apprensioni vennero meno se non quando, emesso il voto favorevole, furono acquetati gli animi in quella frazione del Cantone.

Circostanze speciali hanno mantenuto più vivaci in !svizzera i timori di mutazioni territoriali a beneficio dell'Italia. Dappoiché la Lega Grigia ebbe perduto la Valtellina, meno la piccola valle di Poschiavo, non rimase alla Confederazione elvetica altro territorio Italiano all'infuor:i del Cantone Ticino. Separato dalia catena maggiore delle Alpi dagli altri Cantoni, diviso esso stesso in due parti dal Monte Ceneri che ne sparte le acque tra il bacino del Ticino e quello dell'Adda, il Cantone non è separato dalla Lombardia da verun segno naturale di delimitazione. Però il non averne mai seguito le sorti e l'essere andato immune dalla signoria straniera in tempi nei quali le vicine provincie Lombarde vi soggiacevano, fu cagione che nel Cantone Ticino si manifesti tuttora un carattere politico del tutto diverso. D'altra parte la costituzione attuale del Cantone è-quale fu riformata nel 1830, vale a dire concepita in senso tale da dare la prevalenza al partito liberale avanzato, la cui influenza continuò ad essere prevalente nel Cantone e contribuì forse a mantenervi ingiusti sospetti a carico del nuovo Regno.

Distruggere coll'opera lenta della persuasione e colle dimostrazioni eloquenti dei fatti codeste prevenzioni che sussistono nel Cantone, sarà di preferenza compito del R. Console che risiede a Lugano. Però Ella potrà non poco contribuire a così desiderabile risultato insinuando nell'animo degli uomini politici che dirigono la somma delle cose della Confederazione che sono del tutto infondati ri. timori che si nutrono in tale argomento.

In quanto ci concerne, la situazione diplomatica del Cantone Ticlno assicura la nostra frontiera da quel lato in modo pienamente efficace. L'interesse nostro travasi pertanto a tal riguardo in piena consonanza coi principii, da noi professati, di rispetto assoluto alla volontà delle popolazioni.

Ella avrà senza dubbio, Signor Ministro, l'occasione di svolgere utilmente siffatte considerazioni, ed io mi lusingo che la S. V. Illustrissima saprà riuscire in proposito a quel risultato che è nel nostro desiderio.

Discorrendo del Cantone Ticino Le si porgerà naturalmente il destro di porre innanzi taluni desideri:i che il Governo del ne, sollecito del mantenimento dei rapporti di buon vicinato, non può dispensarsi dal raccomandare al Governo Centrale della Confederazione.

I Trattati vigenti non furono sempre nel Canton Ticino oggetto di scrupolosa osservanza. Così da qualche tempo vi è invalsa l'abitudine di sfrattare, dietro semplice accusa e senza processo, quegli operai o contadini, sudditi italiani, che vengono nel Cantone in cerca di lavoro. Così pure gli Italiani che risiedono sul territorio ticinese sono assoggettati all'obbligo di munirsi di un permesso di soggiorno o carta di domicilio contro pagamento di una tassa variabile secondo le circostanze; locché è in aperta contraddlzione col disposto dell'articolo I del Trattato dell'8 giugno 1851. È indispensabile che questi sconci abbiano a cessare in quel cantone col quale l'Itaiia ha così frequenti e così rilevanti rapporti; l'Autorità centrale della Confederazione ha il mezzo di esercitare in proposito una salutare pressione sulle determinazioni delle Autorità cantonali. Sarebbe utile altresì che l'influenza del Governo federale ottenesse da quello dei Cantone una più attiva cooperazione delle Autorità tic:nesi colle Autorità italiane per la repressione del contrabbando, il quale è ancora esercitato su vasta scala lungo il confine di difficile sorveglianza, che separa i due territori.

Sovra un ultimo argomento debbo ancora richiamare la sua attenzaone. L'Italia fortemente costituita sulla base della volontà nazionale non ha ragione alcuna di temere le insidie di quei partiti estremi che vorrebbero veder mutato l'ordine di cose fortunatamente stabilito tra noi. Le stesse rag:oni che indussero il Governo del Re a largheggiare siffattamente in materda di tolleranza politica da non esservi ormai più cittadino italiano il quale debba ramanere fuori della penisola altrimenti che per propria volontà, tolgono gran parte di importanza al compito, che fu costantemente raccomandato ai predecessor,i di Lei, di sorvegliare le mene reazionarie ed anarchiche le quali si tramassero sul territorio federale. Tuttavia il Governo del Re desidera che la vigilanza di Lei si eserciti anche in tale argomento, e che gli sia da Lei prontamente rifer~to ogni incidente spec.iale il quale meriti d'essergli segnalato. L'opera dei R. Consoli a Ginevra ed a Lugano Le servirà d'utile sussidio per siffatta parte della sua missione. Ed è giusto altresì di constatare come il contegno delle Autorità federali a tal riguardo siasi da alcun tempo mutato 'in senso a noi favorevole, e come l'osservanza della Legislazione circa gli stranieri s'a stata in questi ultimi anni più volte rammentata dal Governo centrale della Confederazione alle Autorità cantonali.

(l) -Annotazione a margine: « 11: poco decoroso tutto questo equivoco, che conviene senz"altro chiarire, volendo che da tutto spiri coerenza e lealtà~. (2) -Annotazione a margine: «Non conosco questa supplica e appena conosciuta avrà favorevole sfogo». (3) -Cfr. n. 210. (4) -Allude al fatto che Cerruti era stato segretario generale del Ministero degli Esteri.

(l) Cfr. serie I. vol. VI. n. 633

216

ISTRUZIONI DEL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AL PRESIDENTE DELLA COMMISSIONE ITALIANA PER LA DELIMITAZIONE DELLA NUOVA FRONTIERA TRA IL REGNO E L'IMPERO AUSTRIACO, DI ROBILANT

Firenze, 27 febbraio 1867.

Poiché la S. V. sta per recarsi a Venezia in quaHtà di Presidente della Commissione italiana per la delimitazione della nuova frontiera tra il Regno e l'Impero austriaco, accondiscendo ben voLentieni ai desiderio ch'Ella mi ha espresso di ricevere per iscritto quelle istruzioni più essenziali le quali valgono a meglio definire il compito che Le è affidato.

La S. V. non ignora come il Governo del Re, negoziando a Vienna la pace si sia particolarmente preoccupato della questione dei confini che si sarebbero assegnati alle provincie cedute dall'Austria. EHa conosce come ogni sforzo del negoziatore italiano per riuscire ad un risultato che rispondesse al desiderio vivissimo del paese sia tornato indarno e come l'art. IV del Trattato di pace del 3 Otto:bre abbia limLtato l'estensione dei territorii compresi nella cessd.one a quelle provincie che nella ripartizione amministrativa dell'Impero erano designate col nome di Regno Lombardo-Veneto. Il Generale Menabrea espose diffusamente le fasi del negoziato relativo a quella delicatissima parte della sua missione in un apposito Dispaccio che fu presentato al Parlamento Nazionale (1), né è punto necessario che io qui ritorni sovra quell'argomento cui feci allusione unicamente perché ne r~esce meglio definita la sfera dell'incarico che le è commesso.

I termiilli dell'Articolo IV del Trattato di pace, Le additano in modo preciso quali siano i diritti conferiti al Governo del Re dalla stipulazione relativa alle frontiere. Tutto H territorio compreso nella delimitazione amministrativa del Regno Lombardo Veneto è ·passato in virtù del Trattato del 3 Ottobre nel dominio del Governo del Re. Alla S. V. spetta pertanto anzitutto la cura che sia esattamente constatata siffatta delimitazione: e poiché fu esplicitamente convenuto trattarsi della circoscrizione amministrativa attuale, non riuscirà difficil cosa alla Commissione di procedere con sicurezza a quella operazione preliminare, il cui risultato deve servire come base di fatto per la fissazione della nuova frontiera. Non occorre che io Le dica come il nostro diritto sovra tutti i territori:i che saranno riconosciuti compresi nella designazione enunciata nel Trattato sia assoluto, inalienabile e tale da non poter essere in nessuna circostanza impugnato e menomato con servitù, condizioni o carichi di ·qualsiasi natura. Per quanto consta finora il Governo austriaco sembra disposto a riconoscere la pienezza delle ragioni che ci assistono a tal riguardo: ad ogni modo però Ella è autorizzata a formolare in proposito, se la cosa tornasse opportuna, la più catego·rica dichiarazione.

Per tutte quelle notizie od informazioni di fatto che potessero occorrere alla Commissione da Lei presieduta, Ella ha piena facoltà di rivolgersi ai fun

zionarii delle provincie limitrofe al nuovo confine. Il Ministero dell'Interno e quello delle Finanze da cui quelle Autorità dipendono e coi quali hanno più diretti rapporti, furono pregati da me di diramare a tal riguardo sollecite istruzioni, alfinché i materiali occorrenti possano essere fin d'ora preparati.

All'oggetto poi di agevolare il compito delle rispettive Commissioni per quel che concerne le questioni di diritto che probabilmente saranno per presentarsi con certa frequenza, i due Governi hanno convenuto che ai Commissari militari aventi voto deliberativo fosse aggiunto un Commissario civile con voto puramente consultivo e con incarico di porgere il sussidio delle nozioni giuridiche, amministrative ed economiche indispensabile per la risoluzione deUe controversie che fossero per affacciarsi.

Pensai che sarebbe stato il migliore fra i partiti quello di lasciare a Lei la scelta della persona cui si dovrà deferire siffatto incarico per parte del R. Governo. Non isfuggirà però a V. S. come sia essenziale che quella persona sia esperta nella legislazione e nelle consuetudini locali del Veneto ed abbia perfetta conoscenza delle questioni di fatto che possono connettersi colla determinazione della nuova frontiera tra l'Austria e l'Italia. Il Ministero dell'Interno al quale io diedi avviso del come la scelta del Commissario civile sia stata lasciata alla S. V., Le porgerà o Le farà porgere a tal riguardo, ove tale sia il desiderio di Lei, utili direzioni.

La missione che Le è alfidata potendo porgere occasione a negoziati diplomatici tra il R. Governo ed il Governo Imperiale d'Austria, sembram1 conveniente, che, conformemente ai precedenti, Ella corrisponda con questo Ministero valendosi, ove ne occorra l'opportunità, del cifrario che è posto a sua disposizione. Ciò non toglierà però che V. S. possa nel tempo stesso rivolgersi direttamente al Ministero della Guerra ed averne diretti riscontri ogni qual vo1ta trattisi di argomento puramente militare e tecnico. Dividendosi per tal guisa, a seconda della varia materia, il carteggio di Lei tra i due Dicasteri ne riuscirà maggiore la speditezza nel disbrigo negli affari che saranno da Lei toccati.

In quanto alle spese che saranno per occorrere alla Commissione da Lei presieduta, La prego di volerne tener nota esatta che Ella vorrà poi trasmettere a questo Ministero pel rimborso.

Sarebbe impossibile di prevedere e definire in queste brevi istruzioni, tutti gli incidenti speciaU che Le si potranno presentare nel corso dei negoziati. Però Ella saprà supplire, non ne dubito, col suo zelo perspicace al difetto di direzioni precise ed alle lacune che sono inevitabili nel tracciamento dd. un compito cosi lungo e complesso qual'è quello che la benevola fiducia di Sua Maestà Le ha a,ssegnato.

Il Maggiore Mazza ed il Capitano de Charbonneau che Le sono aggiunti come Commissari militari potranno anch'essi giovarsi delle presenti istruzioni ed io La prego di volerne dar loro comunicazione.

Le compiego infine i pieni poteri Sovrani che conferiscono a Lei e ai due ulficiali posti a disposiZ'ione di Lei il mandato di negoziare e conchiudere in nome di Sua Maestà quelle stipulazioni che sono consuete nei casi di delimitazione di frontiera, ...

(l) Cfr. serle I, vol. VII, n, 673.

217

ISTRUZIONI CONFIDENZIALI DEL MINISTERO DEGLI ESTERI, VliSCONTI VENOSTA, AL PRESIDENTE DELLA COMMISSIONE ITALIANA PER LA DELIMITAZIONE DELLA NUOVA FRONTIERA TRA IL REGNO E L'IMPERO AUSTRIACO, DI ROBILANT

Firenze, 27 febbraio 1867.

Le istruzioni generali che io Le spedisco unitamente alle presenti (l) avendo unicamente per iscopo di definire in modo preciso i poteri che Le sono conferiti non potevano naturalmente contenere altre direz'oni all'infuori di quelle che Ella avrà occasione di invocare negoziando coi Commissari austriaci pBr l'esecuzione dell'Art. IV del Trattato di pace del 3 Ottobre. Altre indicazioni di natura più confidenziale potendo però r:uscirLe di utile norma nel corso delle trattative, stimai conveniente riassumerLe in queste istruzioni confidenziali di cui la S. V. è autorizzata a giovarsi come di espress·one fedele del pensiero del R. Governo.

L'Articolo IV del Trattato di pace è così esplicito da non lasciar luogo a veruna interpretazione che possa moddficarne la letterale significazione. Né l'indole del compito assegnato alla S. V. comporta che in seno alla medes:ma sia sollevata in modo formale la questione già infruttuosamente dibattuta nei negoziati di Vienna della fissazione di un altro confine che non sia la frontiera ammin:strativa del Regno Lombardo-Veneto. Non potrà quindi evidentemente enunciarsi da Lei veruna proposizione la quale tenda a recare essenziali modificazioni alla situazione territoriale creata dal Trattato del 3 Ottobre. Ed invero qualsiasi pretesa di. voler comprendere nei territori ceduti verso Occidente il Trentina intero, oppure i soli Distretti delle GiudicaDie, od anche la sola periferia del Lago di Garda, od infine alcune di quelle zone trasversali che si possono concepire naturalmente tracciate nella Valle dell'Adige superiormente al confine amministrativo, -e verso Oriente alcune di quelle striscie di territorii che sono successivamente conterminate da accidenti naturali di topografica configurazione, -veruna pretesa dico, di tal genere né sarebbe conforme ai titoli di diritto ch'Ella può giustamente invocare, né avrebbe la benché menoma probabilità di essere accolta.

Se però tant'oltre non può aspirare l'azione di Lei, non è pur tuttavia esclusa ogni possibilità che la S. V. riesca ad ottenere leggiere rettri.ficazioni di confine, le quali siano richieste o dall'utile generale dello Stato, ovvero dagli interessi speciali di taluna località collocata in prossimità della frontiera. Ed è appunto nella previ<>ione che il negoziato possa da Lei opportunamente condursi sovra codesto terreno che io stimo utile di agevolarLe il compito con aprirLe senza ambagi il concetto del R. Governo a tal riguardo.

Il diritto nostro già lo dissi nelle istruzioni generali è assoluto finché si

tratta dei territori compresi entro la circoscrizione amministrativa del Regno Lombardo-Veneto. Ma all'infuori di quella ceTchia qualunque proposizione che ven:sse emessa da Lei dovrà svestire ogni carattere di reclamo e chiaramente dimostrare ch'essa tende a conseguire un assetto territoriale che contribuisca a rendere vieppiù fac,iH i rappol'ti di buon vicinato tra i due paesi. Senonché come non è guari sperabile che concessioni si ottengano senza reciproci compensi, così si affaccia senz'altro la g~·ave questione se l'alienazione di una parte, benché minima, del territorio acquisito alla nazione non ecceda per avventura i limiti del mandato che Le è conferito e delle attribuzioni del potere che Le conferisce il mandato. Sarebbe troppo lungo e forse meno opportuno ricercare così nei pl'incipi fondamentali della nostra costituzione come nella lettera e nello spirito dello Statuto la soluzione del difficile problema.

Un precedente di fatto confermerebbe, al punto di vista del diritto scritto, la tesi affermativa. Il Commissario miLitare Italiano che ebbe per l'esecuzione del Trattato di Zurigo un mandato consimile a quello che è presentemente conferito alla S. V. fu autorizzato ad accettare come base di discussione una proposta del Commissarlo austriaco secondo la quale una striscia di territorio presso le «Grazie» attribuita dal Trattato al Regno avrebbe dovuto essere retrocessa all'Austria in compenso di una zona equivalente presso Scorzarolo che sarebbesi ceduta al Regno benché non compresa nelle stipulazioni di Zurigo. La proposta non ebbe seguito per non essersi dal R. Governo accettate le condizioni apposte dal Governo austriaco a siffatto scambio di territorii: sta però il fatto dell'essere stata opinione del Governo in quella circostanza che con una semplice convenzione di delimitazione non soggetta all'approvazione parlamentare si possono stipulare leggere mutazioni territoriali.

Fondandomi pertanto sovra codesto precedente La autorizzo ad accettare ad referendum qualunque proposta eventuale di scambio vantaggioso, avvertendo però che l'alienazione territoriale non dovrà mai riuscire ad una violaz1one del plebiscito con comprendere una frazione benché minima di popolazione Italiana.

L'ispezione dei luoghi sarà del resto il miglior criterio per giudicare quali parcelle comprese nell'avvenuta cessione, possono formare convenientemente materia di scambi territoriali. Mi restringerò ad accennarLe in proposito come fin dall'epoca dei negoziati di Vienna, la Congregazione provinciale di Udine abbia emesso l'avviso che potesse costituire oggetto di compenso da offrirsi all'Austr:a per reciproche concessioni una striscia di territorio scarsamente abitata da popolazioni slave e compresa tra i monti ed il Judrio da Prepotischis risalendo fino al picco Colaurat.

Sarebbe superfluo che io Le porgessi minute indicazioni intorno agli elementi generali che potranno servirLe di norma alla ricerca di quelle lievi rettiftcazioni di frontiera che siano desiderabili.

Ella potrà Signor Generale utilmente consultare a tal riguardo una dotta Memoria che il Generale Ricci compilò per uso del Plenipotenziario che negoziò a Vienna la pace e la quale costituisce una fonte completa d'informazione non solo dal punto di vista militare ma anche sotto l'aspetto politico ed economico della questione.

In ordine alle rettificazioni d'indole puramente locale desiderate da comuni di frontiera le migliori indicaZ'ioni Le saranno fornite dai funzionari governativi e municipali delle loca1ità situate in prossimità del confine. Finora due reclami soltanto sono a tal riguardo pervenuti al Governo. Il Comune Veneto di Lastebasse il quale accampa diritti di dominio pubblico e di proprietà privata sovra un tratto di territorio occupato da gran tempo dal Comune trentina di Folgaria, deS!idera che sia risoluta la questione prima della definitiva determinaZ'ione della frontiera, affinché entro la medesima possa essere compreso ,quel tratto di territorio intorno a cui pende la controverS!ia. Ella rinverrà i documenti relativi a codesta questione presso la R. Prefettura di Vicenza alla quale furono restituiti da questo Ministero fin dall'8 Novembre p.p.

Il Comune di Bagolino in Val Sabbia desidera che entro la frontiera sia compreso un tratto di territorio situato al di là del Caffaro che fu però sempre posseduto senza contestazione dagli abitanti del Comune stesso, e su cui il Governo Austriaco non esercitò dal 1859 in poi alcun dominio. Benché a vero dire il compito della Commissione sia limitato alla sola frontiera delle provincie attualmente cedute potrà forse presentarsi alla S. V. l'opportunità di proporre quella lievissima retti.ficazione; epperò la prevengo che una memoria del Pretore di Bagolino in cui la qustione è ampiamente svolta, fu trasmessa da questo Ministero a quello della Guerra con Nota del 22 corrente.

Infine una più importante modificazione dell'attuale frontiera riuscirebbe

per ragioni strategiche opportuna verso Palmanova, dove è tale la prossimità

del Confine da nuocere all'efficacia così offensiva come difensiva della piazza.

Non è necessario che io qui ripeta come nessun diritto ci assista per formu

lare una richiesta assoluta in proposito. Se però Le tornasse opportuno di

entrare in negoziati a tal riguardo, Ella potrebbe addurre solide ragioni in

appoggio della domanda nostra. Senza addentrarmi nell'esame degli elementi

tecnici della questione Le rammenterò solo che il precedente del 1859 per

quanto concerneva Peschiera potrà non senza opportunità essere da Lei addotto.

I preliminari di Villafranca avevano diffatti semplicemente accennato al raggio

estremo delle fortezze come confine da stabilirsi ulteriormente, il negoziatore

Austriaco pretese da principio che l'estensione di quel raggio fosse di seimila

metri, e non si fu che a stento che fu da lui consentita la cifra di 3.500 metri

che è pur superiore alla distanza che separa in alcuni punti il confine dal

centro della Piazza di Palmanova.

Allegando siffatto precedente, Ella dovrà però avvertire che la determina

z~one della cifra di 3500 metri come raggio esterno di Peschiera ebbe luogo a

Zurigo nel corso del negoziato pel Trattato di pace, mentro ora H Tr::~ttato

è già intervenuto senza che si sia fissato alcun raggio estremo per Palmano"l!a

ed essendosi anzi mantenuto anche da quel lato la frontiera amministrativ~

come confine tra i due Stati. Ella dovrà in sostanza valersi del precedente in

questione unicamente per appoggiare in genere la domanda ch'Ella fosse pPr

formulare relativamente a Palmanova, ma non mai parlo innanzi come titoln

che ci conferisca un diritto qualsiasi a tal riguardo.

(l) Cfr. n. 216.

218

IL CONSIGLIERE DI STATO, TONELLO,

AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DI GRAZIA E GIUSTIZIA

E DEI CULTI AD INTERIM, RICASOLI

Roma, 27 febbraio 1867.

Jeri sera, come già le annunciava coll'ultima mia nota Cl) sono stato a nuova conferenza col Cardinale Antonelli. Entratosi subito a discorrere del personale, e manifestatesi da me le recenti risoluzioni governative, rimasero ~erme ed intese pel prossimo Concistoro le seguenti nomine:

l o Quella di Monsignor di Calabiana a Milano, colla condizione ben inteso del conferimento al già ivi preconizzato Monsignor Ballerlni, della pensione di cui godeva Monsignor Caccia Vescovo di Famagosta in partibus. Benché il Ballerini desideri appunto questo titolo colla conservazione de'l suo Canonicato a Milano, il Santo Padre per riguardo alla precedente di lud nomina ad un Arcivescovado, e pel decoro stesso della Santa Sede, che fece tale nomina, non è disposto a consentirvi, e vuole conferirgli la dignità di patriarca in partibus. Ciò tutto, come già aveva l'onore di dire nel mio rapporto eli jeri, deve essere indifferente al Governo, e la pensione che si era convenuto accordarglisi nel caso della sua nomina a Vescovo di Famagosta, gli si potrà corrispondere qualunque sia l'altro titolo, egualmente in partibus che meglio piaccia alla Santa Sede, o risponda alle sue convenienze. Che se per avventura la mentovata pensione fosse proprio annessa a quel titolo, si potrà superare la difficoltà lasciandosi, come si lascerà senza falìo, vuoto il titolo medesimo, e disponendosi altramente della pensione. Di ciò avendo conferito anche con Monsignor Prevosti, informato dello stato di quel Vescovado in partibus, trovò pure che la cosa poteva farsi senza difficoltà; e p perciò io credetti di poterne parlare nello stesso senso al Cardinale. Insomma ciò, a mio avviso, non può né deve costituire un ostacolo all'effettuazione dell'importantissimo progetto convenuto per assestare tutte le difficoltà e provvedere secondo i desideri del Governo a quella prmcipal>issima f,ra le Diocesi d'Italia.

2° Monsignor Pietro Maria Ferrè Vescovo di Crema, e già preconizzato per Pavia, sarà invece, secondo il voto espresso dal Governo, trasferito alla Diocesi di Casale.

3° Al posto del Ferrè essendo già stato preconizzato il Sacerdote Carlo Macchi, per assecondare il desiderio del Governo, che voleva esclusi i preconizzati di Lombardia si è convenuto provvedersi subito la Diocesi di Crema colla nomina d'uno fra i Sacerdoti già acce!;tati da ambo le parti, e si sarebbe, salvo il beneplacito del Governo, des'gnato a tal posto, il Vicario Capitolare di Susa Canonico Sciandra.

4° Sarebbe intesa parimenti la nomina a Foligno dell'attuale Vescovo di Poggio Mirteto, Monsignor Nicola Grispigni.

5° A Macerata di Monsignor France,:r:h:ni Vicario Capitolare di Foligno.

6° A Lecce di Monsignor Domenico Guadalupi prelato aggiunto alla Sacra Congregazione del Concilio.

Nella scarsezza di soggetti eleggibili per le provincie Napoletane (giacché bisogna ben r:tenere, che quasi niuno di quelli compresi nelle precedenti proposte governative sarà accettato dalla Santa Sede), ed essendo buone le informazioni pel Guadalupi da me raccolte, mi parve, per far cammino, poterlo intanto accettare per una di quelle Sedi. È ben inteso che per la presente proposta, come g·i:à per quella al N. 3 e per le seguenti, è intieramente riservato il placito del Governo. Occorrerà per altro risolvere presto, perché appena avute le determinazioni governative, si scriverà subito ai Candidati, affinché la cosa resti ferma, e sfugga alle oscillazioni, che per le contrarie influenze possono facilmente prodursi in questo terreno.

7o A Marsico e Potenza, del Padre Antonio Maria da Rignano ex procuratore generale dei Minori Osservanti.

Questo distintissimo soggetto io avrei desidemto proporlo per Capua; ma questa Diocesi essendo Arcivescovile parve troppo al Cardinale per una prima nomina.

8° A Cuneo del Canonico Formica parroco della Cattedrale d'Alba.

9° Ad Asti del Canonico Galletti (1).

10° A Pavia del Canonico e Teologo Collegiato Savio (1). Essendo egli professore, ed in Pavia essendovi l'Università, parve che questa destinazione avesse speciale convenienza.

11 o Ad Alessandria del Canonico Colli di Novara.

12° A Tempio ed Arnpurias del Canonico Virdis Vicario Capitolare di Bisarcio.

Questa nomina essendo già precedentemente intesa, e sembrando anche conveniente per considerazioni territoriali, iJnquantoché, dopo aver provveduto adeguatamente alle altre regioni della Sardegna, compiva i provvedimenti opportuni per la medesima, dando un pastore anche alla parte più settentrionale, montuosa e difficile dell'Isola, il Cardinale desiderò che fosse conservata; è per altro convenuto, che ciò non avrà luogo, qualora il Governo persista nell'ultima sua ~dea di non volerla più provvedere.

Per l'Archidiocesi di Siena io presentai i due Sacerdoti Domenico Danesi, e Francesco Bertini secondo le indicazioni fornitemi colla nota ministeriale del 23 andante (2). Il Cardinale li accolse a studio; ma mi parve che il concetto di tale nomina non entrasse affatto nei disegni della Santa Sede;

(-2) Cfr. n. 203.

e che trattandosi d'un Arcivescovado, mass:me cospicuo, Essa persista nell'idea primitiva manifestata dal Governo, e da Lei accolta, quando si trattò della nomina di Monsignor Benini Vescovo di Pescia, di trasferirvi cioè un Vescovo da altra m·nor sede. Vedrà quindi il Ministero se non convenga, in vista delle più che probabile risposta negativa sui due proposti, di pensare a qualche altro Vescovo.

Proposi pure a Candidato per qualche sede vescovile nelle provincie Napoletane il Sacerdote Francesco Napoli Canonico della Metropolitana di Salerno.

Il Cardinale a sua volta per la sede di Regg· o d'Emilia propose il Vicario Capitolare della stessa Diocesi Canonico Jacopo Casoli, oppure l'Arciprete della Metropolitana di Modena Don Gregorio Adami.

Essendomi sembrato opportuno il momento abbordai il delicato tema della traslazione ad altra sede di Mons·gnor Zinelli, Vescovo di Treviso, adducendo tutti i motivi, che nell'interesse della pace pubblica, e del decoro della Religione necessariamente compromesso nelle scene già succedute, e che potrebbero ripetersi, imperiosamente esigevano qul tramutamento. Il Cardinale trovò assai grave e d'fficile il soggetto, promise tuttavia di farne tema di studio, e di conferirne col Santo Padre, per vedere se mai si presentasse qualche espediente da potersi convenrientemente adottare in proposito.

Mi feci dovere anche di presentare senza indugio al Cardinale l'affare concernente Monsignor Brunone Bianchi nel modo e nei termini irndicatimi dal dispaccio ministeriale del 22 andante. Il Cardinale confessò, che tutta la difficoltà relativamente alla nomina del suddetto era provenuta da una questione di principio, la quale è: che la Santa Sede non ammette, che i diritti di patronato competenti ad una famiglia sovrana passino di pien diritto in chi le succede nella sovranità. Disse questa questione essere stata agitatiss1ma specialmente a proposito delle Repubbliche dell'America Meridionale e Centrale, che pretendevano essere succedute ai diritti, che in materia Ecclesiastica esercitavano i Sovrani Spagnuoli; ma la Santa Sede non aver mai voluto riconosceTe tale diritto, e pendere la questione tuttora insoluta.

Come l'E. V. può ben immaginarsi, io replicai a tale teoria, riproducendo e svolgendo gli argomenti razionali e storici già accennati nel mio dispaccio del 21 Dicembre p.p. (1), quando per la prima volta, in più vasto campo si affacciò tale quest:one. Il Cardinale promise di farla sottoporre a nuovo studio; ma siccome su tale terreno sarebbe stato difficile riuscire ad un accordo, disse che qui pure sarebbe il caso di cercare qualche espediente, che potesse evitare i disturbi, e salvare tutti gli interessi, e prom'se che se ne sarebbe occupato.

Prima di finire il discorso sugli argomenti ecclesiastici, devo riferire al Governo, non aver io creduto per ora di aprire nuovamente il discorso col Cardinale sul Vescovo di Pinerolo, e sulla di lui destinazione a Genova. Il Pontefice dapprima, come già dissi altre volte, non gli pareva intteramente contrario; solo si doleva che egli non avesse mai fatto alcun atto di deferenza verso la Santa Sede; e perciò quando fosse venuto qui, e lo avesse conosciuto personalmente pareva non avrebbe ripugnato alla di lui nomina. Ma dappoi

parve essersi inclinato e molto raffermato nell'idea contrana. Io per mezzo di persone non poco influenti sull'animo del Pontefice ho cercato e cerco di farlo rinvenire dalle sue prevenzioni, e di disporre H terreno onde rinnovare con frutto l'istanza. Ma per non precipitare con inopportuna mossa l'esito della pratica, ha dovuto, come diceva, per ora sospendere la trattazione col Cardinale di quest'argomento.

Come a suo tempo ne resi consapevole il Governo, io aveva rimesso al Cardinale la lista dei detenuti politici spettanti per origine alle provincie del Regno, i quali sono tuttora nelle carceri pontificie. Il Cardinale fece praticare ricerche sui medesimi, e jeri sera mi lesse un rappor.to dal Ministro dell'Interno indirizzatogli sull'argomento, nel quale si rettificavano i titoli delle condanne per la massima parte di essi. Risulterebbe in sostanza da quel rapporto, che per lo più i suddetti prigionieri sarebbero stati condannati per reati di sangue, che essi vorrebbero colorire come reati politici, perché praticati contro persone di sentimenti politici diversi; ma che anche secondo i principii dimostrati dal Governo Italiano nei processi che fece in Romagna contro gli affigliati a simili società di sangue, non escono dalla sfera dei reati comuni. Tuttavia il Cardinale disse, che in considerazione delle vive istanze, che dal Governo Italiano si ri.petevano su questo argomento egli ne avrebbe riferito al Santo Padre per vedere se fosse il caso pel Governo pontificio o di farli rimettere al Governo Italiano, o di farne oggetto di provvedimenti generali o parziali di grazia.

Intanto mi partecipò, che di sette sui sedici compresi nella lista rimessagli più non occorreva occuparsi, essendo già o per un motivo o per un altro fuori di causa; essi sono:

1° Battelli Antonio di Ancona: questo non esiste; esisteva un Rotelli Antonio di Ancona morto il 10 marzo 1865.

2° Menghini Enrico di Bologna: fu graziato nel giugno 1866 con precetto di esiglio. Ora travasi a Firenze impiegato.

3° Vicinelli Gaetano: fu messo in libertà ed esiliato nel giugno 1866.

4° Gagliani Cesare di Bologna: fu liberato il 1o febbraio 1865 e consegnato ai francesi.

5o Mazza Felice di Rimini: fu liberato e consegnato ai .francesi il 21 febbraio 1865.

6° Curzi ·Pasquale di Treja: non è più nel luogo di pena, e si crede travisi in Treja sua patria.

7° Brigaldi da Cesena: È nato bensì a Cesena, ma tanto egli che la famiglia ha stabile domicilio in Roma, ove ha un'officina d'orefice sulla piazza del Monte di Pietà.

P. S. Prima di spedire la presente mi giunge il telegramma d'oggi (1), ed il dispaccio del 25 corrente (2), che mi toglie l'affanno riguardo ai preconizzati pel resto procurerò tosto di avere altra conferenza col Cardinale Antonelli.

(l) Cfr. n. 213.

(l) -Annotazione marginale: «Sospesi concerti».

(l) Cfr. n. 70.

(1) -Non pubblicato. (2) -Cfr. n. 207.
219

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AL MINISTRO A PARIGI, NIGRA

(AVV)

L.P. Firenze, 27 febbraio 1867.

Vi mando un dispaccio sugli affari d'Oriente (1). La comunicazione del Principe Gortchakoff cominciava con l'esporre lo scambio di vedute che continuava fra la Russia e la Francia. Il desiderio di intendersi era stato espresso dall'Imperatore Napoleone, un dispaccio russo, di cui mi si mandava copia, era stato posto sotto gli occhi dell'Imperatore a Compiègne. La questione aveva in seguito fatto dei progressi e faceva sperare alla Russia una comunanza di idee e anche d'azione.

Avendo la Francia chiesto il segreto de' negoziati, il Gabinetto di Pietroburga non poteva iniziarci che in una certa misura, non dubitava che a Parigi si sarebbe stati disposti a farci conoscere le idee della Francia. Questa parte della comunicazione russa ho creduto di ometterla nel dispaccio che vi scrissi. La comunicazione conteneva tutte le formale di un appello formale e positivo.

Io sono del vostro avviso che una certa attitudine di riserva ci conviene nella questione orientale.

Quale fu finora e quale può essere la nostra linea di condotta?

Noi non desideravamo che sorgessero delle complicazioni in Oriente. Bisognosi di pace e di tranquillità, alieni dall'assumere impegni di politica estera, con una condizione finanziaria che diminuisce la nostra li:bertà di azione, noi non potevamo desiderare di veder sorgere la sola questione della quale non ci possiamo disinteressare, pr:ma di avere acquistato quella influenza, quel credito morale che l'avvenire ci riserba, speriamolo, prima di avere preso il nostro posto al conflitto. Diffatti noi adottammo un riserbo completo. Malgrado i rapporti che esistono fra l'ItaHa e la Grecia, malgrado che l'insurrezione di Candia coincidesse collo scioglimento dei nostri corpi volontari dopo la guerra, certo non può dirsi che vi sieno stati eccitamenti o aiuti provenienti dall'Italia. Abbiamo sempre o prevenuto o impedito. A Costantinopoli ci siamo limitati a fare udire qualche cons:gHo di moderazione, a esprimere il desiderio che la Porta con opportune e sufficienti concessioni ponesse termine all'agitazione, contentasse i cristiani e impedisse che il moto si propagasse. Non abbiamo presa l'iniziativa di alcuna proposta precisa di soluzione, riserbandoci di aderire a quella delle combinazioni suggerite o dalla Francia, o dall'Inghilterra o dalla Russia che ci fosse sembrata più opportuna, quando avesse potuto divenire l'oggetto di un esame o di un accordo o di un consiglio comune delle potenze garanti.

Ma le questioni, anche non desiderate, si pongono da sé, per la forza delle cose o per l'imprevidenza dei Governi. La Porta non ha saputo né reprimere, né concedere, e le sue concessioni sono sempre giunte in ritardo sull'urgenza degli eventi che frattanto procedevano. Si è creata in Oriente una situazione

grave della quale tutte le Potenze si preoccupano. La Francia e la Russ:a pare che abbiano gettato le basi di una combinazione da proporsi all'accordo delle potenze segnatarie del trattato di Parigi.

In questa nuova fase che pare si debba aprire quale sarà la nostra condotta? Senza prendere una iniziativa inefficace e inopportuna, mi pare che dobbiamo guarentire i principi e gli interessi della nostra politica. Il principio sta nel manifestarsi in modo favorevole alle popolazioni cristiane e alle nazionalità. Per quanto io credo che l'interesse sia piuttosto conservatore in Oriente, la politica di lord Palmerston non è più possibile in Inghilterra, figuratevi per noi! La polit:ca possibile sta nell'aiutare le soluzioni parziali, quando gli avvenimenti le pongono imperiosamente, a beneficio degli elementi locali quand'essi hanno condizioni proprie di stabilità, escludendo ogni idea di vantaggi particolari e di smembramenti a favore delle singole potenze.

L'interesse attuale della nostra politica sta nel favorire il princip:o del concerto delle Potenze, dell'accordo generale, perché questa è la migliore guarentigia della conservazione della pace e il miglior rimedio contro le complicazioni troppo vaste e contro le ambizioni particolari; e sta ancora nell'assicurarci in quest'accordo il posto che ci compete per non perdere la nostra posizione.

Mi pare adunque che ora ci convenga di dichiararci pronti in genere a partecipare agli accordi sulla base de' princ:pi della nostra politica, riserbando la nostra libertà di giudizio sulìe combinazioni e sulle soluzioni speciali che ci si proporranno e che non ci sono ancora p:enamente note.

Frattanto vi prego di informarmi il più esattamente che vi sarà possibile dello stato attuale della questione e delle intenzioni della Francia. Vi ho ::;critto di fur·a. Vogliatemi dire il vostro avviso e esprimetemi il vostro consiglio.

(l) Cfr. n. 202, nota l, p. 267.

220

L'INCARICATO D'AFFARI A PIETROBURGO, INCONTRI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 70. Pietroburgo, 27 febbraio 1867 (per. l'8 marzo).

Entrato in questi ultimi giorni a parlare degli affari d'Oriente col Signor Stremoukow Direttore del Dipartimento Asiatico a questo Ministero degli Affari Esteri, egli mi disse non avere gran fede nella sincerità delle proposte fatte dalla Francia onde migliorare le condizioni dei Cristiani in or:ente, essere indotto a ciò dalla poca precisione con cui esse venivano formulate e dalla contradizione che si riscontrava fra il linguaggio tenuto dal Governo francese a Parigi ed a Pietroburgo e quello che continuano a tenere gli agenti consolari francesi nelle varie provincie dell'impero turco. Credeva egli che la Francia non trovandosi pronta adesso ad esercitare in Or:ente quella influenza che desider:)rebb8 voglia con mezze misure e discussioni prolungate acquistare tempo onde poi, quando sia giunto il momento a lei opportuno suscitare essa stessa per la prima la questione Orientale cercando di risolverla secondo i suoi desiderii.

In appoggio di questa sua opinione il Signor Stremoukow mi parlava della evacuazione delle fortezze Serbe per parte delle truppe Turche, misura a cui la Porta ha aderito è vero in princ:pio, dichiarando però che il Principe Michele di Serbia deve recarsi a Costantinopoli onde regolare in persona i particolari di tale evacuazione; è mente del Signor Stremoukow che molto tempo si passerà avanti che un tale atto divenga un fatto compiuto, g:acché le condizioni che la Turchia vorrà imporre alla Serbia, in specie dal punto di vista finanziario saranno tali da non potersi così facilmente accettare dal Principe Michele. Mi citava inoltre la proposizione fatta dal Marchese di Moustier di un imprestito che sarebbe guarentito alla Turchia in compenso dell'annessione dell'Epiro, della Tessaglia e di Candia alla Grec-ia proposta alla quale ben dovevano immaginarsi a Parigi che la Russia non consentirebbe, visto lo stato delle sue finanze e la mancanza di cap~talisti nazionali; mi narrava della condotta degH agenti francesi che nelle provincie turche esortano i cristiani a tenersi per il momento tranquilli ed aspettare il segnale che loro verrà a tempo debito da Parigi dove devono rivolgere tutti i loro sguardi; mi raccontava di agenti francesi che percorrevano l'Armenia spingendosi fino fra gli Armeni sudditi Russi facendo loro intravedere la possibilità della costituzione di uno stato Armeno quando la Francia sarebbe per spiegare la bandiera dell'indipendenza per le razze cristiane in Oriente. Mi esprimeva il dubbio che esistessero intelligenze fra la Francia e l'Austria per una politica comune in Oriente, colla promessa fatta a questa ultima di compensi sul Danubio, dubbio che a quanto mi viene riferito è stato emesso anche dal Conte di Stackelberg attualmente qui in congedo.

Venendo poi a parlare dei desiderii della Russia, il Signor Stremoukow mi dichiarava che essa non solamente non ha alcuna voglia né di guerra né di conquiste, del che il Gabinetto di Pietroburgo ha già dato prova proponendo che tutte le potenze si obblighino a non intervenire se non moralmente, ma non vuole neppure lo smembramento completo dell'impero turco; a parer suo se la Turchia si rassegnasse alla annessione dell'Epiro, della Tessaglia e di Candia alla Grecia, se investisse del Governo della Bosnia e dell'Erzegovina il Principe Michele di Servia, riservandosi l'alto dominio su quelle provmc1e, se concedesse al Montenegro un porto sull'Adriatico onde svilupparne il commercio, potrebbe a tali condiz:oni la Porta conservare le altre sue provincie d'Europa, giacché i Bulgari non sono ancora maturi nemmeno per l'autonomia. In Bulgaria dovrebbesi però stabilire in realtà e non con decreti mai eseguiti un nuovo e più equo sistema d'imposte che dovrebbersi dal Governo centrale ripartire per comuni in modo che ogni comune fosse incaricato di dividere la quota assegnata fra ciascuno dei suoi membri e fosse responsabile verso il Governo di Costant·nopoli venendo così a togliersi di mezzo i funzionarii turchi che percepiscono le imposte ed i contratti onerosi per tutti a cui questa percezione dà luogo. Si dovrebbe pure in Bulgaria organizzare tribunali cristiani nei luoghi in cui la popolazione è intieramente cristiana, misti ove ella è mista, questi ultimi però sotto la sorveglianza dei rappresentanti delle potenze europee.

Questa, aggiungeva il già nominato funzionario, è la politica che a senso mio seguir deve la Russia in Oriente, ed il piano sovra enunciato sarebbe per certo realizzabile in modo pacifico come è nell'interesse di tutti, qualora un accordo perfetto si stabilisse fra l'Italia, la Russia e la Prussia sulla base del non intervento se non morale e pacifico. Davanti a questo accordo ed a questo programma nettamente formulato la Francia .recederebbe delle pretensioni che non tarderà ad emettere di risolvere secondo le proprie idee la questione d'Oriente, la Turchia, non potendo più contare sulla divisione delle Potenze Europee né sull'appoggio di alcuna di esse ché l'Inghilterra sembra voler serbare un contegno assai passivo, esegui·rebbe il programma propostogli ed allora solo si potrebbe dire che la sorte dei cristiani in Oriente è veramente migliorata. In tal modo l'Italia prenderebbe alla soluz~one della questione d'Oriente quella parte che richiedono i suoi interessi e che le è dovuta per il suo rango, conservando al tempo stesso la sua alleanza colla Prussia, alleanza alla quale il Conte di Bismarck mostra di attaccare prezzo più che a qualunque altra. So anzi, mi diceva terminando il Signor Stremoukow che il Primo Ministro Prussiano avuta conoscenza che alcune comunicazioni sulla questione Orientale erano state fatte dalla Russia all'Italia se ne mostrò altamente soddisfatto.

Sebbene il Signor Stremoukow desse a quanto ho sopra riferito, H carattere di una esposizione di idee a lui personali pure vista la sua posizione e la parte che prende alla direzione della politica Russa in Oriente ho creduto mio dovere di informare di ciò, quanto più esattamente potei, l'E. V.

221

IL MINISTRO A PARIGI, NIGRA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 136. Parigi, 28 febbraio 1867, ore 15,40 (per. ore 17,30).

Marquis de Moustier ne s'est pas montré favorable à un arrangement pour la prorogation du paiement dette pontificale. Il en parlera ce soir à l'Empereur et lui soumettra une note que j'ai préparée d'aprés les données d'avance dans votre lettre (1).

222

IL DIRETTORE SUPERIORE DEGLI AFFARI POLITICI, ULISSE BARBOLANI, ALL'INCARICATO D'AFFARI A COSTANTINOPOLI, DELLA CROCE

D. 25. Firenze, 28 febbraio 1867.

Qui allegato la S. V. troverà un annesso in cifra, contenente diverse notizie che dovranno servire solamente per sua personale informazione.

ALLEGATO.

ANNESSO CIFRATO

La question a marché avec la situation devenue de plus en plus grave. Entre la France et la Russie ont eu lieu des négociations qui font présager un accord entre ces Puissances. L'objet de cet accord serait un ensemble de garanties positives en faveur des Chrétiens et un agrandissement territorial de la Grèce par l'annexion de Crète de la Thessalie et de l'Epire.

Sans prendre aucune initiative la Prusse approuve ce projet.

L'Angleterre ne s'y opposera point, mais elle ne paraìt pas vouloir dépasser les limites des conseils à donner à la Porte en s'associant à l'action commune des autres puissances.

La Russie nous a fait des ouvertures officielles sur les affaires d'Orient. Dans l'intérèt de la conservation de la paix et de l'équilibre en Orient nous désirons l'entente de toutes les puissances et nous sommes prèts à y entrer pour tenir un langage unanime à Constantinople. Notre politique a un intérét et un principe à sauvegarder. Le principe consiste à exercer l'actior. de l'Italie en faveur des races Chrétiennes. L'intérèt est de mantenir le concert òes puissances dégagées de toutes vues personnelles et d'y prendre la piace qui nous appartient conservant ainsl notre position actuelle sans porter préjudice à notre situation future. Ce qui concerne les négociations entre la France et la Russie est pour vous seul.

(l) Cfr. n. 200.

223

IL DIRE'ITORE SUPERIORE DEGLI AFFARI POLITICI, ULISSE BARBOLANI, ALL'INCARICATO D'AFFARI A L'AJA, FAVA

D. 2. Firenze, 28 febbraio 1867.

Secondo voci che vedo da qualche tempo .ripetute nei giornali sembrerebbe che gli armamenti cui si accinge attualmente il Belgio si colleghino cogli apprestamenti militari che si preparano negli Stati Germanici del Sud.

Nel tempo stesso fu annunziato da alcuni giornali che la vertenza tra l'Olanda e la Prussia relativa al Lussemburgo starebbe per essere risoluta nel senso che il Gabinetto di Berlino rinuncerebbe bensì al dìrltto di tener gua.rnigione nella già fortezza federale, ma con intendimento e fors'anco con certa speranza di indurre il Regno Neerlandese ad entrare nella Confederazione Germanica del Nord.

Di siffatto argomento, secondo alcuni giornali, si sarebbe occupato un recente comitato segreto degli Stati Neerlandesi, nel quale, secondo altri invece, il Governo si sarebbe limitato a proporre una semplice rettificazione di frontiera.

Benché siffatte quest:oni non abbiano per noi un diretto interesse, credo tuttavia utile di segnalare codeste voci all'attenzione della S. V., affinché Ella possa farne argomento di indagini, il cui risultato Ella vorrà indi sollecitamente comunicarmi (1).

24 -Documenti diplomatici -Serle I -Vol. VIII

(l) Cfr. n. 237.

224

L'INCARICATO D'AFFARI A PIETROBURGO, INCONTRI. AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 138. Pietroburgo, 1° marzo 1867, ore 14,15 (per. ore 18,45).

Chargé d'affaires Turquie a communiqué hier au prince Gortchacoff une note confidentielle par la quelle la Sublime Porte déplore parti pris de la Russie de méconnaitre sa conduite et ses intentions vis-à-vis des chrétiens et les encouragements donnés aux insurgés. Elle lui conteste énergiquement le droit d'invoquer le principe de nationalité et de réligion en lui rappelant la question polonaise.

225

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AL MINISTRO A LONDRA. D'AZEGLIO

D. 7. Firenze, 1° marzo 1867.

La questione d'Oriente preoccupa non solamente i Gabinetti d'Europa, ma eccita ogni giorno più le discussioni e le aspettazioni dell'opinione pubblica. È uno stato di cose che durando ancora qualche tempo senza provvedimenti efficaci potrebbe condurre a gravi pericoli per la pace d'Europa. Non fu perciò senza molta soddisfazione che il Governo del Re ha notato gli sforzi fatti fin ora dalle Potenze per venire ad un accordo comune; ed esso non ha mancato di mostrarsi pronto ad entrare in questa via tutte le volte che i rappresentanti di Governi esteri gli fecero comunicazioni tendenti a tale scopo.

Ella conosce per gli anteriori dispacci quali siano in generale le vedute del Governo in questa questione. Noi avremmo desiderato che migliori disposizioni per parte della Porta in faccia alle popolazioni cristiane avessero prevenuto le gravi complicazioni allo svolgimento delle quali noi assistiamo.

A questo intento non abbiamo risparmiato di consigliare alla Porta una politica di larghe concessioni la quale fosse capace di soddisfare ai desideri ed ai bisogni delle diverse razze cristiane che abitano l'Impero. Niuna speciale soluzione poteva essere da noi accennata, perché dovevamo riservarci la piena libertà d'accostarci a quella, che dopo uno studio fatto in comune colle Potenze, ci sembrasse meglio condurre allo scopo. Intanto gli avvenimenti procedettero, e pigliarono ogni giorno più un carattere di gravità che non bisogna disconoscere. La nostra condotta in faccia ai medesimi non può essere che ispirata ai principi ed agli interessi nostri. Il principio che noi dobbiamo aver sempre sotto gli occhi è la protezione delle popolazioni cristiane; è la ricerca di tutti quei mezzi che possano migiiorare la loro condizione materiale e morale e soddisfare alle loro legittime aspirazioni. Le soluzioni che si presentano possono essere diverse; e noi siamo pronti a studiarle con imparzialità, quando venissero proposte ad un esame collettivo delle Potenze. Però osserviamo fin d'ora che quanto più saranno lunghi gli indugi, tanto più sarà difficile il restringerle nei limiti nei quali prima avrebbero potuto contenersi.

Quanto agli interessi nostri ne abbiamo uno comune con tutte le Potenze, ed è quello d'impedire che dalle presenti difficoltà della questione Orientale sia per essere messa in pericolo la pace generale. Tutti ne sentono l'urgente bisogno, e l'Italia in particolare farà ogni opera perché l'Europa si persuada anche in questa occasione che il naturale suo compito è essenzialmente pacifico e liberale. Ma a questo bisogno universalmente sentito della pace non si potrà efficacemente provvedere se non quando, non solamente siasi stabilito un accordo tra le Potenze nella questione Orientale, ma quando esse abbiano preso la risoluzione di tenere, in seguito a tale accordo, un linguaggio fermo ed unanime a Costantinopoli. Un accordo che rimanesse ancora qualche tempo passivo spettatore degli avvenimenti, rischierebbe di non poterli più tardi padroneggiare. Ed allora, tutti i pericoli che si volevano evitare rinascerebbero più formidabili. L'accordo preliminare è anche il solo mezzo di impedire che la questione non abbia ad assumere aspetti parziali ed imprevisti, per cui venga a scambiarsi l'oggetto delle mire comuni e sorgano attriti, là dove appunto cercavasi la conciliazione di tutti gli interessi.

L'Italia ha poi un interesse suo proprio in questa questione conformemente ai diritti ed agli obblighi che le derivano dai trattati; essa intende di mantenere quel grado d'influenza che legittimamente le appartiene, influenza che d'altra parte è chiamata ad esercitare per la sua speciale posizione geografica e per l'importanza de' suoi interessi materiali e morali in Oriente ch'essa deve tutelare e promuovere.

Ho veduto con piacere che, nelle ultime conversazioni da Lei avute con lord Stanley, il Ministro di S. M. la Regina, apprezzi giustamente la nostra situazione rimpetto alla quistione Orientale, giudizio che è del tutto analogo a quello espresso dai Rappresentanti delle altre Potenze, tutte le volte che si presentò l'occasione di conferire sull'argomento.

Ella vorrà continuare ad ispirarsi a codeste norme nel linguaggio ch'Ella terrà con lord Stanley, e mi terrà pure informato dell'andamento ulteriore della questione, e del movimento dell'opinione pubblica inglese a suo riguardo.

226

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DI GRAZIA E GIUSTIZIA

E DEI CULTI AD INTERIM, RICASOLI,

AL CONSIGLIERE DI STATO, TONELLO

(Ed. in Lettere Ricasoli, vol. IX, pp. 296-300 e in Carteggi Ricasoli, vol. XXV, pp. 373-375)

Firenze, 1° marzo 1867.

Il telegramma della S.V. Onorevolissima in data di ieri l'altro (l) mi dispensa dall'entrare in molti particolari circa quella parte del suo rapporto in data del

26 (l) che si riferisce alla provvista delle sedi vacanti di Cervia, di Cagli e Pergola, di Città di Castello e di Nocera. Circa l'elenco delle sedi che si potrebbero lasciar vacanti basterà che Le accenni che il suo proposito di inviarglielo nacque dall'idea, che, essendo ormai per condursi a termine le pratiche relative alla provvista delle diocesi vacanti nel regno, giovava ch'Ella avesse sott'occhio un documento, onde Le constasse degli intendimenti del Governo intorno a quelle diocesi che non si sarebbero volute riempire, in correlazione ai disegni iteratamente espressi che la provvista seguisse delle diocesi più cospicue, da più lungo tempo vacanti e avuto riguardo ancora ad una possibile riduzione od aggregazione di diocesi. È rincrescevole che in tale elenco siano incorsi gli svarioni da lei notati, e che diedero luogo alle osservazioni contenute nel suo rapporto; è rincrescevole ancora, che non avendosi sott'occhio il detto elenco quando fu scritta la Nota del 23, non siasi tenuto conto che la sede vescovile di Diano era compresa fra quelle da tenersi vuote. Orbene, rimanga inteso che l'elenco Le fu inviato col proposito sovraccennato; che intorno ad esso il Governo è disposto ad accogliere ed apprezzare qualsivoglia di Lei osservazione, e che in ogni caso i dati di esso elenco non possono attraversarsi agli impegni che già si fossero da Lei presi, nulla più premendo al Governo che di attestare la propria sincerità e lealtà e di assicurare altresì il decoro del proprio incaricato.

Passando ora a rispondere tanto all'anzidetto di Lei rapporto del 26, quanto all'altro del 27 (2), sento con soddisfazione che sia composta la vertenza per la provvista delle parrocchie di Milano, e che siasi definitivamente provveduto a Monsignor Ballerini, pel quale rimane ferma l'intelligenza per la concessione della pensione di cui già godeva il vescovo di Famagosta, ritenuto che la Santa Sede avviserà ai modi di esonerare il Governo da ogni obbligo rispetto al titolare, se mai fosse nominato, della sede di Famagosta. Mi è doluta l'intempestiva pubblicità data alla nomina di Monsignor di Calabiana alla sede di Milano; ma ho ragione di credere che la voce ne sia escita da cotesta Cancelleria.

S'intendono presi i concerti per la provvista delle sedi di Casale, Crema, Foligno, Macerata, Lecce, Marsico e Potenza, Cuneo, Alessandria e Tempio ed Ampurias, removendosi il Governo dal proposito di tener vacante quest'ultima sede a cagione delle osservazioni da Lei svolte. Quanto alla sede d'Asti non si crede acconcio il canonico Galletti, nel quale non si riconoscono quelle doti di prudenza e d'energia, che sarebb€ro richieste al reggimento d'una diocesi notoriamente cosi divisa in parti e scompigliata: in luogo di esso, se assolutamente si esclude Monsignor Bernardi, propongo il professar Barone, che è tra i primi soggetti datigli in nota. Quanto alla sede di Pavia si osserva che sarebbe la terza dell sedi vacanti, 1ombarde che si conferirebbe a sacerdote piemontese; onde sembra il caso, che, a non suscitare commenti di vario genere, si proponga per essa qualcuno dei candidati governativi di Lombardia, e di preferenza il canonico Giovanni Finazzi della Cattedrale di Bergamo, distinto pe·r dottrina e pietà. riserbandosi il canonico Savio per qualche altra sede.

Attendo ch'Ella m'annunzi l'esito finale delle informazioni che va raccogliendo intorno al padre Priori; ma non posso tacerLe, che assai mi duole la esclusione quasi sistematica che dalla Santa Sede si fa dei candidati del Governo, e precisamente dei più meritevoli, come sarebbero Monsignor Bernardi, Monsignor Vergalli, il parroco Bertazzoli. Voglia Ella insistere su questo particolare, non senza far presente al Cardinale Antonelli, che i candidati del Governo hanno per sé il suffragio della pubblica opinione, alla quale sarebbe pur convenevole di rendere omaggio.

Per l'archidiocesi di Siena è invitata ad insistere nella proposta dei sacerdoti Danesi e Bertini, essendo io deliberato a tenere il debito conto delle terne che vennero rassegnate da quel Municipio, e dovendo premere anche alla Santa Sede che il chiamato a reggere quell'importante diocesi abbia il favore della popolazione.

Quanto alla sede di Reggio d'Emilia si sono chiesti gli opportuni ragguagli intorno ai due candidati della Santa Sede.

Le so grande obbligo degli officii interposti per la traslazione del vescovo di Treviso e pel componimento della vertenza relativa all'elezione del Priore di questa Basilica Laurenziana, e starò aspettando ch'Ella m'informi del risultato, come altresì di quello delle riservate pratiche da Lei rivolte all'intento di fare accettare dal Santo Padre il vescovo di Pinerolo per la sede di Genova.

Le sono grato altresì dei particolari che mi comunica circa ai detenuti polilitici spettanti per origine alle provincie del regno: mi raccerterò dei fatti, e gliene riscriverò, raccomandandoLe intanto di mantenere il Cardinale Antonelli nelle buone disposizioni che ha manifestato.

Ho sollecitata la Direzione Generale di pubblica sicurezza a provvedere sull'istanza di Monsignor Mazzarella, che mi fu a suo tempo rimessa.

Il Governo ha in animo di far luogo con un solo provvedimento alla revocazione dei decreti, con cui per titolo di rappresaglia furono sottoposti a sequestro i beni della Congregazione di Propaganda, dei titolari ecclesiastici di Napoli. Vorrebbe però conoscere, se costì ci sia disposizione a soddisfare quind'innanzi al pagamento di quelle pensioni e di quegli assegni che si debbono da cotesto Governo o da cotesti Enti Morali a cittadini o ad Enti Morali del regno. Ella si compiacerà di tenerne discorso con quella riserva, che l'argomento richiede e di manifestarmi in proposito l'avviso suo, dacché so esserLe intieramente nota la natura e la portata dei decreti che si tratterebbe di revocare.

(l) Non pubbllcato.

(l) -Cfr. n. 213. (2) -Cfr. n. 218.
227

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DI GRAZIA E GIUSTIZIA E DEI CULTI AD INTERIM, RICASOLI, AL CONSIGLIERE DI STATO, TONELLO

Firenze, 1° marzo 1867

Nella mia nota in data del ... (l) dello scorso febbraio, io mi pregiavo di assicurare la S. V. Onorevolissima, che il Governo aveva dato le disposizioni

occorrenti, acciocché l'insediamento tanto dei nuovi Vescovi, quanto dei già preconizzati e la loro immissione in possesso delle rispettive Mense segua regolarmente senza far luogo ad alcun richiamo. Ora mi sta molto a cuore che il fatto risponda a tale assicurazione, e forte mi dorrebbe che fosse in qualsivoglia guisa per rinnovarsi lo sconcio che accadde, quando il Governo determinò il ritorno dei Vescovi assenti dalle loro diocesi, dappoiché taluni di essi ne furono impediti dal non essere in buon assetto i loro episcopii, né ancora son cessate le giuste lagnanze che per questo ed altri titoli si mossero da que' prelati. Perciò mi gioverebbe di conoscere approssimativamente l'epoca, in cui tanto i nuovi Vescovi, quanto i già preconizzati saranno per entrare nelle loro diocesi, affinché ne pigli indirizzo a sollecitare i necessari provvedimenti, massime in quei luoghi, ove mi constasse che negli anni decorsi si fosse disposto degli episcopii per qualche temporanea destinazione. Ben m'è noto, che passerà qualche tempo innanzi che entrino nelle sedi que' Vescovi che devono essere consacrati, e che l'insediamento degli Arcivescovi deve essere preceduto dalla domanda del pallio; ma in argomento cosi grave e delicato sento il bisogno di poter fare gli opportuni calcoli di tempo con qualche latitudine. Invito pertanto la S. V. a tener di ciò proposito col Cardinale Antonelli nell'intento di conoscere quando saranno per condursi alle loro diocesi i Vescovi preconizzati nell'ultimo Concistoro e i già preconizzati ne' precedenti. Esponga apertamente al Cardinale la ragione di tale richiesta, accennandogli alla mortificazione ed al rammarico, di che mi furon causa gli ostacoli attraversatisi al ritorno de' Vescovi assenti, e non lasci di fargli osservare come anche questa richiesta dia prova dei sinceri e leali intendimenti del Governo, a cui preme sopramodo che nessun incidente sorga a turbare i presi concerti.

In pari tempo voglia la S. V. tastare il terreno per riconoscere se sarebbe il caso di riappiccare il discorso circa il desiderio del Governo che si determini in modo uniforme per tutto il regno quanto ai giorni festivi di precetto. Non è mestieri ch'io Le accenni le ragioni di pubblica moralità, di convenienza politica, e di savia economia, onde il Governo è mosso a coltivare un tal desiderio: ben io confido che nella sua prudenza saprà trovare gli argomenti acconci a toglier di mezzo le obbiezioni che in proposito si potrebbero sollevare, ritenuto che il provvedimento relativo dovrebbe aver carattere del tutto ecclesiastico.

(l) Manca. Si tratta del 25. Cfr. n. 207.

228

IL MINISTRO A VIENNA, DE BARRAL, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 2. Vienna, 1° marzo 1867 (per. il 3).

Le grand fait qui pour le moment domine la situation en Autriche et devant lequel semblent devoir s'aplanir toutes les autres difficultés, est celui de la reconciliation ou plutòt du compromis avec la Hongrie, comportant l'établissement d'un Ministère autonome sans autre corrélation avec la reste de l'Empire, que l'examen et le règlement des afjaires communes. Cette habile combinaison qui semble étre empruntée aux temps de Marie-Thérèse, est tout entière dué à la conception de l'éminent homme d'Etat que l'Empereur a appelè à reconstruire l'edifice de la Monarchie si rudement ébranlé par les derniers événements.

M. de Beust s'est fait ce raisonnement si juste, qu'il fallait à tout prix se rattacher la plm; grosse fraction des différentes races qui composent l'Empire, et que les autres viendraient tout naturellement ensuite se grouper autour de ce centre commun, présentant tout à la fois et force et autorité. Les adresses de remercimens et les manifestations enthousiastes qui viennent d'avoir lieu dans plusieurs villes de la Hongrie et dont le prochain couronnement de l'Empereur à Pesth sera la plus éclatante consécration, constituent la preuve la plus certaine de la réussite d'une politiqtte, qui est précisement le contrepied de celle suivie par le Comte Belcredi.

Pour compléter son entreprise, le Baron de Beust doit maintenant rattacher à son système la fraction allemande, la seconde en force numérique dans l'Empire, à la quelle il est impossible, il est vrai, d'accorder un Ministère séparé camme à la Hongrie, mais qui, moyennant certaines concessions dans l'administration, et appelée à jouir des plus larges libertés constitutionnelles, finira par comprendre que son intérèt est de rester unie à la Monarchie. C'est cette agglomération de populations allemandes, dans la quelle bon gré mal gré viendront se fondre les races si mèlées de Tchèques et de Slaves, qui formera le contrepoid indispensable aux plans de M. de Beust.

En ce moment les Diètes Provinciales, chargées de nommer des députés au Reichsrath, ont à peu-près toutes terminé leur oeuvre électorale, et le 18 de ce mais, cette assemblée, qui aura toutes les attributions d'une véritable constituante, se réunira a Vienne pour donner sa sanction aux modifl.cations à apporter à la constitution. Les éléments entièrement libéraux, dont elle sera composée sont une garantie suffisante des idées essentiellement constitutionnelles qu'y prévaudront. Il y a bien, il est vrai, en Bohème, notamment à Prague, des Diètes Provinciales qui cherchent à faire de l'opposition au Gouvernement, en essayant de discréditer systématiquement à l'avance la constitution qui va ètre l'objet des délibérations du Reichsrath; mais le Gouvernement, ou plutòt, M. de Beust, qui le personifie à lui tout seul, est décidé à dissoudre ces foyers de résistances et à faire un appel direct aux populations. Les Gouvernements des Provinces ont déjà reçu assure-t-on, l'ordre d'agir dans ce sens pour peu que l'agitation continue. Une fois la nouvelle constitution votée par le Reichsrath et le Ministère décidément constitué, l'an procédera à la nomination d'une Commission prise dans le sein de l'assemblée, chargée de s'aboucher avec une commission hongroise et qui toutes les deux devront s'entendre sur le règlement des afiaires communes.

Tel est dans son ensemble le système de M. de Beust. Au milieu des immenses difficultés, qu'il a trouvées à son arrivée au pouvoir et dont le pèle-mèle des races difiérentes est une cause permanente de faiblesse, l'an ne saurait nier qu'il a pris avec une très grande habileté et une résolution energique, la seule vaie qui reste encore ouverte au salut de l'Empire. Il faut maintenant voir comment va fonctionner la nouvelle combinaison; et si elle ne viendra pas fatalement se heurter à des difficultés insolubles. M. de Beust a pleinement confiance dans la vitalité de son oeuvre, dont il parle du reste avec une très grande liberté d'esprit. Il est fermement convaincu que la question intérieure une fois vidée, l'Autriche

reprendra bientòt son influence d'autrefois si rudement entamée par la dernière guerre, et que le rétablissement de l'ordre et de la prospérité, lui redonnera infailliblement sa position dans la politique extérieure. «Nous ne sommes ni aussi faibles ni aussi morts qu'on se plait à le croire, a-t-il dit tout récemment, je ne suis point venu ici pour jouer le role d'ordonnateur de pompes funèbres; bientòt l'Autriche redeviendra forte et alors nous reconquererons bien vite notre ancienne position ~.

P. S. La nouvelle est arrivée aujourd'hui que la Diète de Prague avait été dissoute par ordre du Gouvernement (1).

229

IL CONSIGLIERE DI STATO, TONELLO, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DI GRAZIA E GIUSTIZIA E DEI CULTI AD INTERIM, RICASOLI

Roma, 1° marzo 1867.

* Come già l'annunciava col mio ultimo telegramma, ho ricevuta la sua nota del 25 scorso, non che i due dispacci telegrafici del 27 successivo (2). Essi mi hanno tolto dalla grave angustia in cui versava per l'affare dei preconizzati, e devo quindi ringraziar vivamente l'E. V. per le disposizioni date sull'argomento, in correlazione alle pratiche precorse.

Per adempiere al resto delle istruzioni comunicatemi colla precitata nota del 25, mi recai jeri 28 dal Cardinale Antonelli, e gli rinnovai l'espressione del profondo rincrescimento provato dal Governo per le cose disgustose contenute nell'Allocuzione Concistoriale del 22, ripetendo all'uopo quanto era detto nella surripetuta nota ministeriale, e quanto io gli aveva già espresso non solo a parole, ma anche in iscritto; e soggiunsi che solo per amore di conciliazione, e nell'intento di rendere sempre più manifesta la lealtà, colla quale si è proposto di soddisfare ai legittimi bisogni della Chiesa cattolica nel Regno, il Governo era disposto a continuare nelle intraprese trattative, fidando per l'avvenire in tutti quei maggiori riguardi che giustamente doveva aspettarsi. Né mancai anche di fargli notare, che qui in Roma molti prelati, e personaggi fra i più devoti alla Santa Sede, essendo divulgata la voce dello spirito di moderazione e di conciliazione, che per mandato, ed a nome del Governo io aveva sempre portato nelle trattative, erano stati unanimi nel riconoscere l'inopportunità e la sconvenienza di quelle recriminazioni, e ne avevano attestato il loro rammarico. Il Cardinale ripeté pure a un dipresso le scuse già fatte, e così finì l'incidente.

«L'Ambassadeur de France v!ent de remettre à M. de Beust la Grande Cro!x de la Légion d'honneur entourée de diamanta. Cette faveur toute except!onnelle a été interprétée dans le Corps d!plomatique non pas seulement comme une nouvelle preuve des rapportab!enve!llants qui ex!stent entre les deux Oouvernements, mals encore, et bien plus, comme un témoignage de l'approbatlon et de l'intérét particuller du Cablnet des Tutleries à l'oeuvre de reconstitutlon de la Monarchie à Jaquelle s'est voué le nouveau Minlstre d"Etat. A l'appui de cette appréciatlon l'on ajoute que !es consells de l'Empereur Napoléon n'ont polnt été étrangers à l'adoption du systinne de sincère réconcillation que l'Empereur d'Au\riche est désormais fermement résolu à suivre avec la Hongrie ».

Partecipai al prelato i riscontri fornitìmi dal Governo sui richiami dell'Arcivescovo di Ferrara, e del Capitolo Cattedrale di Piacenza, ed egli me ne mostrò la sua soddisfazione * (1).

Gli partecipai pure l'accettazione per parte del Governo della nomina del Vescovo di Jesi Cardinal Morichini all'Arcivescovado di Bologna colle avvertenze contenute nella Nota.

Tornai ad insistere per l'accettazione di Monsignor Vergalli e del parroco Barzacchini adducendo le circostanze accennate nel dispaccio, ed atte a metteré nella miglior luce le qualità pregevoli dei due candidati. Ma il Cardinale avev&. altre informazioni, che senza nulla togliere alla onorabilità di essi non li mostravano a suo credere forniti di tutte quelle doti che si richiedevano per l'Ufficio Episcopale, e stette fermo, come già le dissi, per l'ultimo, nel mio telegramma (2).

Proposi per l'Arcivescovado di Cagliari la traslazione di Monsignor Ghilardi Vescovo di Mondovì. Rispose che si sarebbe interpellato, benché mostrasse poca speranza per l'accettazione.

Proposi eziandio, che la Diocesi di Borgo S. Sepolcro di poca importanza qual'è, e vicina a Città di Castello fosse data in amministrazione al nuovo Vescovo di questa città. Non parve che la cosa si mostrasse per Lui di difficile accettazione, e promise parlarne a Sua Santità.

Intanto egli mi partecipò, che fra i preconizzati anteriori, che dovrebbero andare in sede vi è Monsignor Fedele Bufarini traslato dalla sede di Ripatransone a Comacchio, il quale per gravi motivi di salute, è assolutamente inabilitato a muoversi dalla Diocesi di Ripatransone dove tuttora si ritrova; e che per rimediare a tale inconveniente si sarebbe da Sua Santità ideato di !asciarlo nella sede stessa, mandando invece a Comacchio Monsignor Alessandro Spoglia, che era stato nominato a succedergli in Ripatransone.

Questo Monsignor Spoglia ebbe la nomina a Ripatransone sin dal 23 Marzo 1860, cioè nello stesso Concistoro, nel quale il Bufarini era stata trasferito a Comacchio, e si erano anche nominati tutti i preconizzati nelle ex-provincie pontificie. Siccome però il Bufarini, non poté andare a prendere possesso della nuova Diocesi destinatagli perché già a quella data Comacchio non faceva più parte degli Stati pontiftcii; così lo Spoglia non potè finora succedergli in Ripatransone, benché la sua nomina ivi avvenisse in tempo in cui le Marche erano tuttora sotto il dominio della Santa Sede, e così fosse pienamente legale. Perciò appunto egli non figura nella nota dei preconizzati, benché sia nella schiera di quei Vescovi che sebbene nominati non poterono conseguire il possesso della loro Diocesi. Ora che alla nomina del Bufarini a Comacchio il Governo non dissente di dar corso, egli dovrebbe naturalmente prendere possesso della Diocesi di Ripatransone. Ma ciò non potendosi per Io stato di salute del Bùfarini, che non consente il trasferimento, andrebbe egli invece di questo a Comacchio. È un semplice scambio di sede, che non pare presenti materia ad alcuna objezione, e sarà sempre un preconizzato di meno da mandarsi in sede come tale.

II Cardinale mi parlò pure, per altro come di progetto ancora a maturarsi, della traslazione alla Sede vacante di Osimo di Monsignor Monetti, altro dei pre

conizzati, destinato alla Diocesi di Cervia. Ciò mi sembra tanto più da accettarsi inquantoché darebbe l'opportunità di lasciar vacante, secondo il desiderio del Governo la suddetta piccola Diocesi di Cervia, la quale si potrebbe dare in amministrazione al titolare di Ravenna, o ad altro dei più vicini; ed inoltre torrebbe di mezzo, con nuova nomina, un altro fra i preconizzati.

Espressi al Cardinale la soddisfazione del Governo pel condono delle tasse dovute per le Bolle fatte ai nominati nell'ultimo Concistoro; per altro sebbene le di lui parole mi avessero fatto credere, che si trattasse di condono totale, venni a sapere dagli stessi nominati, che una certa piccola porzione era tuttavia stata riservata.

* Prima di chiudere la presente credo mio debito significare all'E. V., che tutti i nominati residenti qui in Roma, cioè oltre a Monsignor Demartis già da me nominato in altra relazione, i Monsignori Cerruti di Varazze, Aggarbati, Gallucci, e Dusmet, non che Monsignor Barabesi qui giunto recentemente, si recarono premura di venirmi a visitare quale Rappresentante del Governo, onde manifestarmi i loro sentimenti di gratitudine verso il medesimo, ed attestare le loro più sincere disposizioni a tenere nell'amministrazione delle loro Diocesi i modi meglio atti ad evitare urti, imbarazzi, e dispiaceri al Governo, pregandomi ad essere presso questo interprete di siffatti loro sentimenti; ufficio che io compio colla massima soddisfazione. Monsignor Dusmet poi, il quale è Benedettino, mi chiese se poteva, come vivamente desiderava, conservare anche Vescovo, l'abito del suo Ordine, secondo quanto molti sogliono in simili casi praticare. Parmi che a ciò nulla osti in massima, essendo state determinate da motivi temporanei di sicurezza pubblica le prescrizioni per le quali in Sicilia i membri degli Ordini Religiosi avevano dovuto svestire l'abito; ma su ciò aspetterò gli ordini del Governo.

Ancora un'avvertenza. Siccome urge, che non siano tardate le corrispondenze stante l'avvicinarsi del Concistoro, parmi che si possa, quando pur non si tratti di cose delicatissime, affidare qualche piego anche alla posta, come si è già fatto altra volta senza alcun incontro inconveniente •.

(l) Si pubblica qui un brano del r. 9 di Barrai del 15 marzo:

(2) Cfr. n. 207. I telegrammi non sono pubblicati.

(l) -I brani fra asterischi sono editi in Lettere Ricasoli, vol. IX, pp. 308-310 e in Carteggi Ricasoli, vol. XXV, pp. 376-377. (2) -Non pubblicato.
230

L'AGENTE E CONSOLE GENERALE, IN EGITTO, G. DE MARTINO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. l. Alessandria, 2 marzo 1867 (per. il 10).

Ho l'onore accusare ricevuta alla E. V. del dispaccio serie Politica n. l del

12 scorso Febbrajo (1), e della Circolare del 17 stesso mese della Direzione Supe

riore degli affari politici (2).

Con dispaccio affari in genere del 26 Febbrajo n. 97 (1), che rimisi al

Signor Conte di Castiglione, partito con la fregata la «Gaeta» per Brindisi,

rapportai a V. E. i risultati ottenuti, e da me previsti, a vantaggio dei reclami dei

nostri nazionali, pendenti da diversi anni, in occorrenza degli attestati di amicizia e simpatia personale dati dal nostro Augusto Sovrano a S. A. il Vicerè (1).

I discorsi e del Vicerè e de' suoi Ministri non lascian dubbio ch'essi ritengono la rimessa del Collare deEa SS. Annunziata come una dimostrazione politica. Nelle conversazioni avute con essi e per questa ricorrenza, e per le successive trattative degli affari, i Ministri del Vicerè, e particolarmente Nubar Pascià, Ministro degli Affari Esteri, da poche settimane ritornato da un lungo soggiorno a Parigi, ci hanno tenuto un linguaggio espansivo senza reticenze, manifestando apertamente che l'unica loro speranza, d'essere sottratti alla pressione francese, è nell'Italia: che in noi soli confidano per spingere l'Egitto a vita di progresso: che in noi soli hanno fede di simpatia e di concorso nei futuri destini che si preparano. Essi credono minacciosa la quistione di Oriente, e ci hanno apertamente parlato dell'indipendenza d'Egitto.

Attenendomi scrupolosamente alle istruzioni ricevute dalla R. Legazione di Costantinopoli, confermatemi dall'E. V., mi sono rinchiuso nel più profondo silenzio anche su qualunque allusione alla politica del R. Governo riguardo l'Oriente, ed ho ristretto il mio linguaggio sulla opportunità dell'interesse reciproco di dar sviluppo al nostro commercio; di attirare in questi mercati il prodotto delle nostre industrie ed i nostri capitali: di rendersi favorevole l'opinione pubblica in Italia, proteggendo la Colonia, che è il tratto di unione tra i due paesi.

Non mancai d'informare il Conte Verasis delle istruzioni che io aveva ricevute, ed egli tenne lo stesso linguaggio, assicurando soltanto di più dell'amicizia e simpatia personale di Sua Maestà per il Vicerè e l'Egitto, non mancando però di far sentire nello stesso tempo che il Re d'Italia è Re Costituzionale, e che i suoi sentimenti personali sono subordinati alla politica del Governo, ed alle giuste esigenze della Nazione.

Come già ebbi l'onore di rapportare in precedenti dispacci il Vicerè riconosce che le più gravi complicazioni con i Governi Esteri nascono dalla difettosa,

o per meglio dire dalla nessuna amministrazione di giustizia nei tribunali del paese. Da qualche tempo egli pensava riorganizzarla, ma rapportai anche che incontrò opposizione nel rappresentante francese. Io consigliai sempre di fare, e far bene, non imporre, e le opposizioni cesserebbero da se stesse.

Nella discussione ora delle nostre vertenze con Nubar Pascià, questi riconobbe che avressimo ricominciato da capo ad accumulare nuovi reclami, e si venne a discorrere della necessità di provvedere anche all'avvenire. Questa volta fu il Governo Egiziano che prese l'iniziativa, e ml chiese 11 nostro concorso a secondario a stabilire un'amministrazione regolare e sicura di giustizia imparziale ed incorrotta. Il progetto del Vicerè è di creare tribunali con elementi presi nella Magistratura Europea. Una istituzione simile sarebbe un immenso vantaggio per le Colonie, e grandissimo per l'Egitto, e non essendovi dubbio nell'interpretazione delle istruzioni ricevute a questo proposito non esitai impegnarmi con Nubar Pascià che avrei propugnato presso l'E V. questo progetto onde ottenere il concorso e l'appoggio del R. Governo. Non mancherò partecipare sollecitamente a

V. -E. tutte le risoluzioni che il Governo Egiziano prenderà riguardo quest'idea di tanta importanza.

Un dispaccio analogo al presente ho diretto alla R. Legazione a Costantinopoli.

(l) -Non pubblicato. (2) -Cfr. n. 192. (l) -Viceré d'Egitto era dal 18 gennaio 1863 Ismail Ibrahim pascià.
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IL CONSOLE GENERALE A BELGRADO, SCOVASSO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 142. Belgrado, 3 marzo 1867, ore 18,20 (per. ore 2,20 del 4).

Tandis que la Sublime Porte perd un temps précieux à expédier au prince Michel la lettre vizirielle sur l'abandon des forteresses et peut-étre aussi à formuler des conditions inacceptables, ici on s'occupe activement d'un plan d'insurrection en Bosnie et Herzégovine dirigé par le colonel Orescovitch otncier impérial et qui est maintenant au service du prince Michel et en méme temps l'intermédiaire de Strossmayer auprès du Gouvernement serbe. Si je dois en croire à Orescovitch l'élément serbe mussulman de la Bosnie serait finalement d'accord avec les serbes de la Principauté et la Croatie aussi serait tombée d'accord avec la Serbie. Qu'en outre elle (je crois que c'est le parti Strossmayer) aurait méme fait offrir, en cas de certaines éventualités, la couronne de Croatie au prince Michel, mais jusqu'à présent celui-ci n'aurait encore répondu ni oui ni non. Encore 2 ou 3 mois de retard et peut-étre l'abandon des forteresses méme sans aucune condition arrivera trop tard. Orescovitch m'a dit aussi qu'il désirait avoir 300 ou 400 garibaldiens seulement pour le moment, afin que l'élement italien fut dès le commencement représenté dans le pays jugo-slave de la Turquie. Je lui ai répondu que je ne savais pas si cela pouvait étre agréable au Gouvernement du Roi. Je renouvelle à V. E. la prière pour 20 jours de congé.

232

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AL MINISTRO A PARIGI, NIGRA

T. 111. Firenze, 4 marzo 1867, ore 21,35.

Le baron de Malaret vient de me proposer de la part de M. de Moustier une modification à la convention de la dette pontificale. Il s'agirait de payer directement au Gouvernement pontificai les intéréts des arrérages capitalisés. La proposition me parait peu acceptable. Je n'ai pas donné de réponse définitive de crainte de compromettre le résultat de vos démarches au sujet de l'échéance du payement. Les dispositions peu favorables du ministre des affaires étrangères m'inquiètent toujours. Je vous prie de faire tous les efforts pour nous tirer de l'embarras.

233

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, E MINISTRO DI GRAZIA E GIUSTIZIA E DEI CULTI, AD INTERIM, RICASOLI, AL CONSIGLIERE DI STATO, TONELLO

Firen;ze, 4 mar;zo 1867.

* Rispondo al graditissimo rapporto della S. V. Onorevolissima in data del 1° di questo mese (1), e comincio dal renderLe merito del tuono risoluto ed energico, con che espose, al Cardinale Antonelli, il richiamo del Governo del Re circa il tenore dell'Allocuzione pronunziata dal Santo Padre nell'ultimo Concistoro. Un tale incidente è da tenersi finito del tutto: solo gioverà ch'Ella colga un'opportuna occasione di rammentare al Cardinale, come s'attenda dal Governo che nell'Allocuzione che il Santo Padre fosse per proferire nel nuovo Concistoro, non cada parola che possa dar luogo ad osservazioni e richiami, e rappresenti la condizione delle cose religiose nel regno sotto un aspetto non del tutto conforme al vero * (2).

Ella è autorizzata a prendere i definitivi concerti circa il trasferimento del Cardinale Morichini dalla sede vescovile di Jesi alla arcivescovile di Bologna: in pari tempo vorrà richiedere se il Cardinale Guidi sia per destinarsi a Jesi, o se la Santa Sede si riservi di provvedere a lui in altro modo.

Il cenno ch'Ella mi fa dell'assoluta esclusione del Vergalli e del Barzacchini per le sedi di Reggio d'Emilia e di Pistoia, di che m'aveva già dato suono il suo telegramma del 1° di questo mese (3), mi costringe a ripeterLe ciò che Le significavo nelle ultime mie Note intorno all'essere dalla Santa Sede sistematicamente esclusi quasi tutti i candidati del Governo. È cosa questa che mi ha un senso ingratissimo, constandomi che ai soggetti di cui si tratta non si può muovere alcun appunto, e che anzi sono essi i meglio raccomandati dalla pubblica opinione, mentre fra loro non se ne conta alcuno a cui si possa dar carico di clamorose dimostrazioni in fatto di politica. Di che tanto più mi preoccupo in quanto ne son condotto a temere, che l'esclusione di ecclesiastici così generalmente stimati, come il Bernardi, il Vergalli, il Barzacchini, renda meno accetto all'universale il provvedimento a cui il Governo del Re fu condotto dal proposito di far ragione alle istanze della Santa Sede e d'assicurare la pace religiosa nel regno. Sondi Ella modo di tornare in discorso su tale argomento col Cardinale Antonelli e di recarlo ad apprezzare i motivi, per cui il Governo insiste nel richiedere che si voglia tenere maggior conto de' suoi candidati, non lasciando di mettere in evidenza la facilità con che da esso furono ammessi i candidati della Santa Sede ogni volta che non dovette escludere taluni per ragioni d'ordine pubblico.

Ad ogni modo, se costì si persiste assolutamente nelle mentovate esclusioni, Ella cesserà in proposito da ogni ulteriore officio, e, non potendosi aderire alle proposte fatte dalla Santa Sede a favore del Canonico Arciprete Adami di Modena, e del Vicario Capitolare Casoli di Reggio, de' quali si ebbero ragguagli assai

sfavorevoli, a troncare gli indugi e a facilitare le intelligenze, Ella presenterà per le sedi d'Asti, di Pistoia e di Reggio d'Emilia le seguenti tre teme, con facoltà di determinare i concerti per ognuno dei soggetti nelle medesime compresi:

Asti: Professore Francesco Barone; Teologo collegiato Savio; Canonico Salvai, vicario capitolare d'Alba. Pistoia: Canonico Bini, della Metropolitana di Firenze; Padre Belli dei Cassinesi della Badia di Firenze; Canonico Enrico Bindi della diocesi di Pistoia.

Reggio: Monsignor Carlo Macchi, preconizzato alla sede di Crema; Padre Clodoveo !chino dei Minori Osservanti della Consolata di Torino; Padre Sensi dei Conventuali di Firenze.

Il Governo aderisce al partito proposto che Monsignor Bufarini rimanga a Ripatransone, che Monsignor Spoglia sia trasferito a Comacchio, e che Monsignor Monetti sia trasferito ad Osimo, quando si determini di lasciar vacante la sede di Cervia, in che vedrebbe un compenso al restar piena quella di Ripatransone, la quale per la sua esiguità gli pareva opportuno di non riempire.

Son lieto degli olll.cii mossi presso di Lei dall'Arcivescovo nominato di Catania e dai Vescovi nominati di Savona, Sinigag1ia, Recanati e Loreto e San Miniato e dei sentimenti che Le hanno espressi. I vescovi nominati di Savona e d'Aosta hanno indirizzato una lettera al Re che mi trasmisero con un'altra a me diretta: se Ella sapesse d'altri Prelati che avessero lo stesso pensiero, gli incoraggi a ridurlo in atto. Assicuri Monsignor Dusmet, che da parte del Governo non si porrà ostacolo al suo desiderio di conservare l'abito del suo ordine, essendo, com'Ella saviamente osservò, stata unicamente presa per motivi temporanei di pubblica sicurezza la disposizione, che in Sicilia i membri delle corporazioni religiose soppresse spogliassero l'abito monastico.

Urgendo poi che si venga a definitivi concerti per le altre sedi vacanti, che si vogliono provvedere, occorrerà innanzi tutto ch'Ella prenda le opportune intelligenze per le sedi arcivescovili di Cagliari, di Genova e di Capua. Per la prima il Governo dura nel proposito di trasferirvi il vescovo di Mondovì, ma è disposto ad accettare qualsivoglia altra proposta che gli venga fatta dalla Santa Sede, quando cada sovra soggetto compreso nelle sue note. Per la seconda si spera che sia per essere accettato il Vescovo di Pinerolo, con intelligenza che si lasci vacante quella sede e si dia in amministrazione al vescovo di Susa o all'arcivescovo di Torino. Per la terza si ha per fermo che vi si promoverà il vescovo di S. Angelo dei Lombardi Monsignor Fanelli Luigi.

In appresso Ella procurerà di concertarsi per le altre sedi vacanti nel Piemonte e nella Lombardia, proponendo per ciascuna di esse le sguenti terne: Alba: Canonico Galletti; Luigi Maestri, canonico della Metropolitana di Milano; Molinari, vicario capitolare di Cuneo; Saluzzo: Genta sacerdote Giovanni, parroco di S. Francesco di Paola in Torino; sacerdote Gastaldi di Torino; il teologo Serra, arciprete di Carmagnola. Pavia: Canonico Giovanni Finazzi della Cattedrale di Bergamo; canonico Ambrogio Vitali della Metropolitana di Milano; parroco Talacchini della diocesi di Milano a Lurago. Como: Sacerdote Giuseppe Bosisio, parroco di Canegrate nella diocesi di Milano; monsignor Carcano, vicario capitolare della diocesi di Milano; sacerdote

Giovanni Ghianda, prefetto del santuario di Santa Maria presso S. Celso in Milano.

Per la sede arcivescovile di Siena, Ella si atterrà alle istruzioni ultimamente ricevute. Fra brevissimo Le saranno inviate altre terne per tutte le altre diocesi vacanti che si intende coprire, e di tal guisa potranno agevolarsi i concerti. Frattanto Ella vorrà presentire le intenzioni della Santa Sede circa le diocesi di Rimini e di Orvieto, ambedue di piccola estensione, e che si vorrebbero lasciar vacanti, mentre non si dubita dell'annuenza della Santa Sede a dare in amministrazione ai vescovi viciniori le due tanto esigue di Poggio Miteto e di San Sepolcro.

Da ultimo Ella vorrà notificare al Cardinale Antonelli che si stanno raccogliendo gli elementi per esprimere il definitivo pensiero del Governo intorno a Monsignor Frescobaldi, vicario capitolare di Fiesole, particolarmente raccomandato dal Santo Padre.

(l) -Cfr. n. 229. (2) -Il brano fra asterischi è edito in Carteggi Ricasoli, vol. XXV, p. 394. (3) -Non pubblicato.
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IL MINISTRO A LONDRA, D'AZEGLIO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 596/200. Londra, 4 marzo 1867 (per. l'B).

Nel ringraziare l'E. V. per gl'interessanti annessi che ricevetti uniti al Dispaccio che Ella mi fece l'onore d'indirizzarmi in data del 27 febbrajo n. 5 della Serie politica, come pure pell'altro dispaccio di egual data e serie segnato col numero 6 (l), io non posso che esprimere la soddisfazione che provai nel veder iniziato così un sistema che ci renderà all'estero meglio informati delle viste del Governo. Non è sempre facile l'indagar cosa pensino gli altri se non gli si può dire cosa pensiamo noi e questa posizione diventa specialmente ardua per un diplomatico.

Incontratomi con lord Stanley a Corte stamane potei far cenno dei dispacci che mi erano pervenuti jeri, e così conoscerne le intenzioni rassicurandolo in certi punti sulle nostre, o almeno facendogli vedere che concordavamo colle sue.

Egli mi disse riguardo all'Oriente, che la politica del Gabinetto attuale era in generale e conservavasi opposta a cambiamenti territoriali; che egli era d'opinione che ave le potenze Occidentali non contribuissero a complicarle le di!Il.coltà in Oriente si comporrebbero facilmente mediante certe concessioni alle quali la Turchia pareva disposta.

La Potenza che più si metteva in evidenza era la Russia. Esser però disposto a credere questa sua simpatia prodotta da cause di razza e di religione più che dal desiderio d'ingrandirsi.

In quanto alla Serbia pareva dal linguaggio dei Ministri Turchi che essi fossero disposti a concedere i punti essenziali richiesti dal Principe. Riguardo a Candia egli mi disse essersi attivate le proposte fatte a Costantinopoli di mandarci deputazioni e rimanerci a vedere, che effetto sortirebbe.

Ma esser egli Oord Stanley) contrario all'aggiunger nuovi consigli finché si vedesse l'effetto dei già dati. Ed inoltre esser egli egualmente contrario a dar consigli che si potesse prevedere non accettabili dalla Porta. E sicuramente non aveva l'intenzione l'Inghilterra di corroborarli colla forza e imporli colle flotte.

Trovava che il Governo Turco proponendo o accettando d'incaricarsi del trasporto degl'insorti Cretesi che chiedevano di uscire dall'isola aveva agito con una moderazione di cui non erasi vista l'uguale in altre guerre. Che in generale egli temeva che quelle potenze che aveano protestato contro la loro esclusione da questi pietosi uffici, coprissero qualche velleità d'intervento alla sordina, ed approvò moltissimo quanto gli dissi delle istruzioni date da noi al comando delle R. Navi riguardo al non imbarco dei volontarii.

Finalmente parlando dell'Egitto disse che sinora le pretensioni del Pacha erano poco importanti fuori quella di aumentare il suo esercito. Ed in quanto all'Egitto disse che aveva mandate istruzioni che si stesse in osservazione senza però aver preso su questo punto determinazione di sorta.

La Francia cerca di attivare questa inoperosa politica dell'Inghilterra in Oriente. E quando riceve risposta troppo recisa, fa le sue riserve col rimettere un passo più oltre a momento più opportuno. E così poco per volta si è ottenuto anche il concorso inglese in quanto è stato fatto. Del resto i momenti attuali pajono nel Gabinetto Derby quelli che precedono la morte. Onde conviene anche a noi d'aspettarne gli ulteriori destini.

Nell'accusare ricevuta all'E. V. delle due circolari politiche ìn data 17 e 20 scorso febbrajo... (1).

(l) Non pubblicati.

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IL CONSIGLIERE DI STATO, TONELLO, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DI GRAZIA E GIUSTIZIA E DEI CULTI AD INTERIM, RICASOLI (Ed. in Lettere Ricasoli, vol. IX, pp. 317-322 e in Carteggi RicasoZi, vol. XXV, pp. 394-399)

Roma, 4 marzo 1867.

Ricevuti jeri verso il meriggio i dispacci ministerìali del la corrente (2), mi feci debito di recarmi la sera del giorno stesso dal Cardinale Segretario di Stato.

Entratisi in materia, si rimase intesi, che accordandosi a Monsignor Ballerini, da provvedersi col nuovo titolo in partibus la pensione della quale già godeva il Vescovo di Famagosta, non si sarebbe, finché ne durasse il godimento per parte del Ballerini, conferito ad altri quel Vescovado.

Rimasero pure definitivamente concertate nel modo anteriormente spiegato le nomine per le sedi di Gasale, Crema, Foligno, Macerata, Lecce, Marsico e Potenza, Cuneo, Alessandria, e Tempio ed Ampurias. La Santa Sede scriverà indilatamente per l'opportuna interpellanza sull'accettazione. A Monsignor di Calabiana per Milano si è già scritto.

* Per Pavia si è proposto il Canonico Finazzi di Bergamo. La Santa Sede prenderà informazioni.

Per Asti, manifestate le ragioni per le quali non si crede dal Governo opportuno il Canonico Galletti, ho tentato un'ultima prova per Monsignor Jacopo Bernardi, e in difetto di quello, ho proposto il Canonico Teologo Barone che era già stato dato in nota nella prima lista * (1). Mi valsi di tutti gli argomenti; mostrai il rispetto dovuto anche nell'interesse dell'influenza e del prestigio religioso, all'opinione pubblica; feci notare il giusto e profondo rammarico che provava il Governo nel vedere l'esclusione quasi sistematica di personaggi degnissimi da lui proposti non con altro scopo, che del maggior bene del pubblico; il disgusto e la stanchezza che ne riverberava in me stesso al vedere infruttuosi tutti i miei sforzi non inspirati ad altro, che al più sincero sentimento di conciliazione. Tutto fu inutile. Il Cardinale per altro si sforzò di provarmi che non erano arbitrarie e capricciose le esclusioni che talvolta era obbligato ad opporre. Mi ricordò, che i principii stati sin dai primordi delle nostre trattative posti per base nella scelta delle persone, quale unico mezzo per rendere possibili i concerti, erano di scegliere persone neutre, che non si fossero cioè messe spiegatamente in vista nell'uno piuttosto che nell'altro campo (2). Con tale criterio, egli diceva, si salvava l'amor proprio ed il decoro tanto dell'una che dell'altra delle Alte parti, le quali dovevano cooperare alla nomina. La Santa Sede poi, oltre all'esclusione delle nomine politiche, doveva riservarsi eziandio quella relativa alle persone, che prestassero materia ad oggezioni dottrinali, massime rispetto al potere temporale. Ora il Bernardi come pure il Vergalli, ed il Barzacchini già precedentemente esclusi, ed altri fra i proposti non avevano, a loro senso, lasciato d'intingersi in politica, ed il Barone in materie dottrinali aveva talvolta sostenuto tesi meno accette alla Santa Sede. A sostegno di queste sue asserzioni e del modo non arbitrario, ma cautelato, col quale la Santa Sede procede in queste materie, il Cardinale mi mostrò voluminosi fogli di corrispondenza, e talvolta me ne lesse brani, dai quali risultava che questo si era mescolato in circoli politici, quest'altro aveva soscritto l'indirizzo Passaglia, che qui non è per nulla dimenticato, altri si erano in altri modi dimostrati meno attaccati al potere temporale, e simili.

Io replicava mostrando l'inconsistenza, e l'inattendibilità di non pochi degli appunti fatti; ma vidi che su questo terreno non c'era modo d'intendersi. Epperciò devo ripetere quanto ho già altra volta accennato, che quando la Santa Sede dà l'esclusione ad alcuno dei proposti, il meglio è di cercare senza ritardo altri proponibili (3), non essendovi quasi speranza di farla rinvenire appunto perché le sue esclusioni hanno tutte qualche motivo; motivo che può essere inconcludente ai nostri occhi, od obliterato, od anche riscattato con atti posteriori, ma che qui conta molto, e conta sempre, perché non se ne perde guarì la memoria. Io non omisi di far notare al Cardinale, che con un siffatto sistema di elezioni non si poteva riuscire ad altro risultato, che di portare sulla scena tutte le mediocrità a scapito ancor più della Chiesa, che del

25 -Documenti diplomatici -Serle I -Vol. VIII

Governo (l); che non conveniva risuscitare ciò che era sepolto nell'oblio; dare importanza a cose che non l'avevano mai avuta, o l'avevano perduta; rimettere in campo questioni spente etc. Non se ne fece altro.

Io sollecitai qualche risoluzione per varii Sacerdoti lombardi proposti, onde provvedere Como ed all'occorrenza anche Pavia. quando però contro quello che si credeva, fosse per avventura occorsa qualche difficoltà pel Finazzi. Mi si fecero promesse; ma qui più che altrove, da quanto ho potuto capire, c'era di mezzo l'indirizzo Passaglia qual fonte dei ritardi, e delle difficoltà.

Pei candidati proposti per Siena al Cardinale non erano ancora pervenuti riscontri.

Riparlai della traslocazione del Vescovo di Treviso; non pare che la Santa Sede vi ripugni molto; la difficoltà. a quanto mi disse il Cardinale, sta nel trovare un posto conveniente; se il Governo avesse qualche opportuno suggerimento, potrebbe tosto farmelo sapere.

Sul Priori ho continuato le indagini, ma finora le informazioni non sono abbastanza rassicuranti.

Il cardinale rettificò una delle cose dettemi nell'ultimo nostro colloquio come ideata dal Santo Padre. Egli aveva parlato di Monsignor Monetti preconizzato Vescovo di Cervia, che si sarebbe potuto trasferire alla sede di Osimo (2). Si tratta invece di Monsignor Moretti preconizzato Vescovo a Cesena, che per contro, se il Governo consentisse. si vorrebbe dalla Santa Sede destinare ad Imola (3). Per verità la cosa cambia aspetto, inquantoché non si avrebbe più il vantaggio di risparmiare la provvista d'una fra le Diocesi che si desiderano lasciare vacanti. Tuttavia la cosa non mi sembra presentare materia ad oggezione, e sarà sempre un preconizzato di meno, da mettere in tale qualità in possesso.

Per l'affare concernente Monsignor Brunone Bianchi il Cardinale aderì ad un mio suggerimento, d'incaricare cioè Monsignor Franchi, che è stato altre volte in Toscana ed è in buoni rapporti coll'Arcivescovo, di scrivere al medesimo, e di trovar modo soddisfacente di composizione. Io era già stato dal prelodato Monsignor Franchi. svelto e destro prelato, assai influente sull'animo del Pontefice, che dimostrò sempre le migliori disposizioni in favore della Missione, e più volte, devo dirlo ad onore del vero, in certe delicate circostanze, già mi sovvenne d'informazioni, d'opera, e di consiglio, io era stato, ripeto, da lui per concertare quest'affare, e sembra, che l'espediente proposto dal Governo, mediante qualche cautela nella forma onde lasciare invulnerata la questione di principio, sarà adottato.

Relativamente al Vescovo di Pinerolo, avendo avuto ragguaglio che le disposizioni di Sua Santità andavano migliorando, io ne mossi parola al Cardinale. Egli si mostrò abbastanza favorevole, tuttavia prima di licenziarmi a scrivergli per l'intesa sua venuta in Roma, avendo io fatto ben sentire quanto un tal passo fosse delicato per tutti, e quindi dovessi per farlo essere ben sicuro delle favorevoli disposizioni della Santa Sede, egli mi disse che si riservava ancora di parlarne al Santo Padre.

Quanto ai Canonici Galletti, e Savio, che erano stati accettati per Vescovi da ambo le parti, e di cui non parve conveniente l'ultima progettata destinazione dell'uno ad Asti, e dell'altro a Pavia per ragioni puramente locali, io crederei che si potrebbe con frutto esaminare, se non possano invece destinarsi il primo in Alba, ed il secondo in Saluzzo (1). Ove ciò gradisse al Governo, qui per parte della Santa Sede non vi sarebbe di!Ilcoltà.

Feci al Cardinale la richiesta relativa all'epoca approssimativa dell'ingresso dei Vescovi nominati, o già anteriormente preconizzati nelle loro Diocesi, e spiegai il motivo di tale richiesta, mostrando quanto al Governo nella sua lealtà stesse a cuore di evitare che si ripetesse alcuno degl'inconvenienti, che suo malgrado avevano avuto luogo pei Vescovi richiamati in Diocesi. Il Cardinale non seppe darmi risposta precisa. È certo che pei nuovi Vescovi occorre prima la consecrazione, per gli Arcivescovi la concessione del pallio; ma quanto al tempo occorrente, la cosa può variare dall'uno all'altro. Per es. il Pallio per Monsignor Riccardi sarà chiesto nel prossimo Concistoro; i nuovi nominati che risieggono in Roma saranno consecrati forse nella prima settimana di quaresima; per gli altri non si sa altro, se non che il Pontefice ha intenzione che si trovino al più presto possibile al loro posto (2), e li va sollecitando analogamente; e quindi è da presumersi che il tempo sarà breve per tutti, ed occorrerà che i lavori di ristauro per gli Episcopii siano spinti colla massima alacrità. Per altro, onde evitare disappunti, pare che ciascuno dei nominati, prima di andare in diocesi, s'informerà, come da lettera che teneva il Cardinale risultava avere già fatto alcuni, da persone del luogo per sapere se le cose sono in ordine, né vi andrà che quando ne abbia avuto l'assicurazione.

Della riduzione delle feste già aveva parlato recentemente col Cardinale; ne mossi nuovamente discorso jeri sera. Egli mi ripeté le solite di!Ilcoltà e lentezze che trae seco questa materia. Ad ogni modo, sulle vive mie istanze, promise di parlarne con Sua Santità.

Notificai a Sua Eminenza quanto mi si diceva nella nota ministeriale circa le intenzioni del Governo per la revoca dei sequestri ordinati per rappresaglia; e circa le condizioni, che devono dar luogo a tale provvedimento. Il Cardinale non si mostrò abbastanza informato delle particolarità della materia per darmi immediata risposta. Promise informarsi, ed io ne riferirò a suo tempo al Governo. Una delle cose, che secondo me dovrebbero per parte nostra esaminarsi, è se l'assestamento avvenuto circa il riparto del Debito Pubblico pontificio non abbia tolto di mezzo la causa a molte delle obbligazioni prima esistenti a carico della Santa Sede.

Nel ringraziare il Cardinale a nome del Governo dei ragguagli forniti sopra molti dei detenuti politici, compresi nella nota rimessagli, ho fatto nuovamente i più premurosi o!Ilci, perché si prendesse una deliberazione nel senso dal Car

dinale stesso divisato nel nostro anteriore colloquio, cioè o per un atto di clemenza, o per la rimessione relativamente a quelli che restavano ancora detenuti.

Intanto, a seconda di richiesta apposita fattami dal Ministro degli Esteri con suo foglio del 28 scorso febbraio ( 1), io feci presente al Cardinale che pei condannati stati dal Governo pontificio già consegnati al Governo italiano nel febbraio 1865, quest'ultimo mancava d'ogni elemento per conoscere sia la durata della pena, sia l'epoca in cui cominciò a decorrere per ciascuno di essi; il che esponeva il Governo ad offendere i principii più elementari della giustizia con detenzioni arbitrarie; e richiesi. quindi, che ci si dessero, o mediante la copia delle sentenze, od in altro modo, gli anzidetti elementi assolutamente indispensabili. Il Cardinale rispose, che quando si fece la consegna di quei detenuti alla Francia, il Governo pontificio aveva dato tutte le indicazioni necessarie per ciascuno dei condannati medesimi; e non sapeva capire come non fossero pervenute al Governo italiano. Disse che ne avrebbe chiesto ragguaglio all'Ambasciatore di Francia, e che in ogni modo si sarebbe provveduto.

Acchiudo alla presente, con preghiera di un riscontro a suo tempo, una istanza dell'Abate di Montevergine. il quale mi è stato caldamente raccomandato da Monsignor Cerruti, di Varazze, dall'Abate Pappalettere, e dal Consigliere di Stato Cav. Carrocci.

Nel rassegnare quanto sovra all'E. V. io credo opportuno di far fin d'ora un'avvertenza ed una preghiera. Terminato il lavoro pel secondo Concistoro, io avrei vivo desiderio di potermene ritornare. Lo stato di mia salute già non troppo fiorente alla mia partenza si è assai affievolito durante i lavori e le ansie di questa lunga ed agitata negoziazione; io quindi sento il bisogno di riposo. D'altra parte le difficoltà e le resistenze che qui s'incontrano nella scelta delle persone, l'ostinazione colla quale veggo tenersi esattissima memoria e rigoroso conto d'ogni più leggiera inezia, anche in se non riprovevole, ma che non collimi colle viste della Santa Sede, mi persuadono, che non resterebbe più dopo quel Concistoro sufficiente campo a fruttuosi negoziati.

Perciò anche a seconda di quanto mi si accennava già nella nota del 23 scorso febbrajo (2), desidererei potermi sin d'ora disporre e coll'animo e colle preparazioni all'anzidetto non lontano ritorno. Aspettando su di ciò i riscontri dell'E. V ....

(l) -Cfr. n. 192. La circolare del 20 non è pubblicata. (2) -Cfr. nn. 226 e 227. (l) -Il brano fra asterischi non è edito. (2) -Annotazione a margine: « Savissimo criterio, ma fu seguito sempre dalla Santa Sede? >t. (3) -Annotazione a margine: «Vado d'accordo; altrimenti non si finisce più». (l) -Annotazione a margine: «Bravo! bene detto». (2) -Annotazione a margme: «Equivoco». (3) -Annotazione a margine: «Non converrebbe fare opposizione per ragione di poco rilievo». (l) -Annotazione a margine: «Non vi saranno difficoltà>>. (2) -Annotazione a margine: << Si possono mandare gli ordini secondo casi >>.
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L'INCARICATO D'AFFARI A COSTANTINOPOLI, DELLA CROCE, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 143. Costantinopoli, 5 marzo 1867, ore 12,30 (per. ore 16,18!.

Hier au soir la Sublime Porte a annoncé officiellement à M. Ristich abandon des forteresses à la condition que le pavillon turc continuera à y flotter à còté du drapeau serbe.

(-10) Non pubblicato.
(11) -Cfr. n. 203.
237

L'INCARICATO D'AFFARI A L'AJA, FAVA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 3. L'Aja, 5 marzo 1867 (per. il 1O).

Il mio rapporto politico n. 85 (l) ha già dato una risposta preliminare a quello direttomi da V. E. il 28 del passato mese segnato dal n. 2 Direzione Politica (2), che mi giunge in questo momento.

* A maggior sviluppo, ed in adempimento degli ordini che m'impartisce, ho l'onore d'informare senza indugio l'E. V. che le notizie dei giornali sugli intendimenti del Belgio e dell'Olanda sono in parte inventate ed in parte premature* (3).

Gli armamenti del Belgio non sono qui spiegati finora come rivolti contro l'Olanda, e la pretesa composizione della vertenza del Lussemburgo nel senso del dispaccio dell'E. V. è completamente inesatta.

Meglio che da me il Rea! Governo sarà per altre vie informato dello scopo degli apprestamenti militari del Belgio, ma in quanto alle due quistioni del Limbourgo e del Lussemburgo * credo dovere riepilogare brevemente ciò che ho scritto nel precedente mio carteggio.

L'Olanda faceva parte della disciolta Confederazione germanica pel Ducato di Limburgo. Gelosa della sua neutralità fu però suo costante disegno di svincolare il Limburgo dai legami tedeschi, ben sapendo che l'adempimento dei doveri federali la trascinerebbe fatalmente, e contro i propri suoi interessi, a partecipare alle complicazioni germaniche ed europee.

Quando prima della guerra la Prussia comunicò alla Dieta la riforma della Confederazione, l'Olanda fece tosto dichiarare a Francoforte che intendeva rompere i vincoli che l'avvincevano alla Germania, dicendo non essere mai il Limburgo stata terra tedesca, né avere in origine appartenuto alla Confederazione.

Il Granducato di Lussemburgo poi forma, come è ben noto, uno Stato separato, con un reggimento, un'amministrazione ed un ministero a sé, nulla avendo di comune coi Paesi Bassi tranne la Dinastia.

Il lungo desiderio degli Olandesi di staccarsi dalla Germania, e la completa separazione dell'Olanda dal Granducato sono le due cause per le quali giammai l'assetto della quistione del Lussemburgo potrebbe prendere per base la speranza d'indurre l'Olanda ad entrare nella nuova Confederazione del Nord. *

È possibile che ciò si desideri a Berlino, ma penso che codesta soluzione non potrebbe essere attuata altrimenti che con la forza.

* In quanto poi ad una rinuncia eventuale per parte della Prussia di tener guarnigioni a Lussemburgo, rinuncia preveduta dai giornali cui V. E. accenna,

credo di non errare affermando che una simile combinazione si presenterebbe difficilmente allo spirito di un uomo di Stato tedesco. Egli è evidente che la potenza militare la quale trovasi in possesso della preziosa fortezza di Vauban, ha ogni interesse di non rinunziare ad una così bella posizione avanzata sulla frontiera della Mosa, che all'evenienza le sarebbe di non poca utilità.* Parlai lungamente di ciò nel mio rapporto politico n. 78 del 22 Novembre ultimo, cui mi riferisco.

*Nell'ultimo mio rapporto dissi che il Gabinetto dell'Aja aveva riunita la seconda Camera degli Stati generali in comitato segreto * per eccitare il sentimento nazionale, e far votare senza grande opposizione i diversi bilanci, e massime quelli della marina e della guerra. Ripeto oggi le istesse cose, aggiungendo che *il Ministro degli Esteri ha per ben due volte dichiarato alla Camera essere prive di fondamento le esigenze attribuite nei passati giorni alla Prussia, Soltanto allorché il Signor van der Maesen, *antico ministro degli Esteri, * disse che le comunicazioni fatte nel Comitato segreto non erano tali da infondere inquietudini, il Conte di Zuylen affermando di nuovo non essere l'Olanda minacciata da alcuna Potenza, espresse con parole patriottiche il pensiero che ciò non ostante la prudenza consigliava di non farsi cogliere alla sprovvista. Le voci adunque di rettificazioni di frontiera, di cessione della riva destra della Mosa, d'incorporazione dell'Olanda nella Confederazione del Nord cadono per ora innanzi alle parole del Ministro, ed alle assicurazioni da lui datemi che niuna dimanda di tal natura è stata a tutt'oggi fatta dal Gabinetto di Berlino. *

Ciò che realmente esiste al momento in cui scrivo, è l'insinuazione del Conte di BismarcJ( di un compenso che la Confederazione del Nord reclamerebbe per l'abbandono dei diritti della Germania sul Limburgo.

Di qual natura sia questo compenso sarebbe imprudente additare fin da ora, e superfluo in ogni caso di qui ripetere le voC'i che si spargono alla giornata. Le probabilità più serie sono le seguenti:

1°. che la Prussia riconoscendo da parte sua l'indipendenza del Limburgo domanderà di ribadire mediante trattato col Re Gran Duca l'incerto diritto che essa ha di tener guarnigioni a Lussemburgo.

2°. che la Prussia riconoscerebbe l'indipendenza del Ducato e del Granducato se l'Olanda fosse disposta a stringere alleanza con essa in caso eventuale di guerra contro un'altra grande potenza.

Questa sceconda osservazione avrebbe, se si avverasse, una gravità che non sfugge a nessuno, e già vuolsi che la Francia si maneggi destramente all'Aja per far abortire in sul nascere un'alleanza che certo non le sarebbe favorevole.

Checché ne sia non appena le mie indagini sull'oggetto saranno coronate da un risultato, mi farò un dovere di ragguagliarne tosto il Real Governo. Ho in ogni modo l'onore di assicurarla, Signor Cavaliere, che ho portato, e seguiterò a portare tutta la mia attenzione sulle ulteriori relazioni internazionali dell'Olanda, la quale non giova il tacerlo versa indubitatamente in momenti ardui e delicati.

Riservandomi quindi di ritornare sull'oggetto...

(l) -Non pubblicato. (2) -Cfr. n. 223. (3) -I brani fra asterischi sono editi, con alcune varianti, In LV 11, pp. 7-8.
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IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, E MINISTRO DI GRAZIA E GIUSTIZIA E DEI CULTI AD INTERIM, RICASOLI, AL CONSIGLIERE DI STATO, TONELLO

Firenze, 6 marzo 1867.

Il copioso rapporto della S. V. Onorevolissima in data del 4 di questo mese (l) mi è tornato assai gradito, avendomi raccertato di molti concerti ormai stabiliti fra la Santa Sede e Lei per la provvista di parecchie sedi vacanti, e confermato nella fiducia che sulla base delle proposte da me espresse nell'ultime mie Note e di quelle che Le esprimerò in questa verrà agevole di determinare i concerti pur su quelle che rimangono da provvedersi. Così avverrà che possa tra breve aver termine la sua missione e compiersi il suo giusto desiderio di essere restituito alle sue consuete funzioni. Se non che quella stessa devozione sincera al Re ed al paese e quello stesso spirito d'abnegazione che Ella dimostrò con l'accettare e sostenere un incarico per tanti rispetti così spinoso. mi danno lusinga ch'Ella sarebbe per arrendersi alla mia preghiera di prolungare costà il suo soggiorno, quando ciò fosse richiesto dal pubblico servizio.

Premessa questa dichiarazione. mi faccio a rispondere partitamente al suo rapporto. omettendo d'accennare a quei capi, intorno a cui già Le dissi nelle mie Note precedenti.

Rimane inteso l'assegno della pensione di cui già godeva il Vescovo di Famagosta per Monsignor Ballerini, a favore del quale si spiccherà il mandato occorrente per riscuoterla dal lo gennaio di quest'anno, tostoché si conoscerà il titolo di cui egli sarà rivestito.

·Nelle sue conversazioni col Cardinale Antonelli circa ai candidati alle sedi vacanti proposti dal Governo del Re Ella si è veramente fatta risoluto interprete de' miei intendimenti; ma, poiché costì si persiste nel sistema delle diftìdenze e delle provocazioni, nè c'è speranza che vogliansi smettere certe preoccupazioni del tutto politiche ed alimentate da ragguagli attinti a chissà quali fonti per attendere unicamente ai veri interessi della Chiesa, è proprio mestieri, a non protrarre la discussione all'infinito, d'adottare un partito onde possano essere agevolati i definitivi concerti. Quello di proporre delle terne di candidati governativi per ciascuna delle sedi che rimangono da provvedersi e già da me seguito nell'ultima Nota, mi pare abbastanza conveniente, ed io mi vi atterrò quind'innanzi, mentre confido ch'Ella sarà per fare apprezzare al Cardinale Antonelli questo nuovo atto di deferenza che dal Governo del Re si usa alla Santa Sede.

Quanto al Vescovo di Treviso, parmi che si potrebbe proporre o di trasferirlo alla sede di Cagliari, ove essa non fosse accettata dal Vescovo di Mondovì,

-o a quella di Mondovì nel caso contrario.

Attendo il resultato delle informazioni ch'Ella va raccogliendo sul Padre Priori, il quale potrebbe comprendersi in una terna per qualche diocesi delle provincie meridionali.

Ritengo per determinata la traslazione di Monsignor Moretti non più da Comacchio a Cesena, ma ad Imola, mentre ho per fermo che Ella otterrà facilmente che si lasci vacante la diocesi di Cesena, la quale potrebbe esser data in amministrazione al vescovo viciniore.

Desidero e spero che l'opera conciliativa dell'abile Monsignor Franchi riesca a comporre la vertenza circa la nomina del Priore Mitrato di questa Basilica Laurenziana in guisa che sia salvo il decoro di tutti gli interessati e non si pregiudichi punto la quistione del regio patronato.

Attendo con qualche impazienza che si venga a un definitivo partito intorno alla traslazione del Vescovo di Pinerolo a Genova, e perché troppo mi dorrebbe che quel degno Prelato rimanesse sotto il peso di ingiuste prevenzioni, e perché il Governo non può ammettere per successore a Monsignor Charvaz se non un Prelato al pari di lui rispettato e rispettabile e fornito delle più eminenti qualità ecclesiastiche e civili.

Tengo ad opportuna notizia ciò ch'Ella mi riferisce circa l'epoca in cui i nuovi vescovi e i già preconizzati saranno per condursi alle loro sedi, e ne piglierò indirizzo per affrettare i relativi provvedimenti.

Le sarò grato se rinnoverà le istanze quanto alla riduzione delle feste, standomi molto a cuore, per le ragioni che già Le esposi, di veder cessata nel regno una difformità, da cui derivano molti sconci.

Farò esaminare il punto ch'Ella opportunamente mi accenna in ordine alla revoca de' sequestri determinati per rappresaglia, e gliene darò conto nella prossima mia Nota.

Approvo interamente il tenore degli officii da Lei interposti presso il Cardinale Antonelli riguardo ai detenuti politici, e riposo nella fiducia delle nuove spiegazioni che il Cardinale ha promesso intorno a quelli che furono consegnati alla Francia.

Farò esaminare l'istanza dell'abbate di Montevergine ch'Ella mi ha trasmes

sa, e Le darò cenno del resultato.

Riservandomi di mandarLe con la prossima mia Nota le terne per tutte

le sedi che rimangono da provvedersi, La invito a farmi conoscere se siano presi

definitivamente i concerti, non solo per la traslazione di Monsignor Rossini dal

l'Arcivescovado di Acerenza e Matera a quello di Lanciano, ma altresì per la

traslazione all'Arcivescovado d'Acerenza e Matera del vescovo d'Atri e Penne

Monsignor D'Alfonso. In pari tempo vorrà chiedere se al vescovado d'Atri e

Penne potrebbe esser trasmutato Monsignor Barberi, Vescovo di Nicastro, il

quale espresse il desiderio di cambiar di sede, e se verrebbe accettata la trasla

zione alla sede di Melfi e Rapolla di Monsignor Domenico Fanelli, vescovo di

Diano, e quella alla sede di S. Angelo de' Lombardi, il cui titolare passerebbe

secondo le proposte governative all'arcivescovado di Capua, per Monsignor Sellitti,

vescovo di Melfi, e Rapolla, il quale, per ragioni apprezzate anche dalla Santa

Sede, non potrebbe ormai più esercitare con frutto in quest'ultima diocesi il suo ministero. Da ultimo vorrà proporre per le sedi vacanti di Isernia con Venafro e di Sora, Aquino e Pontecorvo le seguenti terne:

Isernia e Venafro: Sacerdote Michele Diana Canonico Cantore della Metropolitana di Bari; Monsignor Antonio Mirabelli, protonotaro apostolico, della diocesi di Napoli; Canonico Michele Campanella, Vicario Capitolare della diocesi di Boiano.

Sora, Aquino e Pontecorvo: Sacerdote Luigi Bruno, Parroco della Darsena in Napoli; Canonico Gennaro Fanelli, vicario capitolare della diocesi di Lanciano; Canonico Michele Santoro, Vicario capitolare della diocesi di Bovino.

Ella vorrà avvertirmi di que' soggetti compresi in queste terne, che, non ammessi per la sede a cui sono proposti, non fossero assolutamente esclusi per qualsivoglia sede.

(l) -Cfr. n. 235.
239

L'INCARICATO D'AFFARI A BERLINO, QUIGINI PULIGA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 4. Berlino, 6 marzo 1867 (per. il 21).

J'ai eu l'honneur d'annoncer à V. E. par ma dépéche télégraphique en date d'hier (l) que S. E. le Comte de Bismarck m'avait fait appeler. Je me suis donc rendu au Ministère des Affaires Etrangères, et j'ai trouvé S. E. le Président du Conseil qui m'attendait.

S. E. le Comte de Bismarck a commercé pour me prier d'exprimer à Sa Majesté toute sa reconnaissance pour la haute distinction dont il avait été l'objet: il avait été très touché des phrases bienveillantes que Sa Majesté lui avait adressé, il avait surtout trouvé la Lettre Royale empreinte d'un caractère politique d'une haute importance et capable d'exercer, si elle pouvait étre connue du public, la plus grande influence pour le maintien et la continuation de l'alliance Italo-Prussienne. M. de Bismarck comptait répondre dans ce méme sens à Sa Majesté et me demanda si mon Gouvernement pourrait voir des inconvénients à ce que la lettre de Sa Majesté et sa réponse fussent publiées.

Je ne connaissais pas le texte de la Lettre Royale, et je ne savais pas si les usages permettent une telle publication, j'ai du donc en référer à V. E., tout en Lui exprimant mon humble avis, qu'il éta~t désirable qu'on employàt tous les moyens pour maintenir et consolider une alliance qui avait porté des fruits si heureux pour l'une et l'autre partie.

M. le Comte de Bismarck passa ensuite à me parler de l'impression qu'avait produite en France le discours d'ouverture du Reichstag. «La France, m'a-t-il dit, d'après le rapport de nos Agents, veut la paix et l'opinion publique parait comprendre qu'une guerre avec la Prusse n'aurait aucun but pratique, et ne pourrait étre considérée que comme un assaut de salle d'armes pour constater la force, l'adresse et la supériorité de deux maitres d'armes. Seulement ce serait un assaut assez couteux, et je doute qu'on veuille en faire l'expérience. L'armée

naturellement a des instincts belliqueux et voudrait entrer immédiatement en campagne... mais quelle est l'armée qui ne voudrait pas se battre? Après tout que peut-elle prétendre la France? Si nous lui devons des égards comme grande Puissance, si son attitude passive nous a permis de commencer la guerre, son attitude décidée à Nicolsbourg nous a arrèté au milicu de nos succès. Sans elle nous aurions eu et vous auriez eu bien davantage; lorsque l'Empereur a dit dans son discours que la seule voix de la France nous avait arrèté aux portes de Vienne, nous sommes obligés de reconnaitre qu'il a dit vrai, mais il nous a en mème temps délivres de toute reconnaissance envers ce grand pays. Nos succès nous les devons premièrement à la rapidité inouie de nos victoires, et ensuite à la loyauté vigoureuse et ferme avec laquelle l'Italie a maintenu ses engagements. Du còté de la France je suis donc tranquille pour le moment ».

J'ai trouvé, M. le Président du Conseil assez bien portant quoique un peu vi:oilli. Son regard n'a rien perdu de sa vivacité habituelle, sa voix et sa démarche sont fermes.

(l) Non pubblicato.

240

L'INCARICATO D'AFFARI A BERLINO, QUIGINI PULIGA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 5. Berlino, 6 marzo 1867 (per. il 21).

Dans l'entretien que j'ai eu hier avec S. E. le Comte de Bismarck la conversation est aussi tombée accidentellement sur la question d'Orient.

« La Prusse, m'a dit le Président du Conseil, n'a pas en Orient des intérèts assez forts pour s'engager à prèter son concours actif et armé aux autres Puissances, mais elle fera volontiers tout ce ou'il est en son pouvoir pour les appuyer moralement en tout ce qui touche la protection des chrétiens. La France nous avait entretenu dans le temps d'un0 démarche tendante à arrondir le Royaume de Grèce en y adjoignant l'ile de Crete, l'Epire et la Thessalie. Je me suis rangé de l'avis de la France et j'ai envoyé à Constantinople des instructions en ce sens au Comte Brassier. Mais nous nous sommes touvés, parmi les Puissances, seuls de notre avis, et la France, ajouta M. de Bismarck avec un fin sourire, ayant changé après d'avis, s'est trouvée tant soit peu embarrassée de l'appui que nous lui avions prèté sur sa demande. La Russie aurait voulu faire davantage et étendre le démembrement de la Turquie à quelques populations slaves. L'Angleterre en était revenue à son ancien principe du maintien de l'intégrité de l'Empire ottoman ».

J'ai profité de l'occasion pour parler à M. de Bismarck de la dépèche que

V. E. m'avait adressé en date du 7 Janvier, n. 40 CCabinet) (l) et pour lui exprimer le désir qu'un échange suivi de communications sur les affaires d'Orient ait lieu entre la Prusse et l'Italie. M. de Bismarck m'a répété quc les sympathies de la Prusse étaient acquises aux Chrétiens orientaux; et qu'elle marcherait le cas échéant d'accord avcc l'Italie pour maintenir la paix à l'Europe.

(l) Cfr. n. 101.

241

IL MINISTRO A VIENNA, DE BARRAL, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 4. Vienna, 6 marzo 1867 (per. il 10).

D'après ce que m'a dit avant hier M. de Beust, l'Autriche n'aurait point encore de programme arrèté dans la question d'Orient et pour le moment s'en tiendrait à un échange de vues et d'idées avec la France et la Russie. «Ce que nous désirerions, m'a dit le Président du Conseil, c'est d'un còté d'assurer par des garanties sérieuses prises en commun en nullement sujettes aux défaillances de la Porte, le sort des populations Chrétiennes, et de l'autre de donner une légitime satisfaction à la Russie en révisant le traité de 1856, dont la principale stipulation portant l'exclusion du Pavillon Russe dans la mer Noire n'est plus guère du reste qu'une lettre morte, puisque, si la Russie était réellement en état de construire des vaisseaux de guerre, je ne vois pas trop qui pourrait l'empècher de les envoyer dans les eaux prohibées. Les grandes Puissances ne feraient certainement pas une seconde guerre pour s'y opposer ».

L'on a dit ici, camme ailleurs, qu'en s'intéressant au sort des Chrétiens en Orient, l'Autriche n'avait pas seulement des sympathies platoniques, mais qu'elle convoitait en secret des extensions de frontières. Il n'est pas douteux que si l'on en arrivait un jour à une repartition de territoires, l'Autriche viendrait camme les autres réclamer sa portion. Mais dans les conditions actuelles, M. de Beust nie énergiquement que l'Autriche ait de pareilles arrière-pensées. Par contre, ce qu'elle ne voudrait positivement pas, c'est que l'on s'occupàt du sort de certaines populations Chrétiennes soumises ::>.ujourd'hui à la domination Turque, sans régler en mème temps d'une manière définitive celui de toutes les autres. En établissant des préférences que rien ne justifierait, l' Autriche craindrait d'avoir à ses frontières des populations continuellement en effervescence. D'un autre còté un pareil système, serait. dans son opinion, une espece de prime offerte à la révolution. En résumé, la position que semble vouloir conserver l'Autriche dans la question d'Orient, est de servir de trait d'union entre la France et la Russie, tout en tenant essentiellement à ce que les difficultés reçoivent une résolution générale embrassant l'ensemble des populations chrétiennes.

Dans le monde politique ici l'on est assez disposé à croire que les essais d'entente sur la question orientale entre la France et la Russie auraient également pour but secret de la part de la France de détacher le Cabinet de Pétersbourg de celui de Berlin. Mais l'on ajoute que le Prince Gortschakoff est tellement en défiance contre la Cour des Tuileries que rien ne saurait en cela modifier ses convinctions.

L'Empereur m'a fait l'honneur de m'inviter Samedi à sa table où j'ai été placé à sa droite. Sa Majesté, dont je ne saurais assez reconnaitre l'extréme bienveillance, ne m'a absolument rien dit de politique si ce n'est quelques mots relatifs au voyage de Garibaldi, qu'il regarde comme un moyen dont se sert le parti d'action pour peser sur les élections. Ainsi que j'ai pu m'en apercevoir, dans l'opinion de Sa Majesté aussi bien que dans celle de Son Premier Ministre, ce parti aurait une très grande et très puissante influence en Italie.

242

L'AGENTE E CONSOLE GENERALE IN EGITTO, G. DE MARTINO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. CONFIDENZIALE 2. Cairo, 6 marzo 1867 (per. il 19).

Dopo qualche giorno che partì il Conte di Castiglione venni qui in Cairo per sollecitare l'esecuzione delle transazioni convenute sui nostro reclami pendenti.

Il Governo Egiziano è in questo momento in una posizione finanziaria assai critica, e le esigenze dei nostri reclamanti, ora che gli affari sono finiti, sono divenute più intolleranti che mai. Contro ogni mia aspettativa però ho trovato qui, malgrado la contrarietà della partenza di Nubar Pascià per Costantinopoli, le migliori disposizioni per una sollecita definizione.

Questa mattina fui a vedere il Viceré nel suo nuovo Palazzo verso le Piramidi, con il solo scopo di ringraziarlo dell'esito felice delle ultime trattative con il suo Governo. Dopo qualche momento di scambio di complimenti, il Vicerè prendendo un'aria di intima confidenza, senza preamboli mi tenne il seguente discorso che rapporto fedelissimo nei pensieri, e posso dire con le stesse sue parole.

«Vous savez, mon cher De Martino, que Nubar est parti hier pour Constantinople. La Porte s'est effarouchée de ma manière de gouverner l'Egypte, mais Elle devrait comprendre que si je voulais me faire indépendant je n'irais pas de lui demander. L'indépendance de l'Egypte, est un fait accompli en principe par la force de l'époque où nous vivons. Je ne precipiterai pas les événements, et je laisserai qu'elle puisse s'accomplir tout naturellement par son impulsion méme. Tous les peuples civilisés ont acquis, ou sont près d'acquérir leur nationalité, et la race arabe a le méme droit, et elle mérite de revivre comme nation en Egypte. Toute l'Arabie est en révoltc: l'autorité turque à la Mecque sera infailliblement détruite et toute l'Arabie demande mon intervention. Mais si je ne veux pas précipiter les événements pour déclarer l'indépendance de l'Egypte, l'Egypte a désormais tellement développé son commerce, son industrie, toutes ses ressourccs: l'Egypte a accueilli une si grande population chrétienne, et des intéréts Européens si considérables: l'Egypte est dans une telle position, qu'il ne peut pas absolument rester une province secondaire, et subir les lois, les réglements, l'administration, qui gouvernent les autres provinces de l'Empire. Puisque la providence m'a confié le soin de gouverner ce pays, mon devoir est de le faire dans ses intéréts pour lui assurer tout le blen-étre et toute la prospérité et la grandeur possible. Déterminé d'accompllr cette tache j'ai adressées différentes demandes à la Sublime Porte, et celui-ci est l'objet de la mission de Nubar. J'espèrc que la Porte les acceptera, différemment, ayant accompli cet act de défércnce envers le Sultan, je ne fairai pas de cas de son refus, et j'irai en avant. Je vais vous lire mes demandes, et je vous en donnerai copie pour que vous puissiez les transmettre à votre Gouvernement. L'Italie, qui vient de prendre si glorieusement sa place dans le Congrès des grandes Nations, verra certainement avec plaisir surgir à nouvelle vie un pays, ou Elle a des intéréts si grands, et en aura des plus grands encore à l'avenir, et se lancer dans une voie de progrès et de civilisation. Je vous prie de télégraphier mes demandes

aussitòt que possible, à mon ami S. E. Visconti Venosta, et lui demander une recommandation à la Légation du Roi pour Nubar. Farmi les grandes Nations qui représentent progrès et civilisation, et QUl me soutlendront de leur concours dans la démarche que je viens de faire auprès de la Sublime Porte, mon coeur me dit que l'Italie sera la première ».

Dopo questo discorso mi lesse le differenti dimande, corroborate di osservazioni, che Nubar ha portate a Costantinopoli, e me ne diede una copia che trascrivo qui unita a V. E.

Debbo confessare all'E. V. d'essermi trovato immensamente imbarazzato, e credetti corrispondergli con la stessa confidenza e franchezza. Gli risposi perciò ch'Egli doveva facilmente comprendere che per la grande importanza delle sue stesse parole io non poteva esprimere una opinione, e doveva !asciarne tutto l'apprezzamento al R. Governo, e !asciarne interamente libero il giudizio e l'azione; che riconoscente della confidenza al cui mi onorava. mi sarei fatto uno scrupoloso dovere 01 comumcare e trasmettere tutto a V. E.

Appena ritornato in locanda trasmisi all'E. V. il seguente telegramma in cifra: «Nubar Pacha parti pour Constantinople pour demander 1° Que Viceroi puisse augmenter son armée à volonté 2° Avoir droit donner grades et distinctions honorifiques 3° Pouvoir faire conventions commerciales 4° Porter titre Aziz Messr 5° Droit faire réglements et lois intérieures. Si Sublime Porte refuse Viceroi faira quand-meme. Viceroi demande V. E, recommander Nubar à la Légation du Roi. Si France Angleterre appuyent nécessaire nos intérèts faire autant ».

Preverrò l'E. V. che giunsi qui al Cairo al momento che Nubar partiva, e che vistolo un momento mi chiese una raccomandazione per l'Illustrissimo Signor Della Croce. Non credetti rifiutarmi, e gli rimisi poche righe tutte private e personali. Fino ad un anno fa Nubar è stato contrario a noi, ma credo per inimicizie particolari piuttosto che per principio. Ritornato ora tutto cambiato da un lungo soggiorno a Parigi, sostiene pubblicamente che l'Italia deve predominare in Oriente, e che sull'Italia sola deve contare l'Oriente e l'Egitto soprattutto. Col primo corriere rimetterò copia di questo dispaccio fino a questo punto, alla R. Legazione. Non ho potuto spedirgli telegramma non avendo con essa una cifra.

Se con il Viceré non ho espressa nessuna opinione, l'E. V. mi permetterà sottoporle alcune brevi e succinte osservazioni sulle dimande da lui fatte alla Porta.

Il Vicerè ha già un esercito di più di centomila uomini, ed ha commissionati già sei battaglioni corazzati in diversi cantieri d'Europa. Essendo dunque un fatto compiuto, non avrei rimessa questa quistione nel campo della discussione.

La dimanda di poter conferire gradi e distinzioni onorifiche mi sembra

giusta, ma credo false le considerazioni sulle quali l'appoggia. La Sublime Porta non ha mai accordato nulla di buona volontà ai Principati. Essa ha ceduto, come cede sempre quando non può più rifiutare, e quando le cose sono già fatte ed attuate.

Sul diritto di poter stipulare convenzioni, non Io avrei ristretto alle commerciali, ma lo avrei chiesto in genere. Il Vicerè dice esser determinato andare

innanzi malgrado un rifiuto della Porta. ma in questo caso è sicuro Egli che qualche Governo firmerà con lui una Convenzione che è un contratto bilaterale. Non restringendosi alle commerciali, qualOra sorgesse 1a difficoltà di trovare questo Governo, Sua Altezza potrebbe uscir d'imbarazzo facilmente mettendosi sulla difensiva verso la Porta ed emanando una Ordinanza con la quale accordasse a tutte le Potenze che hanno relazioni con l'Egitto dei vantaggi più considerevoli di quelli che sono stipulati nelle Antiche Capitolazioni. Quest'Ordinanza non avrebbe altra forza che quella d'un atto unilaterale, ma tutte le Potenze lo accetterebbero.

ll cambiamento di titolo è forse utile e necessario, ma bisogna essere pronti ad assumere quello che si è scelto, e si vuole, ed essere sicuri di successo.

Il diritto di far leggi e rego:amenti interni è facilissimo acquistarlo. Il Vicerè non avrebbe che a farli migliori di auelli che esistono in Turchia, e da tutti sarebbero accettati.

Io non so se il Vicerè creda in buona fede di poter facilmente ottenere queste dimande, o se sicuro di un rifiuto. ha vomto soltanto compiere una formalità, per non essere ritenuto come eccitatore di sconvolgimenti. Dichiarandosi di un colpo indipendente potrebbe essere tacciato di vassallo ribelle; invece fatte conoscere alla Porta le giuste aspirazioni dell'Egitto, i nuovi bisogni degli interessi nazionali ed esteri, le esigenze dell'epoca, se il Governo Turco rifiuta assumerà ancor più tutta l'odiosità di un Governo assolutamente impossibile nei giorni nostri. ed il Vicerè quelle generali simpatie che si sentono per ogni Principe riformatore. Incominciate le riforme, anche volendo il Vicerè non potrà forse fermarsi ad attuare i soli diritti chiesti ora alla Porta, ed allora in vero andrà più innanzi.

Mi sembra che il piano sia molto ben combinato, ma non so se il Vicerè ed i suoi Ministri, siena intelligenze capaci a portarlo a buon porto senza grandi difficoltà.

Dall'arditezza del concetto e delle riso:uzioni del Vicerè, mi sembra scorgere ch'Egli sia sicuro di potente appoggio, e benché io non abbia dati certi, credo non ingannarmi ch'Egli sia sicuro di quello dell'Inghilterra, e che non dubita di quello della Francia. Le sue parole, che ho rapportate, mostrano abbastanza quanto avrebbe desiderato di poter almeno sperare su quello d'Italia.

La R. Legazione potrebbe facilmente assicurarsene, poiché son persuaso che Nubar Pascià parlerebbe a cuore aperto con il Signor Della Croce, se questi gli facesse soltanto travedere favorevoli intenzioni del R. Governo.

Se realmente l'Inghiìterra e la Francia sostengono le dimande ed i progetti del Vicerè, io non esito esprimere l'opinione che se noi le lasciamo far sole, esse sole ne ritrarranno tutti i vantaggi, e noi non perverremo mai più non dico a primeggiare, ma ad essere a loro livello. Ora io partecipo l'opinione di Nubar Pascià che in Oriente ed in Egitto, l'elemento Italiano in pochi anni deve essere primo se sappiamo fare. Credo inutile dover sviluppare tutte le considerazioni, che non sarebbero brevi, in appoggio della mia opinione, ed è mio dovere lasciame il giudizio alla saggezza ed alto sapere di V. E.

243

IL MINISTRO DEGLI ESTERI. VISCONTI VENOSTA, ALL'INCARICATO D'AFFARI A COSTANTINOPOLI, DELLA CROCE

D. 28. Firenze, 7 marzo 1867.

Le ultime notizie ricevute dal R. Governo hanno per effetto di presentare la questione d'Oriente, oggidì tanto vivamente discussa dalla diplomazia e dalla pubblica opinione in Europa, sotto un aspetto che merita tutta la nostra attenzione.

Nel mentre infatti l'autorità delle parole pronunziate dai Sovrani di Francia e d'Inghilterra e di quelle contenute nei documenti diplomatici pubblicati dai due paesi produssero nelle provincie co·ntinentali del Regno Ellenico un salutare effetto, riconducendovi la calma negli spiriti agitati e la fiducia che purtroppo sembrava scemata nella efficacia dell'opera morale delle Potenze, per altra parte la nuova vigoria spiegata dall'msurrezwne ai Candia e l'accoglimento che ebbe in quell'Isola la missione pacificatrice di Seffer Effendi, confermano che i provvedimenti messi in opera dal Governo Ottomano non valgono ad allontanare maggiori pericoli.

Altre mie comunicazioni hanno posto la S. V. in grado di apprezzare la linea di condotta seguita dalle varie Potenze nel conflitto presente. Né a Lei mancano istruzioni per conoscere mano mano che gli avvenimenti si sviluppavano, quali erano le viste del R. Governo intorno ai medesimi.

Conformando la nostra politica ad un principio e ad un interesse i quali hanno nulla di esclusivo, noi abbiamo potuto costantemente suggerire provvedimenti valevoli a soddisfare le giuste esigenze delle popolazioni cristiane dell'Impero Ottomano e capaci di allontanare i danni di una generale conflagrazione.

Sino dal principio dei moti di Candia noi fummo fra quelli che consigliarono alla Sublime Porta di appigliarsi ai mezzi di conciliazione e di usarne largamente senza aspettare dalla sottomissione completa dell'isola una condizione di cose che ci sembrava difficile se non impossibile di ottenere. Anche allo scopo di allontanare, per quanto stava a noi, ogni pericolo di maggiori complicazioni in altre parti de' dominii Ottomani, non abbiamo esitato, sono già alcuni mesi, ad appoggiare la domanda del Principe di Serbia che chiedeva l'evacuazione delle fortezze del Principato dai Pre::;idii turchi. Maìgrado le difficoltà create da incidenti assai gravi, che toccavano interessi diretti della navigazione e dei sudditi italiani, il nostro linguaggio, conforme al nostro contegno, fu sempre moderatissimo ed inspirato esclusivamente dal desiderio di veder risolvere in modo pacifico e soddisfacente per tutti le maggiori questioni che si agitavano. La neutralità la più assoluta fu osservata in presenza dei fatti di Candia i quali non potevano però che destare vive simpatie nella pubblica opinione in Italia.

Noi abbiamo accolto con viva soddisfazione la notizia che il Governo Ottomano ha deciso l'evacuazione completa di tutte le fortezze Serbiane, compresa quella di Belgrado, ma spiacerebbeci che col porre condizioni a questa concessione del Sultano se ne scemasse il pratico valore.

La pubblicazione fatta dalla Russia de' documenti diplomatici anteriori al dicembre scorso relativi agli affari di Candia pone la questione sotto un aspetto di cui sarebbe inutile disconoscere la gravità.

Se una politica logica cresce valore ai consigli, nessuno potendo ragionevolmente dubitare dei nostri veri intendimenti, noi siamo in diritto di aspettarci che la Sublime Porta non disconosca le nostre disinteressate intenzioni ed abbia ad accogliere favorevolmente i nostri suggerimenti.

Pronte, energiche e generose risoluzioni del Governo Ottomano possono forse sole scongiurare maggiori pericoli ed altri sicuri danni. Nella comune soddisfazione delle Potenze, che vedrebbero tolte di mezzo le maggiori difficoltà presenti, la Porta dovrebbe ricercare elementi di autorità e sicurezza per l'avvenire. Quanto più grave si fa il pericolo di una generale perturbazione, tanto più esplicito deve essere il nostro linguaggio nel senso di conservare la pace, ma noi anderemmo direttamente contro i nostri principii ed il nostro interesse ave ci astenessimo dal dichiarare sin d'ora che una soluzione da prendersi d'accordo fra tutte le Potenze interessate è resa ormai indispensabile, e che in questa via soltanto la Sublime Porta può ancora trovare una guarentigia per i suoi proprii interessi.

La nostra politica imponendoci ora un contegno riserbato Ella non deve' cercare occasioni per esprimere questi nostri apprezzamenti; ma nelle conversazioni che Ella potesse avere cogli alti funzionari ottomani o coi colleghi delle altre Potenze non deve esitare a tenere un linguaggio conforme a questi concetti che sono quelli dai quali è unicamente mossa la nostra politica.

244

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AL MINISTRO A VIENNA, DE BARRAL

D. 18. Firenze, 7 marzo 1867.

Le Rapport que Vous m'avez adressé en date du 20 Février dernier n. l Affaires Politiques (1), m'apprend que le Gouvernement Impérial ajoute un pris particulier à la prompte solution des questions se rattachant à l'Art XXII du Traité de paix du 3 Octobre.

Le Gouvernement Royal ayant à coeur d'écarter par une interprétation large et amicale, tout différend auquel les stipulations contenues dans le Traité pourraient donner lieu, s'est empressé dès le retablissement des rapports diplomatiques entre les deux Etats, de préparer les éléments indispensables pour l'exécution de la clause relative à la restitution de la fortune privée des Archiducs Autrichiens en Italie. Cependant des retards n'ont pu étre évités malgré notre bon vouloir et notre vif désir de mettre un terme aux tiraillements inséparables de tout débat où de graves intéréts opposés se trouvent impliqués.

S. E. M. le Baron de Beust a admis lui-méme spontanément dans l'entretien que Vous m'avez rapporté, que dans cette occasion nous devions tenir compte

de certaines nécessités parlementaires. Je me flatte que la présente dépéche,

Vous mettra en mesure de lui fournir à cet égard, des explications complètement

satisfaisantes et de nature à dissiper toute incertitude sur nos véritables dis

positions.

En ce qui concerne le Grand Due de Toscane, à peine eumes nous reçu l'avis officlel que M. le chev. Matteo Bittheusev avaint été muni de ses pleins pouvoirs, une Commission composée de hauts fonctionnaires de l'Etat fut chargée de procéder aux études nécessaires et de formuler des propositions positives sur chaque point de discussion. Cette Commission poursuit activement ses travaux de concert avec M. Bittheuser, mais des lenteurs sont inévitables à cause des recherches laborieuses que comportent l'importance des demandes qui ont été émises, et la gravité des questions qui doivent etre résolues. Toutefois la Commission a pris l'engagement d'achever avant le 15 de ce mais san Rapport Général, d'après lequel tout différend pourra étre promptement vidé.

A l'égard de l'Archiduc de Modène, il faut remarquer que san fondé de pouvoir, M. l'Avocat Vandelli, n'ayant pas fait parvenir, par le vaie offìcielle et seule régulière de la Légation d'Autriche, sa demande, celle-ci n'est arrivée à ce Ministère qu'il y a peu de jours. Le Ministère Royal des finances, en a été aussitòt saisi, et la Commission chargée du travail relatif aux biens du Grand Due de Toscane procéderà à une étude analogue à l'égard de la fortune privée du Due de Modène.

Enfin, relativement aux Princesses de la Maison de Naples entrées par vaie de mariage dans la maison Impériale, il est nécessaire de bien établir la situation dont, à ce qu'il semble, le Cabinet Autrichien n'a point une connaissance exacte. Le domaine Royal ne tient point sous séquestre, ainsi qu'on parait le supposer à Vienne, des biens appartenants jadis à la maison Royale de Naples. Les rentes publiques inscrites en faveur des princes napolitains ont été confisquées par un Décret du Dictateur Garibaldi et on en a disposé d'une manière irrévocable par ordre soit du Dictateur soit de la Lieutenance royale qui lui est succédé avec des facultés dictatoriales. Aucune restitution proprement dite ne pouvant dane avoir lieu, les Archiduchesses Maria Annunziata et Maria Immacolata, femmes des Archiducs Charles Louis et Charles Salvator, ne peuvent étre réintegrées dans leurs biens que par vaie indirecte et moyennant une charge nouvelle qui serait allouée à cet effet dans le budget de l'Etat. Cette allocation devant étre établie par une loi spéciale, le Gouvernement du Roi ne pourrait y pourvoir que par une proposition qui serait présentée aux Chambres après l'approbation du Traité de paix du 3 Octobre.

(l) Cfr. n. 199.

245

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AL CONSOLE GENERALE A BELGRADO, SCOVASSO

D. 4. Firenze, 7 marzo 1867.

La Societé d'Alliance Israélite universelle instituée pour travailler à l'émancipation et au progrès moral des Israélites de tous les pays, vient de m'adresser un mémoire et une brochure sur la situation de ses corréligionaires de la Serbie.

26 -Documenti diplomatici -Serle I -Vol. VIII

Je ne sauraìs pas Vous dissimuler. M. le Chevalìer, la pénible ìmpression que j'ai éprouvée en apprenant le triste sort réservé à une classe entière de citoyens dans un pays dont l'intérèt est de chercher dans l'application la plus étendue de la liberté, les éléments de sa réconstitution nationale. L'égalité de tous les citoyens Serbes sans distinction de réligion et le développement d'un juste esprit de tolérance réligieuse dans les institutions du pays aussi bien que dans les moeurs de toutes les classes de la nation seront toujours les meilleurs moyens d'assurer à la Serbie les sympathies des peuples libres et des Gouvernements éclairés.

Vous ne devez point hésiter M. le Chevalier, à faire connaitre à M. Garachanine les sentiments qui m'ont dicté cette dépèche et Vous voudrez bien lui dire que le Gouvernement di Roi espère voir adopter en Serbie, à l'égard des Israélites des mesures plus conformes à l'état de civilisation auquel la nation Serbe est parvenue.

246

IL MINISTRO A PARIGI, NIGRA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI. VISCONTI VENOSTA

R. 417. Parigi, 7 marzo 1867 (per. il 10).

Mi pervenne regolarmente il dispaccio che l'E. V. mi fece l'onore di scrivermi il 27 Febbrajo scorso, sotto il n. 212, Direzione Politica, relativamente agli affari d'Oriente (1).

Avendo avuto jeri l'occasione di intrattenermi con S. E. il Marchese di Moustier, comunicai al Ministro Imperiale degli affari esteri il contenuto del dispaccio stesso.

Il Marchese di Moustier mi disse che aveva incaricato il Barone di Malaret di esporre all'E. V. le idee del Governo francese intorno alle complicazioni sorte in Levante, e che si riservava di farle fare per lo stesso mezzo ulteriori comunicazioni di mano in mano che la questione, in seguito allo scambio dalle idee che si sta operando fra le Potenze segnatarie del trattato di Parigi del 1856, procederà verso una soluzione.

Finora, a dire il vero, questa soluzione è ancora in uno stato d'incubazione. La prima idea del Governo francese fu di risolvere la questione proponendo lo sgombro delle fortezze in Serbia, l'autonomia di Creta sotto l'alta Sovranità della Porta, e l'applicazione sincera delle riforme concesse dalla Porta a guarentigia delle popolazioni cristiane. Questo programma primitivo fu poscia modificato nel senso che il Governo francese parve disposto a proporre, non solo l'autonomia di Creta, ma l'annessione di quest'isola, non che dell'Epiro e della Tessaglia, alla Grecia. Il modo poi di procedere adottato dal Governo francese sarebbe stato di procurare anzitutto un accordo tra la Francia e la Russia, il quale più tardi avrebbe potuto convertirsi, ove nulla ostasse, in un accordo più generale fra tutte o almeno la più parte delle potenze garanti.

t l) Cfr. n. 202, nota l, p. 2ti7.

La Russia, per quanto io so, ha acc:olto con favore queste disposizioni della Francia. Ma dall'un lato pare che il Gabinetto di Pietroburgo non intenda agire isolatamente colla Francia sola nella ricerca della soluzione, e d'altra parte, mentre esso mostra vive simpatie pei Cristiani di razza Ellenica, lascia comprendere che gli stanno parimente, se non più, a cuore gli interessi dei Cristiani delle altre razze e principalmente degli Slavi. Perciò il Gabinetto di Pietroburgo sembra porre innanzi alla questione dell'ingrandimento del Regno ellenico, quella d'una emancipazione, quanto più larga si potrà, dei Cristiani d'Oriente d'ogni rito e d'ogni favella. E forse sulla formola generale di quest'idea, il Governo Russo non ha ancora espresso tutto il suo pensiero.

L'Inghilterra avrebbe disapprovato, dicesi, ogni soluzione il cui effetto sia di staccare dalla Turchia una parte del suo territorio attuale.

La Prussia che in sulle prime erasi mostrata piena di riserva, mossa dal desiderio di far cosa gradevole alla Francia e da quello di non separare la sua azione diplomatica da un accordo franco-russo, notificò alla Francia che approvava le idee emesse dal Gabinetto delle Tuileries e che era disposta ad associarvisi.

La ditncoltà della situazione presente consiste quindi: l) nell'opposizione (a vero dire puramente diplomatica) dell'Inghilterra ad ogni idea di smembramento, comunque limitato, dell'Impero Ottomano;

2) nella conoscenza imperfetta, per non dire nell'ignoranza, in cui si è delle vere idee della Russia e del valore pratico di quelle che furono finora emesse dal Governo dello Czar;

3) finalmente nel modo di procedere per eseguire il programma d'un accordo, quando questo siasi ottenuto.

Al momento in cui scrivo, i Gabinetti di Parigi e di Pietroburgo hanno fatto, ciascuno dal suo canto, comunicazioni agli altri Governi garanti, nello scopo d'esporre le rispettive loro idee e di provocare sopra di esse uno scambio d'osservazioni, che possa condurre ad una intelligenza comune. Il Marchese di Moustier m'ha detto che avendo domandato al Principe di Gorciakoff di formolare in modo più concreto e più preciso le idee generali che questi gli aveva esposto, aveva avuto per risposta che il Gabinetto di Pietroburgo desiderava che si ottenessero dalla Turchia due concessioni principali a guarentigia delle popolazioni Cristiane, cioè:

l) l'istituzione di tribunali speciali cristiani pei cristiani;

2) la percezione delle imposte fatta da autorità cristiane sui cristiani.

A queste proposte il Marchese di Moustier rispose mandando al Principe di Gorciakoff per mezzo dell'Ambasciata francese a Pietroburgo una memoria (che il Barone di Malaret è incaricato di comunicare anche all'E. V.), tendente a dimostrare come l'istituzione dei tribunali speciali, Cristiano-Mussulmani e misti, già esista in Turchia, e che l'applicazione soltanto di quest'istituzione e il suo modo di funzionare potrebbero formar l'oggetto di una discussione pratica. Quanto alla percezione delle imposte, il Marchese di Moustier ammette che il sistema attuale non è buono, ma dubita che quello proposto dal Principe di

Gorciakoff possa essere migliore, e propenderebbe per la ricerca d'un sistema nuovo che non offrisse gl'inconvenienti pratici dei due sopraccennati. La questione si trova ora a questo punto.

247

L'AGENTE E CONSOLE GENERALE DESTINATO A BUCAREST, SUSINNO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. CIFRATO S. N. Belgrado, 7 marzo 1867 (per. il 16).

Garachanine que je viens de voir a été très explicite et je crois sincère. D'après ce qu'il m'a dit évacuation f1Jrtéresses ne suffira pas à la Serbie, les Serbes veulent profiter d es circostan :!es pour constituer Etat fort et indépendant, confédéré avec d'autres Etats. Serbie ne demande concours aucune autre puissance. elle ne veut pas meme d'un partage de la Turquie fait par les grandes puissances ou de leur intéret quand meme on lui assignerait quelque chose. Elle veut s'appuyer sur les peuples chrétiens de la Turquie et aider à leur émancipation. Ce qu'elle désire de l'Europe civilisée est appui moral et application du principe de non intervention. Des concessions à la Serbie et à la Grèce peuvent tout au plus retarder mouvement pour quelques mois mais pas le faire éviter. Si la Serbie ne prend pas elle meme initiative matérielle du mouvement, elle s'associera aux autres races chrétiennes avec qui elle est solidaire. La situation, a fini par me déclarer Garachanine, est tendue, très tendue, il est fort difficile que l'été se passe sans une levée de boucliers contre les Tures. D'aprés lui les Serbes seraient d'accord avec leurs frères de nationalité, avec Roumanie et méme avec les Musulmans Bosniaques.

Le Prince que j'ai vu cè matin a mis plus réserve, mais au fond il me parait que sa pensée est la méme. Mon opinion est que le vaste mouvement existe effectivement, dirigé par Garachanine et que de còté ou d'autre l'orage éclatera dans le courant de l'année, à moins que les grandes puissances d'accord n'y mettent obstacle.

J'écrirai plus en détail à V. E. par lettre de Bukarest voie de Constantinople. Scovasso qui est très aimé ici et très bien renseigné, continuera à vous informer exactement de la marche des affaires.

248

IL MINISTRO A PARIGI, NIGRA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA {AVV)

L. P. Parigi, 7 marzo 1867.

Vi scrivo d'ufficio sulla proroga del pagamento degli arretrati pontifici e sulla questione d'Oriente.

Ho temuto un istante che la proroga non fosse consentita. Moustier era decisamente contrario. Ma Rouher, a cui scrissi in modo pressante, e l'Imperatore opinarono in senso favorevole e la causa fu vinta. Malaret deve farvi la risposta del Governo francese. Non so se sia anche incaricato di determinare i particolari, cioè l'epoca precisa della scadenza, che Moustier vorrebbe fosse il 15 aprile, e la questione degli interessi.

Quando agli affari d'Oriente, è per me evidente che il Governo francese non riuscì nel suo tentativo d'un accordo separato colla Russia. V'ho scritto d'ufficio quello che so in proposito (l). Ora rispondo alla domanda di consiglio che avete avuto la gentilezza di farmi. Pare a me che noi non dobbiamo andar più in là del dispaccio che mi avete scritto e che io lessi a Moustier (2). Suppongo che le comunicazioni che avete fatto a Pietroburgo sono formulate in modo sostanzialmente identico. Io mi fermerei lì. Mi pare che dicendo che noi siamo pronti a entrare in negoziato sulle basi dei nostri principii politici, esprimendo le nostre simpatie pei Cristiani d'Oriente e i nostri desiderii perché la loro condizione sia praticamente migliorata, ed affermando perfino che non disapproviamo un ingrandimento territoriale della Grecia, abbiamo fatto il nostro dovere e più del dovere. Dico più del dovere perché, a mio giudizio, la questione territoriale è estremamente delicata.

L'Inghilterra non ne vuol sentire parlare. Anche l'Austria si mostra peritosa. La Prussia vi consentì unicamente per far paura alla Francia (e in ciò s'ingannò perché la Francia accolse con visibile noia questa non desiderata approvazione della Prussia), e per non separare la sua azione diplomatica da un accordo franco-russo. La Russia stessa è più tenera dei suoi bulgari che dei greci, e in fondo non credo che desideri un ingrandimento considerevole del regno Ellenico, ma questo fatto non deve produrre vantaggi egualmente considerevoli per lei. Io persisto quindi nell'avviso che a noi conviene usare la più grande riserva e avere il coraggio di confessarla apertamente. Per noi unum porro est necessarium. Salvare il paese da una catastrofe finanziaria. Il tempo della politica d'influenza non è ancora giunto per noi. L'Italia è screditata nelle finanze, nelle armi, nell'amministrazione. All'estero non si esercita influenza che in due modi, cioè o col credito del Governo, o colla posizione di chi lo rappresenta. Il credito del Governo non lo abbiamo, come lo ha la Francia, l'Inghilterra, la Prussia, la Russia, e i nostri rappresentanti diplomatici e consolari sono dappertutto in un'inferiorità di posizione comparativamente ai rappresentanti delle grandi Potenze. Parlo ben inteso d'inferiorità di posizione materiale, non morale o intellettuale.

Vi scongiuro però, voi e i vostri colleghi a lasciare in disparte ogni altra quistione per non pensare dì e notte che ad una sola. quella delle Finanze e dell' Amministrazione.

Il Principe Umberto mi fece scrivere che verrebbe qui per la fine del mese. Ho risposto al Generale Menabrea che non v'è nessuna cerimonia d'apertura

dell'esposizione e che può quindi ritardare d'un mese almeno il suo viaggio a Parigi. Gli altri Principi verranno anch'essi più tardi. Menabrea vi dirà il resto su quell'argomento.

(l) -Cfr. n. 246. (2) -Cì'r. n. 202, nota l, p. 267.
249

IL CONSOLE GENERALE A BELGRADO, SCOVASSO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 151. Belgrado, 8 marzo 1867, ore 21,30 (per. ore 1,45 del 9).

Lettre vizirielle a été remise à l'agent serbe qui a télégraphie la nuit passée que les forteresses ne sont pas cédées mais confiées au prince Miche! qui doit les garder pour le Sultan. Le drapeau turc flottera sur les forteresses à còté du drapeau serbe et autres conditions de ce genre. L'ensemble ne déplait pas au Gouvernement serbe. Cependant il y a deux partis, un qui voudrait accpter les forteresses aux conditions faites par la Sublime Porte et faire la guerre à la Turquie si l'occasion s'en présentera, l'autre qui voudrait faire guerre à la Turquie et ne pas accepter les forteresses. Susinno a parlé à Son Altesse, à Garachanine, à Marinovitch. Il vous a envoyé lettre par la poste (1). Il est parti hier soir pour Bucharest. Je suis désolé de n'avoir pas su mériter l'entière confiance du Gouvernement.

250

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DI GRAZIA E GIUSTIZIA E DEI CULTI AD INTERIM, RICASOLI, AL CONSIGLIERE DI STATO, TONELLO

Firenze, 8 marzo 1867.

Mi reco a debito di esporre alla S. V. Onorevolissima il resultato dei particolari ragguagli assunti intorno a Monsignor Lorenzo Frescobaldi, canonico di questa Metropolitana e Vicario capitolare della diocesi di Fiesole, pel quale il Santo Padre ha dimostrato una speciale premura.

È fuori di dubbio che il Frescobaldi va distinto per illibatezza di costumi e dignità di vita, mentre non ha credito né per l'ingegno, né per la dottrina. Fu verificato, ch'egli non fu escluso, come era stato asserito, da una proposta per sede vescovile fattasi dalla Santa Sede al cessato governo toscano, ma si raccolse che dal governo stesso non fu mai posto il primo in veruna terna; onde è agevole raccogliere che non reputavasi del tutto idoneo al ministero episcopale neppure da quel governo, presso il quale per le sue attenenze di famiglia era in favore grandissimo.

I principali appunti che si movono a Monsignor Frescobaldi, toccano non tanto le sue opinioni politiche, quanto l'improntitudine con cui le manifesta, e in genere il suo carattere poco temperato, per cui avviene che trascorra spesso

a discorsi e modi troppo avventati. Di qui il concetto in cui è venuto presso i più d'essere apertamente ostile al presente ordine di cose e del tutto remoto da quegli spiriti conciliativi, a cui devono informarsi gli ecclesiastici e quelli in ispecie che tengono le più alte dignità: di qui i richiami contro il suo contegno in tutto ciò che riguarda le relazioni politiche e civili. Ciò fa ch'egli non possa annoverarsi fra quelle persone neutre, che non si siano messe spiegatamente in vista nell'uno piuttosto che nell'altro campo, di cui il Cardinale Antonelli teneva proposito con Lei in uno degli ultimi suoi colloquii. E che il Frescobaldi miri a mettersi in vista nel campo non già solo degli avversarii del Governo. ma di coloro che intendono a mover guerra alle idee prevalenti nell'odierna società civile, lo prova la lettera Pastorale che come Vicario Capitolare di Fiesole mandò fuori per l'Indulto quaresimale di quest'anno. Io reputo opportuno di mandargliene un esemplare (1), con preghiera che si compiaccia di esaminarla, per indi fare osservare al Cardinale Antonelli, come il tenore di essa, massime là dove tocca della libertà di coscienza e dei culti, dimostri che il Frescobaldi sia alieno da quella prudenza, di che è mestieri oggidì specialmente per trattare di quegli argomenti, che danno il maggior alimento alla polemica quotidiana, e che in ultimo non si riferiscono ai maggiori interessi della religione e della morale.

Delle cose qui esposte Ella si compiacerà di dar coato al Cardinale Antonelli, perché egli possa chiarire il Santo Padre dei motivi, onde il Governo è indotto a persistere nell'esclusione di Monsignor Frescobaldi, e riconoscere a un tratto la ponderazione con cui si fa un obbligo di procedere in siffatto argomento.

In pari tempo Ella vorrà esplorare le intenzioni della Santa Sede circa la provvista della sede arcivescovile di Spoleto, resasi or ora vacante per la morte di Monsignor Arnaldi, alla quale sarebbe desiderio del Governo che fosse trasferito Monsignor Pietro Paoio Trucchi, Vescovo di Forlì.

(l) Cfr. n. 247.

251

L'INCARICATO D'AFFARI A COSTANTINOPOLI, DELLA CROCE, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 105. Costantinopoli, 8 marzo 1867 (per. il 15).

Ho l'onore di trasmettere all'E. V. le due note relative alla quistione del Libano delle quali ho fatto parola nel mio dispaccio del l o marzo n. 100 (2).

Sapendo che la Sublime Porta quantunque decisa ad ammettere l'Italia a partecipare anche in questa vertenza a tutti i diritti delle Potenze Garanti persisteva però sempre nel suo antico modo di vedere relativamente all'interpretazione a darsi al trattato del 1856 e voleva basare la sua risoluzione sull'attuale posizione dell'Italia piuttosto che sui diritti a lei spettanti in forza del trattato sopranominato, io aveva evitato nella mia nota le parole di Potenze Garanti e le aveva sostituite (anche dietro il desiderio espressomi da Fluad Pacha) colle parole Grandi Potenze Alleate della Turchia.

Io sperava quindi che questo Ministro degli Affari Esteri non avrebbe più sollevato una questione che parevami ed ogni modo inutile, e sarebbesi limitato a comunicarmi la nuova risoluzione della Sublime Porta a nostro riguardo. Ma così non fu il parere del Gran Vizir a cui è dovuta la soluzione di questa vertenza. V. E. vedrà nella Nota che mi fu diretta contestato ancora esplicitamente il diritto che ci compete come firmatarii del Trattato di Parigi e la nostra ammissione nelle cose di Siria dichiarata un atto d'amicizia e quasi di condiscendenza verso un Governo amico.

Non parendomi opportuno il differire più oltre il definitivo componimento di questo negoziato e considerando che la Sublime Porta contesta all'Italia come firmataria del trattato di Parigi un diritto che poi le accorda come Grande Potenza, io non ho creduto di dover respingere la Nota di Fuad Pacha; ma mi è sembrato solo conveniente che anche per parte nostra si esprimessero le opportune riserve di principii, e l'ho fatto col documento di cui unisco pure qui copia.

Avendo la Sublime Porta ritardato otto giorni a rispondere alla mia prima Nota, sebbene ogni cosa fosse combinata, non giudico esservi alcun inconveniente a che io pure ritardi di qualche giorno a prendere atto del fatto e a ringraziarne i Ministri Ottomani. Attenderò quindi le istruzioni telegrafiche dell'E. V. prima di spedire quest'ultimo mio scritto all'alta sua destinazione.

ALLEGATO I.

Costantinopoli, 7 marzo 1867.

J'ai reçu la note que vous avez bien voulu m'adresser le 28 février relativement à l'exclusion du Consul d'Italie de la réunion, convoquée dernièrement par S. E. le Gouverneur du Liban, des Consuls d'Angleterre, d'Autriche, de France, de Prusse et de Russie à Beyrouth.

Permettez-moi de vous faire observer d'abord, M. le Chargé d'Affaires. que les arrangements du Mont Liban n'étant pas du ressort du Traité de Paris, l'intervention de certaines Puissances dans ces arrangements résulte d'autres circonstances auxquelles le Gouvernement de S. M. le Roi d'Italie a été toujours étranger.

Toutefois, la S. Porte dans le désir d'éviter toute autre interprétation et de donner dans cette question aussi une preuve de son entière confiance à l'egard du Gouvernement Italien son ami et allié vient de transmettre des instructions à S. E. Daoud Pacha pour que le Consul de S. M. le Roi soit également présent toutes les fois que des circonstances touchant les arrangements internationaux nécessiteraient le concours amicai des Agents des Grandes Puissances.

ALLEGATO II.

Costantinopoli, 18 marzo 1867.

J'ai l'honneur d'accuser réception à V. A. de la Note en date du 7 du mois comant par la quelle la S. Porte m'informe que des instructions viennent d'ètre envoyées à S. E. le Gouverneur du Liban afin que dorénavant le Consul d'Italie à Beyrouth soit également présent toutes les fois que des circonstances touchant des arrangements internationaux nécessiteraient le concours amicai des Agents des Grandes Puissances.

En prenant acté d'une résolut10n par la quelle la S. Porte reconnait à l'Italie dans la question du Liban les mèmes droits qu'aux autres Puissances Garantes de l'intégrité de l'Empire Ottoman, je pense pouvoir me dispenser d'entrer dans une discussion retrospective sur l'interprétation à donner au traité de Paris de 1856.

Je me bornerai donc à exprimer a la S. Porte au nom du Gouvernement Italien mes plus vifs remerciments pour l'heureuse solution de cette question...

ALLEGATO III.

DELLA CROCE A FUAD PACHA

PROGETTO DI NOTA.

J'ai l'honneur d'accuser réception à Votre Altesse de la Note en date du 7 du mais courant par la quelle la Sublime Porte m'informe que des instructions viennent d'étre envoyées à S. E. le Gouverneur du Liban afin que dorénavant le Consul d'Italie à Beyrouth soit également présent toutes les fois que des circonstances touchant des arrangements internationaux nécessiteraient le concours amicai des Agents des Grandes Puissances.

En prenant acte d'une résolution par la quelle la Sublime Porte reconnait à l'Italie dans la question du Liban les mémes droits qu'aux autres grandes Puissances Garantes de l'intégrité de l'Empire Ottoman, je crois désormais superflu d'entrer en discussion sur les motifs qui ont dicté à V. E. cette méme résolution et sur l'interprétation à donner au traité de Paris de 1856, mterprétation sur laquelle une divergence de vues a toujours existé entre nos deux Gouvernements.

Je me bornerai donc à exprimer à la Sublime Porte au nom du Gouvernement rtalien mes plus vifs remerciements pour l'heureuse solution de cette question...

(1) -Non rinvenuto. (2) -Non pubblicato.
252

IL SEGRETRIO GENERALE AGLI ESTERI, GUERRIERI CONGAZA. ALL'INCARICATO D'AFFARI A BERLINO, QUIGINI PULIGA

T. 114. Firenze, 9 marzo 1867, ore 13,45.

Le Roi est à Milan, et le ministre étant absent à cause des élections les ordres de Sa Majesté au sujet de la pub:ication de la lettre au comte de Bismarck (l) ne pourront etre pris qu'au retour de S. E.

253

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, E MINISTRO DI GRAZIA E GIUSTIZIA E DEI CULTI AD INTERIM, RICASOLI, AL CONSIGLIERE DI STATO, TONELLO

Firenze, 9 marzo 1867.

La S. V. Onorevolissima riferiva che nell'ultimo Concistoro non s'era potuta annunciare la traslazione di Monsignor Gaetano Rossini dall'Arcivescovado di Acerenza e Matera a quello di Lanciano, non essendo bastato il tempo di fare a quel Prelato le occorrenti comunicazioni. Ora il Governo sarebbe accertato che Monsignor Rossini ripugnerebbe alla traslazione anzidetta, e avrebbe invece espresso il desiderio d'essere trasmutato alla sede vescovile di Molfetta, Giovinazzo e Terlizzi che travasi vacante dal 1860. Ed oggi stesso venne a me presentato l'accluso oflìcio del Capitolo e del Clero di Molfetta, in cui si chiede tale trasmutamento sull'appoggio del fatto che Monsignor Rossini è noto a quella dio

cesi per esservi stato vicario generale di Monsignor Caracciolo, che fu poi cardinale ed arcivescovo di Napoli: officio che venne portato qui da un rispettabile cittadino laico di Molfetta, il quale attesta che il popolo è concorde col clero nell'espresso desiderio. Veramente la diocesi di Molfetta è compresa nell'elenco di quelle che si era divisato di lasciar vacanti; ma da ciò non può sorgere una difficoltà rilevante all'accoglimento d'un partito, che si presenta così opportuno, in quanto riuscirebbe a soddisfazione dei desiderii così del Prelato che si tratta di trasmutare, come della Diocesi in cui dovrebbe essere insediato. D'altra parte, occorrendo in tal caso di provvedere alla sede arcivescovile di Lanciano, si potrebbe invece lasciar vacante la sede vescovile di quel Prelato che fosse colà trasferito. In siffatto concetto sarebbe da proporre che all'arcivescovado di Lanciano fosse promosso Monsignor Livio Parlatore, vescovo di S. Marco e Bisignano, diocesi non punto riguardevole della provincia di Cosenza, che potrebbe rimanere senza scapito vacante ed essere data in amministrazione a qualcuno degli altri quattro Ordinarii della provincia, che sono l'Arcivescovo di Rossano e i vescovi di Cosenza, Cassano e Cariati. Credesi che Monsignor Parlatore sarà accetto alla Santa Sede, avendo grido di prelato dotto, pio e temperato, intanto che il Governo avrebbe molto in grado che fosse data una testimonianza di onore e di fiducia ad un Vescovo, il quale efficacemente si adoperò all'estirpazione del brigantaggio nella sua provincia e procacciò lo scioglimento e la dedizione della banda La Valla.

Si compiaccia la S. V. d'esplorare in proposito le intenzioni della Santa Sede, ben inteso che non sarebbe caso di proporre la sovraesposta combinazione, ove Monsignor Rossini avesse già accettata la traslazione a Lanciano. Quando ciò non fosse seguito, e fosse accolta la combinazione nuova, delle sedi nel napoletano verrebbero ad essere provviste le seguenti per via di traslazione:

Acerenza e Matera: Monsignor d'Alfonso, Vescovo di Penne ed Atri.

Molfetta, Giovinazzo e Terlizzi: Monsignor Rossini, Arcivescovo di Acerenza e Matera. Lanciano: Monsignor Parlatore, Vescovo di S. Marco e Bisignano. Capua: Monsignor Fanelli, vescovo di S. Angelo de' Lombardi.

S. Angelo de' Lombardi: Monsignor Sellitti, ~scovo di Melfi e Rapolla. Melfi e Rapolla: Monsignor Fanelli, Vescovo di Diano. Attendo ch'Ella mi faccia conoscere quale accoglimento abbiano avuto le

terne proposte per le diocesi indicate nelle ultime Note, e Le sarò grato se mi accennerà su quali degli ecclesiastici napoletani e siciliani compresi nelle liste governative cadano le assolute esclusioni della Santa Sede, onde ne pigli indirizzo nella formazione delle altre terne che sarò per trasmetterLe.

(l) Cfr. n. 239.

254

IL MINISTRO DELLA MARINA, BIANCHERI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

N. R. 215. Firenze, 9 marzo 1867 (per. il 10J

La Squadra Permanente del Mediterraneo che attualmente sta concentrandosi nel Golfo di Cagliari, avrebbe potuto essere fra pochi giorni utilizzata tutta intiera per l'accompagnamento dell'apposito Commissario allo scopo di cui è fatto cenno nell'Ufficio riservato di codesto Ministero in data 6 corrente (1).

Detta Squadra però verso il 20 corrente deve trovarsi nel Golfo della Spezia, siccome cinquanta circa Ufficiali appartenenti agli Stati Maggiori dei diversi legni che la compongono, devono trovarsi in Firenze per la convocazione dell'alta Corte di Giustizia a proposito del Processo Persano.

Questo Ministero pertanto opina che non appena ultimato l'operato dell'Alta Corte di Giustizia, sia mandata dalla Spezia l'intiera squadra a Tunisi, col che si otterrebbe certamente miglior effetto che non mandando navi isolate o successivamente alla spicciolata.

Questo Ministero si riserva pertanto farle conoscere l'epoca in cui l'anzidetta squadra potrà muovere dalla Spezia.

255

IL CONSIGLIERE DI STATO TONELLO AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DI GRAZIA E GIUSTIZIA E DEI CULTI AD INTERIM, RICASOLI

Roma, 9 marzo 1867.

* Mercoledì ultimo 6 corrente appena ricevuta la nota ministeriale del 4 (2), mi recai dal Cardinale Antonelli per proporgli le terne in essa enunciate e dare esecuzione a quanto altro vi si conteneva. Siccome poi io stava in attesa di risposta all'ultima mia relazione dello stesso giorno 4 (3) (la quale per altro non mi è ancora pervenuta) così in quella conferenza del 6 presi concerto col Cardinale di recarmi di nuovo da Lui jeri sera 8, sia per concludere in quanto fosse possibile sulle teme presentate, sia per gli altri concerti, ai quali fosse per dar luogo la risposta che io aspettava.

Jeri sera adunque ebbi un altro abboccamento col Cardinale, del quale non meno che del precedente ecco i risultati. Erano già definitivamente intese le nomine per le dieci sedi seguenti:

1° Milano; 2° Casale; 3° Crema; 4° Foligno; 5° Macerata; 6° Lecce; 7° Marisco e Potenza; 8° Cuneo; 9°Alessandria; 10° Tempio di Ampurias * ('±). A queste devono aggiungersi, come definitivamente concertate giusta le accettazioni fatte dalla Santa Sede sulle terne proposte le nomine seguenti:

11° In Asti: del Teologo Collegiato Savio.

12° In Reggio d'Emilia: di Monsignor Carlo Macchi preconizzato alla sede di Crema.

13° In Alba: del canonico Galletti.

14° In Saluzzo: del Sacerdote Gastaldi di Torino.

Rimase pure concertata secondo la proposta della Santa Sede accettata dal Governo la nomina:

(-2) Cfr. n. 233.

15° In Comacchio: di Monsignor Alessandro Paolo Spoglia già nominato a Ripatransone colla correlativa permanenza in quest'ultima Diocesi di Monsignor Fedele Bufarini che non ha mai dimesso le funzioni di Vescovo titolare della medesima.

Per Bologna si aspetta la risposta del Cardinale Morichini; è però inteso che quando fosse affermativa il Cardinale Guidi non andrebbe punto a surrogarlo in Jesi; né pare che la Santa Sede intenda di proporlo per altra Diocesi.

Per Imola si aspetta la risposta del Governo sulla proposta fatta dalla Santa Sede della traslazione di Monsignor Vincenzo Moretti preconizzato per Cesena.

* Per le altre sedi delle quali si sono pure presentate le terne, come eziandio per Siena si sono chieste informazioni, le quali non sono ancora giunte. Il Cardinale per altro stante le vive sollecitazioni fatte spera che verranno in tempo da paterne comprendere le nomine, al pari delle precedenti, nel prossimo Concistoro, che si terrà circa ai 20 del corrente.

È da notarsi però che alcune delle nomine concertate dipendono ancora da un'eventualità, l'accettazione cioè di Monsignor di Calabiana alla Sede di Milano. Egli ha già risposto cercando di esimersi da tale traslocazione; ma la Santa Sede replicherà con calore onde indurlo ad accettare. Vegga il Governo, se non sarebbe opportuno, come a me pare, di muovere Esso pure ufficii in proposito*.

Per Capua non è stato possibile far accettare dalla Santa Sede la promozione di Monsignor Fanelli, e ciò per qualche punto di dottrina nel quale le di lui opinioni non incontrano la piena approvazione della Santa Sede (1).

Per Girgenti si sta tuttora aspettando qualche riscontro; ma v'ha ogni speranza che sia accettato Monsignor Montuoro proposto dal Governo.

Per Genova poi devo con mio sommo rincrescimento annunciare, che non si può più pensare a Monsignor Renaldi Vescovo di Pinerolo. Dopo molte incertezze e tergiversazioni il Cardinale finalmente mi diceva nel penultimo nostro colloquio del 6 corrente, che Sua Santità non poteva risolversi ad accettarlo, e che perciò non era il caso di invitarlo a venire a Roma (2). Io feci le più vive insistenze; diedi le più ampie spiegazioni su quel degno prelato a me noto anche personalmente; feci vedere la difficoltà di altra scelta per l'importante e difficile diocesi di Genova; insomma feci quanto potei perché la cosa riuscisse, invitando il Cardinale a tenerne nuovo discorso con Sua Santità. Ma jeri sera mi si riconfermò pur troppo la prima risposta. Anche la Santa Sede ammette l'imbarazzo per un' altra scelta conveniente, né si azzarda a fare proposta. Vegga il Governo se bene ricercando potrà trovare a proporre altro prelato, che senza incontrare prevenzioni presso la Santa Sede possa in egual grado congiungere le doti che si richieggono per quel posto di tanto momento.

zione e non potrei convenire diversamente».

Parlai al Cardinale del Sacerdote Arnaldi, del quale mi si dava cenno nel telegramma di jeri (1). Non trovai conforme al vero, che egli sia conosciuto ed accetto alla Santa Sede. Anche per lui si sono di qua chieste informazioni che non sono giunte ancora.

Sul Padre Girolamo Priori, del quale chiesi notizie a molte fonti, i ragguagli avuti sono molto ambigui; concordi nel riconoscerne l'ingegno e la dottrina, diversificano sulle altre qualità richieste. D'altra parte da qualche tocco, che ne diedi al Cardinale ebbi ragione di credere, che egli dalla Santa Sede non sarebbe accettato.

Il Cardinale mi diede in nota come candidati tre nuovi nomi, che sono:

Padre Eliseo ex-generale dei Carmelitani scalzi;

Monsignor Pietro Colli attuale Vicario Capitolare della Diocesi d'Adria;

Monsignor Nussi prelato domestico di Sua Santità residente in Roma;

Questi due ultimi per le provincie Venete, e specialmente per la Diocesi di Adria.

* Tenni nuovamente discorso nell'una e nell'altra conferenza dell'importante argomento della riduzione delle feste. Mi si rispose che Sua Santità ci stava pensando; non devo però dissimulare che su questo terreno incontro pochissimo favore. Non si dice apertamente di no, ma si cercano mezzi per rimettere la cosa a tempo indefinito.

Quanto ai condannati politici il Cardinale mi disse avere Sua Santità adottato il partito di farli avvertire che dimandino la grazia; già se ne sarebbe dato ordine al Ministero dell'Interno.

Per gli altri consegnati al Governo Italiano nel febbraio 1865 si sta compilando un catalogo nel quale vi saranno tutte le indicazioni occorrenti, giacché non si poté più venire a capo di riavere quello simile, che il Cardinale assicura essere stato allora rimesso all'Ambasciatore di Francia.

Nel colloquio del 6 corrente, il Cardinale mi disse essersi in quel giorno emanati gli ordini pel passaggio gratuito delle merci e bagagli dei viaggiatori transitanti sulla ferrovia, e perché si aprissero trattative colla Direzione generale delle nostre poste circa gli scambi postali. Ciò io intesi colla massima meraviglia, perché le esplicite e reiterate dichiarazioni del Cardinale mi avevano fatto credere, come accennai ne' precedenti miei rapporti, che tali cose si fossero fatte già da buon tempo prima. Intanto mi rinnovò la promessa di mandarmi senza indugio il testo preciso degli ordini dati per le merci e bagagli, ed io appena l'avrò lo trasmetterò al Governo.

Non devo chiudere la presente senza partecipare al Governo, che sulle vive istanze da me fatte al Cardinale perché nella prossima allocuzione concistoriale nulla si dicesse di meno conveniente pel Governo, egli nel rinnovarmi le scuse pel passato, mi assicurò che assolutamente nulla di simile più si sarebbe pronunciato.

Monsignor Demartis Vescovo di Nuoro è stato nuovamente a vedermi stamane. Egli mi disse, che avendo scritto a Nuoro, per sapere se l'Episcopio fosse preparato onde recarvisi al più presto, gli era stato risposto che in esso vi erano

le scuole e la Corte d'Assise e che sinora non si era data alcuna disposizione per l'opportuno sgombro. Prego perciò il Governo a volere, così per questo, come per gli altri Vescovi. provv€:dere con tutta la sollecitudine possibile * (1).

(l) -Non pubbllcato. (3) -Cfr. n. 235. (4) -I brani fra asterischi sono editi in Lettere Ricasoli, vol. IX, pp. 322-324 e in Carteggi Ricasoli, vol. XXV, pp. 423-424.

(l) Annotazione a n1a1.·gine: << Fn rià annuncir;,ta a :!\Ionsignor }:!,anelli la sua trasloca

(2) Annotazione a margine: «Sono poco disposto ad accettare di porre da parte questo distinto Prelato se non si dicono le ragioni ».

(l) Non pubblicato.

256

IL MINISTRO A PARIGI, NIGRA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 155. Parigi, 10 marzo 1867.

Je ne vois aucun inconvénient dans la publication de la lettre adressée à

M. de Bismarck (2). Seulement il serait peut-étre utile que la publication ait lieu après les interpellations de M. Thiers qui doivent avoir lieu jeudi.

257

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, GUERRIERI GONZAGA, ALL'INCARICATO D'AFFARI A COSTANTINOPOLI, DELLA CROCE

T. 116. Firenze, 3 marzo 1867, ore 14.

Nubar pacha apporte a Constantinople les demandes du vice roi d'Egypte (3). Tout en témoignant des sympathies et des dispositions bienveillantes du Gouvernement du Roi, veuillez garder la plus grande réserve au sujet de sa mission et éviter tout ce qui pourrait nous engager. Vous étes autorisé à une dépense de 2 mille francs pour le diner du 14.

258

IL MINISTRO A LONDRA, D'AZEGLIO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 608/209. Londra, 11 marzo 1867 (per. il 16).

Siccome scrissi a V. E. pochi giorni sono aveva creduto inutile dopo la conversazione a Corte con lord Stanley di tornar immediatamente sull'argomento tanto più sapendo dal Principe Latour d'Auvergne ch'egli trovasi pure per dir così arenato.

«Io bo dovuto già prendere gli ordini dal Re. Il Re ha esitato molto, mi ha detto che la pubblicazione avrebbe potuto far cattivo effetto a Parigi e sull'animo dell'Imperatore, benché sia più che altro una lettera di cortesia. Infine, insistendo lo, mi ha detto di mandarvi la copia e di chiedere la vostra impressione. Io lo faccio e vi prego di rispondermi per telegrafo».

Intanto stavo attentamente osservando l'andamento delle cose pronto sempre ad agire ove occorresse.

Mi è parso che le informazioni pacifiche contenute nel dispaccio di V. E. del 1° Marzo (l) fossero troppo importanti a farsi conoscere dal Governo Inglese per tacerle più oltre. Poiché credei essenziale che dal Gabinetto Derby non s'avessero idee erronee essendo il suo capo sopratutto facilmente disposto ad adottarle.

Purtroppo l'epoca di transizione che abbiamo traversato negli ultimi venti anni e che produsse l'unificazione d'Italia pose il nostro paese quasi in obbligo di sperar la sua salute dalle complicazioni che sorgevano in Europa e da quei rivolgimenti che parevano fertili in guerre, congressi e mutazioni territoriali.

Fummo dunque considerati come pronti sempre a menare le mani moralmente e figuratamente. Passato questo periodo ed attenutosi da noi quello che ora vediamo, trovarono gl'uomini di stato Inglesi, e quelli soprattutto che ultimamente visitarono l'Italia che le economie ed il ridursi dell'esercito non parevano punto in proporzione di chi rimette la spada nel fodero come Emanuele Filiberto; ma che anzi rimarrebbero queste spese in forte proporzione nei nostri bilanci.

Parlarono quindi i giornali dell'invio di una squadra in Oriente. Pensavasi che Garibaldi potesse seguitare suo figlio a Candia: esageravansi i volontarii italiani che vi si erano recati e si temeva che da tutto questo ne uscisse un falso apprezzare della nostra politica e che avrei a rimproverarmi di non aver rettificato queste male impressioni, tanto più parendo imminenti interpellanze in Parlamento.

Incalzano gl'avvenimenti che possono da un momento all'altro in primavera produrre altre complicazioni. I Gabinetti evidentemente cercano a studiarsi l'un l'altro. Ho creduto dunque dover mio il definir chiaramente presso il Ministro degl'Esteri la nostra politica e gli domandai udienza.

Regolai il mio linguaggio dal contenuto del dispaccio del l o Marzo. Lord Stanley il quale non si fida della memoria, prendeva note a misura che mi ascoltava e finito il colloquio me le lesse per più sicurezza. E le trovai esatte. Eran di fatti una parafrasi un'abbreviazione di questo dispaccio. E mi pareva che le idee espresse da V. E. abbiano incontrato assai producendo quasi direi grata sorpresa. Però lord Stanley mi disse che il nodo della questione d'Oriente per lui stava in Servia: che aggiustato quel punto egli pensava che il resto non fosse di un'eguale importanza. Ora le sue informazioni portavano che la questione Serba poteva considerarsi come aggiustata. L'affare di Candia non tanto, poiché per quanto incalzanti fossero i consigli trasmessi a Costantinopoli non era ben certo che il Governo Ottomano consentisse ad un Governo autonomo ed a quanto chiedevasi da lui. E non poteva nemmeno lord Stanley esserne tanto sorpreso poiché in fondo l'insurrezione era se non domata ridotta a sì mal punto che poteva la Turchia considerare quel paese come paese di conquista e ricusare di ammettere esigenze che soddisfatte invece avrebbero minacciato movimenti, dovunque nell'Impero esistessero malcontenti. Egli fidava dunque

in questo modo di vedere, e doveva aggiungere le promesse della Russia di conservare esatta neutralità per parte sua ove venisse dalle altre Potenze osservata.

Io risposi che temevo che queste rosee previsioni fossero per essere contradette da fatti e in quanto alla Russia bramava dicesse questa volta la verità, ma non gli si credeva precisamente in generale come al Vangelo.

Badasse dunque che questa Potenza non volesse invece prendere una politica molto accentuée in Oriente che forse la Francia si crederebbe obbligata a seguire precisamente onde non !asciargli la preponderanza e con un andar d'accordo volesse invece neutralizzarla. In quel caso Dio sa che cosa avverrebbe se ogni Potenza cercava volgere gl'eventi a modo suo ed era precisamente quando diceva V. E. che meglio era combinare a tempo un piano concertato tra tutti e quindi parlare autorevolmente a Costantinopoli, ove si dovrebbe accettare: Primo perché probabilmente quel piano sarebbe conforme agli interessi Turchi c Cristiani, e quindi perché non potrebbesi fare altrimenti. Ma naturalmente queste idee contenevano in sé l'origine di conferenze, congressi o qualunque nome si volesse dare a deliberazioni in comune, e ~eneralmente queste riunioni spaventavano a Londra.

Di fatti lord Stanley mi disse esser poco amico di simili convegni che probabilmente crede sterili, o se no troppo energici rimedii in cui si sa come si principia e non si sa dove si vada a finire. Del resto soggiunse che una grande stranezza gli pareva il voler governare per mezzo di ambasciatori un paese come l'Impero Ottomano. Ed io risposi che di certo non potevansi applicare regole abituali quando trattavasi di Impero il quale come il Turco era all'agonia, ed anzi gli rimarcai esser sLato questo per la prima volta ammesso da un primo Ministro Inglese alla Camera dei Lordi, avendo suo padre detto il giorno prima che a parer suo non trattavasi di perpetuare il Sultano, ma di addolcirne la caduta .

Siamo sicuramente lontani dai tempi in cui lord Palmerston non voleva neppure sentire a parlare di dubbii sull'esistenza di quest'Impero.

Lord Stanley mi parve incerto sul grand'interesse che malgrado limitrofi avevamo nella questione. Ed io gli risposi che, anche lasciando da parte questo ragionamento semplicissimo che era onorevole per non dire naturale per parte nostra che si simpatizzasse con chi cercava come avevamo fatto finora di far trionfare idee di nazionalità e d'indipendenza, non doveva scordare i numerosi italiani sparsi dovunque in Oriente, e che qualunque fosse il risultato da aspettarsi, che lo chiamassimo Impero Greco, Serbo, Russo o Austriaco noi dovevamo stare antivisti che con questo avvenire oscuro i nostri rapporti si preparassero conformi ai nostri interessi; poiché naturalmente non trattavasi per noi di andare alla conquista dell'Oriente. Potevamo dunque al più cercare un comune accordo di sostenere gli interessi Cristiani, lasciando i Mussulmani dov'erano. Ed era appunto quello che facevamo. Ma con eguale franchezza doveva aggiungere che ove rivalità di parti, indecisione, fiacchezza producessero inoperosità fra le Potenze e quindi gli eventi si complicassero, non ci rimarrebbe allora che a prendere quella linea politica che credessimo più utile agli interessi che era dover nostro tutelare. Per conseguenza era opinione nostra che queste quistioni si dovessero esaminare in comune fra le Potenze finché ne era tempo, ond'impedire una guerra generale che noi desideravamo evitare. Ma che se si restava colle mani alla cintola non si potrebbe pretendere lo stesso per parte nostra, e vedremmo allora che cosa ci resterebbe a fare.

E così presi commiato da Sua Signoria. Questa conversazione non so se avrà risultati pratici essendosi il ministro limitato a prenderne atto. Ma sarà sempre un potente argomento di più di mettere nella bilancia la voce d'Italia per consigliar accordi, evitare ostilità.

Ad ogni modo era essenziale il formulare le nostre opinioni e stabilire le nostre riserve.

Nel confermare a V. E. il mio telegramma delli 9 corrente (1), secondo le nuove norme della corrispondenza, nell'acchiudere al presente la traduzione della importante discussione avvenuta Venerdì sera alla Camera dei Lordi... (2)

P. S. Unisco varie lettere confidenziali per l'E. V. (3).

(l) -Annotazione a margine: «Occorre che gli ordini siano eseguiti. In tale caso richiedesi anche la cooperazione del Ministero dell'Interno ». (2) -L'avviso di Nigra Pra stato ehiesto da Visconti Venosta con una L u. datata Milano 8 marzo (AVV) di cui si pubblica il brano seguente:

(3) Cfr. n. 242.

(l) Cfr. n. 225,

259

IL MINISTRO A LONDRA, D'AZEGLIO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

(AVV)

L. P. Londra, 11 marzo 1867.

Spero che approverete il mio uscir dalla riserva e quanto dissi a lord Stanley (4). E prima di tutto vi ringrazio della vostra lettera che mi diete pieni ragguagli sul modo in cui vedevate la questione e così mi permisi di parlare più esplicitamente.

A dirvela francamente, quello che può far molto male nelle circostanze attuali sono i rumori d'invio di una squadra in Oriente, poiché in contraddizione colle idee pacifiche che predichiamo. Anzi per essere preparato à tout événement e non venir poi accusato d'ipocresd.a ho voluto non solo dichirare lord Stanley le idee di cui m'incaricavate ma aggiunger che benché desiderosi d'andar d'accordo in Oriente coll'Inghilterra e le altre Potenze purché volessero accordarsi, se poi permettevan agli evenimenti d'andar a modo loro, noi pure ci regoleressimo a modo nostro. Venne molto in acconcio quanto mi scriveste particolarmente sugli sforzi fatti da noi per mantener la neutralità e sul piccol numero di volontari italiani in Candia.

Ne rimase piacevolmente sorpreso non solo lord Stanley ma persino lord Russel e Layard che vidi ieri, talmente ci siamo fatti in Europa la riputazione di coureurs d'aventures.

E quello vi sorprenderà penso è che anche questi due liberali dichiararon non capire quali così gran interessi avessimo in Oriente, a meno come gentilmente osservò lord Russell che fosse se due s'intendevano per rubare il Sultano

(-4) Cfr. n. 258.

27 -Documenti diplomatici -Serle I -Vol. VIII

volessimo far i terzi. Inoltre rimarcò che per poco titubassero quelle popolazioni ad insorgere, il vero modo di deciderle sarebbe l'invio di squadriglie e flotte europee.

Layard che riceve infinite lettere d'Oriente e lord Russell son disposti a considerare il Sultano come vittima ingiustamente giudicata e vittima di tradimenti Russi e Greci. Essi ammettono nei Turchi la miglior volontà di far concessioni sufficienti e riconoscono che nell'Impero la condizione dei Cristiani si è molto migliorata. Ma affermano che dovunque il Turco vuoi far miglioramenti havvi una agenzia segreta per impedirnelo o neutralizzarli.

Questi Signori accusano la Russia e l'Austria di volersi dividere la Turchia. Mentre la Russia andando a Costantinopoli chiuderebbe il Mar Nero l'Austria prenderebbe la Serbia epperciò consiglia al Sultano di abbandonar le fortezze. E mi diceva Layard ieri quegl'imbelli di Serviani che non se n'avvedono. Pensan poi che la Francia chiuderà gli occhi onde menagiarsi la Russia e l'Austria in un suo prossimo conflitto con la Prussia.

Del resto tutti concordano nell'opinione che l'Impero turco sia alla vigilia di gran cambiamenti. Ma come saran dovuti alle prepotenze delle Potenze europee essi voglion prendervi parte.

Inoltre nissuno mi pare oltre alla soluzione che consiste a principiar questo smembramento propone altro. Ma affermasi pronto a esaminar quel che proporran gli altri.

In quanto alla soluzione che vorrebbe la cessione alla Grecia di Candia e di qualche provincia limitrofa alla Grecia, la Francia ne attribuisce l'iniziativa alla Russia, e viceversa.

Ma in quanto alla politica di lord Palmerston sicuramente essa è molto modificata nei consigli d'Inghilterra poiché lord Derby medesimo si limita a voler che la caduta s'operi con meno scosse che sia possibile. E lord Stanley non nasconde esser quella politica un anacronismo.

Suppongo che presto sentiremo in questo Parlamento discussioni a questo riguardo parendomi lord Russell disposto a far qualche interpellanza.

Brunnow pranzò avant'ieri con Shaftesbury dal Duca di Cambridge e cercò inzuccherarlo quanto poté, parlando diffusamente del disinteresse della Russia in tutto questo, facendone solo una quistione d'umanità e religiosa, lagnandosi dei pregiudizi che s'avean contro la loro politica, infine fece una omelia prendendo per testo i dispacci Gortchakoff.

Tra gli altri rimproveri che si fanno ai Turchi, mi disse ieri lord Russell, vi è quello del ratto delle ragazze greche per gli harem dei Pascià. Mentre i Consoli inglesi pretendono che son queste signorine che, piuttosto che piantar patate e zappare volontariamente, si danno al puttanesimo in cui han poco da fare e mangiar bene.

Vedrete da quanto precede in che senso spiri il vento. Anzi osservate che quando avant'ieri sera parlai a lord Woodhouse (Kimberley) del discorso in cui egli aveva sostenuto la politica del suo avversario lord Derby in Oriente, egli mi rispose che aveva parlato non solo in nome suo ma a nome del partito liberale che trovava il discorso del Duca D'Argyll molto esagerato. E cosi anche il Times.

(l) -Non pubbllcato. (2) -Non sl pubbllca. (3) -Cfr. n. 259.
260

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AL MINISTRO A PARIGI, NIGRA

T. 118. Firenze, 12 marzo 1867, ore 21.

M. de Malaret m'a annoncé que le Gouvernement français consent à proroger le terme du payement pour la dette pontificale. Quant aux intérets M. de Moustier ajoute que vous avez proposé le 2 % mais qu'il n'a pas admis ce taux. Veuillez me donner des éclaircissements par télégraphe (l) et me dire s'il s'agit de renoncer aux intérets qui nous sont payés par la Caisse des dépòts et consignations ou d'un autre taux d'intéret à régler entre les deux Gouvernements.

261

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DI GRAZIA E GIUSTIZIA E DEI CULTI AD INTERIA, RICASOLI, AL CONSIGLIERE DI STATO, TONELLO

Firenze, 12 marzo 1867.

Mi pregio rispondere al graditissimo rapporto della S. V. Onorevolissima in data del 9 di questo mese (2), e comincio dall'esprimerle la fiducia, che a questa ora Le saranno pervenute non solo la risposta al suo rapporto del 4 in data del 6, ma altresì altre due mie note in data dell'S e del 9 (3), relative la prima a Monsignor Frescobaldi, vicario capitolare di Fiesole, la seconda al trasferimento di Monsignor Rossini alla sede di Molfetta. Ove non Le fossero pervenute, La prego a ragguagliarmene tosto con un telegramma.

Nella mia risposta in data del 6 tenevo conto del desiderio da Lei espresso circa il termine della sua Missione; ed ora, confermandoLe quanto in essa Le dicevo, debbo soggiungerLe in genere, che il suo ritorno dipenderà principalmente dal potersi affrettare i definitivi concerti con la Santa Sede circa quelle poche sedi vacanti che restano da provvedere, in guisa che le relative preconizzazioni possano tutte aver luogo nel prossimo Concistoro. Occorre perciò ch'Ella mi faccia conoscere al più presto quali siano gli intendimenti della Santa Sede circa le sedi di Orvieto, Rimini, Cesena, Osimo e circa tutte le altre che dal Governo si desidererebbe di lascia,r vacanti, e che mi trasmetta un elenco del candidati governativi, massime per le diocesi napoletane e siciliane, contro i quali non si sollevano costì assolute eccezioni.

Si ritengono presi i definitivi concerti circa le quindici sedi di Milano, Casale, Crema, Foligno, Macerata, Lecce, Marsico e Potenza, Cuneo, Alessandia, Tempio ed Ampurias, Asti, Reggio d'Emilia, Alba, Saluzzo e Comacchio.

(-2) Cfr. n. 255. (-3) Cfr. nn. 238, 250 e 253.

Resta pure inteso che Monsignor Bufarini rimarrà nella sua diocesi di Ripatransone, dalla quale non si è mai allontanato.

È da considerarsi che il cardinale Morichini accetti la traslazione all'arcivescovado di Bologna, nè può esser caso che da parte del Governo si accenni ad alcun provvedimento pel Cardinale Guidi: bensì potrà insistersi che si lasci vacante la diocesi di Jesi, onde sarebbe traslato il cardinale Morichini, dacché non conta più di 40 mila abitanti.

Sopra l'opportuna di Lei proposta ho oggi stesso indirizzato un premuroso officio a Monsignor di Calabiana, perché accetti la traslazione all'arcivescovado di Milano.

Quanto alle sedi di Capua e di Genova, Ella vorrà dichiarare recisamente al Cardinale Antonelli, che il Governo del Re non intende desistere dalle proposte fatte, e si delibererà a !asciarle vacanti piuttosto che ammetterne la provvista in altri soggetti che Monsignor Fanelli e Monsignor Renaldi. L'eccezione che movesi al primo non è punto attendibile, dappoiché se quelle opinioni di Lui che la Santa Sede non approva, toccassero il dogma, la morale o la disciplina, lo renderebbero tanto censurabile a S. Angelo de' Lombardi, quanto a Capua; ond'è da credere che trattisi d'opinioni risguardanti materie al tutto disputabili e che non diano luogo ad alcun grave appunto. I ragguagli che qui si hanno di Monsignor Fanelli, gli sono per ogni riguardo favorevoli, e inducono al supposto, ch'egli sia stato meno esattamente qualificato alla Santa Sede a cagione della sua temperanza nelle cose politiche e della sua franca adesione al governo nazionale. Un tal carico deve pure essere stato opposto a Monsignor Renaldi, dappoiché non si sa comprendere onde possa movere alcuna accusa contro un prelato sì riguardevo~e. e che non si rimase altresì dall'opporsi in più incontri a que' provvedimenti governativi, a cui la sua coscienza di Vescovo ripugnava. Ora n Governo non può assolutamente abbandonare due candidati cotanto eminenti, perché all'uno è mossa un'eccezione al tutto vaga, e all'altro è data un'esclusione, dì cui non s'accenna alcun motivo. Né già Le voglio tacere, che, avendomi Monsignor Fanelli espresso il desiderio d'essere per ragioni di salute trasmutato ad altra sede, io non misi difficoltà ad annunziargli che l'avrei proposto per la traslazione a Capua, onde mi trovo vincolato verso di lui da un tal quale impegno, che contrassi nell'idea del concerto fin da principio preso con la Santa Sede di procedere alla provvista delle sedi arcivescovili mercé la traslazione dei Vescovi più reputati e benemeriti. Di che Ella terrà conto per proprio governo e per esserne indotta a incalorire in proposito i propri offici. Del rimanente Ella deve proprio su questo argomento assumere il linguaggio più reciso tanto col cardinale Antonelli, quanto con lo stesso Santo Padre, ove credesse opportuno di chiedergli un'udienza per tenergliene discorso. Accenni alle tante prove di deferenza che n Governo del Re diede alla Santa Sede nel corso della di Lei missione; non ometta di osservare che le esclusioni fatte dal Governo de' candidati della Santa Sede ebbero tutte motivi assai gravi ed appoggiati a documenti attendibili ed a ragioni d'ordine pubblico: insista nell'avvalorare gli argomenti da Lei già prodotti circa la convenienza di soddisfare anche al vo:.o d~lla pubblica opinione, scenda ad ogni particolare rispetto ai due Prelati,

e conchiuda con la dichiarazione che per le due sedi di Capua e di Genova il Governo è deliberato a non fare e a non accettare altra proposta.

Duolmi che né il sacerdote Arnaldi, né il padre Priori siano accetti alla Santa Sede, e quasi ne son tratto a credere che ciò derivi dall'essere ambedue stati proposti dal Governo. Posto dunque che costà si escludono sistematicamente i candidati governativi, è veramente il caso di smettere la consueta condiscendenza, e di mostrare quind'innanzi maggior tenacità nel sostenere quelli, di cui si hanno i migliori riscontri.

Accetti senza più la proposta per la sede di Adria, che è l'unica vacante nelle provincie venete, di quel vicario capitolare Monsignor Pietro Colli.

Ho dato gli ordini più pressanti per lo sgombr·o dell'ep~copio di Nuoro, e in generale ho affrettato i provvedimenti necessarii, perché l'insediamento dei nuovi Vescovi segua senza difficoltà ed incagli.

Attendo ch'Ella mi faccia conoscere le definitive disposizioni che costì siansi prese circa i detenuti politici e il passaggio gratuito delle merci e dei bagagli dei viaggiatori transitanti sulla ferrovia.

Tengo nota dell'assicurazione dataLe dal Cardinale Antonelli che nella prossima allocuzione concistoriale nulla sarà detto di meno conveniente pel Governo del Re.

(l) -Cfr. n. 264.
262

IL PRESIDENTE DELLA COMMISSIONE ITALIANA PER LA DELIMITAZIONE DELLA NUOVA FRONTIERA FRA IL REGNO E L'IMPERO AUSTRIACO, DI ROBILANT, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 8/5. Venezia, 12 marzo 1867 (per. il 13).

La Commissione internazionale sedente in Venezia avendo incominciato i suoi lavori per la delimitazione della frontiera austro-italiana ed anzi dovendo oggi stesso intraprendere l'esame del primo tratto di confine che al lago di Garda si riattacca a quello che già separava le Provincie lombarde dal Tirolo italiano, credo opportuno di informare la E. V. di un incidente non senza importanza cui ha dato luogo l'ultima seduta.

Convenute di reciproco accordo le basi secondo le quali dovrà procedere il lavoro della Commissione, ravvisai, di concerto cogli altri Membri della commissione italiana, potesse tornar utile di fare in seno alla Commissione internazionale una sommaria descrizione della frontiera che deve formare oggetto dei nostri studi, facendone rilevare le difettuosità più gravi sotto le vedute degli interessi militari e finanziari dell'uno o dell'altro paese ed anche di tutti due in taluna località. Insistetti principalmente sul tratto di frontiera che corre nel piano dal punto dove il confine abbandona il Iudrio sino al mare: posi in rilievo le difettuosità somme di un tale tracciato per la sorveglianza doganale: accennai al non lieve inconveniente per noi di avere il confine a meno di un chilometro e mezzo dagli spalti della fortezza di Palmanova e conclusi esprimendo la fiducia che gli inconvenienti da me accennati fossero ugualmente apprezzati dagli Onorevoli Commissari austriaci: nutrir quindi la speranza di trovarli nel corso dei negoziati propensi, nei limiti delle istruzioni ricevute, se

non a rimuoverli del tutto, almeno ad adottare quei temperamenti atti a quanto possibile attenuarli. Aggiungeva infine chiedere la inserzione ai Protocolli di tale mia dichiarazione. Il Presidente della Commissione austriaca, Generale Kirchsberg, che in un cogli altri Membri della parte sua, aveva durante il mio ragionare dato non dubbi segni di concorde affermativa, rispondeva di non disconoscere gli inconvenienti lamentati: riservarsi però di ragionarvi sopra mano a mano allorché, pel naturale corso dei nostri lavori, verranno essi in discussione: prendere però atto della dichiarazione da me fatta.

Una tale risposta, sebbene invero poco concludente, pur tornavami accetta dandomi assicuranza che le istruzioni impartite ai Commissari austriaci non vietavano loro in modo assoluto di discutere modificazioni alla frontiera ammiministrativa stabilita dal Trattato di pace a confine dei due Stati. Il campo veniva aperto a discussioni in linea extra-ufficiale prima, a transazioni concludenti forse in seguito: il risultato prefissomi colla mia esprosizione e successive dichiarazioni era ottenuto.

Mal non ci opponevamo infatti giudicando che le istruzioni date ana Commissione imperiale fossero più larghe di quanto la particolare riservatezza dai suoi Membri dimostrata nelle prime riunioni dava ragione di credere.

Il Generale Kirchsberg dicevami jer l'altro desiderare di parlarmi in particolare ed a tale effetto veniva jeri da me. Prendendo senza preamboli argomento dal mio antecedente ragionamento, non che dalla conclusione che forse ne era stata la parte di maggiore importanza, Egli esternavami in linea tutta particolare non avere istruzioni per seguirmi ufficialmente sul terreno da me accennato nella precedente seduta: essere però pronto a scriverne particolarmente al suo Governo per averne norme al riguardo, ove gli fosse dato di poter accennare basi su cui potessero poggiare negoziati di tale natura: basi che a suo dire non potevano essere altre che compensi territoriali. Quivi senza ambagie diplomatiche o rettoriche reticenze manifestavami l'idea che un compenso ad una cessione di territorio nella pianura, il quale porterebbe il nostro confine orientale allo Sdobba d'onde al Torre sino al suo incontro con il Iudrio, si potrebbe trovare nella cessione all'Austria di equivalente territorio finittimo al Tirolo, che facesse cessare gli inconvenienti della posizione in cui trovasi il distretto di Primiero nella valle del Cismone in conseguenza dell'appartenere all'Italia il distretto di Fonzaso. Senonchè ritenendo io una tale idea in opposizione assoluta alle istruzioni impartitemi dall'E.V., credetti opportuno di dichiarare immediatamente non essermi possibile seguire il Commissario austriaco in tale ordine di idee: i principii che dirigono la politica d'Italia ed a cui s'informano invariabilmente tutte le sue tendenze poggiano in modo assoluto sul jure delle nazonalità: la nostra unità riposando inoltre sui plebisciti, essere assolutamente inammissibile la ipotesi di una retrocessione qualsiasi di popolazioni di razza italiana che col suffragio universale abbiano affermata la loro nazionalità. Soggiunsi ben persuadermi della difficoltà somma di arrivare ad un risultato pratico, mentre da noi non si poteva che chiedere ampliazione di territorio, senza equivalente cessione. Conchiusi dicendo che il principio da me posto era cosi assoluto, che neppure in via particolare credevami autorizzato ad informare il mio Governo della nostra conversazione che ciò non di meno

salva conservava la speranza che nel corso della discussione emergesse un qualche altro ripiego, o ad ogni modo i nostri due Governi potessero intendersi alla evenienza su compensi di natura da non richiedere da parte dell'Italia cessione di popolazioni.

Il Generale Kirchsberg dimostrò col suo contegno riuscirgli aspettata tale mia dichiarazione: dissemi apprezzare pienamente le considerazioni a cui essa s'informava: non affacciarsegli però alla mente base diversa a trattative da quella indicatami. Egli conchiudeva però proponendomi di prendere dapprima ad esame senz'altro il confine quale attualmente esiste, riservando al fine di un tal lavoro la discussione di tutte le questioni speciali e delle indispensabili e possibili rettifiche. Il risultato di tal particolare conferenza si fu di !asciarmi la speranza di riuscire almeno su talun punto più essenziale a convenienti accordi.

Di un tal stato di cose credetti conveniente ragguagliare prontamente la E.V., tanto allo scopo di farle conoscere la importanza somma che il Governo austriaco annetterebbe a possedere il distretto di Fonzaso, compreso evidentemente Primolano, come pure per avere quelle maggiori conseguenti istruzioni che per avventura ravvisasse di darmi, non che pel caso che la E.V. ravvisasse nella sua saggezza le conferenze che attualmente pure tendono alla conclusione di un trattato commerciale, potessero tornare di efficace concorso. Credo intanto inutile soggiungerle che non ricevendo nuovi speciali ordini, terrò ferma ed inalterata la linea di condotta già seguita.

263

IL MINISTRO AD ATENE, DELLA MINERVA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 162. Atene, 13 marzo 1867, ore 7,30 (per. ore 11).

Second fils de Garibaldi arriva hier au soir avec un major et un aide de camp, venant de Sira sur bateau à vapeur « Arcadium >>.

264

IL MINISTRO A PARIGI, NIGRA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 163. Parigi, 13 marzo 1867, ore 9,40 (per. ore 12,35).

Dans ma conversation avec Moustier je me suis borné à dire que nous renonçons à l'intéret payé par la Caisse des Dépòts et consignations à partir du 15 mars. Moustier a trouvé que cet intéret était bien minime, mais il n'a fait aucune proposition, ni moi non plus.

265

L'INCARICATO D'AFFARI A PIETROBURGO, INCONTRI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 74. Pietroburgo, 13 marzo 1867 (per. il 21).

Appena ricevuto il dispaccio di V.E. del 23 Febbrajo decorso (Direzione Politica N. 64) (l) mi affrettai conformemente alle istruzioni datemi a farne lettura al Principe Gortchacow. Questi mi disse che già conosceva dai rapporti del Signor di Kisselew i punti principali del documento che io gli avevo comunicato e si mostrò soddisfattissimo di vedere che il Governo del Re si trovava in principio d'accordo con quello dell'Imperatore riguardo a ciò che conveniva fare in Oriente. Espresse sopra tutto la sua compiacenza di vedere che si insisteva da noi sulla necessità di prendere in favore dei Cristiani d'Oriente misure pronte, pratiche e non illusorie come quello che fu fatto sino qui. Fece le sue riserve quanto alla composizione della questione delle fortezze Serbe secondo i desiderii del Principe Michele e secondo i consigli dati dall'Italia e dalle altre potenze a Costantinopoli dicendo che malgrado la promessa fatta dal Sultano che tutte le fortezze sarebbero in breve evacuate non credeva che ciò avverrebbe senza difficoltà e senza che si tentasse almeno di imporre alla Serbia condizioni per lei impossibili ad accettare. Mi incaricò di ringraziare l'E.V. per l'importante lettura che avevo avuto l'incarico di fargli e mi chiese di ritenere per quel giorno il dispaccio onde sottometterlo all'Imperatore, al che non mi seppi rifiutare.

Avendo io insistito affinché mi mettesse in grado di fare una qualche più esplicita e particolareggiata comunicazione circa le idee del Gabinetto di Pietroburgo, il Vice Cancelliere mi rispose non potere per il momento dire nulla di più preciso che quello da lui già comunicato al Conte di Launay avanti la sua partenza di qui giacché le idee del Governo Imperiale non erano cambiate, né poteva per un sentimento di delicatezza verso la Francia comunicare quali erano le proposte fatte dal Gabinetto delle TuHeries e sulle quali si cercava di stabilire un accordo. Mi promise appena potesse fornirmi qualche più precisa informazione di rendermene avvisato.

Più volte la settimana decorsa ebbi occasione di incontrarmi col Principe Gortchacow e ad ogni occasione non mancai di ricordargli la fattami promessa; ne ebbi sempre per risposta che nulla poteva dirmi di un poco importante, giacché se qualche cosa di nuovo vi era, consisteva solo nelle proposte fatte dal Governo francese le quali cambiavano ad ogni istante senza offrire però base assai solida per un accordo. «Non potrei dire che ciò che ho già detto, con altre parole, aggiungeva egli, e voglio che la mia comunicazione sia più importante; ho fatto domandare al Governo francese che mi autorizzi a comunicare lo stato delle negoziazioni ad altre potenze ma finora non venne risposta da Parigi.

Siccome in questo frattempo seppi che all'ambasciata di Francia si aspettava un corriere da Parigi pensai bene di aspettarne l'arrivo nella speranza che por

tasse la risposta alla domanda fatta dal Principe Gortchacow. Fui però deluso che il corriere giunto qui Domenica non portò risposta di sorta veruna al desiderio espresso dalla Russia di terminare il tete-à-tete colla Francia e convertirlo in negoziazioni in comune con quelle potenze che come noi si sarebbero trovate d'accordo sui principi generali.

Vedendo che la faccenda minacciava di trarre in lungo ancora mi decisi a non ritardare di più la partenza del corriere e ne diedi avviso al Principe Gortchacow. Egli mi ha fatto questa mattina rispondere non avere nulla affatto di nuovo da comunicarmi, di più di quello che l'E.V. ha saputo e dal Conte di Launay e da un dispaccio stato diretto di qui al Signor Kisselew, non essere giunta da Parigi la risposta che aspettava ed avere quindi fatto nuove istanze presso il Barone di Talleyrand afil.nché la Francia consentisse a comunicare lo stato delle trattative alle altre potenze invitandole ad aderirvi, la Russia essendo stanca di questo scambio di idee a due.

Il Signor Strémoukow nel riferirmi quanto il Principe lo aveva incaricato di dirmi entrò meco in alcuni più ampi particolari e da quanto mi ha detto confrontato con ciò che seppi da altre persone ho luogo di credere che lo stato attuale delle cose sia il seguente.

Le trattative fra la Francia e la Russia continuano senza però avanzare gran fatto. La Russia persiste a chiedere

lo L'annessione di Candia alla Grecia.

2° L'evacuazione senza condizione delle varie fortezze Serbe

3o Il collocamento della Servia in una posizione identica a quella della Rumenia.

4° L'adozione di misure pronte e pratiche proprie ad assicurare il benessere di tutti i Cristiani di Oriente, le potenze Europee riservandosi il diritto di sorveglia·re l'applicazione di tali misure.

5° Una rettiftcazione della frontiera Nord del regno Ellenico.

Quanto al primo punto, la Francia affaccia ancora talvolta delle velleità di accordare ai Cretesi solamente l'autonomia, talora chiede sieno consultate le popolazioni. Malgrado ciò ritienesi che il Gabinetto delle Tuileries finirà per acconsentire alla annessione pura e semplice dell'isola alla Grecia.

Il secondo punto può considerarsi come accettato non solo dalla Francia, ma anche quasi dalla Porta. Il terzo punto non formò finora soggetto di seria discussione fra le due potenze ma non sembra dovere offrire gravi ostacoli.

La divergenza si manifesta circa al modo di attuazione del quarto punto. Molte sono state le idee emesse dalla Francia, ma tutte furono finora ricusate dalla Russia come incapaci di raggiungere lo scopo a cui si vuole giungere. Mentre la Russia insiste sull'adozione di misure essenzialmente pratiche di facile applicazione e tali da produrre immediatamente un miglioramento nella condizione dei cristiani, la Francia progetta di chiedere alla Porta una più seria applicazione dell'Hatti-Humayoum che la Russia ricusa poter produrre l'effetto voluto, oppure propone misure che solo in un lasso di tempo molto lungo produrrebbero un qualche risultato come il piano di riforme generali da consigliarsi alla Turchia esposto nell'ultima memoria spedita dal Marchese di Moustier.

Circa l'annessione dell'Epiro e della Tessaglia, la Russia non insiste come per gli altri punti adducendo per motivo che la iniziativa di un tale progetto venne da Parigi dove sembra ora essere quasi che abbandonato ed inoltre il non esistere in quei paesi un moto di rivolta assai esteso.

Altra difficoltà la presentano le domande fatte dalla Francia alla Russia di restringere l'influenza del clero greco ed armeno in Oriente, e di fornire alla Porta i mezzi di civilizzare e migliorare le condizioni dei sudditi mussulmani col promuovere l'educazione l'industria ed il commercio. Ambedue queste proposizioni non furono accolte dalla Russia la prima perchè affare da trattarsi puramente dalla Porta col clero e con i suoi sudditi greci ed armeni senza l'ingerenza di potenze estere; la seconda perchè estranea allo scopo dalla Russia preftssosi cioè di occuparsi solo dei Cristiani e non degli altri sudditi della Porta.

Il Principe Gortchacow onde cercare di venire ad un accordo colla Francia e bramando al tempo stesso dirigersi alle altre potenze, ha or sono due giorni incaricato il Barone di Talleyrand di comunicare al suo Governo quanto segue.

Il Gabinetto di Parigi conoscendo le idee di quello di Pietroburgo ed il suo desiderio di uscire dalle trattative fra queste due sole potenze stenda un progetto di nota sia collettiva, sia identica da dirigersi alla Porta nel quale sieno esposte le domande da farle nell'interesse della pace in Oriente; tale progetto spedito al Barone di Talleyrand insieme a pieni poteri per modificarne la reda2iione ed una volta che si sia giunti ad una redazione che soddisfi ai due Governi si comunichi alle altre potenze Europee invitandole ad aderirvi ed agire a Costantinopoli sia collettivamente, sia con note identiche. Il Barone di Talleyrand promise di riferirne al suo Governo e la risposta non ne potrà essere qui giunta prima di una settimana a far presto.

Nel caso che un tale progetto non avesse l'assenso del Governo francese, o non si riuscisse a mettersi d'accordo, mi risulta che probabilmente la Russia si dichiarerebbe nella impossibilità di continuare a trattare colla Francia e riprenderebbe la sua intiera libertà d'azione.

(l) Cfr. n. 202.

266

IL CONSOLE GENERALE A BELGRADO, SCOVASSO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 168. Belgrado, 14 marzo 1867, ore 17,20 (per. ore 19,15).

Lettre vizirielle pas encore arrivée. Cependant Gouvernement serbe depuis quelques jours connait parfa.itement son contenu. Il y a un passage qui a donné lieu à des explications. Celles-ci ont été données verbalement et ont satisfait. Tout le monde est content. Le prince partira dans une ou deux semaines pour Constantinople accompagné de M. Marinovitch. L'ensemble de la situation est satisfaisant, elle promet l'ajournement pour un temps plus ou moins long du mouvement qui paraissait devoir bentòt éclater. L'agent roumain sur ordre de son Gouvernement reçu par télégraphe avant hier au soir est parti ce matin pour le Monténégro. Garachanine pense qu'il a mission de donner conseils au prince dans l'intérèt politique française, et troubler peut-ètre accord intime qui existe entre le prince Miche l et Nicolas ler pour les détacher de la ligue. Le consul autrichien est parti aussi ce matin pour Vienne. Je crois qu'il y est appe-lé par son Gouvernement.

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L'INCARICATO D'AFFARI A L'AJA, FAVA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. CONFIDENZIALE l. L'Aja, 13-14 marzo 1867 (per. il 19).

Il Barone di Tornaco, Presidente del Governo di Lussemburgo, è giunto ieri l'altro inopinatamente all'Aja. Ieri egli ebbe l'onore di essere ricevuto da Guglielmo III, ed oggi da S.A.R. il Principe Enrico, Luogotenente del Re Granducà nel Granducato di Lussemburgo.

Il tempo mi manca per verificare l'esattezza delle notizie che ricevo sullo scopo della sua venuta. Le riferisco quindi quali le ho raccolte, salvo a rettificarle più giù se mi riescirà di vedere in giornata il Barone di Tornaco, al quale mi sono già fatto annunziare.

* Vuolsi che il Re Gran Duca per farla finita con la quistione del Lussemburgo,* (l) e per procacciarsi in pari tempo l'appoggio della Francia nelle complicazioni prusso-neerlandesi *sia disposto a provocare nel Granducato un voto popolare, mediante il quale i lussemburghesi dichiarino se vogliono unirsi alla Prussia, ovvero preferiscono di essere annessi alla Francia. *

Apprendo poi da buona fonte che già da qualche giorno il Granducato è percorso da emissari francesi venuti per esplorarne le tendenze, e per contribuire all'uopo al buon esito della votazione.

Codeste voci hanno una gravità incontestabile. È evidente che mai la Prussia si farà sfuggire una fortezza che è un posto avanzato contro la Francia, e se questa intende disputargliela ad ogni costo, non è facile calcolarne le conseguenze.

È possibile che Napoleone III per rilevare il prestigio della nazione francese cotanto diminuito dai rapidi successi prussiani, preferisca scegliere per pretesto il Lussemburgo anziché le provincie renane dietro cui troverebbe la Germania riunita; ma la lotta sarà ad oltranza e l'esito incerto.

*I lussemburghesi * d'altronde ambiscono poco di divenire il pomo di discordia fra Prussia e Francia. Tutte le loro brame *si restringono a voler conservare la propria esistenza di cui sono in possesso fin dal 1839, e di svincolarsi dagli antichi rapporti che li legavano alla Germania. In altri termini essi non agognano diventare né Francesi né Prussiani, e non riconoscono a nessuna potenza il diritto d'intervenire nelle loro faccende. *

Riservandomi di riprendere questo dispaccio dopo aver veduto il Barone di Tornaco, 14 marzo 1867 0).

Mi fu impossibile di vedere ieri Tornaco il quale ebbe lunghe conferenze col Re e col Ministro di Francia.

L'ho veduto finalmente oggi. Egli è molto riservato, e si restringe a deplorare le voci che circolano sulle future sorti del Lussemburgo. Non le smentisce però, ed aggiunge essere difficile che un piccolo paese conservi e difenda la sua neutralità.

Esaminando l'eventualità di una guerra egli pensa che la Francia non è pronta perché i nuovi fucili non sono ancora distribuiti, e d'altronde la spesa fatta per l'esposizione universale andrebbe perduta.

Malgrado la circospezione del Ministro Presidente del Lussemburgo, l'impressione che ho avuto del nostro colloquio è che una alleanza fra la Francia ed i Paesi Bassi è in via di attuazione. Su quali basi non oserei indagare, ed i differenti Ministri esteri coi quali ho oggi conferito non sono meglio istruiti di me.

Il Ministro di Francia p01 e poco comunicativo anche con quei colleghi cui era solito aprirsi, ed il Conte di Zuylen risponde a chi lo interroga con la frase consueta che egli non è Ministro Lussemburghese.

Non perderò di vista questa nuova complicazione che in questo momento agita non poco il Lussemburgo, come V. E. potrà vedere nell'articolo qui accluso di un giornale di opposizione che si stampa nel Granducato.

(l) I brani fra asterischi sono editi In L V 11, p. 9 dove però, invece di «Il Re Gran Duca sia disposto» si legge <<qui sarebbero disposti».

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IL CONSIGLIERE DI STATO, TONELLO, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DI GRAZIA E GIUSTIZIA E DEI CULTI AD INTERIM, RICASLI

Roma, 14 marzo 1867.

Lunedì 11 corrente avendo ricevuto quasi contemporaneamente le tre note ministeriali dei precedenti giorni 6 8 e 9 (2) ed il dispaccio telegrafico dell'll stesso) (3), mi diedi premura di recarmi dal Cardinale Antonelli per comunicargli le nuove terne trasmessemi, e fargli tutte le altre proposte, e partecipazioni richieste dal contenuto dei mentovati fogli governativi. Jeri sera, poi, secondo l'intelligenza presa, tornai da Lui per sentire le sue risposte sia quanto alle nuove comunicazioni fattegli, che per le altre rimaste tuttora inesaurite, e vedere se fosse possibile di concertare definitivamente tutte le disposizioni da farsi nel prossimo Concistoro.

I risultati delle due conferenze furono i seguenti: Si ha per ammessa la traslazione ad Imola di Monsignor Moretti già preconizzato alla Diocesi di Cesena. Al quale proposito io espressi il desiderio del

Governo di lasciar vacante Cesena, a meno che si credesse coprirla colla traslocazione di qualche Vescovo ora in sede di minor importanza, qual sarebbe per esempio quello di Cervia.

Il Cardinale Morichini ha risposto declinando recisamente l'offerta di andare a Bologna. Ciò riuscì spiacevolissimo anche alla Santa Sede, e lascia un grande imbarazzo per la nuova scelta che abbisogna. La Santa Sede vi sta pensando; vegga pure il Governo se può trovare qualche proposta da presentare.

Il Vescovo di Mondovì ha pure risposto rifiutando la destinazione a Cagliari. Allora, secondo gli ordini ricevuti, io proposi di trasferirvi in di lui vece Monsignor Zinelli Vescovo di Treviso. Il Cardinale mi disse che sarà allo scopo interpellato.

Monsignor di Calabiana non ha ancora risposto ai nuovi eccitamenti fattigli dalla Santa Sede per l'accettazione della sede di Milano; qui tuttavia non dubitano dell'assenso; ma finché questo non sia giunto restano naturalmente sospesi i provvedimenti correlativi.

Per Pistoja già si hanno informazioni buone, e pare che sarà accettato il Canonico Bindi; tuttavia siccome si aspetta ancora qualche ragguaglio non si è potuto concludere.

Sono egualmente aspettate le informazioni per Siena, Como, Pavia e Girgenti, cosicché anche per queste le cose restano in sospeso. La traslazione di Monsignor Rossini a Molfetta non incontra che lievi diflicoltà di forma, che spero di potere far togliere io stesso.

La traslazione invece di Monsignor Livio Parlatore all'Arcivescovado di Lanciano non è accettata. Mi si diede per motivo ch'egli prese troppa parte agli affari politici (1).

Provocai pure le deliberazioni della Santa Sede su tutti, uno ad uno, gli altri proposti per le provincie Napoletane sia nella prima lista, che nelle successive. La risposta fu negativa per tutti, data all'appoggio d'un fascio di informazioni, delle quali il Cardinale mi lesse anche non pochi brani. I motivi sarebbero per la massima parte di essi quel medesimo addotto per Monsignor Parlatore, cioè la troppa partecipazione alle cose politiche, e per taluni altri la non sufliciente capacità di amministrazione; pei sacerdoti Diano e Santoro poi l'essere soverchiamente inoltrati negli anni ed affetti d'incommodi. Occorre perciò pensare ad altri proponibili, e deliberare sui proposti dalla Santa Sede, giacché sebbene io mi sia assai dibattuto col Cardinale per le accennate esclusioni non ho potuto ottenere migliore risoluzione, né questa la credo sperabile più tardi.

Interpretando le intenzioni del Governo io aveva già altre volte mosso parola al Cardinale, così per assaggiare il terreno, e senza fare formali proposte, sui due Abati Cassinesi Padre Pappalettere, che sempre si mostrò così oflicioso verso questa Missione, e Padre Tosti. Sua Eminenza parlò con molta stima dell'uno e dell'altro, ma disse che il primo sgraziatamente sofferiva di epilessia, e quindi era ineleggibile, e ciò riconobbi esser vero avendo egli sofferto più attacchi anche recentemente; ed il secondo, benché uomo di lettere rispettabilissimo, era conosciuto come al tutto inadatto all'amministrazione; tant'è che nel suo stesso Ordine, benché assai amato e pregiato, non aveva mai ottenuto un voto per un ufli

cio amministrativo qualunque. Avendo jcri sera ritoccato tale argomento, il Cardinale mi confermò il già detto, cosicché vidi essere inutile l'insistere.

Per Monsignor Frescobaldi esposi le ragioni per le quali il Governo non credeva di poterlo accettare. Il Cardinale ne rimase capace assai agevolmente, e dalla niuna insistenza che fece, potei accorgermi essere forse stato esagerato l'interessamento che si diceva prendere il Santo Padre per questo prelato.

Il Cardinale intanto mi diede in nota i seguenti altri soggetti:

Don Paolo Fabiani prevosto Capitolare di Gubbio.

Don Antonio Briganti parroco nella Diocesi di Perugia.

Padre Cajazza Agostiniano ora in Napoli già procuratore generale in Roma.

Don Nicola De Martino Vicario generale di Caserta.

Don Angelo Boccamazza Vicario generale di A versa.

Il Cardinale mi rimise il qui unito particolareggiato catalogo dei Condannati stati dal Governo Pontificio consegnati nel febbrajo 1865; lavoro redatto con molta prontezza e diligenza, e del quale io resi a Sua Eminenza le dovute grazie. Il catalogo precedente che l'Ambasciatore di Francia ammette di aver ricevuto, dice averlo in quel tempo mandato a Parigi né si sa come non sia pervenuto a mano del Governo Italiano.

Sua Eminenza m'intrattenne pure d'un grave affare riguardante la Sicilia. Subito dopo la soppressione degli Ordini Religiosi nacque colà il dubbio a chi fosse devoluta la giurisdizione che prima si esercitava dai Capi di quelle Corporazioni, specialmente nella provvista di Rettori, od altri sacerdoti destinati a certe Chiese. Il Consiglio di Stato, a cui su rapporto del Giudice della Monarchia fu deferito il dubbio, opinò, se non erro, in favore della giurisdizione degli Ordinari. Ciò non astante i Prefetti interpretarono la cosa diversamente, e credendo se stessi succeduti ai Capi degli Ordini abo1iti, fecero varie nomine di Rettori a chiese, nomine inoltre non sempre felici. La Santa Sede ritiene quei nominati mancanti di legittima giurisdizione; ed insta perché cessi un tale stato di cose. Voglia il Governo esaminare la questione, e dare quei provvedimenti, che valgano a rimettere le cose in istato regolare.

Siccome il Cardinale aspetta riscontri fra brevissimo termine, così si fissò nuovo convegno per la sera di domani onde concretare la nota dei preconizzandi pel Concistoro, che si terrà dopo il 20. Si spera paterne comprendere alquanti oltre i sedici già sinora concordati.

Il Console d'Inghilterra in questa città mi parlò già più volte, ed anche recentemente d'una pratica concernente il Cardinale Carafa Arcivescovo di Benevento, per la quale egli trasmise già al Ministero alcuni rapporti. Essendomi stata la stessa cosa raccomandata anche da altri personaggi ragguardevoli, prego il Ministero a voler sollecitare, per quanto si possa, i provvedimenti, e favorirmene un cenno per soddisfazione degli interessati.

Nel chiudere la presente devo ringraziare l'E. V. per quanto Ella mi ha riscontrato sul desiderio da me espresso pel ritorno in Firenze dopo ultimato il prossimo Concistoro. Io esprimeva tale desiderio sia perché sento bisogno di riposo,

sia perché esso era conforme al concetto che il Governo stesso mi aveva manifestato nella sua nota del 23 scorso febbrajo (1). È però inteso che anche ora, come sempre, io subordinerò le mie particolari aspirazioni a tutto ciò che possa essere richiesto dai bisogni del servizio.

Monsignor De Martis Vescovo di Nuoro mi ha rimesso le qui acchiuse due lettere l'una diretta a Sua Maestà, l'altra all'E. V. in ringraziamento dell'ottenuta nomina. Mi pregio di farne la trasmissione, come già feci per quelle di Monsignor Cerruti di Varazze.

P. S. Monsignor Dusmet Arcivescovo di Catania venuto oggi da me, mi manifestò la sua gratitudine e soddisfazione per l'assenso dato dal Governo a che egli potesse continuare a portar l'abito del suo Ordine. Mi disse però di porre il Governo in avvertenza se non fosse conveniente di rendere consapevoli della cosa i Prefetti di Messina e di Catania affinché non succedessero inconvenienti (1).

Mi disse inoltre che fra i Sacerdoti da Lui dipendenti aveva notizia esservi un tal Salvatore Politi Arciprete di Bronte, uomo di pessimi costumi, che fu recentemente condannato anche dal Governo a domicilio coatto. Egli intende usare della sua giurisdizione Canonica per distogliere un così pericoloso pastore dal gregge incautamente affidatogli; e desidera che il Governo ne sia prevenuto, affinché il Politi non riesca artificiosamente a sorprendere le autorità e trovarvi inopportuno appoggio.

Il Cardinale Antonelli mi fa tenere in questo momento una copia di Circolare stampata in data d'oggi stesso, colla quale si danno le disposizioni più volte promesse pel transito delle merci e bagagli sulle ferrovie. L'E. V. la troverà acchiusa alla presente (2).

Prima di sigillare il piego ricevo la nota Ministeriale del 12 corrente (3). Siccome domani a sera, come già dissi, devo recarmi dal Cardinale, non mancherò dì dare esecuzione a quanto in essa si contiene. Devo soltanto avvertire che quanto all'Arnaldi ed al Priori le supposizioni espresse nella nota non sono appoggiate al vero. Per l'Arnaldi sinora non v'è esclusione, standovi soltanto in aspettativa delle informazioni chieste sul suo conto. Pel Priori i motivi d'esclusione sarebbero diversi da quelli immaginati, e relativi a circostanze della sua vita privata, sul che io ebbi anche ragguagli indipendentemente da quellt accennatimi dal Cardinale.

Roma ut supra.

(l) -Questa seconda parte del Rapporto fu inviata parzialmente in cifra. (2) -Cfr. nn. 238, 250 e 253. (3) -Non pubblicato.

(l) Annotazione a margine: «Che significa sia qui o lì, poiché Egli è già Vescovo?».

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IL MINISTRO AD ATENE, DELLA MINERVA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 172. Atene, 15 marzo 1867, ore 16,45 (per. ore 11,07 del 16).

Fils du général Garibaldi a abandonné le projet de se rendre à Candie. Il reste ici 20 jours. Comité de Constantinople promet avoir tout pret à cette époque pour agir dans les provinces du continent. Il a envoyé en Italie instructions de

(-3) Cfr. n. 261.

suspendre pour le moment envoi d'autres vo:ontaires... (l) en sont arrivés 80 hier (2), deux biì.timents de guerre tures sont à l'ancre port du Pyrée pour faire chasse à l'« Arcadion » s'il sort.

(l) -Cfr. n. 203. (l) -Annotazione a margine: «Da comunicarsi all'Interno». (2) -Non si pubblica.
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IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, ALL'INCARICATO D'AFFARI A COSTANTINOPOLI, DELLA CROCE

D. 31. Firenze, 15 marzo 1867.

Jeri il Ministro di Turchia è venuto a vedermi e mi ha dato lettura di una circolare indirizzata da Fuad Pacha ai Rappresentanti del Governo Ottomano allo estero. È un documento piuttosto lungo che non ho sott'occhio, ma del quale mi affretto comunicarle il concetto principale e l'impressione che me ne è rimasta.

Il Ministro del Governo Imperiale cominciò dal fare un'apologia delle riforme d'ogni maniera introdotte negli ultimi anni in tutte le parti dell'amministrazione, e delle quali dice che non si ha in Occidente un'idea abbastanza esatta, perché si possa apprezzarne tutta l'importanza. Partendo da questa base egli crede molto esagerate le querele che si fanno contro il Governo, e attribuisce più che a vero malcontento interno, a suggestioni estere i moti che di quando in quando si vanno destando in questa o in quella provincia dell'Impero. Del resto secondo Fuad Pacha anche l'importanza e l'estensione di questi moti è molto esagerata in Occidente. L'isola di Candia può dirsi pressoché rappacificata; ed alla repressione già in gran parte ottenuta, succedono a quest'ora le misure riparatrici che la presenza di Deputati candiotti a Costantinopoli renderà più agevoli a compiersi nell'interesse di quelle popolazioni. La voce sparsa di una possibile diminuzione del territorio turco non è tra le ultime cagioni che prolungano un simulacro di resistenza che sarebbe del resto a quest'ora interamente cessata.

Il Ministro degli Affari Esteri di Turchia soggiunge che nelle altre provincie dell'Impero la tranquillità è completa. A riprova di questa asserzione alla circolare di Fuad Pacha erano aggiunti varii indirizzi in cui, a nome della popolazione della Tessaglia, dell'Epiro e della Bulgaria, erano manifestati sentimenti di devozione verso il Sultano. La Sublime Porta non sarà mai per ammettere la possibilità di un volontario abbandono d'alcuna parte del suo territorio; quando nessuno si mescoli ne' fatti suoi essa ritiensi abbastanza forte da mantenere inviolata l'integrità dell'Impero. Grandi riforme, come dicevasi, furono in questi ultimi anni attuate; il Governo Imperiale è disposto a proseguire sulla medesima

<<Sia per proprio consiglio sia. per consiglio del Comitato che non amerebbe l'elemento estero mescolato nell'insurrezione in Candia, il giovane Garibaldi depose il pensiero di recarsi in Candia. E ben fece poiché dopo aver sopportato fatiche e privazioni straordinarie gliene verrebbe anche contestato il merito e l'onore. Di quei pochi italiani che sono morti combattendo non se ne fece mai la. più piccola menzione.

So di certo che il Ricciotti conta fermarsi in Atene 15 a 20 giorni, ed intanto vedere di organizzare con gli 80 che sono arrivati oggi al Pireo quelle bande destinate a. fare un'Irruzione nella Tessaglia od In Epiro. Persuaso che non sarebbe piccolo imbarazzo il far venire un forte numero di volontarj, ha spedito istruzione In Italia di sospendere per ora. ogni partenza sino verso 1 primi dell'entrante mese, epoca In cui il Comitato gli promise di aver tutto pronto per far un tentativo con speranza di successo nelle provincie limitrofe».

via c si ripromette dl:l. questa politica la soddisfazione degli interessi legittimi di tutti i popoli e di tutte le confessioni soggetti alla sua dominazione. Queste sono a un dipresso le idee della circolare Ottomana.

Io osservai a Rustem Bey che a torto dolevasi il suo Governo del contegno delle Potenze in faccia agli avvenimenti che si erano svolti in questi ultimi tempi. Che l'indifferenza da parte delle grandi Potenze in presenza di fatti che potevano, estendendonsi, diventare un pericolo non solo pel Governo Imperiale, ma per la pace generale dell'Europa, non sarebbe stata né degna né prudente, e nemmeno possibile a mantenersi a lungo. La spiegazione che il Governo Ottomano vorrebbe dare ai movimenti che a brevi intervalli si vanno succedendo in varie parti del suo Impero, nonché essere sutllciente, è anzi una confessione indiretta de' mali che pur vi sussistono. Imperocché le pretese suggestioni del di fuori, se pur fossero vere, non avrebbero alcun risultato, quando al di dentro non abbondassero gli elementi del malcontento.

Ho aggiunto che il Governo italiano non poteva accogliere che con molta riserva le assicurazioni così formali che si contenevano nella circolare di Fuad Pacha sullo stato degli animi nelle provincie abitate dalle popolazioni cristiane e sulle guarentigie morali della loro futura tranquillità. Era a desiderarsi che gli uomini di Stato dell'Impero Ottomano, il cui spirito illuminato non doveva essere accessibile a pericolose illusioni, volessero antivenire con larghi e generosi rimedi il progresso ed il peggioramento del male, poiché le concessioni non servono ad irritare le speranze che quando esse vengono tardi e come imposte dai fatti, perdendo quel carattere di spontaneità che ingenera la fiducia e la riconoscenza.

Il Governo italiano teneva questo linguaggio, perché era animato da sentimenti amichevoli verso la Turchia e dal desiderio che una vasta conflagrazione non finisca a propagarsi in Oriente. Esso credeva che la migliore politica e la più veramente conservatrice è quella che ha il coraggio di fare a tempo le concessioni necessarie, per non doverne subire più tardi di assai più gravi e dolorose che se poi in seguito gli avvenimenti incalzassero il Governo Ottomano non avrebbe che ad attribuire a se medesimo le conseguenze che i fatti stessi avrebbero prodotte e che esigessero per avventura dei sacrifici che si sarebbero prima potuti evitare. Queste sono a un dipresso le osservazioni da me fatte a Rustem Bey. Ella vorrà conformare il suo linguaggio costà al tenore della presente.

(l) -Gruppo indecifra.to. (2) -Si pubblica qui un brano del r. 27 di Della. Minerva del 16 marzo:
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IL MINISTRO RESIDENTE A CARLSRUHE, GIANOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 71. Baden, 15 marzo 1867 (per. il 19). Trattenuto alcuni giorni in casa da una indisposizione, jeri solamente potei

recarmi a Carlsruhe e vedervi il Barone Freydorf. Oggetto della mia visita si era 379

28 - Documenti diplomatici -Serie I -Vol. VIII

di appurare la verità della voce corsa C::i un prossimo viaggio delle LL. AA. RR. il Granduca e la Granduchessa a Berlino (1).

S. E. mi accolse colla usata cordialità e si compiacque dirmi che effettivamente il 18 corrente il suo Sovrano in compagnia dell'Augusta Consorte, sarebbero partiti alla volta di Berlino, per presentare in occasione del compleanno di Sua Maestà i loro omaggi e felicitazioni al rispettivo suocero e genitore. Il Barone Freydorf soggiunse che S. A. R. il Granduca non si tratterrebbe in Berlino più di otto giorni, ed avrebbe, ripartendo, lasciato in seno alla Reale famiglia l'Augusta sua Consorte che sembra abbia a f::>.rvi alquanto più lunga dimora. << Les démocrates et le~ cléricaux hostiles à la Prusse critiqueront sans doute le voyage de Leurs Altesses. Leur critique est pour nous une garantie de la convenance de la chosé lors que ces deux partis extrèmes se livrent à des d?clamations, c'est un signe que nous sommes dans le bon chemin ».

Il Ministro Granducale degli Affari Esteri passò quindi di sbalzo a svelarmi che un trattato d'alleanza offensiva e difensiva (Trutz und Schutz biindniss) era stato conchiuso tra Baden e la Prussia il giorno stesso, 17 agosto u. s., nel quale era stato conchiuso e sottoscritto il trattato di pace. Il Barone Freydorf dice che la Baviera ed il Wiirtemberg hanno fatto altrettanto, ma ignora se lo stesso ne sia dell'Assia-Darmstadt. « Nous avons tenu secret ce traité pour ne pas éveiller les susceptibilités des puissances étrangères. Nous étions dans notre droit en le faisant, puisque nous sommes Etats Souverains et indépendants, et que le but de notre alliance n'est pas autre que celui de protéger et défendre le territoire Allemand contre toute agression de quelque còté qu'elle vienne. On a fait une vague allusion à cette alliance dans l'article de la Gazette de Carlsruhe du 10 courant (di cui ebbi l'onore di riferirne all'E. V. col mio Dispaccio n. 70 Politico, in data 11 corrente (2) la où il est dit que les trois Etats du Sud, qui se trouvent cn ce moment, il est vrai, en rapports d'alliance mais pas d'étroite Confédération avec les Etats de l'autre c6té du Main, ont une population etc. etc. Mais le Comte de Bismarck a dans son discours du 11 courant au Parlement du Nord, soulevé davantage le voile couvrant nos rapports réciproques en déclarant qu'il retenait l'Union du Nord et du Sud de l'Allemagne vis-à-vis de toute attaque, en toute question où il s'agirait de la surété du territoire Allemand, camme définitivement assurée. Dans le Sud, a-t-il dit le Président du Conseil Prussien, le doute n'est pas possible que dans le cas où son intégrité soit mise en danger le Nord ne lui vienne au secours tratcrnellement et sans restriction; dans le Nord il n'y a pas de doute que nous pouvons compter avec assurance sur le secours du Sud contre toute agression qui peut nous survenir. A la suite de ces déclarations explicites du Comte de Bismarck je me crois autorisé à vous révéler l'existance de notre traité d'alliance avec la Prusse, camme je crois inutile d'ajouter que ce traité n'a été inspiré par aucun sentiment d'hostilité envers les Puissances étrangères, mais seulement par le desir de pourvoir efficacement à la surété de notre territoire ».

Nel porgere i miei ringraziamenti al Barone Freydorf per la datami partecipazione, io ebbi a rimarcargli che ancorché l'esistenza di un tale trattato d'al

leanza non fosse pubblicamente nota, la natura dei rapporti però fra il Granducato di Baden ed il Governo Prussiano era tale, da ingenerare l'opinione, che b::m altri legami dovevano esistere fra i due paesi che non quelli risultanti dal semplice contesto del Trattato di Pace. A ciò l'illustre mio interlocutore rispose che l'urgenza di provvedere alla sicurezza del territorio rispettivo dei due Stati, nonché il bisogno di proteggere i reciproci interessi aveva bastato a far sentire alle due parti contraenti l'utilità non solo ma la necessità di una simile alleanza.

Appena uscito dal Ministero degli Esteri mi recai dal Marchese di Cadore (l) dal quale seppi che il Barone Freydorf aveagli pur fatto quella comunicazione, servendosi pressoché delle stesse identiche frasi usate meco, insistendo però con lui particolarmente sul punto che nessuno spirito di aggressività verso la Francia aveva dato origine a quel Trattato. Il Ministro di Francia mi parve convinto di tal cosa e dissemi che a suo avviso quell'alleanza doveva essere stata chiesta con maggior calore dalla Prussia che non dagli Stati del Sud, in vista particolarmente della posizione in cui nel mese di agosto si trovava l'Austria, ed all'oggetto di prevenire, qualora non si fosse giunti alla conclusione della pace, che gli Stati del Sud potessero nuovamente essere dall'Austria trascinati a far seco lei causa comune contro la Prussia. Egli adduce in appoggio di questo suo avviso, la considerazione che l'opinione pubblica nei varj paesi germanici e le disposizioni dei singoli Governi dispensavano dalla necessità di sottoscrivere simile trattato, se si fosse avuto in mira un attacco dalla Francia « dans ce cas-ei, avec ou sans traité, tout le monde se serait precipité contre nous; l'unité d'Allemagne serait dcvenue un jait accompli ».

Io accetto e divido in parte si, in parte no le opinioni del Marchese di Cadore; mi dispensai però dall'entrare seco lui in discussione, ravvisandone evidente l'inutilità di fronte ai fatti, i quali possono bensi essere differentemente apprezzati senza che vengano perciò a cambiare di natura od a scemare di portata.

Per me il fatto di quel Trattato d'alleanza da qualsiasi parte egli provenga, è un fatto rilevantissimo; desso ha servito a rassicurare gli animi inspirando bastante fiducia nei Governi e per mezzo di questi nelle popolazioni; desso ha senza dubbio servito di punto d'appoggio al Signor di Bismarck nella sua politica verso le estere potenze in ordine a certe pretese di cui fu discorso presso a poco a quell'epoca; desso ha servito di punto di leva agli Stati del Sud per decidersi ad una Conferenza onde stabilire nei singoli territorj un'organizzazione militare uniforme, conforme alla prussiana; desso serve di palladio agli Stati esclusi dalla Confederazione del Nord contro i pericoli cui potevano andare esposti in seguito allo sfacelo della Confederazione Germanica; desso, in ultimo, servirà di germe a quei più intimi e più stretti accordi che, annunziati dal Re di Prussia nel suo discorso inaugurale al Parlamento del Nord, sono in cima ai desideri ed alle aspirazioni dei popoli e dei Governi al di qua ed al di à del Meno.

~ annunziato per domenica prossima un meeting in Offenburg (Granducato di Baden) convocato dai caporioni del cosidetto partito democratico. Il programma è il seguente:

l. Questione tedesca: voglia il meeting in adesione al programma di Stoccarda dell'l! Novembre scorso, dichiarare: che l'attuale progetto di costituzione della Confederazione del Nord non corrisponde nè al bisogno d'Unione, nè a quello di libertà del popolo tedesco. Quest'ultimo richiede una Costituzione che unisca tutte le razze tedesche, e che assieme all'istituzione di un emcace potere centrale garantisca l'indipendenza dei singoli Stati nei loro affari particolari, come pure i diritti fondamentali del popolo tedesco, determinati nella Costituzione. Ad ottenere questo scopo ed a rimuovere i gravi pericoli coi quali la divisione della patria ci minaccia aspettano i popoli dei quattro Stati meridionali, al presente isolati, una cooperazione dei loro Governi con forze riunite e conseguentemente la convocazione di un Parlamento speciale per la Germania del Sud.

2. Rispetto agli affari badesi:

Al il popolo domanda un energico compimento dell'opera riformatrice incominciata nell'anno 1860. B) di fronte al minaccioso e violento stato delle cose è necessaria la trasformazione dell'organizzazione militare. Confida perciò il popolo che: l. allo scopo di ottenere la più estesa forza armata e la vera eguaglianza d'innanzi alla Legge, il principio dell'armamento generale sia efllcacemente eseguito, ed ogni individuo tenuto al servizio militare sia esercitato alle armi; 2. che la presenza in tempo di pace sotto le bandiere non abbia a durare al di là di quanto è richiesto del bisogno dell'istruzione militare; 3. che mediante esercizii militari preliminari della gioventù, e favori da accordarsi alle associazioni popolari per la difesa nazionale e 4. l'esercitazione degli individui tenuti al servizio mUtare, nello scopo di rendere meno grave il peso che ne risulta. abbia luogo possibilmente in ciascun circolo.

Riservandomi, ove l'importanza delle discussioni lo richiegga, di riferire all'E. V. sull'esito di questo meeting, il cui programma fa in questo momento gran rumore nella stampa...

P. s. Il Signor Conte Flemming, Ministro di Prussia, parte contemporaneamente alle Loro Altezze Reali per Berlino, ove si tratterrà, mi disse, cinque o sei settimane. Il Marchese di Cadore è pure in procinto di recarsi a Parigi, ove egli spera ottenere un'altra destinazione.

(l) -Il Granduca del Baden era Federico Guglielmo I; la Granduchessa era Luisa, figlia di Guglielmo I di Prussia. (2) -Non pubblicato.

(l) Louis Champagny, ministro di Francia a Carlsruhe.

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L'INCARICATO D'AFFARI A BERLINO, QUIGINI PULIGA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 6. Berlino, 15 marzo 1867 (per. il 21).

Les journaux nous ont apporté ou plutòt apporté à la Prusse, la nouvelle d'une cession, moyennant compensation pécuniaire à la France du Luxembourg. Cette nouvelle a été aussi télégraphiée au Gouvernement Prussien par ses Agents de Londres et de Paris. Le départ précipité de l'Ambassadeur de France a jusqu'à un certain point confirmé ce bruit qui persiste dans nos cercles diplomatiques malgré le démenti donné par le journal la France. La Prusse, d'après ce qu'il me résulte, verrait se réaliser cette cession avec un déplaisir marqué: elle ne s'en émeut certes pas outre mesure mais elle serait désappointée si cette porte venait à se fermer devant elle. Mon collègue de Hollande m'a assuré que il n'a reçu de son Gouvernement aucune communication à cet égard, et a donné la meme assurance à M. de Thile. Le sous-Sécrétaire Prussien a interprété ce silence, comme s'il y avait dans ce bruit quelque chose de vrai; il n'y a pas de fumée sans feu, m'a-t-il dit. La Prusse subirait dans le cas de cette cession un échec, qu'elle aurait pu éviter, si elle s'était montrée moins raide dans les négociations entamées depuis longtemps avec le Gouvernement des Pays-Bas, au sujet de la forte4 resse de Luxembourg et de l'entrée du Limbourg dans la Confédération du Nord.

Une considération dont il faut aussi tenir compte et qui a pu peut-etre décider les Pays-Bas à faire, ou à négocier cette cession, c'est une assertion qu'on a plusieurs fois trouvée dans les journaux Prussiens qui passent pour recevoir des inspirations du Gouvernement. La question du Luxembourg, disaient-ils c'est une question que la Prusse se réserve de traiter et de résoudre lorsque la Confédération du Nord, et du Sud de l'Allemagne auront fait leur jonction. C'est alors qu'elle (la Prusse) pourra demander avec espoir de succès une rectification de frontières à la Hollande.

Sans pouvoir donner à V. E. les renseignements précis au sujet de ces bruits, j'ai cru toutefois devoir les mentionner, à cause de l'effet et des conséquences que cette cession, si elle se réalisait, pourrait produire en Prusse.

P. S. J'ai cru devoir attendre le retour du courrier Longo de Pétersbourg pour lui remettre mes dépeches politiques n. 4 et 5 (1). V. E. remarquera et voudra bien m'excuser ce retard.

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IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, ALL'INCARICATO D'AFFARI A COSTANTINOPOLI, DELLA CROCE

T. 126. Firenze, 16 marzo 1867, ore 17,35.

Votre projet de note à Fuad pacha (2) est approuvé jusqu'aux paroles « intégrité de l'Empire Ottoman ». Ce qui suit doit etre modifié de la manière suivante: « Je pense pouvoir me dispenser d'entrer dans une discussion retrospective sur l'interprétation à donner au traité de Paris de 1856 ».

Je me bornerai donc, etc. comme dans votre projet (3).

(l) -Cfr. nn. 239 e 240. (2) -Cfr. n. 251, allegato III. (3) -Il 19 marzo furono Inviati al rappre~entantl a Berna, Londra, Pari.gi e Vienna dispacci per informarli della soluzwne di questa questione.
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IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DI GRAZIA E GIUSTIZIA E DEI CULTI, AD INTERIM. RICASOLI, AL CONSIGLIERE D STATO, TONELLO

Firenze, 16 marzo 1867.

Ho sott'occhio il graditissimo rapporto della S. V. Onorevolissima in data del 14 di questo mese (l) e riferendomi ad alcuni de' punti in esso toccati e ad altri di cui è cenno ne' rapporti precedenti, debbo farLe una dichiarazione di massima, che Ella vorrà tosto recare a notizia del Cardinale Antonelli.

Il Governo del Re ha la coscienza d'aver messo in piena luce la sincerità e lealtà del suo proposito di secondare i desiderii della Santa Sede per la provvista delle diocesi vacanti nel regno, e, facendo fondamento sui fatti, può altresì affermare d'aver all'uopo dato segno degli spiriti più conciliativi e della maggiore deferenza. Egli sperava che la Santa Sede gli avrebbe di tutto ciò reso merito, e che dal suo canto avrebbe tenuto conto delle condizioni del Governo del Re, ed in ispecie fatto ragione a quelle considerazioni che in più incontri non mancò di sottometterle circa lo stato dell'opinione pubblica nel regno e circa la necessità di condiscendervi. Ma pur troppo egli ha dovuto persuadersi del contrario, vedendo esclusi quasi tutti i suoi candidati e disdette le sue proposte di traslazione di que' Vescovi, a favor de' quali sull'appoggio del voto pubblico aveva mosse le più calde raccomandazioni. Non è suo intendimento d'entrare intorno a ciò in alcuna discussione, e nemmanco di prendere in esame il generico appunto fatto a' suoi candidati, d'aver preso troppa parte agli affari politici, sebbene in tale argomento potrebbe osservare che costì si dà carico soltanto a quegli ecclesiastici, che si mescolarono di politica in servigio della causa nazionale, e che all'ultimo nessuno dei candidati governativi prese tal parte agli affari politici da eccedere la misura imposta agli ecclesiastici, e l'obbligo d'ogni buon cittadino. Il Governo del Re professa di rispettare quelle ragioni di convenienza, onde la Santa Sede reputa di pigliare indirizzo; ma nel tempo stesso non può rimanersi dal dare il giusto valore alle proprie, e quindi è costretto ad insistere nelle proposte già fatte quanto alle sedi di Genova, di Capua e di Lanciano ed a soggiungere che non potrebbe ammettere l'assoluta esclusione di tutti i suoi candidati, massime per le diocesi delle provincie napoletane.

In tale stato di cose, non essendo da coltivar la lusinga, che la Santa Sede si

remava da' suoi propositi; e dovendosi, perciò, prevedere che i successivi concerti

richiederanno un tempo assai lungo, il Governo del Re, sia per lasciar campo alle

relative indagini, sia per far ragione al desiderio dalla S. V. espresso di avere un

intervallo di riposo dalle cure di cotesta sua missione, ha deliberato di assentire,

che come sian presi i definitivi concerti per la provvista di quelle Sedi, i cui titolari

devono essere preconizzati nel prossimo Concistoro, e come il Concistoro stesso

sia stato tenuto, Ella faccia ritorno qui per rimanervi, finché non si siano dalle

due part1 assunti tutti i necessari ragguagli sulle sedi che restano da provvedere e sui soggetti da destinarvi.

Di ciò Ella vorrà dare preciso ragguaglio al Cardinale Antonelli, riferendo tosto ciò ch'egli fosse per osservargli in proposito, e vorrà pur toccare al Santo Padre nell'udienza di commiato che sarà per chiedergli, nella quale non ammetterà di accennare al rammarico del Governo del Re, perché finora non siasi potuto procedere a un completo assestamento circa le diocesi vacanti (1).

Or venendo a' particolari del suo ultimo rapporto, s'intende ammessa la traslazione del Vescovo di Comacchio alla sede di Imola, né è più il caso di occuparsi di quella di Cesena, che rimarrà vacante, finché non si venga ad altri concerti. Assai mi duole del rifiuto del Cardinale Morichini; ma per ora non crede il Governo di dover fare alcuna proposta per la sede di Bologna. tenendo per ferma l'intelligenza che non vi sia mandato il cardinale Guidi.

Se il Vescovo di Treviso accettasse la traslazione a Cagliari, ed essa potesse aver luogo nel prossimo Concistoro, sarebbe combinazione assai propizia, né punto urgerebbe di coprir subito la diocesi di Treviso.

Il Governo sarà lieto che alle sedi di Siena, Pistoia, Como, Pavia e Girgenti si provveda nel prossimo Concistoro; ma se nuove difficoltà sorgessero in proposito converrà !asciarle vacanti, finché non possano essere superate.

Tengo a notizia quanto Ella riferisce intorno a Monsignor Parlatore, ai sacerdoti Diano e Santuoro, ai padri Tosti e Pappalettere, a Monsignor Frescobaldi, al sacerdote Arnaldi e al padre Priori.

Farò prontamente assumere ragguagli intorno ai soggetti indicati nel suo rapporto, e La prego a rassegnare al Cardinale Antonelli l'accluso elenco di ecclesiastici delle provincie napoletane (2), nella fiducia che non cadano anche essi sotto la consueta esclusione.

Ho per fermo di poterLe in una prossima Nota dar conto delle disposizioni che si prenderanno circa il lamentato sconcio delle nomine dei Rettori delle chiese dei soppressi conventi di Sicilia, e circa la domanda sull'indossamento dell'abito monastico di Monsignor Arcivescovo di Catania, al quale potrà fin d'ora dare assicurazione che il sacerdote Politi, arciprete di Bronte, troppo ben conosciuto anche dal Governo, non avrà punto l'appoggio della podestà civile.

Ai richiami del Cardinale Carafa, arcivescovo di Benevento, pei restauri del suo episcopio e per lo sgombro del Seminario fu fatta piena ragione, e il Governo ha argomento per credere che quel Prelato ne sia rimasto pienamente soddisfatto.

PregoLa di procacciare il recapito dall'acclusa mia risposta al Vescovo di Sassari.

La ringrazio dell'invio del catalogo dei condannati consegnati dal Governo Pontificio nel febbraio del 1865 e della Circolare circa il transito delle merci e bagagli sulle ferrovie, di cui ho fatta trasmissione al mio onorevole Collega Ministro degli Affari Esteri.

(-2) Non rinvenuto.

(l) Cfr. n. 268.

(l) -Fin qui edito in Carteggi Ricasoli, vol. XXV, pp. 445-447 e in E. DEL VECCHIO, La missione Tonello, in «Studi romar.i >>, anno XVI, n. 3, luglio-settembre 1968. appendice IV.
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IL CONSIGLIERE DI STATO, TONELLO, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DI GRAZIA E GIUSTIZIA E DEI CULTI AD INTERIM, RICASOLI

(Ed. in Carteggi Ricasoli, vol. XXV, pp. 447-451) (l)

Roma, 16 marzo 1867.

Jeri sera, secondo la presa intelligenza, fui di nuovo dal Cardinale Antonelli per determinare definitivamente la nota dei preconizzandi, ed il giorno del Concistoro. Non si è potuto fare né una cosa né l'altra, non essendo giunte ancora le risposte aspettate, in ispecie quella di Monsignor di Calabiana, che per altro si ritiene sicura, e quella di Monsignor Ferrè. Fu fissato nuovo ritrovo per martedì prossimo 19 corrente.

Intanto in esecuzione degli ordini ricevuti io ripresi il discorso su Monsignor Rinaldi Vescovo di Pinerolo, e Monsignor Fanelli Vescovo di S. Angelo de' Lombardi. Io espressi colla più grande energia il vivo rincrescimento che sentiva il Governo per la ripulsa di quei degnissimi prelati; dimostrai come fossero al tutto infondati ed inattendibili i motivi che si assumevano per coonestare un tale atto; rimproverai con vivacità, come tutto ciò procedesse puramente e semplicemente da male avvisate considerazioni politiche, e nullamente dallo studio del bene della Religione; feci sentire il pessimo senso che siffatte cose non potevano a meno di fare sulle popolazioni e sul clero stesso; notai con insistenza, che con ciò male si corrispondeva alla grande condiscendenza che il Governo aveva sinora dimostrata; e che questo, vedendo con quale sistematica ostilità si accogliessero quasi tutte le sue proposte, poteva assai facilmente accorgersi, che i propositi di conciliazione erano tutti troppo esclusivamente dalla parte sua; dissi queste e più altre cose nello stesso senso; né mancai di mettere in campo anche alcuni argomenti miei personali, osservando come Pinerolo essendo la mia Diocesi d'origine. non avrei potuto a meno d'incontrarvi gran biasimo per la trascuranza in cui si fosse lasciato quell'illustre prelato, i cui meriti distintissimi erano a me pienamente noti: soggiunsi che questo ostinato ed irragionevole rifiuto avrebbe pure convinto il Governo dell'insufficienza del suo oratore etc.; ma pur troppo tutto fu inutile. Mi si facevano mille scuse e proteste; si attestava che soltanto motivi religiosi e l'interesse della Chiesa erano di mezzo nelle lamentate ricusazioni; si cercava con amichevoli dimostrazioni di calmarmi, dacché io era veramente incalorito; ma non fu caso che si rimovesse dalla data ripulsa.

Dopo questa scena burrascosa io, benché sentissi un po' di rincrescimento di rispondere con una nuova deferenza in tale momento al modo di trattare della Santa Sede, espressi l'accettazione del Governo nella proposta fatta del Canonico Colli Vicario Capitolare di Adria per la detta Diocesi. Così questa nomina formerebbe la diciassettesima di quelle finora concertate.

In seguito con grandi precauzioni ed attenuanti il Cardinale mi annunciò, che dietro le prese informazioni la Santa Sede si trovava nella spiacevole circostanza di non poter ammettere né l'una né l'altra delle terne presentate per

Como, e per Pavia. I candidati proposti erano in concetto di giansenisti, oltracciò dichiarati passagliani, ed alcuni anche poco idonei all'amministrazione d'una Diocesi.

Eguale ricusazione espresse per i due proposti per Siena. Essi, a sua detta, eransi in varie circostanze mostrati evidentemente poco riverenti verso la Santa Sede, mettendosi anche in dissenso per quest'oggetto col Capitolo e col Clero; erano inoltre poco curiosi dei loro doveri Ecclesiastici etc.

L'E. V. può credere se io rinnovai i richiami e le proteste contro queste nuove esclusioni. Dissi che queste, e le precedenti, e quella in massa di tutti i proposti per le provincie napoletane, manifestatami definitivamente nel precedente colloquio erano tal còsa da far cadere le braccia al Governo, e disarmare qualunque buona volontà; per quanto forte e robusta in lui si fosse. Che invece di cercare vaghe accuse, risuscitare viete e sepolte questioni e dar corpo a qualche vana ombra, era da tenersi gran conto dell'opinione pubblica, la quale constava al Governo al tutto favorevole ai candidati proposti anche presso le persone le più prudenti, temperate, e pie. Che ormai pareva. che la Santa Sede volesse nei candidati eleggibili non soltanto una condotta moderata e neutrale, come si era detto altre volte, ma che avessero fatto qualche atto di ostilità al Governo. Che al punto, in cui si era io sentiva l'inanità dei nostri sforzi per progredire più avanti, e portare a compimento l'opera incominciata, giacché il Governo per le sedi di Genova, di Capua e di Siena in ispecie era deciso di non recedere dalle fatte proposte, né ammettere altri candidati, come mi aveva dato ordine espresso di dichiarare; insomma io di nuovo feci con tutto il calore quanto mi fu possibile per condurre la Santa Sede a diversi intendimenti; ed anzi mi parve perfino in qualche momento d'avere ecceduto, se non mi avesse rassicurato sempre il tono benigno e rimesso, col quale si accoglievano le mie osservazioni, e le effuse proteste e dimostrazioni in contrario, che mi faceva il Cardinale per raddolcirmi. Con tuttociò per altro la data negativa non venne ritirata.

Per la tema di Pistoja si accettò come eleggibile il Canonico Bindi; ma (e qui stava il nodo, a quanto ho potuto capire, delle opposizioni che si facevano ai proposti per Siena) si suggerì di nominarlo invece a quest'ultima sede. Ed a questo proposito devo notare che mentre si stava in colloquio col Cardinale, venne portato un biglietto del Santo Padre, col quale si raccomandava caldamente l'accettazione della nomina del Bindi a Siena. Ma io, malgrado il rispetto e la deferenza che riprotestai verso Sua Santità, respinsi assolutamente questa proposta, fermo nella dichiarazione emessa a nome del Governo, che per la detta città non si accettavano altri candidati, quando quelli proposti non si fossero dalla Santa Sede voluti ammettere; e ricusai anche l'incarico che mi si voleva dare a nome del Sommo Pontefice, di riferirne al Governo. E poiché non riuscii a far consentire la Santa Sede alla nomina del Bindi per Pistoja, dissi che si avrebbe avuto il doloroso risultato, del quale però non toccava al Governo la responsabilità, di lasciare intanto le due sedi vacanti.

In questo stato di cose, come già altra volta accennai, mi sembrerebbe che fatto il prossimo Concistoro colle nomine già sinora intese, e quelle di Molfetta e forse di Girgenti. le quali pure benché non ancora definitivamente ammesse

si ritengono mature, il meglio sia che io prenda congedo e me ne parta di questa città. Se non che su questo delicatissimo punto mi abbisogna conoscere bene le intenzioni del Governo, se cioè, nel caso, io debba congedarmi definitivamente e come per chiusura di missione, oppure sotto forma di congedo temporaneo, lasciando l'addentellato per la continuazione delle trattative o per opera mia, o di chi altri credesse il Governo di destinarvi. Io crederei preferibile questo secondo partito, il quale mentre dà tempo al tempo, e può valere a temperare e modificare alquanto le vedute della Santa Sede, le quali oggi nella scelta delle persone sembrano troppo inspirate a risentimenti di partito, lascia al Governo impregiudicata la libertà d'azione per l'avvenire. L'importanza della cosa mostra per se stessa la necessità, che le risoluzioni del Governo mi pervengano prima di martedì sera, onde io possa averne norma nella mia condotta.

Prima di partire dal Cardinale gli chiesi notizia dello stato della pratica concernente i detenuti politici, dei quali si era ultimamente discorso. Sua Eminenza mi disse, che si era già dato effettivamente loro l'avviso di chiedere la grazia; che per altro sinora niuna domanda, forse per la brevità del tempo, era stata rassegnata.

Chiesi anche notizie sul brigantaggio, del quale corrono qui pessime voci, specialmente per le provincie di Frosinone. Egli mi disse che in realtà oltre un centinajo di briganti vagavano in quei territorii, e che per dare maggiore efficacia ai mezzi di repressione contro i medesimi, si era dato ordine, che i Comandanti delle forze pontificie sul confine estendessero la sfera dei loro accordi con quelli delle forze italiane, concedendosi il reciproco ingresso sull'altrui territorio quando era richiesto dalla necessità dell'inseguimento. Mentre io lodai tali disposizioni, delle quali già m'era pervenuta contezza, ne presi argomento per tornare sulla materia delle estradizioni. onde assicurare la forza della legge non solo contro i briganti che vagavano al confine, ma contro i delinquenti d'ogni specie, che riuscivano ad internarsi. E per dare una forma alle buone disposizioni già in proposito manifestatemi dissi, se non si sarebbe potuto tornare all'osservanza di fatto, estendendolo a tutta Italia, del Trattato di estradizione, che prima aveva il Piemonte colla Santa Sede.

Il Cardinale mi riconfermò quanto già mi aveva detto, che l'estradizione anche per gl'internati avrebbe avuto luogo; che non credeva necessario riferirsi perciò ad alcuno speciale Trattato; che diffatti la Santa Sede col Governo delle Due Sicilie non aveva mai avuto su ciò convenzione alcuna, e che tuttavia l'estradizione reciproca in via di fatto, sulla rispettiva dimanda della parte interessata, era sempre stata praticata; e che si sarebbe potuto seguire lo stesso sistema. Per verità mi pare che la cosa in questi termini resti sempre un po' troppo sulle generali, giacché bisognerebbe bene intendersi sui reati dei quali si possa fare la dimanda, sia quanto alla gravità, che quanto alla qualità; sulla forma che dovrà avere la domanda stessa; sui documenti giustificativi, o recapiti che dovranno avvalorarla etc. Il Governo potrebbe studiare ulteriormente tale materia, richiamando specialmente le forme e prammatiche che si osservavano già col Regno delle due Sicilie, e preparare un foglio di memorie in cui tutto sia espresso, per servire di base alle precise intelligenze, che si potrebbero scambiare in proposito.

Noterò per memoria, che mentre io mi atterrò senza fallo alle istruzioni del Governo relativamente al desiderio da Lui espresso, di non provvedere le Diocesi di Osimo, Orvieto, ed altre, di cui nella sua ultima nota, non ho creduto di portar ciò in discussione col Cardinale, onde non aumentare la materia disputabile senza necessità; giacché siccome niuna provvista di Diocesi è possibile senza il concorso del Governo, sta sempre in mano di quest'ultimo, senza bisogno d'alcun preventivo accordo, d'escludere le provviste a quelle fra le Diocesi, che non credesse da tanto da continuare ad avere un titolare.

Mi dimenticai nella precedente relazione di osservare, che avendo io a suo tempo fatta al Cardinale la proposta di trasferire a Spoleto Monsignor Trucchi Vescovo di Forlì, secondo il desiderio del Governo, il Cardinale mi fece poi la risposta, che dai ragguagli avuti risultandogli essere Monsignor Trucchi molto accetto in Forlì, dove egregiamente compie le parti tutte di solerte ed intelligente prelato, e la Diocesi di Forlì essendo importante, ed inoltre difficile, non sembrava alla Santa Sede opportuna la proposta traslazione.

Mentre stava per chiudere questa mia, mi pervenne lettera dal Cardinale Antonelli, colla quale mentre mi accenna, che il Concistoro potrà aver luogo il 26 e 27 del corrente, mi soggiunge essersi scordato jeri sera di dirmi, che il Santo Padre amerebbe di conferire la Diocesi di Cesena al Signor Don Giuseppe Taddei Canonico Teologo della Metropolitana di Ferrara, quando il Governo nulla avesse in contrario. Io aveva già manifestato alla Santa Sede, come dalla mia Relazione precedente, che il Governo intendeva lasciar vacante tale Diocesi, a meno che, escluse nuove nomine, si fosse trattato semplicemente di una traslazione di Vescovo da altra Sede di minor importanza, quale sarebbe stata ad esempio quella di Cervia. Ad ogni modo attenderò su ciò i nuovi riscontri, che crederà il Governo di farmi avere.

(l) Parzialmente edito anche in Lettere Rtcasoli, vol. IX, pp. 339-343.

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IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, ALL'INCARICATO D'AFFARI A BERLINO, QUIGINI PULIGA

T. 128. Firenze, 17 marzo 1867, ore 16,45.

J'ai transmis aujourd'hui au Roi la lettre du comte de Bismarck. Le Gouvernement italien n'a pas d'objection contre la publication des deux lettres. Tàchez cependant qu'elle n'ait lieu qu'après clòture des interpellations Thiers. Ceci pour vous seui.

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IL MINISTRO A BRUXELLES, DORIA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. CIFRATO 9. Bruxelles, 17 marzo 1867 (per. il 21).

Dans le courant de l'automne dernier le Ministre des Affaires Etrangères de Belgique faisait une course à Paris et il y rendait visite au nouveau Ministre

38~

des Affaires Etrangères de France, d'où l'on ne tardait pas à conclure qu'il s'agissait d'une alliance secrète entre les deux pays. Incrédule alors parce que faute d'une base sérieuse, ce bruit, n'était à mes yeux, que la conséquence naturelle des alarmes de l'opinion publique, j'ai gardé le silence. Non moins incrédule aujourd'hui, en présence de nouvelles atllrmations je ne saurais plus me taire sans manquer à mes devoirs.

Que les deux Ministres ayant causé politique entre eux, qu'ils ayent méme discuté certaines éventualités possibles rien de plus nature!, ils y étaient tenus en quelque sorte par gràce d'état; mais qu'un Traité secret assurant à la France le concours d'une armée Belge forte de 100.000 hommes en échange de la garantie formelle de l'indépendance et de l'intégrité de la Belgique ait été l'objet et le résultat de ces entretiens, je n'y crois pas. Si dans le cas d'une guerre entre la France et l'Allemagne la Belgique renonçait à sa neutralité, elle s'exposerait, à mon avis, à subir les tristes conséquences, que pour la seconde fois depuis Frédéric le Grande, la Saxe subit aujourd'hui. Or, tandis qu'il était de toute façon impossible à la Saxe de rester neutre, c'est précisément la neutralité qui est l'état réglementaire de la Belgique; placé camme jadis le Piémont entre deux puissants voisins, ce pays n'est pourtant pas appelé à jouer le méme ròle, et je n'hésite pas à atllrmer que si par sa politique persévérante et audacieuse le Piémont a glorieusement contribué pour sa part à l'affranchissement de l'Italie, cette politique pour ne pas étre basée sur le méme grand principe pourrait étre funeste à la Belgique.

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IL MINISTRO A PARIGI, NIGRA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 419. Parigi, 17 marzo 1867 (per. il 20).

Giovedì 14 del corrente ebbero principio al Corpo legislativo le interpellanze sulla politica estera. Il signor Thiers incominciò il suo discorso con una lunga esposizione storica della politica della Francia, tendente a provare che la Francia fu il campione dell'equilibrio europeo. Egli accusò il Governo d'avere abbandonata questa politica per abbracciare quella delle nazionalità che dichiarò essere una pericolosa chimera. Venendo agli avvenimenti recenti condannò di nuovo acerbamente la guerra d'Italia: l'unità italiana, disse l'oratore, traviò le menti in Germania e le condusse all'unità. Queste due unità formano ora un grande pericolo per la Francia. Essa non può contare sull'Italia, ingrata a quanto egli disse, stremata nelle finanze, disposta a lanciarsi nelle avventure per chiuder gli occhi alle difficoltà che incontra nell'opera dell'unificazione interna; non può fare affidamento né sulla Prussia che potrà ben presto valersi non solo de' suoi confederati del Nord ma anche degli Stati tedeschi del Sud; non sull'Austria la quale non trovò nella recente politica della Francia argomenti di fiducia e di gratitudine; non sull'Inghilterra che disapprovò la condotta del Governo imperiale ed è disgustata degli affari del Continente; non finalmente sulla Russia la quale otterrà facilmente l'assenso della Germania ingrandita alla conquista della Turchia. Insomma, la Francia travasi isolata, dopo aver prestato ella stessa la mano all'aumento di forza delle nazionalità che si formano sulle sue frontiere. Che rimane ora a fare? Il signor Thiers non consiglia l'Imperatore d'impadronirsi del Reno e del Belgio: niun accrescimento di territorio potrà ristabilire a favore della Francia l'equilibrio delle forze: ormai la cosa è ridotta a tale punto che non v'ha più un solo errore da commettere: conviene invece farsi protettore dei piccoli Stati, del Belgio, della Svizzera, dell'Olanda, riguadagnar così l'amicizia dell'Inghilterra, fare in Oriente e nel resto d'Europa una politica conservatrice ed onesta, ed opporsi risolutamente ad ogni aumento di potenza della Prussia.

A detta de' suoi stessi amici il signor Thiers fu in questa circostanza meno felice che nelle precedenti. La lunga digressione storica stancò la pazienza della Camera, e gli elogi prodigati ad un equilibrio europeo che non esisté mai di fatto parvero eccessivi anche a coloro che non approvano l'attuale politica francese. Dall'altro canto, la prosaica saviezza dei consigli dati da Thiers al Governo non contentò forse coloro che attendevano una conclusione più energica alle vive censure dell'oratore. Presero la parola dopo il signor Thiers i signori Garnier-Pagès ed Emilio Olivier.

Entrambi approvano la guerra d'Italia. Anzi il primo di questi oratori trovò persmo parole benevoli per iscusare l'emozione prodotta in Italia dalla cessione della Venezia alla Francia. Ambedue concordano nel pensare che gli avvenimenti di Germania non costituiscono un pericolo per la Francia; senonché, mentre il signor Garnier-Pagès crede che l'unificazione della Germania sotto la Prussia non abbia fondamenti durevoli perché è l'opera della violenza, il signor E. Olivier vede nella Germania unita un alleato anziché un nemico. Egli crede i Tedeschi più avversi alla Russia che alla Francia ed è d'avviso che, se la Francia non avversa l'unità germanica, se non ha velleità aggressive, potrà contare sulle simpatie delle popolazioni tedesche contro i disegni della Russia in Oriente. La politica delle nazionalità, disse l'oratore, non è la fantastica teoria delle razze; il consenso delle popolazioni è l'elemento morale che dà forma di corpo politico alle agglomerazioni di genti aventi gli stessi interessi e parlanti lo stesso idioma; il Governo ebbe ragione quando proclamò questa teoria e la sua azione politica fu corretta ed irreprensibile perché fu conforme ai principj assai più che agli interessi sempre mutevoli di giorno in giorno.

Il Governo fu difeso dal Ministro di Stato e delle Finanze Signor Rouher. Egli cominciò dal difendere la guerra d'Italia e dimostrò che dal 1815 in poi, il partito liberale in Francia aveva inscritta sul suo programma l'indipendenza della Penisola. Se dopo Villafranca l'Italia preferì l'unità alla confederazione, la colpa non è dell'Imperatore il quale giustamente non volle far prevalere le sue idee colla forza. Formatasi l'unità rimanevano due questioni, quella di Venezia e quella di Roma. Sulla questione Romana la conciliazione va guadagnando terreno; gli Italiani si persuadono che niun grande ed urgente interesse li può spingere all'abolizione di quanto rimane del poter temporale. Ma quanto alla Venezia, poteva forse la Francia vietare agl'Italiani di cogliere l'occasione, unica

che si presenti in un secolo, di liberarsi completamente dal dominio straniero? È egli possibile di ammettere che l'Italia tutta fremente d'entusiasmo patriotico avrebbe ubbidito al divieto di allearsi colla Prussia? Anziché appigliarsi a questo meschino ripiego la Francia preferì di consigliare all'Austria, d'accordo coll'Inghilterra e la Russia l'abbandono della Venezia. Niun ufficio fu risparmiato dall'Imperatore per mantenere la pace e radunare il Congresso. Il rifiuto dell'Austria, le conseguenze imprevedute della guerra, il disastro di Sadowa non sono dunque menomamente imputabili a lui. ln quei supremi momenti il Governo, conscio della sua grave responsabilità, non istette colle mani alla cintola: egii impose ai belligeranti la sua mediazione, strappò all'Austria la Venezia, ma le risparmiò danni ed umiliazioni maggiori; ottenne condizioni più tollerabili per la Sassonia, la Baviera, il Wurttemberg; impose alla crescente forza della Prussia certi confini ch'essa non oltrepasserà. Nulla indica del resto che il Governo prussiano voglia fare una po;itica aggressiva, invader l'Olanda ecc. Esso sa che il Governo francese vi si opporrebbe risolutamente. Esaminiamo ora, continua il signor Rouher, se le condizioni attuali sono così sfavorevoli come lo afferma il signor Thiers. f~ egli vero che l'unità tedesca sia nata dall'unità italiana? Il movimento unitario germanico nacque nel 1813; pigliò corpo come istituzione ufficiale nello Zollverein; fin d'allora la Francia prevedeva che questo sarebbe stato una preparazione all'unità politica. Il signor Thiers, allora ministro, dichiarava che ciò era vero, ma che se l'Austria non era riescita ad impedire la formazione dello Zollverein, tanto meno avrebbe potuto impedirlo la Francia. Quanto all'unione delle forze militari tedesche contro la Francia, essa esisteva sino dal 1815. Questo concetto presiedette alla creazione della disciolta Confederazione germanica la quale poteva contare sulla Russia e sull'Inghilterra e formava militarmente una popolazione di 70 milioni d'uomini. Invece ora la nuova Confederazione del Nord dispone appena di 29 milioni d'abitanti; quand'anca le si unissero gli Stati tedeschi del Sud, non oltrepasserebbe i 37 milioni. Di più l'Austria non ha ormai alcun interesse comune colle nuove organizzazioni germaniche; il vincolo che le univa alla Russia contro la Francia è spezzato: il nuovo ordinamento non costituisce quindi alcun pericolo per la Francia; «non solo non v'è alcun errore da commettere, ma niun errore fu commesso».

Il signor Jules Favre si accinse a dimostrare che l'argomentazione del signor Rouher peccava per eccesso di prova. Infatti, se il Governo è contento dei risultati della sua politica, se l'influenza francese è cresciuta anziché scemata, perché inquietare il paese colla proposta di raddoppiare le gravezze della leva militare? Confutando gli argomenti del signor Rouher, il signor Favre citò e discusse le parole pronunciate dall'Imperatore inaugurando l'attuale sessione parlamentare. Il Presidente stimò che ciò fosse contrario alla costituzione e richiamò l'oratore alla questione. Questi mantenne il suo diritto, e la Camera col suo contegno gli diede ragione.

Dopo quest'incidente la discussione fu rimandata a lunedì (1).

(l) Con r. 420 del 19 marzo Nigra comunicò che il Corpo Legislativo aveva adottato con una maggioranza di 219 voti contro 45 l'ordine del giorno puro e semplice sulle interpellanze relative alla politica estera.

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IL MINISTRO A PlETROBURGO, DE LAUNAY, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T 176. Pietroburgo, 18 marzo 1867, ore 16,40 (per. ore 18,45).

La Russie et la France sont d'accord pour que les crétois soient admis à exprimer librement leurs voeux sur leurs destinées futures. Autriche a déjà adhéré. On ne doute pas ici de l'assentiment de la Prusse. Gortchacoff demande notre adhésion et que instructions soient expédiées au chargé d'affaircs à Constantinople (1). Veuillez bien répondre par télégraphe.

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IL MINlSTRO A LONDRA, D'AZEGLIO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 177. Londra, 18 marzo 1867, ore 18,07 (per. ore 21).

Je viens d'apprendre de source bonne que M. Rouher s'est beaucoup trop avancé dans ses allégations sur alliance de F'rance et Angleterre en certaines hypothèses.

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IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DI GRAZIA E GIUSTIZIA E DEI CULTI AD INTERIM, RICASOLI, AL CONSIGLIERE DI STATO, TONELLO (ACS, Ministero dell'Interno, Gabinetto, Missioni Diplomatiche, b. l, fase. 2)

Firenze, 18 marzo 1867.

Mi pregio accusar ricevuta alla S. V. Onorevolissima del suo graditissimo rapporto in data del 16 di questo mese (2), e innanzi tutto, a dilucidazione del mio telegramma di ieri (3), Le notifico che Monsignor Vescovo di Casale mi ha ragguagliato con una lettera compitissima d'aver aderito alla sua traslazione a Milano, e pienamente Le confermo le istruzioni contenute nell'ultima mia nota (4) circa al suo ritorno e circa le dichiarazioni che deve fare in proposito alla Santa Sede.

La consonanza di tali istruzioni con le proposte ch'Ella mi fa nel suo rapporto riesce a prova evidentissima che la condizione delle cose è veramente tale, quale venne da Lei giudicata in Roma e da me in Firenze, senza veruna reciproca intesa; e dimostra la bontà del partito che a Lei ed a me contemporanea

(-4) Cfr n. 274.

mente si affacciò come il più conveniente cd opportuno. Rimane dunque stabilito:

lo -Che, premesse le dichiarazioni espresse nell'ultima mia nota concordanti perfettamente con le cose da Lei esposte al Cardinale Antonelli negli ultimi colloqui, Ella annunzierà al Cardinale medesimo e al Santo Padre la sua partenza da costì sotto forma di congedo temporaneo.

2° -Che tale partenza avrà luogo tostoché sia stato tenuto il nuovo Concistoro, e siansi da Lei compiuti i relativi atti, lasciata a Lei piena facoltà di fissarne il giorno secondo che le torni più in grado.

3° -Che rimane sospesa ogni pratica per provvista di altre sedi vacanti oltre quelle per cui già si son presi i definitivi concerti, compresa Girgenti, ed escluse Cesena e Pistoia.

4° -Che nell'intervallo potrà continuarsi lo scambio delle proposte e delle informazioni sui soggetti per mezzo di Lei e in quella forma che si combinerà di comune accordo (1).

In correlazione a quest'ultimo punto Ella vorrà aggiungere all'elenco dei candidati governativi per le diocesi napoletane Monsignor Giovanni Battista Panico, Pronotaro Apostolico, attuale Rettore del Collegio Tulliano in Arpino, e significare al Cardinale Antonelli che il Governo, mentre deve assolutamente escludere i due Vicari Generali Boccamazza e De Martino, stati ambedue sottoposti a processo per ragioni politi:::he, e non punto accetti all'opinione pubblica, ammette in pieno buon grado il Padre Caiazzo agostiniano, il Prevosto Fabiani di Gubbio, e ii Parroco Briganti di Torgiano. Intorno a quest'ultimo Ella non ometterà di far notare al Cardinale Antonelli, che il Governo lo accetta, sebbene gli sia stato qualificato d'inflessibili opinioni cìericali, dappoiché sa ch'è di mente elevata e di carattere lealissimo, ossequente alle leggi e universalmente stimato. Al qual proposito gioverà pure ch'Ella insista nelle savie riflessioni ultimamente esposte al Cardinale, soggiungendogli altresì, come sia stato argomento al Governo del Re di grande stupore il risapere che taluni de' suoi candidati siano stati esclusi per essere in concetto di giansenisti o di passagliani, essendo esso nella persuasione che il giansenismo non ha mai più seguito in Italia neppure come dottrina di scuola, e che non sia più il caso di dare importanza al Padre Passaglia, il quale ha perduto ogni credito e non ha perciò più seguaci.

Del rimanente io fo pieno assegnamento sulla sperimentata di Lei prudenza, ed ho per fermo che tanto col Santo Padre, quanto col cardinale Antonelli si esprimerà in guisa da recarli a un giusto apprezzamento de' motivi del suo congedo temporaneo, e da metterli sulla via di riconoscere quali siano i fermi intendimenti del Governo del Re circa il finale risultato della sua missione.

Ho comunicato al mio collega Ministro degli Affari Esteri la parte del suo rapporto che concerne ai detenuti politici e alla materia delle estradizioni, e l'ho inviato a indirizzarle sull'argomento un'apposita nota.

Rimane inteso che non si parli più della traslazione di Monsignor Trucchi Vescovo di Forlì alla Sede di Spoleto; che non s'accolga la proposta del Canonico Taddei per la Sede di Cesena; e che per ora non si tocchi delle diocesi che si diviserebbe lasciar vacanti.

Si stanno raccogliendo i materiali per darle definitivo riscontro circa il progettato decreto di scioglimento dei sequestri imposti per rappresaglia, e circa la nomina dei Rettori delle Chiese dei conventi soppressi in Sicilia.

Gioverà ch'Ella procacci di risapere da Monsignor Franchi se e con qual esito abbia interposti quegli umci di cui si era assunto il carico, per lo scioglimento della vertenza relativa all'elezione del canonico Brunone Bianchi a Priore Mitrato di questa Basilica Laurenziana.

Le accludo un cenno (l) sulla domanda in grazia del Mendolia.

(l) -Le istruzioni furono inviate il 20 marzo (cfr. n. 284). (2) -Cfr. n. 275. (3) -Non pubblicato.

(l) Fin qui ed. in DEL VEccmo, La missione Tonello, clt., appendice V.

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IL MINISTRO A MONACO DI BAVIERA, OLDOINI AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. CONFIDENZIALE 22. Monaco, 19 marzo 1867 (per. il 23).

Peu de jours après la signature de la paix entre la Bavière et la Prusse à Berlin et le retour du Baron de Pfordten à Munich j'eus l'honneur de télégraphier à V. E. que des engagements secrets, j'ignorais si écrits ou non, mais pour sùr formels, avaient été pris par le plénipotentiaire Bavarois, alors Ministre des Affaires Etrangères.

Successivement et à plusieurs reprises je fis allusion à l'importance de ces engagements qui liaient la Bavière, de meme que les autres états de l'Allema.gne méridionale à la Prusse, en informant V. E. entre autres comme preuve de mes assertions, si le langage explicite des Ministres dirigeants en Bavière et en Wurtemberg ne sumsait pas à le prouver, que plusieurs diplomates prussiens, mes anciens et actuels collègues, m'avaient avoué que des changements ministériels en Bavière ou ailleurs étaient désormais sans portée pour la Prusse, ce qui signifiait que cette puissance était entièrement sùre de la Allemagne si déjà des doutes étaient encore possibles, car j'ai toujours pensé et soutenu que si la Prusse triomphante militairement et politiquement sur toute la ligne avait consenti à faire la paix à si bon marché avec les états du midi, nommément la Bavière, c'est qu'elle devait s'étre garantie contre la possibilité d'un retour à leur politique ante bellum, et méme que le jours où ces états présenteraient un danger pour la Prusse ou qu'ils voudraient arreter l'Allemagne dans ces aspirations nationales, la barrière du Main disparaitrait par la force des choses (mon rapport reservé du 25 Septembre) (2).

Or les récents protocoles de Stut.tgard pour la réorganisotion de l'armée, comme les futurs traités entre la Prusse et les états du midi, (reconstitution du

29 -Documenti diplomatici -Serle I -Vol. VIII

Zollverein, convention postale, télégraphique, monétaire, etc.) dont je sais pour sO.r qu'on réserve les négociations de suite aprés la constitution fédérale definitive par le Parlement de la confédération du Nord, n'ont été et ne seront à mes yeux, que la liquidation d'une position plus ou moins indéclinable pour les Gouvernements au deçà du Main, situation que l'opposition de partis intérieurs ou la mise en jeu d'influences étrangéres accentuerait davantage.

Cette situation est maintenant connue dans toute sa force par la publication du traité offensif et défensif «Schutz und Trutz btindniss » entre la Bavière et la Prusse, signé à Berlin le 22 AoO.t, dont la Gazette de Bavière donne inopinément le texte, suivi de commentaires évidemment forgés dans les régions ministérielles d'accord sans doute avec les autres états limitrophes.

Jusqu'ici les Ministres des Affaires Etrangéres respectifs n'avaient guère avoué et meme «a mezza voce» qu'un traité défensif et je sais que, pas plus tard que jeudi dernier, le Prince Hohenlohe a éludé une question trop directe à ce sujet posée par un Ministre étranger.

Du reste le préambule du Protocole de Stuttgard signalé à la fin de ma dépeche relative comme la clef de voute, pour ainsi dire, de cet accord militaire (dépeche politique n. 49) (l) en disait déjà assez pour couper court aux illusions ou aux désirs des non convaincus.

Sans vouloir maintenant constater derechef la situation des Etats du Midi vis à vis de la Prusse et celle de l'Allemagne en général telle qu'elle m'a apparu après la guerre et que j'ai eu l'honneur de la signaler bien avant que la publication du traité offensif et défensif la rendit si nette, il n'est pas douteux pour moi que dans les combinaisons de haute politique il faut désormais compter non seulement avec la Prusse agrandie par les annexions et soutenue par la Confédération du Nord, mais avec une Allemagne de 40 millions, malgré toutes les diffi.cultés que présentera encore la reconstitution définitive de ce grand pays en un tout politique et militaire avec autonomies administratives et souverainetés distinctes.

En joignant ici le texte de la publication de la Gazette de Bavière dont il s'agit (2) je me reserve d'entretenir à ma prochaine entrevue le Prince Hohenlohe sur cette importance affaire.

(l) -Non si pubblica. (2) -Cfr. Serie I, vol. VII, n. 567.
283

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DELL'INTERNO, RICASOLI

D. s. N. Firenze, 20 marzo 1867.

In vari loro dispacci i RR. Consoli di Corfù e di Salonicco aveano indicato a questo Ministero l'esistenza di un Comitato Ellenico residente nelle Provincie del regno greco, con diramazioni in varie località della Turchia continentale ed in relazione con Comitati ed uomini di partiti estremi in Italia.

Con suo dispaccio del 7 Marzo (l) il Ministro del Re ad Atene annunzia l'arrivo a Missolungi di vari volontari italiani, creduti ufficiali, i quali sembravano volersi avviare verso l'Epiro.

Con telegramma del 15 corrente (2) lo stesso Signor Ministro reca a cognizione del Dicastero scrivente che il figlio del generale Garibaldi, giunto da parecchi giorni in Grecia con alcuni ufficiali e 300 fucili, avea abbandonato il pensiero di recarsi in Creta ed avea divisato di rimanersene per una ventina di giorni ad Atene; nel qual tempo il Comitato di Costantinopoli prometteva che tutto potrebbe essere pronto per agire nelle provincie continentali dell'Impero. Il figlio di Garibaldi avrebbe spedito avviso in Italia di soprassedere nello spedire nuovi volontari e nuove armi in Grecia. Il giorno 14 di questo mese erano giunti in Atene circa 80 volontari italiani.

Una lettera recente del R. Console in Trieste conferma una parte di queste notizice epperò se ne trasmette qui unito l'estratto (1).

Crede opportuno chi scrive di chiamare l'attenzione del Ministero dell'Interno sovra i fatti, i quali prendendo proporzioni maggiori potrebbero creare all'Italia difficoltà internazionali.

(l) -Non pubblicato. (2) -Non si pubblica.
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IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, ALL'INCARICATO D'AFFARI A COSTANTINOPOLI, DELLA CROCE

D. 33. Firenze, 20 marzo 1867.

Dal giorno che gli avvenimenti cominciarono ad assumere in Oriente un aspetto abbastanza grave sino ad oggi la nostra condotta politica non ha mai avuto occasione di deviare da quella linea che sin da principio noi avevamo trae~ ciato a noi stessi. In tutte le nostre comunicazioni ella avrà veduto emergere due punti culminanti che corrispondevano a due grandi interessi: l'interesse della pace europea, e l'interesse delle razze cristiane soggette alla dominazione del Governo Turco. Nell'interesse della pace europea importava che dalla questione di Oriente non sorgessero occasioni di dissenso e di attriti fra le Potenze, e che anzi si ricercassero i termini e i modi di un accordo comune. Nell'interesse dei cristiani importava che i movimenti parziali non deviassero l'attenzione delle Potenze dall'intento comune di migliorare le condizioni materiali e morali dei varii popoli e delle varie confessioni cristiane, alle quali volevasi provvedere senza distinzione di razza o di rito. Con questi due interessi non era o almeno non doveva parere inconciliabile l'interesse vero del Governo Ottomano. Era perciò perfettamente amichevole e conforme alle nostre buone relazioni colla Sublime Porta, l'ufficio, che l'Italia, non meno che le altre Potenze, hanno assunto di consigliarle quelle larghe concessioni che avrebbero potuto arrestare il male nella sua origine, e impedire che la condizione delle cose diventasse ogni giorno più grave per l'Impero e più pericolosa per la pace generale. Sebbene i consigli ufficiosamente dati non abbiano ancora ottenuto un efficace risultato noi non ere

diamo che questa via debba essere abbandonata e persistiamo ancora a giudicarla come la sola capace di soddisfare a tutti gli interessi che si racchiudono in questa grande questione d'Oriente. Ma intanto i fatti hanno progredito, e noi possiamo rendere questa testimonianza a noi medesimi che la nostra attitudine in faccia all'insurrezione cretese è stata conforme ai più rigorosi principi del diritto pubblico ed agìi obblighi che avevamo verso un Governo, le relazioni col quale non hanno mai cessato di essere amichevoli. Persino i doveri dell'umanità non furono da noi esercitati che in quella misura che era compatibile colle più strette norme della neutralità. La questione adunque non è al certo complicata nè per colpa nostra né per colpa delle Potenze che mantennero al pari di noi un'attitudine egualmente riservata ed imparziale. L'insurrezione dura da più mesi in Creta e le forze dell'Impero turco non sono ancora riuscite a reprimerla. La determinazione di convocare una rappresentanza dell'isola a Costantinopoli non corrispose alle speranze che vi annetteva il Governo; il tempo in cui fu deciso e la forma che si diede a quell'atto non gli procurarono troppa fiducia presso i Cretesi e noi pure non abbiamo dissimulato i nostri dubbi sull'eftl.cacia di quella misura quando ci venne comunicata dal Rappresentante del Governo Ottomano. Finora altre Provincie dell'Impero che potrebbero simpatizzare col movimento dell'Isola sono materialmente tranquille; ma non si possono disconoscere i segni di una viva agitazione che prolungandosi qualche tempo ancora potrebbe anche divampare in incendio. Non pare adunque che ci sia tempo da perdere per avvisare ai rimedi capaci di porre un termine ad una situazione cotanto pericolosa. Continuare la lotta nell'isola dove la squadra ottomana si mostra impotente a impedire l'accorrere di ajuti d'uomini e d'armi e spingere sino agli estremi una repressione che ha già dato luogo a dolorosi episodi parrebbe cosa contraria all'intento stesso che il Governo Ottomano si deve proporre. Una lotta di oltre 6 mesi ha creato in Creta una condizione di cose affatto speciale che potrebbe consigliare per quell'isola una politica inspirata da considerazioni ugualmente speciali.

Il Governo del Re è animato dai migliori sentimenti verso la Sublime Porta. Esso guarda solo al grande interesse che ha comune con tutte le Potenze, di evitare i pericoli di una conflagrazione generale, e guarda all'interesse n:edesimo della Sublime Porta, che al punto in cui giungono le cose nell'isola n'on potrebbe mantenervi l'autorità che a prezzo di una sanguinosa repressione la quale poi creerebbe più gravi diftl.coltà non solamente in Creta ma eziandio nelle altre parti jell'Impero. Esso crede che il Governo ottomano darebbe prova di un grande accorgimento politico guardando in faccia la situazione e prendendo a tempo una risoluzione energica che provvedesse al presente e assicurasse l'avvenire. Lasciare Creta a se stessa poiché ivi il male sembra incurabile e soddisfare con una politica di larghe concessioni ai desiderii ed ai bisogni delle razze cristiane, ecco la via in cui sembra al Governo del Re, che la Sublime Porta potrebbe trovare un rimedio non eftl.mero, ma duraturo e tale da porre le basi di un avvenire di pace e di prosperità per l'Impero. Che si consulti la popolazione dell'Isola intorno ai suoi futuri destini, che si rassicurino gli altri popoli cristiani dell'Impero con una politica riformatrice e riparatrice e la Sublime Porta si acquisterà un titolo d'onore in Europa, e contribuendo alla pace universale manterrà e accrescerà i vincoli

di amicizia che la legano all'Occidente, col quale ha comuni tanti interessi materiali e morali.

Ella riceverà ulteriori informazioni sulla forma che d'accordo coi Rappresentanti delle altre Potenze Ella dovrà dare alle pratiche da farsi umcialmente presso il Governo Ottomano. Intanto potrà conformare il suo linguaggio al tenore della presente.

(l) -Non pubblicato. (2) -Cfr. n. 269,
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IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, ALL'AGENTE E CONSOLE GENERALE IN EGITTO, G. DE MARTINO

D. 2. Firenze, 20 marzo 1867.

La mia assenza da Firenze che ebbe a prolungarsi di parecchi giorni per ragioni attinenti ad esigenze della politica interna mi tolse di poter rispondere prima d'ora ai di Lei dispacci nn. l, 2, 3 della Serie politica (l) ed alle importanti comunicazioni che al mio arrivo qui mi vennero consegnate dal Signor Conte Verasis di Castiglione.

Debbo innanzi tutto invitarLa a far conoscere a S. A. il Vice Re che questa mia assenza fu la causa per la quale non ho potuto sinora riscontrare alla lettera che Sua Altezza mi scrisse. Voglia Ella esprimergli tutto il dispiacere che provo per questo ritardo involontario. Nel tempo stesso la incarico espressamente di ringraziare in nome del R. Governo S. A. il Vice Re per le testimonianze di simpatia ch'Egli ha voluto dare al nostro paese nell'occasione in cui Sua Maestà il Nostro Augusto Sovrano conferivagli l'Ordine Supremo della SS. Annunziata.

Il Governo Italiano ha accolto con vera soddisfazione la notizia che si è provveduto emcacemente agli interessi nazionali da lungo tempo in sospeso pei quali richiedevansi provvedimenti urgenti, e noi speriamo che le riforme che sono negli intendimenti del Governo Vice Reale cresceranno sicurezza e sviluppo al nostro commercio in Egitto.

Appena mi pervenne il telegramma (2) col quale Ella mi annunciava la partenza di S. E. Nubar Pascià alla volta di Costantinopoli mi affrettai di far conoscere all'Incaricato d'Affari di Sua Maestà in quella residenza il prossimo arrivo del Ministro di S. A. il Vice Re (3), incaricandolo espressamente di regolare la sua condotta a norma delle amichevoli nostre intenzioni, a lui ben note, verso il Governo Egiziano.

Ella non ignora. Signor Cavaliere che il Governo del Re pur desiderando che sempre si mantenga l'accordo di tutte le grandi Potenze a fronte delle questioni che oggidi si agitano in Oriente, non potrebbe senza disconoscere i proprii principii discostarsi nella sua linea politica dal sentimenti di naturale simpatia che l'Italia professa per tutti i popoli senza distinzione di razze o di credenze. Benché la pubblica opinione si sia grandemente occupata della missione di Nubar Pascià a noi non risulta ancora quale sia il particolare modo di vedere dei

varii Governi intorno a questo argomento. Non è mestieri che io Le dica quanto mi riesce gradito il vedere che il Governo Egiziano abbia stimato doversi rivolgere anche all'Italia pella soluzione di questioni di tanta importanza. L'Italia che nel concerto delle Potenze reca un elemento di concordia e di sicurezza per gli interessi generali, sarà ben lieta di poter contribuire entro la sfera della sua azione politica alla prosperità ed allo sviluppo progressivo dell'Egitto.

ALLEGATO ANNESSO CIFRATO

J'ai appris avec plaisir que le Vice Roi ne veut pas prédpiter les événements ni poser explicìtement la question de l'indépendance de l'Egypte. Il y a dans cette conduite beaucoup de sagesse. Avez vous entendu parler du projet de proclamer en meme temps l'indépendance de l'Egypte et sa neutralité vis-à-vis des puissances Européennes? Il est important que vous me teniez au courant de tout ce que vous viendriez à apprendre à cet égard.

(1) -Cfr. nn. 230 e 242. Il r. 3 non è pubblicato. (2) -Non pubblicato. (3) -Cfr. n. 257.
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IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, ALL'AGENTE E CONSOLE GENERALE A TUNISI, PINNA

D. 2. Firenze, 20 marzo 1867.

Come le scrissi sin dal 21 Febbraio scorso (l) il Governo del Re era disposto a prendere provvedimenti definitivi e quali erano richiesti dalla gravità della situazione dei nostri affari in Tunisi, allorché per ragioni di convenienze politiche suggerite dalla recente crisi parlamentare, stimò doversi soprassedere all'esecuzione delle progettate misure. Nel frattempo mi giunsero le lettere ch'Ella mi indirizzava in data dei 4 e 5 marzo Serie Politica (2) e dopo aver ben meditato le cose interessanti che quelle contengono mi sembrò che la situazione si trovasse per ora alquanto migliorata sovra tutto per effetto del contratto stipulato per assicurare entro cinque anni il pagamento della ingente somma impegnata nell'affare delle teschere dell'olio.

Ho letto quel contratto e trovo che Ella ha operato assai saviamente nel lasciare che i negozianti nostri lo accettassero a loro rischio e pericolo. L'azione governativa cesserebbe d'essere una tutela legittima quando volesse estendersi sino ad imporre ai trafficanti nazionali di astenersi da un contratto il quale per sé lecito può per avventura tornare utile anche agli interessi generali del Commercio estero nella Tunisia.

Restano però ancora in sospeso altri affari assai gravi ed importanti pei

quali è necessaria una soluzione. Gli altri crediti Italiani verso il Governo ed i

principi tunisini esigono egualmente tutta la nostra protezione.

L'esser entrati nella via de' privati accomodamenti nella questione delle

teschere dell'olio mi lascia sperare che si possa trovare qualche termine d'aggiu

stamento anche per le altre vertenze.

A questo fine io credo convenga non istancarsi di negoziare coi Ministri del Bey e dappoiché in questi ultimi giorni mi si presentò persona che seppi avere qualche particolare aderenza con S. E. il Kasnadar, ho stimato conveniente approfittare del viaggio che per sue private ragioni quel signore sta per fare a Tunisi onde introdurlo presso la S. V. affinché Ella veda se vi sia per questa via qualche tentativo a fare e se v'abbia opportunità di valersene.

Ella sa che noi abbiamo soltanto in vista di ottenere sicurezza e sviluppo per le nostre colonie nella Tunisia dove non abbiamo qualsiasi interesse politico. Dobbiamo quindi esperire tutti i mezzi che ci si presentano per giungere a un pacifico accomodamento. Il contratto fatto per ritirare le teschere dell'olio scadute mediante l'emissione di altre teschere a miglior condizioni ed a scadenza prorogata inchiude una specie di pegno della Dogana d'esportazione degli olii. Non vedrei perché altri introiti doganali, percepiti dal Governo del Bey, non potrebbero essi pure formare materia di consimili convenzioni. Il Governo tunisino potrebbe forse nella stessa maniera che fece per gli oli impegnare a profitto de' suoi creditori Italiani il ricavo di qualche altro diritto erariale. Sono del resto queste idee suggeritemi da un rapido esame dell'ultima transazione fatta dai negozianti Italiani epperò Ella potrà meglio esaminarne il pratico valore.

Ad ogni modo anche questi contratti coi quali il pagamento dei debiti del Governo di Tunisi o è differito o viene a mutar di natura, non hanno altra guarentigia di esecuzione che nello stabilirsi di un'amministrazione savia e regolare. Quindi Ella comprende che quanto più il buon esito definitivo dei nostri interessi economici impegnati nella Tunisia dipenderà dallo introdursi di una siffatta amministrazione tanto più noi avremo diritto di pretendere che i nostri consigli siano ascoltati dal Governo della Reggenza.

(l) -Non pubblicato. (2) -Non pubblicate.
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IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DI GRAZIA E GIUSTIZIA E DEI CULTI AD INTERIM, RICASOLI, AL CONSIGLIERE DI STATO, TONELLO

Firenze, 20 marzo 1867.

Sciolgo la promessa di comunicare alla S. V. Onorevolissima i ragguagli che mi sono pervenuti circa i richiami che Le furon mossi dal Cardinale Antonelli per talune nomine di Rettori di chiese annesse a case religiose soppresse nella Sicilia.

Non regge il fatto che siasi proceduto ad alcuna nomina definitiva di siffatti Rettori: bensì l'Amministrazione del fondo pel culto, a cui incombe l'obbligo di provvedere all'ufficiatura di tali chiese, incaricò i Prefetti che in via provvisoria si destinassero de' sacerdoti di loro scelta, ritenuto che questi dovessero ottenere dagli Ordinarii le necessarie facoltà per l'esercizio della giurisdizione spirituale. Può essere accaduto che i Prefetti non siano stati felici nelle loro scelte, ma a tale inconveniente sarà facile recar rimedio, quando gli Ordinarii facciano in proposito le opportune rimostranze, dacché si tratta di destinazione al tutto temporanea. Del rimanente, finché non venga possibile di ridurre in atto gll intendimenti del Governo intorno alla libertà della Chiesa, la nomina di tali Rettori dovrà in Sicilia, come altrove, attribuirsi all'autorità governativa, dappoiché le Chiese delle case religiose soppresse costituiscono un cespite dell'Amministrazione del fondo pel culto che dipende dal Governo, e, a non tener conto della regalia sui vacanti, quella Amministrazione che va sottoposta rispetto a siffatte chiese a tutti gli oneri del patronato, deve altresì esercitarne i diritti. Con ciò non si reca alcuna offesa alla giurisdizione degli Ordinarii: solo si ritiene per ora che le rettorie delle chiese e delle case religiose soppresse non siano di libera collazione, bensì di patronato governativo, in correlazione a quanto fu ammesso e praticato in seguito a tutte le precedenti soppressioni.

Ho fiducia che queste dichiarazioni Le basteranno per rispondere a' richiami del Cardinale Antonelli, a cui farà invito di comunicarLe quelle particolari notizie che avesse su qualche caso speciale, essendo mio desiderio che vi sia prontamente provveduto.

Mi parrebbe conveniente che innanzi la sua partenza da costì per l'inteso temporaneo congedo si assestasse la vertenza dei sequestri posti per diritto di rappresaglia. Il decreto che il Governo si proporrebbe di sottoporre alla firma di Sua Maestà, revocherebbe:

lo il decreto del 4 settembre 1862, con cui furono sottoposti a sequestro i beni posti nel territorio dello Stato, gli assegni, le pensioni e le annualità appartenenti alla Congregazione di Propaganda;

2° il decreto del 25 luglio 1863, con cui furono sottoposti a sequestro gli assegni, le pensioni e le annualità di qualsivoglia specie, di cui godevano a carico della Cassa Ecclesiastica dello Stato, gli individui e gli enti morali appartenenti alle provincie soggette al Governo Pontificio;

3° il decreto del 31 dicembre 1863, che ordinava il sequestro del godimento dell'usufrutto stabilito dalle leggi di soppressione ai provvisti di beneficii semplici, cappellanie ecc. appartenenti alla provincie soggette al Governo Pontificio;

4° il decreto del 20 maggio 1865, con cui fu confermato n sequestro antecedentemente imposto dall'Economato generale dei benefici vacanti di Napoli ai beni delle soppressa Badia di S. Domenico in Sora, appartenenti al Capitolo Vaticano di Roma.

Il decreto di revoca porterebbe, che dalla data del medesimo i titolari e gli

aventi diritto si rimetteranno nel pieno godimento dei beni e percepiranno gli

assegni, pensioni ed annualità di cui si trovavano investiti antecedentemente ai

decreti di sequestro.

I ragguagli che ho assunti specialmente dal Commendatore Mancardi, il

quale firmò pel Governo Italiano la Convenzione di Parigi del 7 dicembre 1866,

mi hanno persuaso che il Governo può far luogo alla revoca dei detti decreti di

sequestro senza tema d'alcuno scapito per gli interessi suoi e de' regnicoli. Ho

inoltre rilevato, che l'articolo 9 del protocollo annesso alla detta Convenzione

può essere opportunamente invocato per quelle contestazioni, a cui fosse per dare

origine il decreto di revoca, in quanto stabilisce che: «Son t reservées l es répé

titions que l'Italie pourrait avoir à faire au Saint Siège, et réciproquement les réclamations que le Gouvernement pontificai pourrait avoir à adresser à l'ltalie ».

Siccome però ci sono enti morali ed individui del regno che hanno immobili, rendite, censi, pensioni ed annualità nelle provincie soggette al Governo Pontificio, e siccome consta che in addietro quegli enti morali, a cui sottentrò la rappresentanza della Cassa Ecclesiastica, ed ora dell'Amministrazione del fondo pel culto, non poterono far valere le loro ragioni, né riscuotere quanto era loro dovuto, così reputerei conveniente, che alla pubblicazione del divisato decreto precedesse una dichiarazione del Governo Pontificio, che in proposito adoprerà verso gli enti morali e gli individui italiani nei termini della reciprocanza di trattamento più perfetta. Di tal guisa sarebbe tolta di mezzo ogni difficoltà, e anche su questo argomento si sarebbe raggiunto quel modus vivendi, a cui la Santa Sede accennava fin dal principio della missione a Lei commessa.

Voglia la S. V. intrattenere intorno a ciò il Cardinale Antonelli, non senza fargli osservare che il Governo del Re dà segno anche su questo punto della sincerità e lealtà de' suoi intendimenti. e s'attende in ricambio d'essere soddisfatto d'una domanda che move dai principii della più stretta equità. Lascio poi a Lei piena facoltà d'intendersi col Cardinale sulla forma della richiesta dichiarazione, mentre ho per fermo ch'Ella avrà modo di rispondere alle obbiezioni che Le venissero fatte sulla opportunità della medesima.

Ricevo in questo punto il rapporto della S. V. in data del 18 (1). Disporrò, d'accordo col Collega degli Affari Esteri, che il cav. Armillet rimanga qui, non tenendone Ella ormai più bisogno, e provvederò che la mia corrispondenza con Lei sia impostata con maggiore esattezza.

288

IL MINISTRO A BRUXELLES, DORIA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. CIFRATO 11. Bruxelles, 20 marzo 1867.

Je tiens de fort bonne source, et je crois devoir en faire mention, que lors de son récent sejour à Paris Lord Russell a tenu un langage d'où l'on serait autorisé à conclure que, le cas échéant, l'Angleterre ne permettra pas que l'on touche à la Belgique.

Les nouvelles transmises de Florence par le Représentant Beige qui est en correspondance directe et fréquente avec le Cabinet du Roi, présentent notre situation sous des couleurs un peu sombres; ce qui a produits d'autant plus d'effet qu'on le sait grand ami de l'Italie, et c'est à ce titre que j'en refère a V. E.

On m'interpelle souvent sur les intentions ultérieures du Gouvernement touchant la convention avec Langrand; peut-ètre V. E. jugera-t-elle à propos de me dicter le langage que je dois tenir.

(l) Non pubblicato.

289

IL CONSIGLIERE DI STATO, TONELLO, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DI GRAZIA E GIUSTIZIA E DEI CULTI AD INTERIM, RICASOLI

Roma, 20 marzo 1867.

Recatomi jeri sera, secondo il concerto preso, dal Cardinale Antonelli, gli espressi di nuovo, in conformità delle istruzioni datemi colla nota ministeriale del 16 corrente {l), il profondo rammarico del Governo per le esclusioni opposte a tanta parte dei suoi candidati, i quali erano stati da Lui proposti sulla sicura notizia che Egli aveva delle loro qualità commendevoli, e sull'appoggio che loro prestava l'opinione pubblica. E siccome la rimozione delle difficoltà esistenti su tale materia, e la effettuazione dei necessari concerti per la provvista delle Sedi che rimanevano tuttora vacanti avrebbe richiesto notevol tempo e nuove indagini, così il Governo aveva pensato potersi, dopo l'effettuazione del prossimo Concistoro, sospendere alquanto il corso delle presenti nostre trattative, tanto più che io gli aveva manifestato il bisogno da me sentito d'un intervallo di riposo dalle cure di questa Missione. Il Governo aveva quindi assentito al temporaneo mio ritorno in Firenze, nella fiducia che al riprendersi dei negoziati sarebbe riuscito più agevole l'intendersi. Pregai il Cardinale di manifestar ciò al Santo Padre, dal quale prima di partire mi ripromettea l'onore d'essere ricevuto in udienza di congedo in quel giorno, prima o dopo il Concistoro, che a Lui fosse sembrato più opportuno.

Sua Eminenza mi rispose che in quelle esclusioni, date con rincrescimento dalla Santa Sede, non v'era stato altro motivo, che l'interesse della Chiesa; che in realtà i candidati non ammessi avevano troppo campeggiato nelle parti politiche più che la Santa Sede non creda convenirsi al decoro e carattere di chi debba rivestire la qualità di pastore comune dei fedeli, come sarebbesi potuto dimostrare anche coll'esibizione di varii giornali; che per altro Egli non aveva nulla in contrario al manifestato proposito di una temporanea sospensione delle nostre trattative, e della mia partenza da Roma; osservò soltanto, che il secondo Concistoro era definitivamente fissato pel 27 corrente, e che a questo doveva suecederne un terzo entro il venturo aprile, e che perciò la distanza dall'uno all'altro era ben piccola; ad ogni modo promise riferire il tutto a Sua Santità anche quanto alla dimanda dell'Udienza, e parteciparmi la sua risposta.

In complesso non mi parve che la cosa destasse in Lui sensibile commozione; e qui devo riferire che qualche tempo addietro nel parlare accademicamente col Cardinale avendogli fatto sentire, che forse fra breve avrei avuto bisogno di qualche giorno di congedo per miei affari, e per riposarmi, cosa che io feci per indagare quale effetto avrebbe all'occorrenza prodotto sulla Santa Sede un tale progetto, m'avvidi, che Sua Eminenza ne restò in qualche modo colpita ed allarmata, e cercò subito di deviarne in me l'idea adducendo il bisogno di terminare i nostri affari. Capii che si temeva la mia partenza anche determinata da

motivi i più naturali, e non rivestita d'alcun carattere di corruccio, e lasciai senza altro cadere il discorso. Or bene non mi parve che alcuna sensazione di tal genere ora si producesse nel Cardinale, e stimo opportuno di notare al Governo una cosa e l'altra per sua norma, e per dare un più completo riscontro al desiderio su tal punto manifestatomi nella precitata sua nota del 16 corrente (1).

Il Cardinale mi manifestò, che Monsignor di Calabriana, e Monsignor Ferrè avevano risposto accettando le nuove destinazioni loro assegnate.

Mi disse per altro che per Monsignor Guadalupi erano nate delle difficoltà. Egli da principio aveva aderito; ma più tardi rispose di non poter accettare la nomina proffertagli. Si sperava di superare facilmente tale renitenza; ma egli vi persiste, e sebbene la Santa Sede non tenga ancor detta su ciò l'ultima parola, e creda che allo stringere il Guadalupi si risolverà, tuttavia volle che il Governo sapesse che tale nomina non è sicura.

Monsignor Rossini aveva risposto rifiutando la traslocazione a Lanciano per motivi che sembravano dimostrare in Lui un attaccamento alla sua Sede attuale. Quando io feci, a nome del Governo la nuova proposta della sua traslazione a Molfetta, come cosa anche da lui desiderata, la Santa Sede, nulla avendo in contrario sul merito, desiderò d'avere una sua dimanda. Io feci avvertire Monsignore d'inoltrarla tosto; Egli invece è venuto qui di persona, e da quanto mi disse il Cardinale (giacché Monsignore io non lo vidi), non manifestò punto l'idea di andare a Molfetta. Anche quest'affare perciò è sospeso, benché il Cardinale creda potersi ancora ravviare e concludere prima del Concistoro.

Rimisi a Sua Eminenza la nota dei candidati proposti dal Governo nell'ultimo suo dispaccio, cioè dei Sacerdoti Mario Lomonaco, Nicola Ratti, Romualdo Consiglio, Padre Domenico da Noci, Domenico Andreola, Padre Antonio da Sora, e di Monsignor Michele Salzano Vescovo in partibus di Tanes.

Il Cardinale si riservò di studiarla, ma intanto mi disse che si accettava senza maggiori indagini il Vescovo Salzano; e per vedere di comprenderlo nel prossimo Concistoro propose di destinarlo a Lanciano. Io non l'accettai per questa Sede, per la quale il Governo aveva proposto Monsignor Parlatore, né credeva recedere dalla proposta; e cercando fra le varie Diocesi vacanti, mi parve potersi destinare a quella di Sora Aquino e Pontecorvo. Fattone quindi il suggerimento, colla riserva di prendere gli ordini del Governo, il Cardinale disse, che a sua volta ne avrebbe parlato a Sua Santità.

Sua Eminenza inoltre mi disse, che poiché il Governo non vuole assolutamente accettare il canonico Bindi per l'Arcivescovado di Siena, la Santa Sede non disdice la sua nomina a Pistoja; e gli si scriverà subito.

Si fissò nuovo convegno a giovedì sera per intendere definitivamente la nomina del Salzano, e le altre cose rimanenti in sospeso. Voglia il Governo farmi avere per telegramma le sue risoluzioni in proposito di detta nomina.

Il Cardinale per ultimo mi diede in nota due nuovi candidati, e sono; Sacerdote Giuseppe Moreschi Arciprete Capitolare di Massaccio nella Diocesi di Jesi. Monsignor Domenico Cavallini-Spadoni Vicario Capitolare di Cingoli.

Fra coloro, a cui sono stati sequestrati i frutti dei benefizi per effetto dei noti Decreti di rappresaglia vi ha il Cardinale di Hohenlohe, il quale ne possedeva uno a Cingoli. Mi premerebbe moltissimo di sapere se il sequestro a tale beneficio è per avventura stato tolto nello stesso modo, che con provvedimenti singolari è stato tolto ad altri dei quali mi giunse notizia, fra cui. è quello PQsseduto da certo sacerdote Galanti. Sarebbe pur bene, che fossero sollecitati i riscontri e le risoluzioni su tale materia in genere, stanteché continue sono le istanze e sollecitazioni che ricevo dai molti interessati che qui si trovano.

Monsignor Dusmet ringrazia il Governo dei provvedimenti dati sulla facoltà a Lui d'indossare l'abito monastico, e per la risposta concernente l'arciprete di Bronte.

Trasmetto al Governo una supplica delle Monache Teresiane di Terni, ora residenti in Roma, per conseguire il permesso di dimorare in questa città, alla quale dovettero recarsi, previo avviso dato al Governo, nel 1866 perché concentrate in un Monastero d'Ordine e di regola diversa dal proprio, ed in località nociva alla loro salute. Il permesso si chiede all'oggetto di non esser prive della pensione che loro assegna la Legge, e la dimanda è caldamente raccomandata da Monsignor Cerruti di Varazze, e per dir vero sembra molto appoggiata a motivi di equità (1).

Mentre stava per chiudere la presente ricevo il dispaccio ministeriale del 18 corrente (2), il quale per altro risulta impostato soltanto il 19, epperciò in tempo da non potermi pervenire prima della conferenza col Cardinale. Le cose però dal detto dispaccio non riceverebbero mutazione sostanziale, salvo quanto alla nomina per Pistoja, che ivi si esclude, ed è stata invece già intesa col Cardinale (3). Siccome per altro il concerto fu preso sulla base della proposta del Governo non credo che ciò possa riuscirgli sgradito. Per Monsignor Salzano se non riceverò domani in tempo il chiesto telegramma resta inteso che non si prenderà alcuna conclusione in proposito. Nel resto mi uniformerò al contenuto del dispaccio.

(l) Cfr. n. 275.

(l) Fin qui edito in Carteggi Ricasoli, vol. XXV, pp. 471-472.

290

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AL MINISTRO A PARIGI, NIGRA

T. 132. Firenze, 21 marzo 1867, ore 21,50.

Dans le discours de la Couronne il n'y aura rien qui regarde la question de Rome et la politique extérieure.

Il y a trois jours le baron de Malaret m'a communiqué le projet de proposer à la Sublime Porte de laisser les crétois libres d'exprimer leurs voeux. La Russie nous ayant fait parvenir une demande d'adhésion à ce projet (4) nous y avons

(-2) Cfr. n. 281.

adlleré. L'Autriche et la Prusse ont envoyé des instructions à Constantinople pour a.ppuyer cette demande. Nous avons de meme (1). L'Angleterl'e se tient à l'écart.

(l) -Annotazione a margine: «Può darsi questo permesso>>. (3) -Annotazione a margine: <<Sta bene>>. (4) -Cfr. n .279.
291

IL MINISTRO A PIETROBURGO, DE LAUNAY, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 183. Pietroburgo, 21 marzo 1867, ore 22,45 (per. ore 1,30 del 22).

A défaut de entente préalable sur la forme à donner aux démarches rélativement aux Crétois, Gouvernement russe a envoyé à son agent à Constantinople instructions de se concerter selon les circonstances avec ses collègues pour poursuivre but proposé.

292

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AI RAPPRESENTANTI DIPLOMATICI ALL'ESTERO

CIRCOLARE 41. Firenze, 21 marzo 1867.

Affinché la S. V. continui ad essere informata di tutto ciò che maggiormente interessa la politica generale d'Italia, reputo conveniente farle conoscere lo stato di alcune fra le quistioni che formarono oggetto alla mia lettera Circolare delli 17 febbraio ultimo passato (2); e dappoiché l'occasione se ne presenta, Le accennerò pure brevemente alcune notizie importanti che riguardano il servizio diplomatico di Sua Maestà all'estero.

Già le esposi nella precedente Circolare come i negoziati colla Santa Sede relativi ad argomento religioso, i quali erano stati ripresi fin dal Dicembre scorso, fossero riusciti ad un accordo, in base al quale, senza detrimento dei diritti e degli interessi dello stato, sarebbesi potuto provvedere alle principaLi fra le Diocesi vacanti del Regno. La S. V. avrà indi rilevato dai giornali come nel Concistoro tenutosi addì 21 febbraio siano stati preconizzati per Sedi d'Italia non pochi Arcivescovi e Vescovi, intorno alla cui scelta il Governo del Re e la Santa Sede avevano potuto già cadere reciprocamente d'accordo. Intorno ad altri siffatto accordo è di poi intervenuto e la preconizzazione di altri avrà luogo in un prossimo concistoro.

La presenza del Commendator Tonello in Roma tornò utile anche pel conseguimento di talune concessioni in argomento di pubblica Amministrazione il cui bisogno facevasi ogni di più sentire, segnatamente nelle provincie del Regno finitime al territorio pontificio. Cosi fu ottenuto che i cittadini del Regno i quali abbiano a transitare sulle ferrovie romane per recarsi dalle provincie meridionali a quelle settentrionali o viceversa, vadano esenti dall'obbligo di sottoporre

i loro passaporti al visto di un Consolato Spagnuolo, e siano ammessi a proseguire il loro viaggio sul territorio pontificio mediante l'esibizione di un semplice passaporto per l'interno, che loro sarà ritirato all'entrata nello Stato pontificio, per essere poi loro restituito all'uscita.

Fu altresì ottenuto che le merci e bagagli che abbiano a transitare sul territorio pontificio vadano esenti da qualsivoglia dazio assoggettando invece i compartimenti che le contengono alla semplice formalità della piombatura; mentreché per lo addietro le merci pagavano un diritto di transito, ed i bagagli dei viaggiatori dovevano subire la formalità dell'ammagliatura e del bollo per ogni singolo collo.

Infine, in ordine allo scambio delle corrispondenze postali le basi proposte dal R. Governo furono accolte in principio, in guisa che è sperabile che tra le due amministrazioni possa concludersi fra breve un accordo reciprocamente vantaggioso anche su tale argomento. Siffatti accordi non costituiscono certo un sistema di rapporti conforme del tutto ai nostri desiderii, ed alle giuste esigenze degli interessi privati. Essi segnano però un miglioramento della situazione, ed il Governo del Re è lieto di ravvisarvi un avviamento verso una più soddisfacente condizione di cose.

Le stipulazionì sancite col Trattato di pace del 3 ottobre 1866 tra l'Italia e la Austria vanno man mano ricevendo la loro esecuzione, senza che sia occorsa finora, tra i due Governi, mi è grato il dichiararlo, veruna divergenza sostanziale. Per dare una più pronta esecuzione all'Art. IV del trattato il Governo Italiano ed il Governo Austriaco avevano incaricato fin dal novembre scorso due Ufficiali Superiori dei rispettivi eserciti di preparare gli elementi che avrebbero poi dovuto servire di base per la del,imitazione della nuova frontiera. Quegli studi preliminari essendo stati compiuti testè, ciascuno dei due Governi ha nominato, per l'esecuzione di siffatta operazione, una Commissione composta di un Ufficiale generale, di due Ufficiali Superiori e di un funzionario civile con voto puramente consultivo. I rispettivi Commissari si sono riuniti a Venezia nei primi giorni di questo mese, ed hanno inaugurato i loro lavori conferendo la presidenza della Commissione al Generale Robilant Primo Commissario italiano.

Il Governo del Re volendo procede,re con piena conoscenza di causa, in un argomento, la cui speciale importanza non può sfuggire a quanti hanno in pregio i monumenti della storia nazionale, ha affidato ad una Commissione composta d'uomini insignì e versati nello studio dei patri annali, un esame preliminare che abbia a servire di base pel negoziato relativo alla restituzione degli Archivi Veneti. L'opera illuminata di codesta Commissione e la fede data dal Governo Austriaco sono pegno che verranno integralmente restituiti quegli oggetti preziosi la cui assenza sarebbe troppo grave lacuna negli Archivi e nei Musei del Regno.

In conformità di quanto fu stipulato nell'art. 21 del Trattato furono solleci

tamente aperti negoziati per la conclusione di un nuovo Trattato di Commercio

e di navigazione, che assicuri, mediante l'applicazione dei principii più larghi e

liberali, in materia di dogana, lo svluppo dei rapporti economici tra i due paesi.

Il Governo Imperiale per agevolare il conseguimento di un pronto accordo su

tale materia che importa lunghi e laboriosi studi inviò a Firenze Commissari

specalmente incaricati di proseguire siffatta trattazione coi Commissari che il Governo del Re, a sua volta, s'era recato a premura di designare per tale ufficio. Le conferenze iniziate sotto favorevoli auspici hanno già dato luogo ad uno scambio di vedute generali, dal quale, malgrado alcune divergenze manifestatesi sopra punti secondari attualmente in discussione, ci è lecito sperare una soddisfacente e pronta conclusione dei negoziati.

Di una convenzione telegrafica tra il Regno d'Italia e l'Impero d'Austria conchiusa dai rispettivi delegati a Vienna addì 16 febbraio p.p. furono scambiate le ratifiche in Firenze il 15 del mese corrente.

L'art. XXII del Trattato di pace relativo alla restituzione dei beni privati, posseduti già da Arciduchi ed Archiduchesse della Casa d'Austria in Italia è pure in via di esecuzione. Le ragoni rispettive del Governo del Re e degli Arciduchi si stanno dibattendo tra Commissari Regi e ciò espressamente delegati ed i Mandatari cui i Principi spodestati conferirono all'uopo i loro poteri. La lentezza con cui procedono siffatte trattative deve essere ascritta alla necessità di laboriose ricerche e di maturi studi che sono indispensabili in una materia ave sono così intricate le ragioni su cui poggiano i diritti rispettivi ed in cui è più che mai grave la responsabilità del Governo.

Prima di chiudere il presente argomento è mio debito di constatare come sia stata data piena applicazione per parte del Governo Austriaco all'amnistia sancita coll'art. XXIII del Trattato. A sceonda della lettera e dello spirito di siffatta stipulazione, vi furono compresi anche quegli accusati e quei condannati che conservarono la qualità di sudditi imperiali, purché il titolo della accusa o della condanna fosse un fatto connesso agli avvenimenti della pensola italiana. n Governo del Re, dal canto suo, con Decreto del 31 Gennajo pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del lo febbrajo scorso volle dare amplissima integrazione all'impegno assunto coll'art. XXIII del Trattato, pubblicando un'amnistia generale per tutti gli imputati politici del Regno, ed ordinandone l'immediata liberazione senza necessità di apposita declaratoria per parte delle autorità giudiziarie.

I nost11i rapporti colla Prussia continuano ad essere eccellenti, ed il Governo del Re volle dimostrare in qual pregio tenesse l'amicizia di quel Governo, non frapponendo indugio nel dare un successore al Conte Di Barral, e scegliendo all'uopo il Conte Di Launay, che nella missione già precedentemente sostenuta presso la Corte di Berlino aveva saputo cattivarsene la stima e benevolenza.

A fronte delle difficoltà che presentano gli affari d'Oriente l'Italia procede d'accordo colle altre Grandi Potenze. Noi dobbiamo esser lieti di vedere che tutti i Governi ammettono la posizione che per molti titoli ci compete nelle quistioni internazionali che concernono l'Impero Ottomano. La nostra azione reca infatti nella quistione Orientale un elemento di concordia e di pace, e col contribuire a mantenere il concerto Europeo, rende più facile una soluzione conforme ai nostri principi ed ai nostri interessi.

Di fronte all'insurrezione di Candia ed alla agitazione manifestatasi in varie provincie dell'Impero Ottomano i consigli dati dalle Potenze al Governo del Sultano furono quali erano richiesti dalla situazione e dalla urgenza di prevenire danni maggiori. L'Italia tenne essa pure questa via ed il suo rappresentante a Costantinopoli ha ricevuto istruzioni che gli permettono di associare la nostra

azione diplomatica allo scopo di trovare una pronta ed efficace soluzione alle difficoltà presenti.

Le varie quistioni di diritto marittimo che s'agitarono fra l'Italia e la Turchia a seguito delle violenze usate dagli incrociatori Ottomani a danno di alcune nostre navi mercantili sono entrate nella via di amichevoli componimenti. L'arbitraggio per istabilire l'ammontare dell'indennità dovuta alla Compagnia proprietarie del piroscafo « Principe Tommaso » fu accettato da lord Lyons Ambasciatore Britannico a Costantinopoli ed i due Governi interessati in quella discussione hanno preso impegno di riconoscere il lodo.

In tutte queste quistioni noi abbiamo ricusato di riconoscere alla Sublime Porta il diritto di estendere fuori del mare territoriale di Creta gli effetti giuridici di uno stato di guerra che la navigazione straniera non può essere costretta ad ammettere fuori delle acque dell'Isola insorta.

Meglio apprezzando il diritto che a noi compete, come Potenza garante dell'Impero Ottomano, la Sublime Porta ha promesso con una sua Nota ufficiale diretta al R. Rappresentante a Costantinopoli che qualunque volta avvenga che gli affari di Siria richiedano il concorso degli Agenti delle grandi Potenze, il Console italiano in Beirouth sarà invitato ad intervenire ad ugual titolo dei suoi Colleghi. Noi abbiamo stimato conveniente prender atto della dichiarazione fattaci senza maggiormente insistere sovra questa discussione anche perché la medesima ha perduto ormai gran parte del suo valore pratico, dacché nella quistione generale de' Cristiani d'Oriente oggidi agitata, la nostra posizione è diggià riconosciuta in fatto da tutte le grandi Potenze che con noi procedettero ad uno scambio di ufficiali comunicazioni.

La vertenza delle fortezze di Serbia della quale ho informato la S. V. colla mia Circolare del 17 Febbrajo u.p. ebbe una soluzione. La dimanda fatta da S. A. il Principe Michele che i presidi ottomani abbiano ad evacuare tutte le fortezze del Principato compresa quella di Belgrado, ha ottenuto l'adesione della Sublime Porta alla sola condizione che la bandiera Turca continuerà a sventolare sovra le fortezze unitamente a quella di Serbia. Le quistioni concernenti l'applicazione della fatta concessione saranno definite durante il soggiorno che S. A. il Principe Michele, intende fare a Costantinopoli in occasione di un prossimo suo viaggio.

Se pertanto noi abbiamo veduto con vera soddisfazione il Governo del Sultano ascoltare i consigli ripetutamente datigli dalle Grandi Potenze, e decidersi cosi a terminare una vertenza piena di gravi pericoli, non possiamo disconoscere che queste concessioni giungono in un momento in cui gli animi sono già da lunga pezza concitati e le complicazioni di una situazione, per se stessa pericolosa, sono divenute ben maggiori.

Gravi sono le notizie che ci giungono dal Messico. La condotta prudente della nostra Colonia in quell'Impero lascia però fondata ragione di sperare che gli interessi nostri non avranno a soffrire quei danni ai quali i nostri connazionali troverebbersi esposti, ove si fossero lasciati strascinare a prendere partito nelle cose politiche di quelle contrade.

La fiducia avvalorata dalle ultime informazioni ricevute, che il conflitto ispano-cileno e la guerra del Perù abbiano ad avere finalmente un termine per

mezzo della mediazione di Stati amici e ragioni di politica convenienza, non disgiunte da quelle di una necessaria economia nel bilancio, indussero il Governo del Re a richiamare da Lima il Barone Cavalchini Inviato Straordinario di Sua Maestà e di ridurre così quella R. Legazione ad un posto di Console Generale Incaricato d'Affari. Preoccupandosi invece di nuovi interessi creati all'Italia nel Giappone, dai bisogni della sericoltura, venne deciso l'invio di una Missione permanente in quella lontana regione.

La S. V. sa che una spedizione militare e scientifica ha visitato l'anno passato i porti principali della Cina e del Giappone. La Piro Corvetta «Magenta » che ha felicemente compiuto quel viaggio è ora in cammino per ritornare in Italia. Il suo Comandante Cav. Arminjon, ha potuto negoziare e sottoscrivere importanti Convenzioni mercantili che assicurano al traffico italiano nelle contrade Cinesi e Giapponesi il trattamento della nazione più favorita. Il Conte Sallier de la Tour il quale recasi in qualità di Inviato straordinario e Ministro Plenipotenziario del Re a Yokohama sarà incaricato di procedere allo scambio delle ratifiche di quelle convenzioni. L'annunzio dell'invio di una missione permanente al Giappone fu accolto con vera soddisfazione dal Commercio italiano. Da molte parti del Regno e sovratutto da quelle provincie che da molti anni soffron danni gravissimi per l'atrofia dei bachi da seta, giunsero al Governo del Re e direttamente all'Inviato di Sua Maestà Memorie e notizie importanti che potranno facilitare e render assai più proficuo il risultato economico della missione che sta per partire.

Anche in paesi a noi più vicini la sfera delle nostre relazioni Commerciali va estendendosi. Sono allo studio varie Convenzioni e trattati i quali potranno esser condotti in breve termine a compimento. Intanto addì 8 Febbrajo p.p., si è proceduto allo scambio delle ratifiche d'una Convenzione ch'era stata conchiusa sin dal 31 luglio 1866 fra il Regno d'Italia e la Confederazione Elvetica per istabilire un servizio di vaglia postali fra i due paesi. Sollecito il Governo del Re di mantenere colla Svizzera i migliori possibili rapporti di buon vicinato, ha destinato a suo rappresentante in Berna, il Signor Cava1ier M. Cerruti, e l'accoglimento che egli ebbe dal Governo Federale, conferma che nella scelta del nuovo Inviato italiano, quel Governo ha veduto una prova dei nostri amichevoli intendimenti a suo riguardo.

(l) -Cfr. n. 284. (2) -Cfr. n. 192.
293

L'INCARICATO D'AFFARI A COSTANTINOPOLI, DELLA CROCE, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 187. Costantinopoli, 22 marzo 1867, ore 1 (per. ore 10,10).

Sur les instances du général Ignatieff ambassadeur de France a demandé autorisation à Paris de demander une suspension immédiate des hostilités à Candie. On voudrait faire cette démarche samedi. Ambassadeur de France me demande jusqu'à quel point je pourrais appuyer les démarches qui seraient faites per la France d'accord avec la Russie (1).

30 -Documenti diplomatici -Serie I -Vol. VIII

(l) Della Croce venne autorizzato ad associarsi al passo proposto con t. 133, pari data. ore 12,45.

294

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AI MINISTRI A LONDRA, D'AZEGLIO, A PARIGI, NIGRA, A PIETROBURGO, DE LAUNAY, A VIENNA, DE BARRAL, E ALL'INCARICATO D'AFFARI A BERLINO, QUIGINI PULIGA

T. 134. Firenze, 22 marzo 1867, ore 16.

Le discours de la Couronne a produit une très bonne impression sur la nouvelle Chambre. Jamais le Roi n'a reçu un accueil plus chaleureux.

295

IL MINISTRO A PARIGI, NIGRA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 186. Parigi, 22 marzo 1867, ore 19,25 (per. ore 20,30).

Discours du Roi produit ici trés bonne impression. Je vous en fais mes complimens.

296

ISTRUZIONI DEL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, ALL'INCARICATO D'AFFARI AD INTERIM DESTINATO A BUENOS AYRES, JOANNINI

Firenze, 22 marzo 1867.

Desiderando il Governo del Re che la R. Legazione a Buenos Ayres, non rimanesse più a lungo priva d'un capo che con la sua presenza ed autorità potesse sopravvegliare e tutelare all'occorrenza i molteplici e svariati interessi che abbiamo in quelle contrade, la S. V. Illustrissima è stata destinata al posto di R. Incaricato d'Affari ad interim presso la Repubblica Argentina per reggere quella missione fino a che non sarà provveduto all'invio d'un titolare effettivo.

Le qualità personali della S. V. Illustrissima e la capacità, prudenza ed attività di cui ha dato prove nelle diverse Legazioni dove finora ha prestata la sua opera mi fanno certo ch'Ella saprà corrispondere degnamente all'aspettazione del R. Governo.

Ella non metterà tempo in mezzo, Signor Conte, a recarsi al più presto a Buenos Ayres essendo ormai urgente che la numerosa nostra colonia in quello Stato, non sia più oltre privata d'un Rappresentante diplomatico cui possa far capo ed in ogni contingenza ricorrere.

La S. V. Illustrissima è certamente informata che la Repubblica Argentina, fatta lega or sono due anni col Brasile e colla vicina Repubblica Orientale dell'Uruguay, travasi in guerra aperta col Paraguay. Stando alle ultime notizie ricevute non pare che questa lotta voglia così presto finire quantunque sarebbe ciò

a desiderarsi tanto pel bene dell'umanità e de' paesi travagliati dai mali che ne derivano, quanto per ciò che riguarda i nostri commerciali interessi e quelli de' nostri concittadini colà residenti.

L'Italia essendo affatto estranea politicamente parlando, alla guerra che si combatte, non avendo nessuno scopo ambizioso o di conquista da far prevalere al Plata, ha creduto dover serbare verso le parti belligeranti, la più stretta e perfetta neutralità. E da questa condotta mantenuta finora, essa non intende per nulla deviare, giudicandola la più conveniente alle proprie viste ed interessi. Per la qual cosa la S. V. Illustrissima non farà o dirà nulla che non sia informato a questo principio direttivo della nostra politica ne' paesi dove ora si reca; e si studierà con la sua prudenza di evitare qualunque discorso od atto che possa far ombra o dar sospetto che noi avessimo simpatie piuttosto per una che per un'altra delle parti belligeranti.

Tuttavia se le accadesse di dover esprimere la sua opinione sulla guerra col Paraguay, Ella mostrerà di desiderare che una pace onorevole per ciascheduna delle parti, venga a porre un termine ad uno stato di cose deplorevole per tutti.

Sarà poi superfluo di raccomandarLe che ne' suoi rapporti col Governo Argentino, col Presidente della Repubblica, co' Ministri e con tutte quelle altre Autorità con cui avrà da fare, Ella dovrà condursi co' maggiori riguardi, e farli, in ogni occasione, certi che è nostro vivissimo desiderio di mantenere con la Repubblica Argentina le migliori relazioni d'amicizia e di buona intelligenza fra i due Gover-ni, derivando da esse non poco beneficio ed utilità ai rispettivi paesi e cittadini.

Nondimeno Ella non dovrà perdere di vista che va a risiedere in un paese dove per le continue divisioni di partiti e pei conflitti che spesso ne sono la conseguenza, il Governo non giunge quasi mai ad acquistare quella stabilità ed autorità che è tanto necessaria per fare che l'Amministrazione proceda regolare e spedita. Per la qual cosa è naturale che gli uomini i quali si succedono nel reggimento della Repubblica, si risentano ancor essi di un tale stato di cose, e quindi negli affari che hanno a trattare ricorrano soventi volte a quelle arti che servono a mandarU in luogo, a differ~rne la soluz.ione e a stancare eziandio chi ha da fare con essi.

Se alla S. V. accadesse di trovarsi in questa condizione di cose, dovrà ricordarsi che è nostro intendimento che sia sempre rispettata e mantenuta integra la dignità nazionale, e punto manomessi i diritti dei nostri concittadini. Sicché Ella farà uso d'un linguaggio conciliante e cortese si, ma al tempo stesso fermo ed energico; imperocché con Governi come quelli dell'Amevica del Sud, la risolutezza e la fermezza sogliano dare buoni risultamenti, senza che sia necessario di ricorrere a mezzi estremi quale sarebbe l'uso della forza. Ed a questo proposito non trasanderò di raccomandarLe, signor Conte, di tener sempre presente che il Governo del Re desidera vivamente evitare in codeste lontane regioni imbarazzi e complicazioni che impegnino la sua libertà di azione.

Nello Stato di Buenos Ayres ed in ispecie nella Capitale v'hanno parecchie migliaia d'Italiani, i quali sono per la maggior parte dediti ai traffici, alle industrie ed all'agricoltura. Come è chiaro, eglino debbono risentire gravissimi danni dalla guerra attuale, la quale nuoce ed incaglia ogni sorta di operazioni commerciali ed industriali. Sua particolare cura, Signor Conte, sarà quella di vegliare sulle sorti della nostra colonia, della quale una parte essendo molto antica nel paese è naturale che si debba sentire tratta per le sue relazioni ed interessi, a partecipare alle contingenze politiche della Repubblica. La S.V. illustrissima saprà co' suoi modi conciliativi ed urbani tirare a sé gli animi de nostri coloni e mantenerli sempre affezionati alla madre patria ed al proprio Governo. Raccomanderà loro caldamente di tenersi da parte da ogni ingerenza politica nelle cose del paese e di rivolgere solamente tutte le loro cure ai propri interessi ed affari, evitando per tal guisa coi loro comportamenti, spiacevoli difficoltà al Governo del Re.

Né trasanderò di assicurarLe che da parte nostra si farà ogni sforzo perché le loro persone, i loro beni vengano sempre difesi e guarentiti.

Essendo quella nostra colonia composta di gente d'ogni sorta di condizione sociale, è facile che vi nascano dei dissensi. Ella si studierà di mantenere fra loro il migliore accordo, e quindi inviglierà che in mezzo ad essi non si facciano strada certe idee radicali e sovversive, le quali sviandoli dalle loro utili e pacifiche occupazioni li rendano indisciplinati e disobbedienti alla cose del proprio dovere. Usando all'occorrenza di energia e di dolcezza Ella giungerà agevolmente a guidarli e ricondurli dalla sua parte.

Sono queste, Signor Conte, le principali cose che ho stimato utile doverLe indicare per l'adempimento della sua missiOne. Occorrendo, il Ministero non mancherà di inviarLe quelle speciali istruzioni che saranno del caso.

297

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AL MINISTRO A PIETROBURGO, DE LAUNAY

D. 67. Firenze, 22 marzo 1867.

II Barone di Malaret venne di questi giorni a leggermi un dispaccio del Suo Governo sulle cose di Oriente. Considerando l'isola di Candia come moralmente perduta per la Turchia, S. E. il Marchese di Moustier stima sia venuto il tempo di proporre alla Sublime Porta che abbia a concedere a' Cretesi la facoltà di manifestare liberamente i loro voti circa la loro sorte futura.

Le informazioni che ci giungono da quell'isola concordano pienamente colla opinione espressa nella nota del Governo francese. La lotta continua senza che il poderoso armamento di terra e di mare della Turchia giunga a por fine all'insurrezione. L'irritazione degli animi si accresce ogni dì più e già minaccia estendersi anche alle vicine provincie del continente asiatico. I provvedimenti presi dalla Sublime Porta a fronte di tante difficoltà non produssero quegli effetti che il Governo del Sultano si riprometteva. I soli distretti marittimi di Creta saranno rappresentati nella Deputazione a stento raccolta dal Commissario Imperiale Sever Effendi. Nessuna guarentigia nella elezione da autorità a quei deputati de' quali gran parte fu nominata dagli stessi funzionari ottomani.

A fronte di una situazione tanto grave non esitai a rispondere al Signor di Malaret che riconoscendo il valore delle ragioni esposte dal suo Governo,

noi aderivamo ben di buon grado ad una proposta la quale, a nostro avviso,

ha per base una legittima soddisfazione dei voti del popolo di Creta e per

fine il ristabilimento della pace in quell'isola.

Quasi contemporaneamente alla comunicazione fattami dall'Inviato di Fran

cia ricevetti il telegramma (l) col quale Ella per incarico avutone dal Principe

Gortchakoff, mi faceva sapere che il Governo Russo messosi d'accordo col

francese ci proponeva di aderire al progetto sovra riferito. Le risposi tosto (2)

facendole conoscere che la nostra adesione era assicurata a quella proposta

e mi affrettai spedire all'Incaricato d'Affari di Sua Maestà in Costantinopoli

le istruzioni che gli erano necessarie per poter associare l'azione diplomatica

del Governo del Re a quella dei Rappresentanti di Francia e di Russia (3).

Unisco a questo dispaccio copia di quelle mie istruzioni. Ella vi leggerà gli intendimenti del R. Governo non solo a fronte della questione di Candia ma eziandio in previsione di complicazioni maggiori. Stimai dover affe,rmare senza esitanza che la sola via che potrebbe ancora porre le basi di un avvenire di pace e di prosperità pell'Impero Ottomano, quella è di lasciare Creta a se stessa e soddisfare prontamente con una politica di larghe concessioni ai desideri ed ai bisogni delle razze cristiane d'Oriente. Dovetti però riservare ad altra occasione d'entrare a discorrere della forma migliore nella quale converrebbe rivolgersi alla Porta non essendomi ancora note le intenzioni delle altre Potenze al riguardo.

Un telegramma ricevuto da Costantinopoli (4) mi fece dipoi conoscere che l'Ambasciatore di Francia ed il Ministro di Russia proponevano si chiedesse alla Sublime Porta una sospensione d'armi in Candia, ed io ho dato istruzioni al R. Incaricato d'Affari di associarsi a quella dimanda.

Importerebbe però che i Governi i quali hanno potuto mettersi d'accordo sulla sostanza delle proposte a farsi a quello del Sultano, ora si intendessero ugualmente sulle questioni di forma. L'azione diplomatica riuscirà infatti tanto più efficace quanto più perfetto sarà l'accordo nel modo di esercitarla. Ella vorrà adunque, Signor Ministro, esprimersi in questo senso con S. E. il Principe Gortchacoff ed informarmi sollecitamente delle istruzioni che il Governo Imperiale intende dare al suo Rappresentante in Costantinopoli.

In quest'occasione Ella potrà confermare a S. E. il Ministro degli Affari Esteri di S. M. Imperiale la nostra fondata opinione che cioè nell'accordo delle Potenze stia la migliore guarentigia per gli interessi generali che si agitano in Oriente (5).

ALLEGATO ANNESSO CIFRATO

Des dépèches que le Marquis Incontri m'a adressées pendant votre absence de St. Pétersbourg il ressort que la Russie croit que nous ayons pris, au sujet de la question d'Orient des engagements antérieurs avec d'autres Puissances. Vous le savez et je Vous autorise à le dire au Prince Gortchacoff, notre action est entièrement libre et nous n'avons mème pas poursuivi des négociations séparées.

(l) -Cfr. n. 279. (2) -Non pubblicato. (3) -Cfr. n. 284. (4) -Cfr. n. 293. (5) -Analoghi dispacci vennero inviati in pari data a Berlino, Parigi c V!enna.
298

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DI GRAZIA E GIUSTIZIA E DEI CULTI AD INTERIM, RICASOLI, AL CONSIGLIERE DI STATO, TONELLO

Firenze, 22 marzo 1867.

Rispondo al graditissimo rapporto della S. V. Onorevolissima in data del 20 di questo mese (1), nel quale Ella mi dà ragguaglio del colloquio tenuto col Cardinale Antonelli la sera del 19.

Approvo pienamente il tenore della comunicazione da Lei fatta al Cardinale per annunziargli il prossimo suo temporaneo congedo, e tengo nota di quanto opportunamente mi riferisce circa il modo con cui venne dal medesimo accolto un tale annunzio.

Non sarà inutile ch'Ella procacci d'indagare i motivi per cui ora la partenza di Lei non produca nel Cardinale quell'inquietudine e quell'allarme che gli dava il semplice cenno d'una sua domanda di qualche giorno di congedo, e i motivi altresì che non lo preoccupano più del bisogno di terminare i nostri affari. Le notizie e i supposti che Le fosse dato di raccogliere su questo argomento, potrebbero dar lume sulle disposizioni di cotesta Corte e Curia e riuscirLe di molto giovamento nel progresso della sua missione. Le sarò grato se intorno a ciò mi vorrà essere cortese di qualche particolareggiato ragguaglio.

Il Governo assente alla provvista della sede di Pistoia e Prato nella persona del Canonico Enrico Bindi, che potrà essere preconizzato nel prossimo Concistoro.

Quanto a Monsignor Rossini, Ella vegga se ci sia modo di venire a qualche costrutto: ciò che importa al Governo è che sia remosso dall'arcivescovado di Acerenza e Matera, ove la presenza di lui non è conciliabile con le ragioni dell'ordine pubblico e con la tranquillità di quelle popolazioni. Se assente d'essere trasferito a Lanciano, come si era primamente proposto, il Governo si terrà soddisfatto; non essendosi messo fuori il partito di trasferirlo a Molfetta, se non nel supposto che tal fosse il desiderio del Prelato. E del pari si terrà soddisfatto, ove accetti d'essere trasmutato a Molfetta. In tal caso però intende il Governo che non si copra per ora la sede di Lanciano, non volendo egli recedere dalla proposta ultimamente fatta a favore di Monsignor Parlatore vescovo di S. Marco e Bisignano.

AvendoLe il Governo ultimamente significato di non esser disposto a prender concerti per la provvista di altre sedi pel prossimo Concistoro, non ho stimato opportuno d'accogliere la proposta di Lei per la destinazione di Monsignor Salzano alla sede di Sora, Aquino e Pontecorvo; e perciò non Le fu inviato il telegramma in proposito da Lei richiesto. Non si avrebbe però difficoltà d'assentire che Monsignor Salzano fosse destinato alla sede di Lecce, quando Monsignor Guadalupi non si risolvesse ad accettarla; intorno a che Ella rimane sin d'ora autorizzato a prendere ogni definitivo concerto.

Si assumeranno le debite informazioni sui due nuovi candidati proposti dalla Santa Sede, sacerdote Moreschi, arciprete di Massaccio (ora Cupramontana), e Monsignor Cavallini-Spadoni, vicario capitolare di Cingoli.

Nulla fu disposto finora circa il sequestro del beneficio posseduto in Cingoli dal Cardinale di Hohenlohe, dacché c'è il proposito, come Ella ben sa, di dare un provvedimento generale nella materia; provvedimento che sarà emanato, tostoché si ottenga da cotesto Governo la dichiarazione, di cui Le faceva cenno nell'ultima mia Nota.

Sulla domanda delle Carmelitane Scalze di Terni debbo significarLe in genere, che l'Amministrazione del fondo pel culto, visto il grave disavanzo passivo pel pagamento delle pensioni, ha adottato per massima di non concedere ai religiosi soppressi il permesso di godere delle loro pensioni all'estero, fino a che non fosse coperto un tale disavanzo. A questa massima generale furono fatte finora pochissime eccezioni, ristrette quasi unicamente ai religiosi, che già fossero stati addetti alle missioni dopo le precedenti leggi di soppressione; e tanto meno parve opportuno di farvi eccezione, quando si seppe che i frati e le monache abbandonavano lo Stato per condursi in altre case del loro ordine fuori del Regno, com'è il caso delle Carmelitane di Terni, perché il pagamento delle pensioni diventava un beneficio per la casa estera, non già pei frati e per le monache, ch'lvi né godono, né potrebbero godere della disponibilità de' loro assegni personali. Le Carmelitane poi di Terni, delle quali solo tre son native delle provincie pontificie, non accennarono già alla Cassa Ecclesiastica d'essere per trasmutarsi al monastero di Regina Coeli in Roma, bensì di volersi ritirare nelle loro famiglie. Ad ogni modo, anche per far ragione agli officii della S. V. e di Monsignor Ceruti, ho disposto che la domanda inviata da coteste monache sia considerata come diretta ad ottenere l'assentimento del Governo per riscuotere la pensione all'estero, e che, fatta eccezione alla massima sovra esposta, sia favorevolmente risoluta a sensi dell'art. 10 della legge 7 luglio 1866.

Ella è invitata a trovar modo di far conoscere a Monsignor Guglielmo De Cesare Abbate ed Ordinario di Montevergine costi dimorante, essersi dal Ministero dell'Interno notificato al Prefetto d'Avellino, che ogni ostacolo è tolto al ritorno di lui nel regno e nella sua diocesi.

(l) Cfr. n. 289.

299

L'INCARICATO D'AFFARI A COSTANTINOPOLI, DELLA CROCE, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 121. Costantinopoli, 22 marzo 1867 (per. il 30).

Il Cav. De Martino avrà mandato direttamente all'E. V. copia della Memoria che Nubar Pascià era stato incaricato di presentare alla Sublime Porta e della quale memoria ho parlato nel mio dispaccio del 15 corrente Marzo (1). I Ministri Ottomani hanno rifiutato di accogliere questo documento e Nubar Pascià dopo essere stato sul punto di rompere i negoziati si è deciso a comu

nicare invece a questo Governo l'altra nota che ho l'onore di trasmettere qui acchiusa (1).

Dal contenuto di questa nota e dai discorsi che il Ministro Egiziano suole tenere, si rileva facilmente che lo scopo precipuo del Vice Re si è quello di poter trattare direttamente cogli Stati Europei e di essere per conseguenza riconosciuto da loro come Sovrano indipendente. Per ciò che riguarda le altre concessioni chieste alla Porta Nubar Pascià dichiara altamente di non annettervi alcuna importanza. Dopo aver adempiuto ad un atto di pura deferenza Ismail Pacha saprà fare a meno del consenso del Sultano ogni qualvolta giudicherà opportuno di farlo; e a lui non mancherà né la volontà né il potere.

Fuad ed Aalì Pacha hanno accettato la seconda memoria, ma non hanno espresso alcuna opinione in proposito. Ma Nubar Pacha mi assicurò ieri che egli era convinto di riuscire nella affidatagli missione.

(l) Non pubblicato.

300

IL MINISTRO A VIENNA, DE BARRAL, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 14. Vìenna, 22 marzo 1867.

Toutes les nouvelles que l'on reçoit de Pest, où se trouve encore l'Empereur, s'accordent à reconnaitre que l'oeuvre de réconciliation et de reconstitution continue à marcher à merveille. Grace à un habile changement opéré dans les chefs des comitats en Croatie, l'opposition qu'avaient rencontrée les décrets du Ministère hongrois sur le mode de recrutement et la répartition des impòts va sensiblement diminuant, et quelques concessions dans l'administration qui gardera un certain caractère local achèveront de gagner le pays, dont la majorité, du reste, comprend parfaitement que son existence politique doit nécessairement désormais se rattacher à celle de la Hongrie.

De ce còté-ci de la Leitha où l'opposition contre le système de dualisme avait pris des proportions inquiétantes, les choses paraissent également prendre une tournure favorable. L'envoi à Praque de l'Archiduc Charles-Louis a singulièrement contribuè à calmer a mauvalse humeur et les résistances de la haute aristocratie, qui plus royaliste que l'Empereur, était la plus ardente à combattre les plans de M. de Beust. Les Diètes enverront leurs Députés au Reichsrath, et les rapports immédiats des Commissaires nommés par l'Assemblée avec ceux de Hongrie pour traiter la question épineuse des aifaires communes, donneront la mesure exacte de l'entente que l'on peut espérer pour l'avenir. Ce qu'il a de certain, c'est que l'épreuve tentée par M. de Beust est bien positivement, de l'avis de tous les hommes politiques, la seule qui puisse encore relier en deux faisceaux et dans des conditions de vitalité les membres épars de l'Empire. Si cette supreme tentative vient à échouer, il ne reste plus que le retour pur et simple à l'absolutisme unitaire et l'on sait quels fruits il a portés.

Les débats parlementaires qui viennent d'avoir lieu au corps législatif français ont produit une très grande sensation ici; et mème dans les régions gouvernementales l'on regarde comme certain que, malgré les déclarations de

M. Rouher, l'Empereur des Français se trouve dans une telle impasse en face des envahissements toujours croissants de la Prusse, qu·n ne pourra en sortir que par la guerre. Cette première impression s'est accentuée ancore davantage par l'annonce officille des traités d'alliance offensifs et défensifs entre la Prusse, la Bavière et Bade, que l'on considère comme une réponose énergique de M. de Bismarck au discours de M. Rouher. La presse autrichienne de son còté pousse son cri d'alarme et prévoit déja le moment où maitresse de toute l'Allemagne. la Prusse jetera des regards de convoitise sur ce dernier groupe d'Allemands qui reste encorre à l'Empire. Elle regarde cette double convention qui donne au Roi de Prusse le commandement des troups badoises et bavaroises, comme une violation flagrante du traité de Prague garantissant l'indépendance des Etats du Sud. La conclusion de ces appréciations est que, pour conjurer les dangers qui la menacent, l'Autriche, tout en cherchant à se reconstituer sur des solides bases à l'intérieur, doit se rapprocher de la France pour combattre l'ennemi commun 0).

L'on avait beaucoup parlé ces temps derniers de l'intention qu'avait l'Autriche d'envoyer des troupes sur ses frontiéres occidentales pour surveiller les mouvements que l'on prévoyait pourvoir éclater d'un moment à l'autre en Bosnie et dans l'Herzégovine. Il est certain qu'un instant le Gouvernement avait pensé à cette mesure de précaution, et que mème, suivant les circonstances, elle pourra encore ètre ordonnée. Mais après les démarches faites d'un commun accord par les grandes Puissances, pour conseiller à la Porte l'abandon de Candie et la conc·ession de garanties sérieuses en faveur des populations chrétiennes, l'on pense ici que la question, si elle n'est pas entrée dans une voie d'apaisement, va du moins subir un temps d'arrèt qui ne réclame plus de mesures aussi immédiates.

(l) Non si pubblica.

301

IL CONSOLE GENERALE A BELGRADO, SCOVASSO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

ANNESSO CIFRATO (2). Belgrado, 22 marzo 1867 (per. il 31).

Il se peut qu'au retour du Prince et l'évacuation des fortéresses un petit Garibaldi Slave entreprenne la conquète de la Bosnie et de l'Herzégovine au profit de la Serbie. Dans ce cas attitude du Gouvernement Serbe serait celle du Gouvernement ItaHen lors de l'entreprise du Général Garibaldi contre les

«Un journal autrich!en ayant voulu inslnuer q'en présence de la force toujours croissante de la Prusse Il serait d'une sage politlque de chercher à se rapprocher de cette Puissance, toute la presse autrlchienne s'est élevée avec véhemence contre cette opinion, qu'elle déclare !ndlgne de l'Autriche. Le fait est que, quoique dans !es reglons gouvernementales, l'on juge la s!tuation de la France comme trés grave, et que d'un autre còté l'on auralt déslré que les discours de M. Rouher continssent une expression p!us accentuée des sympathles du Gouvernement en faveur de l'Autriche, cependant !es tendances des Cabinets de Vlenne sont évidemment de ce còté-là, et M. de Beust écoute avec une complaisance significative et fort remarquée !es appréciations et indications de l'Ambassadeur français ».

Deux Siciles. Si la chose aura lieu, comme tout le porte à croire, j'aurai eu raison de dire que la cession des fortéresses viendrait trop tard. D'ici là je pourrai profiter du congé de 20 jours que V. E. m'a bien voulu accorder.

(l) Cfr. il seguente brano del r. 16 di Barra! del 25 m"rzo:

(2) Al. r. 3, non pubblicato.

302

IL CONSIGLIERE DI STATO, TONELLO, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DI GRAZIA E GIUSTIZIA E DEI CULTI AD INTERIM, RICASOLI

Roma, 22 marzo 1867.

* Recatomi jeri sera 21 corrente al colloquio fissato col Cardinale Antonelli, egli mi partecipò aver riferito a Sua Santità l'affare riguardante il mio temporaneo congedo. Il Santo Padre si ripromette che tale congedo sarà breve affinché si possa continuare a provvedere alle nomine che tuttora occorrono per le sedi vacanti, e mi fisserà apposita udienza dopo il Concistoro. Il Cardinale non si estese maggiormente in proposito; ho per altro saputo da persone che avvicinano il Sommo Pontefice, che egli fu irrequieto e dispiacente di questo incidente.

Il Cardinale mi annunciò indi con rammarico tre rinuncie relative alle nomine state sinora da noi concertate e preparate, e sono:

l) Quella di Monsignor Guadalupi designato per la Diocesi di Lecce. Ho già dato ragguaglio nell'ultimo mio rapporto della renitenza di questo prelato ad accettare la promozione propostagli, e delle speranze che si avevano ancora di indurlo all'accettazione. Ora tali speranze sarebbero affatto svanite.

2) Quella del Canonico Colli di Novara designato alla Diocesi d'Alessandria. Egli è in istato di salute così delicata, come tendente all'etisia, che assolutamente non può decidersi ad affrontare i travagli annessi ad una carica di tanta responsabilità qual è l'Episcopato.

3) Quella del Canonico Sciandra, designato per la Sede di Crema. Egli soffre di sangue ricorrente al capo, e non si sente in istato di affrontare nuovo genere di vita, nuove cure e nuovo clima.

Altra simile difficoltà: Monsignor Montixi Vescovo di Iglesias nominato nello ultimo Concistoro Arcivescovo di Sassari (e pare che la cosa nell'urgenza siasi fatta prima che fosse giunta la sua risposta sulla domanda d'accettazione), non può per l'età sua gravissima e per acciacchi allontanarsi da Iglesias, e supplica quindi d'essere lasciato colà. Non potendosi non tener conto dei ragionevoli motivi che adduce, non resta altro per ora, che di dargli l'Amministrazione Apostolica della stessa Diocesi ove si trova, e di pensar quind!i. ad altre combinazioni per provvedere stabilmente ed efficacemente l'Archidiocesi alla quale era stato destinato.

Per Monsignor Rossini non vi è ancora risoluzione. Egli dice che non andrà a Molfetta se non a titolo d'ubbidienza alla Santa Sede, qualora Sua Santità gliene faccia precetto. Egli deve quanto prima essere ricevuto in udienza dal Santo Padre, e domenica prossima mi sarà dal Cardinale partecipata la risoluzione definitiva, onde poter compilare la nota ufficiale dei preconizzandi da spedirsi al Governo.

In conformità delle istruzioni datemi colla nota del 18 corrente io feci al Cardinale la comunicazione del nome del nuovo candidato governativo per le province napoletane Monsignor Giovanni Battista Panico; e dell'accettazione dei tre proposU dalla Santa Sede * (1), Padre Cajazzo Agostiniano. Prevosto Fabiani di Gubbio, e Parroco Briganti di Torgiano. Feci sull'accettazione di quest'ultimo per parte del Governo, benché qualificato d'inflessibili opinioni clericali le osservazioni opportunamente indicate nel dispaccio, mostrando con quale larghezza di concetti il Governo agisca verso i candidati della Santa Sede, ancorché di opinioni contrarie, semprecché si trovi a fronte dell'onestà e lealtà di carattere, e dell'ossequenza alla Legge. Al qual proposito aggiunsi quanto il Governo sia rimasto stupito vedendo per contro escludersi dalla Santa Sede, fra i da lui proposti, integerrimi e per ogni verso rispettabili sacerdoti per assurde accuse d'una dottrina, qual é il Giansenismo, che non ha ormai più seguito in Italia neppure come dottrina di scuola, o per supposta aderenza ad un uomo, che ha perduto ogni credito ed importanza, e non ha per conseguenza più seguaci, qual è il Padre Passaglia.

* Per facilitare poi l'ulteriore corso delle trattative si rimase d'accordo col Cardinale, che anche pendente il mio congedo, si sarebbero potute tra noi scambiare per corrispondenza proposte di nomi, onde dar agio intanto a ciascuna delle parti di assumere le occorrenti informazioni, ed avere pel tempo del ritorno ogni elemento preparato per le definitive intelligenze.

Sua Eminenza mi partecipò essere pervenute alla Santa Sede vive istanze dei Municipio, e del Capitolo di Bosa in Sardegna per la provvista di un titolare a quella Diocesi vacante da circa 22 anni. Il Municipio corrisponde ab antico per la mensa del Vescovo la somma annua di L. 4 mila lire; e tanto è sempre stato il desiderio, e l'aspettativa d'un nuovo Vescovo, che, la detta somma fu sempre ogni anno religiosamente messa in serbo, cosicché ora si trovano accumulate 22 annate. Istanze simili vennero anche dalla città d'Alghero, la quale desidera che cessi la vacanza dell'Episcopato. La Santa Sede sentirà quali siano gl'intendimenti del governo, parendole tali domande degne di qualche considerazione, specialmente per la vastità di territorii in Sardegna. Ma di ciò si parlerà a voce quando sarò tornato a Firenze.

Il Cardinale Antonelli si era riservato di darmi una risposta in ordine alla proposta fattagli sui sequestri per rappresaglia ordinati dal Governo Italiano. Si era detto, che quest'ultimo sarebbe disposto a togliere i detti sequestri, sempreché la Santa Sede dal suo canto rimettesse in corso quei pagamenti, la cui cessazione aveva dato luogo alla rappresaglia. Or bene jeri sera il Cardinale mi disse, che dagli studi fin qui praticatisi all'uopo dalla Tesoreria era risultato non essersi mai dalle Casse Pontificie negato il pagamento di somma alcuna ad individui, o corpi morali attinenti al Regno d'Italia, salvoché in un caso solo, e non n'era anche ben certo, cioè per un credito interessante una confraternita

d'Ascoli, ma soggiunse, che anche tale pagamento era stato sospeso non già per alcuno dei motivi supposti, ma soltanto perché il creditore non aveva giustificata e regolarizzata la sua qualìtà secondo le norme solite e comuni richieste dalla Legge di contabilità. Io attenderò per proseguire le pratiche su tale materia i riscontri ulteriori annunziatimi dal Governo; intanto mi pare potersi ritenere che qui non si negano in massima i pagamenti di cui è caso*.

Sebbene il Cardinale Antonelli non me ne abbia precedentemente tenuto discorso, sulle sollecitazioni di altri Cardinali, io scrissi al Governo per l'Arcivescovo di Benevento, interessandolo alla risoluzione di quanto frapponevasi al di lui ritorno in Diocesi. Avuti i riscontri ministeriali sul pieno esaudimento dei di Lui richiami pei restauri del suo Episcopio, e per lo sgombro del suo Seminario, io ne diedi partecipazione al Cardinale Segretario di Stato, il quale mi disse, che se le cose erano quali io le annunziava non sapeva perché il Cardinale Carafa stesse tuttora lontano dalla sua Diocesi, e che ne avrebbe tenuto discorso.

Monsignor Gandolfi suffraganeo del Cardinale D'Andrea per l'amministrazione della costui Diocesi di Sabina, e che per l'assenza di quest'ultimo ha l'intiero carico dell'amministrazione suddetta, dovette non è gran tempo per motivi, che il Cardinale non seppe bene spiegarmi, lasciare l'abituale residenza diocesana di Magliano-Sabina nel Regno, e ritirarsi a Monte Rotondo nello Stato pontificio, d'onde amministra la Diocesi. Si vorrebbe sapere dal Cardinale, se allo stato delle cose in oggi vi siano ancora difficoltà perché il Gandolfi possa riprendere l'amministrazione nella sua sede naturale di Magliano.

Per Monsignor Salzano non avendo io ricevuto prima della conferenza alcun telegramma non si è, sceondo l'inteso, concluso nulla. D'altra parte il Cardinale mi disse, che siccome egli ha in Napoli varie incombenze, che rendono per qualche tempo ancora necessaria ivi l'opera sua, la presentanea sua destinazione ad una Diocesi incontrerebbe per parte della Santa Sede qualche difficoltà. Resta perciò accettato con riserva di fissarne più tardi la destinazione.

Non posso ancora avere la soddisfazione di annunciare a V. E. la risoluzione dell'affare riguardante Monsignor Brunone Bianchi, benché io sia stato più volte da Monsignor Franchi per darvi impulso. Si ha però fondata speranza, che l'assestamento avrà luogo fra breve in modo soddisfacente.

*Prima di chiudere ricevo il nuovo Dispaccio del 20 corrente (1). Anche questo, benché risulti impostato nello stesso giorno del 20, deve esserlo stato dopo la partenza del Convoglio notturno, che me lo avrebbe recato jeri mattina, e così prima della conferenza col Cardinale.

Da una rapida lettura del Dispaccio medesimo mi pare resti in qualche modo confermato quanto già mi si diceva dal Cardinale, che cioè non vi fosse stato rifiuto di pagamenti per parte del Governo pontificio a favore d'individui, o d'enti morali del Regno d'Italia. Siccome poi non si vede ben chiaro, come sia avvenuto, che gli stessi privati od enti morali del Regno non abbiano potuto far valere le loro ragioni né riscuotere quanto era loro dovuto, così prima di entrare in discussione col Cardinale su questa grave materia desidererei che mi si spiegasse quali siano stati gli ostacoli loro opposti. e se questi siano proceduti dal Governo, giacché questo dovrà rispondere certamente dal fatto suo proprio, ma non si

scorge senza maggiori delucidazioni, come egli debba essere imputato, e fatto responsabile del fatto di altri. Desidererei anche mi si dicesse per quali motivi non si vorrebbe estendere il provvedimento, al quale si sta per metter mano, agli arretrati degli interessi e frutti maturati pendente il sequestro e ciò dimando, in quanto che qui degli arretrati si fa sempre menzione ogni qualvolta si muove su ciò il discorso. Ove il dilucidare quanto sovra nella strettezza del tempo non fosse agevole, né potesse quindi sperarsi la risoluzione dell'affare prima della mia partenza, vegga il Ministero, se non torni meglio, che io ne differisca la trattazione sin dopo il mio ritorno, onde aver agio di discorrerne a voce in Firenze con quell'ampiezza, che sarà necessaria*.

(l) I brani fra asterischi sono editi in Lettere Ricasoli, vol. IX, pp. 352-355 e in Carteggi Ricasoli, vol. XXV, pp. 475-478.

(l) Cfr. n. 287.

303

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA AL MINISTRO DELLA GUERRA, CUGIA

D. S.N. Firenze, 23 marzo 1867.

Il Commendator Tonello riferisce essergli stato dichiarato dal Cardinale Antonelli che per dar maggior efficacia alla repressione del br,igantaggio verso il confine, si era dato ordine che i Comandanti delle forze pontificie sulla frontiera estendessero la sfera dei loro accordi con quelle delle forze italiane, concedendosi il reciproco ingresso sull'altro territorio quando ciò fosse richiesto dalla necessità dell'inseguimento.

L'iniziativa presa a tal riguardo dal Governo pontificio esclude quegli inconvenienti di eu lo scrivente in data dell'11 gennaio pp. (Gabinetto) (1), aveva fatto appunto all'analogo progetto di cooperazione proposto dal Generale Durando e riferito nella Nota di codesto Dicastero in data 3 gennaio p., n. 67, Gabinetto, sezione l" (2). Codesto Ministero potrà quindi far pervenire ai comandanti delle RR. truppe verso il confine pontificio l'autorizzazione di accogliere quelle aperture che a tal riguardo loro venissero fatte dai comandanti papaHni. Sarà però conveniente, e codesto Ufficio potrà farne argomento di espressa avvertenza, che si tenga sempre presente l'indole puramente militare di siffatti accordi parziali, e che se ne lasci di preferenza l'iniziativa agli ufficiali pontifici.

304

L'INCARICATO D'AFFARI A L'AJA, FAVA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. CONFIDENZIALE 2. L'Aia, 23 marzo 1867 (per. il 30).

A causa della perfetta separazione governativa fra l'Olanda ed il Lussemburgo, il quale non è unito alla corona dei Paesi Bassi che nella persona del Re, riesce

poco agevole a questo corpo diplomatico di essere convenientemente informato degli affari del Granducato. I ministri olandesi rispondono invariabilmente a quelli che il interrogano non essere essi ministri granducali, ignorare quindi le sorti di quel paese ed essere per nulla bramosi di saperle.

Ciò non astante sono oggi in grado di completare il mio dispaccio confidenziale del 13 andante n. l (l) nel quale accennai a prossime trasformazioni di reggimento nel Lussemburgo, ed alla venuta all'Aja del Ministro Presidente Barone di Tornaco. La fonte cui ho attinto le notizie che riferisco non mi lascia alcun dubbio sulla loro esattezza, mentre il personaggio che me le ha fornite è uno dei pochi all'Aja che è direttamente iniziato nelle pratiche che vado ad esporre.

Malgrado le dichiarazioni del Signor Rouher che il Governo imperiale rifugge da annessioni violente, la quistione della cessione del Lussemburgo alla Francia può ormai considerarsi come posata a Berlino ed all'Aja.

La Legazione di Sua Maestà in Prussia ne avrà già informato il Real Governo. In quanto a me ho l'onore di comunicare all'E. V. alcuni dettagli venuti a mia conoscenza relativamente ai negoziati intrapresi a Berlino dal Signor Benedetti, e continuati all'Aja dal Ministro di Francia Signor Baudin, il quale dopo aver avuto lunghi abboccamenti con Tornaco è stato per ben due volte ricevuto da Guglielmo III.

Mi si afferma che già all'epoca delle trattative di Nickolsburg il Conte di Bismarck abbia insinuato che la Prussia non si opporrebbe all'annessione del Lussemburgo alla Francia, ma che Napoleone III respinse allora questa combinazione dicendo non volere spogliare delle sue possessioni il Re dei Paesi Bassi a cui lo legavano eccellenti rapporti di amicizia. Quando più tardi, cedendo all'opinione pubblica della Francia che a torto od a ragione si sentiva umiliata dai rapidi successi della Prussia, il gabinetto delle Tuileries credette dover riprendere codesto progetto, Bismarck non mostrò la stessa arrendevolezza ed osservò che sarebbe forse malagevole indurre il suo Sovrano a rinunziare ad una posizione strategica di cotanta importanza quale è quella di Lussemburgo.

Incalzato dalle crescenti suscettibilità nazionali il Governo francese non ristette per questo, raddoppiò anzi di energia nelle pratiche intavolate, ed ora insiste per la pronta composizione di questa vertenza.

Gli emissari venuti a Lussemburgo per esplorarne le tendenze addimostrano abbastanza il desiderio che ha la Francia di procedere speditamente alla annessione del Granducato, da essa considerato come la chiave del Belgio e come una frontiera necessaria a preservare il territorio francese da una possibile invasione prussiana. Questi emissari son guidati dal Barone di Jacquinot, Sotto Prefetto di Verdun, il quale avendo per moglie una Lussemburghese ha non poche attinenze nel Granducato, n<3 conosce i bisogni, e più che altri è al caso di secondare le viste del Governo imperiale.

Fu appunto quando questo funzionario giunse a Lussemburgo, ed il Governo Granducale ne conobbe i disegni, che il Barone di Tornaco si affrettò di recarsi all'Aja per conferirne direttamente col Re.

Nei frequenti colloqui che egli ebbe col Signor Baudin, il ministro francese fece intravedere che la Prussia non isgombrerebbe guarì Lussemburgo se il Granducato dovesse rimanere quale è; ma sarebbe forse disposta a farne consumare l'annessione alla Francia a condizione che l'istorica fortezza di Vauban venisse completamente demolita. Il Signor Baudin dié finalmente ad intendere che al punto a cui son giunte le cose, la Francia abbandonerebbe difficilmente l'idea di una annessione.

Se il Signor Benedetti riesce a fare accogliere a Berlino una siffatta idea, è evidente che la Prussia intenta come è all'organizzanione della nuova confederazione, e poco sicura d'altronde delle provincie recentemente annesse, rifugge pel momento dal correre le sorti di una guerra che per essa sarebbe disastrosa se non fosse all'altezza della sua ultima campagna di Boemia. Ma se invece le conviene di rimanere a Lussemburgo non ostante la ferma intenzione della Francia di cogliere questo pretesto per rialzare il prestigio delle sue aquile offuscate, le conseguenze saranno inca,lcolabili. I trattati di alleanza conchiusi a Berlino il 22 agosto del passato anno con Baden e con la Baviera rinforzerebbero i battaglioni prussiani, e la guerra sarebbe ad oltranza fra due grandi nazioni del pari gelose del loro onor militare.

Fra questa doppia corrente di gravi interessi il Re Gran Duca si dibatte inutilmente. Ben vorrebbe egli secondare il voto dei suoi soggetti i quali ambiscono di rimanere ciò che sono; ma dannosa gli sarebbe la resistenza, proficua invece la pieghevolezza. Già il Gabinetto Lussemburghese, valendosi della circostanza che le popolazioni bramavano di essere rassicurate sulle loro sorti future, ha pubblicato dal giornale ufficioso l'Union la dichiarazione che trasmetto (l) accompagnata da una traduzione italiana. L'impressione che essa produce, quella, cioè, che Guglielmo III si rassegna già a cedere un territorio che i trattati del 1815 assicurarono alla Casa d'Orange, rende la situazione assai meglio di quello che io potessi descriverla. So che il comandante prussiano della guarnigione di Lussemburgo si è lasciato dire che non si opporrebbe ad un appello fatto agli abitanti del Granducato, e non è forse lontano il giorno in cui questo verrà dichiarato terra francese.

Un compenso pecuniario più o meno pingue al Re Gran Duca è ben poca cosa. Ciò che ha più prezzo agli occhi suoi è l'alleanza francese che egli si è procacciata col suo consentimento, e sulla quale può ormai contare nelle complicazioni prusso-neerlandesi.

Non oserei affermare che una alleanza offensiva e difensiva fra i due Governi sia già stata consacrata da trattato segreto; ma se le esigenze attribuite al Conte di Bismarck e designate nei precedenti miei rapporti politici n. 3 e 5 dovessero tradursi in atto, non sarebbe impossibile che le armate francesi e prussiane s'incontrassero in Olanda. La guerra per un momento evitata nel Lussemburgo, scoppierebbe fatalmente nel Ducato di Limburgo.

Le ulteriori investigazioni che mi propongo di fare mi metteranno forse al caso di poter dire con esattezza se realmente esiste un trattato segreto fra la

Francia ed i Paesi Bassi, ed in tal caso mi riservo di ragguagliarne V. E. con telegramma in cifra. Le sarei grato, Signor Cavaliere, se volesse compiacersi farmi accusare il ricevimento dei miei dispacci politici n. 83. 3. e 5 e dell'altro confidenziale n. l (1)...

(l) -Cfr. n. 108. (2) -Non pubblicata.

(l) Non pubblicato.

(l) Non si pubblica.

305

IL CONSIGLIERE DI STATO, TONELLO, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DI GRAZIA E GIUSTIZIA E DEI CULTI AD INTERIM, RICASOLI

Roma, 23 marzo 1867.

Ho l'onore di annunziare all'E. V. che in seguito dei concerti da me presi colla Santa Sede coerentemente alle istruzioni ricevute dal Governo, il Sommo Pontefice preconizzerà nel prossimo Concistoro fissato pel 27 del corrente mese alle Sedi Arcivescovili e Vescovili infradesignate i seguenti prelati:

l) Alla Sede Arcivescovile di Milano: Monsignor Luigi Nazari di Calabiana Vescovo di Casale;

2) Alla Sede Vescovile di Foligno: Monsignor Nicola Grispigni Vescovo di Poggio Mirteto;

3) Id. di Molfetta: Monsignor Gaetano Rossini Arcivescovo d'Acerenza e Matera col titolo di Arcivescovo;

4) Id. di Reggio d'Emilia: Monsignor Carlo Macchi preconizzato alla Sede di Crema;

5) Id. di Imola: Monsignor Vincenzo Moretti preconizzato per la Diocesi di Cesena;

6) Id. di Comacchio: Monsignor Alessandro Paolo Spoglia preconizzato alla Sede di Ripatransone;

7) Id. di Macerata, Monsignor Franceschini Vicario Capitolare di Foligno;

8) Id. di Marsico e Potenza: Padre Antonio Maria da Rignano ex-procuratore generale dei Minori Osserva n ti;

9) Id. di Tempio e Ampurias: Canonico Virdis Vicaro Capitolare di Bisarcio;

10) Id. di Saluzzo: Canonico Lorenzo Gastaldi di Torino;

11) Id. d'Alba: Canonico Galletti di Torino;

12) Id. d'Asti: Canonico Carlo Luigi Savio Teologo Collegiato di Torino;

13) Id. di Cuneo: Canonico Formica Parroco della Cattedrale d'Alba;

14) Id. di Pistoia: Canonico Enrico Bindi della Diocesi di Pistoja;

15) Id. d'Adria: Canonico Pietro Colli Vicario Capitolare d'Adria;

16) Id. di Casale: Monsignor Pietro Maria Ferrè preconizzato per la Diocesi di Pavia (1).

(l) Cfr. n. 237 e 267. Gli altri rapporti non sono pubblicati.

306

IL MINISTRO A PARIGI, NIGRA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 190. Parigi, 25 marzo 1867, ore 19,45 (per. ore 20,20).

Le bruit court que la France et l'Hollande sont en négociations pour la cession du Luxembourg à la France et que Prusse ne parait pas disposée jusqu'à présent à accorder son consentement. La négociation doit étre directe entre l'Empereur des français et le Roi des Pays Bas. M. de Moustier se renferme dans le silence le plus absolu et les représentants de Prusse et de Hollande n'en sont pas informés (2).

307

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AL PRESIDENTE DELLA COMMISSIONE ITALIANA PER LA DELIMITAZIONE DELLA NUOVA FRONTIERA TRA IL REGNO E L'IMPERO AUSTRIACO, DI ROBILANT

D. S.N. Firenze, 25 marzo 1867.

Mi sono regolarmente pervenuti i Rapporti che V. S. mi diresse fino al n. 17/9 in data del 19 corrente (3). Ho portato in modo speciale la mia attenzione sull'interessante Rapporto

n. 8/5 in data del 12 corrente (4).

La S. V. ha saputo molto opportunamente trarre il discorso sovra il delicato argomento delle rettificazioni di frontiera, ed io approvo il modo abile e riservato in cui Ella si espresse a tal riguardo. Certo sarebbe per ogni rispetto desiderabile la cessione per parte dell'Austria dei territori compresi in quel triangolo che ha per un lato il mare tra lo sbocco della Sdobba e Porto Buso, per secondo lato il confine attuale fino al suo incontro col Judrio e per terzo lato il Judrio stesso indi il Torre e poi la Sdobba fino al mare. È evidente però che né il vantaggio di una frontiera più razionale e meglio visibile, né l'annessione di un territorio di considerevole estensione sul cui fertile suolo è stabilita una popolazione puramente italiana, potrebbero giustificare l'alienazione di una porzione qualsiasi di territorio già annesso al Regno, la cui popolazione sia Italiana ed abbia preso parte

31 -Documenti diplomatici -Serle I -Vol. VIII

al plebiscito. Attenendosi pertanto alle istruzioni che Le furono impartite, Ella manterrà la dichiarazione già enunciata circa l'inammissibilità della proposta di retrocessione di quel territorio che è frapposto nella Valle del Cismone tra la Valsugana ed il Distretto di Primiero. La S. V. potrà ricercare di concerto col Commissario Austriaco altre concessioni che possano offrire materia di compensi per parte nostra e proporre intanto la facoltà del libero transito per le Autorità civili e militari austriache sul territorio stesso cui si riferiva la proposta del Generale Kirchsberg. Al che il R. Governo è fin d'ora disposto alle condizioni che V. S. rileverà dall'annessa copia di una Nota (l) diretta in proposito al Ministero dell'Interno dal R. Prefetto di Belluno.

Al quesito che V. S. mi sottopone col Rapporto n. 17/9 debbo rispondere con ripeterLe come i termini letterali dell'Articolo 4 del Trattato di pace escluda ogni nostra pretesa di porre in discussione l'attuale delimitazione amministrativa del Veneto. Nondimeno la S. V. potrà allegare in via amichevole l'ignoranza in cui era il R. Governo circa le recenti modificazioni recate alla delimitazione stessa e quelle altre ragioni le quali possono avvalorare le domande dei Municipi annessi per la reintegrazione di frazioni statene staccate in questi ultimi anni per misura amministrativa.

(l) -Il 27 marzo Tonello dette notizia dell'avvenuta preconlzzazione richiedendo 1 provvedimenti necessari per il possesso delle temporalltà. (2) -Notizie circa la questione del Lussemburgo erano state richieste da Guerrieri ·Gonzaga con t. 140, pari data. (3) -Non pubblicato. (4) -Cfr. n. 262.
308

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, RICASOLI, AL CONSIGLIERE DI STATO, TONELLO

Firenze, 24-25 marzo 1867.

* Mi reco a debito di rispondere subito al graditissimo rapporto della S. V. Onorevolissima in data del 22 di questo mese (2), nel quale mi dà ragguaglio della conferenza tenuta col Cardinale Antonelli la sera del 21.

Mi è grato risapere ch'Ella debba dopo il Concistoro avere un'udienza dal Santo Padre. In essa verrà agevole alla sagacia di Lei di rilevare i veri motivi della dispiacenza che Sua Santità avrebbe espressa pel temporaneo di Lei congedo, e la prudenza sua saprà trovare il modo d'insinuare che il suo ritorno costà potrà essere accelerato dalle definitive intelligenze a cui si venisse fra la Santa Sede e il Governo del Re circa la provvista delle diocesi che rimangono vacanti. In tale argomento Ella non ometterà di significare anche al Santo Padre quali siano i fermi intendimenti del Governo, come esso non possa comportare la sistematica esclusione di quasi tutti i suoi candidati e come s'attenda che quind'innanzi anche la Santa Sede s'inspiri a que' propositi conciliativi, da cui esso prese costante indirizzo. Insista principalmente nel mettere in evidenza la lealtà de' procedimenti del Governo, che non ha cessato mai e non cessa di mostrare la sollecitudine più viva della provvista di quelle diocesi che importa non lasciar vacanti e in genere delle ragioni e degli interessi della Chiesa Cattolica, sebbene non abbia avuto argomento d'esser punto soddisfatto del contegno del clero nelle ultime elezioni, il cui resultato avrebbe dovuto stargli molto a cuore, se non

altro per amore di que' grandi principii d'ordine e di moralità ch'è sua missione di rafforzare. Intorno a che io fo pieno assegnamento sulla sperimentata di Lei accortezza e riserva, attendendo che dell'udienza del Santo Padre mi dia particolareggiato ragguaglio * (1).

Mi duole della quattro rinuncie ch'Ella mi significa, per le quali rimarranno tuttavia vacanti la sede arcivescovile di Sassari e le vescovili di Lecce, Alessandria e di Crema. Se non fu accolto il partito di sostituire Monsignor Salzano a Monsignor Guadalupi nella sede di Lecce, non è il caso per ora d'avviare altre pratiche per la provvista né di questa, né delle altre sedi sovraindicate. Quanto a Monsignor Rossini non posso che ratificarLe ciò che Le accennavo nella mia Nota del 22 corrente (2). Degli ultimi due candidati proposti dalla Santa Sede, il Governo accetta Monsignor Domenico Cavallini-Spadoni, vicario capitolare della diocesi di Cingoli, ed esclude assolutamente il sacerdote Giuseppe Moreschi, arciprete di Massaccio, che non ha credito nella sua parrocchia, e dovette esser sottoposto a processo e a sorveglianza per aperta ostilità al presente ordine di cose.

Quanto alla sede di Bosa non consta punto al Governo, ch'essa abbia alcun assegno a carico di quel Comune; consta invece ch'essa va tra quelle sedi, a cui, quando fosse provvista, dovrebbesi fare un aumento di dotazione a carico del fondo pel culto, acciocché la sua Mensa avesse la congrua delle lire 10 mila assegnata dopo il 1855 alle Mense dell'isola di Sardegna. Ma tanto della diocesi di Bosa, che non ha più di 29 mila anime, quanto di quella di Alghero, che ne conta 48 mila, non conviene per ora tener proposito; e posto che rimane tuttavia vacante l'arcivescovado di Cagliari e la rinunzia di Monsignor Montixi lascia vuoto anche quello di Sassari, gioverà ch'Ella accenni che della definitiva sistemazione diocesana della Sardegna si farà oggetto d'ulteriori indagini e studii.

Non è punto esatto ciò che venne riferito al Cardinale Antonelli circa il non essersi mai dalla Casse Pontificie negato il pagamento di somma alcuna ad individui o corpi morali attinenti al regno d'Italia; dap poiché, a tacer d',altri casi, l'amministrazione della Cassa Ecclesiastica non venne mai a capo di riscuotere molti censi ed assensi a favore di case religiose e d'altri enti morali soppressi nelle Marche e nell'Umbria, di cui essa era sottentrata a rappresentare le ragioni e gli interessi, censi ed assegni gravanti o le Casse Pontificie o enti morali di cotesto Stato. Ma, com'Ella saviamente avverte, sarà bene che la risoluzione della vertenza de' sequestri e d'ogni altro affare relativo si differisca al suo ritorno, onde si possa aver agio di maturarla per ogni verso.

Frattanto Ella assicurerà la Santa Sede, che il Governo rimane fermo nel proposito di far luogo al divisato decreto di dissequestro; che circa agli arrestrati e ai frutti maturati intenderebbe doversi ogni vertenza relativa risolvere in ciascun caso nella via amministrativa e sotto forma di liquidazione; e che fu mosso a richiedere dal Governo Pontificio la proposta dichiarazione di reciprocanza di trattamento nel fatto d'ogni rendita ed assegno a favore dei rispettivi enti morali ed individui dal concetto di chiuder l'adito ad ogni difficoltà e contestazione. Vorrà inoltre soggiungere che, a prova della sincerità de' suoi intendimenti, il Governo ha disposto che sia tolto il sequestro al beneficio posseduto dal Cardi

nale di Hohenlohe nella diocesi di Cingoli, ed oggi stesso venne rassegnato alla firma reale l'occorrente decreto.

Monsignor Gandolfi, suffraganeo del Cardinale D'Andrea, venne allontanato da Magliano in seguito ai noti dissidii di quel Porporato con la Santa Sede. Il Governo piglierà conto della presente condizione delle cose, per riconoscere se Monsignor Gandolfi possa essere restituito alla ordinaria sua sede, e Le farà notizia della determinazione che sarà presa. Oggi stesso infatti se ne è scritto al Prefetto e alla Procura generale di Perugia.

Tengo nota dell'intelligenza in cui è corsa col Cardinale Antonelli circa il modo di continuare durante il suo congedo lo scambio delle proposte per la provvista delle diocesi vacanti.

Mi san di nuovo raccertato che l'Economato generale di Napoli ha ragguagliato il Governo del seguito dato ai richiami del cardinale Carafa, arcivescovo di Benevento, e degli accordi corsi in proposito con piena soddisfazione del Prelato.

Sarò lieto ch'Ella mi possa annunziare la sperata risoluzione della vertenza circa il canonico Brunone Bianchi.

* -Finisco col significarLe che oggi ho smesso la reggenza del Ministero di Grazia e Giustizia e dei Culti, la quale vien commessa al Commendator Filippo Cordova, Ministro d'Agricoltura, Industria e Commercio. Ella però proseguirà a corrispondere con me fino al suo ritorno, dappoiché gli affari a cui deve ora attendere, non sono altro che il risultato finale di precorse intelligenze * P. -S. 25 marzo 1867.

Fu ricevuto l'officio della S. V. in data del 23 di questo mese (1), nel quale sono enumerate le Sedi, a cui saranno preconizzati i titolari nel prossimo Concistoro.

(l) -Non si pubblica. (2) -Cfr. n. 302. (l) -I brani fra asterischi sono editi in Carteggi Ricasoli, vol. XXV, pp. 484-485. (2) -Cfr. n. 298.
309

IL CONSIGLIERE DI STATO, TONELLO, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, RICASOLI

Roma, 25 marzo 1867.

Il Cardinale Antonelli mi porge l'avviso, che il Canonico Colli di Novara, ll quale per motivi di salute non aveva creduto di poter aderire alla sua nomina di Vescovo di Alessandria, come io aveva l'onore di riferire al Ministero colla mia nota del 22 corrente (2), ora in seguito a nuovi umci indirizzatigli, si sarebbe deciso di accettare nella speranza, che il suo stato di salute non gli impedirà di compiere sufficientemente ai doveri dell'alta carica propostagli.

Facendo seguito quindi alla mia del 23 corrente (l) mi pregio d'annunziar all'E. V. che dietro ai concerti da me presi colla Santa Sede coerentemente alle

istruzioni ricevute dal Governo il Sommo Pontefice nel prossimo Concistoro del 27 andante preconizzerà in un cogli altri prelati indicati nella predetta nota: Alla Sede Vescovile d'Alessandria: il Canonico Colli di Novara.

(1) -Cfr. n. 305. (2) -Cfr. n. 302.
310

L'AGENTE E CONSOLE GENERALE A BUCAREST, SUSINNO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 197. Bucarest, 26 marzo 1867, ore 17,30 (per. ore 0,50 del 27).

A la Cour on est prévenus que Couza doit tenter mouvement en Moldavie comptant sur séparatistes. On soupçonne qu'il puisse déjà etre à Odessa. Il a des partisans dans l'armée. Agent serbe croit voyage prince Michel produira long temps d'arret en Serbie.

311

IL DIRETTORE SUPERIORE DELLA PUBBLICA SICUREZZA DEL MINISTERO DELL'INTERNO, AMORE, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

N. R.S.N. Firenze, 26 marzo 1867.

Come a codesto Dicastero è noto venner mosse lagnanze dal Rappresentante del Governo austriaco presso quello italiano, accennando a mene che sotto il pretesto di soccorrere all'Emigrazione politica del Tirolo nonché dell'altre Provincie rimaste sotto il dominio dell'Austria vengon fatte per provocarvi l'insurrezione nel senso d'ottenere l'aggregazione loro al Regno d'Italia.

Lo scrivente mosso dall'importante principio che non vengano meno le pacifiche relazioni che di presente corrono tra lo Stato nostro e quell'Impero, onde infine poter dare officiali assicurazioni in proposito a quell'Estera Legazione invitava i Prefetti delle Provincie limitrofe all'Impero d'Austria perché avesser ad impedire siffatte mene e volesser nel tempo stesso porgere a questo Ministero accurate informazioni in riguardo.

Ora lo scrivente è lieto d'esser in grado di poter partecipare a codesto Ministero che, è bensì vero che sui primi del mese di Dicembre scorso erasi tentato di istituire un comitato in Venezia che palesemente si proponeva lo scopo di soccorrere gli Italiani delle Provincie italiane tuttavia soggette all'Impero d'Austria, ma quel Comitato fu sciolto, sia perché non trovò chi rispondesse all'appello, sia per le suggestioni ed esortazioni fatte ai membri più influenti per parte del Signor Prefetto di quella città.

Che in Venezia sianvi dei cittadini Tirolesi, Istriani e Dalmati i quali aspirano all'emancipazione delle loro Provincie non si potrebbe revocare in dubbio, ma non sussiste che questi cittadini si immischino in mene ed intrighi colpevoli per promuovere la insurrezione contro il Governo austriaco.

Vuolsi bene che nelle Provincie suddette siansi divulgate a copie numerosis

. sime fra il popolo gli indirizzi che la emigrazione presentò al Generale Garibaldi quando fu in Venezia, ma quegli indirizzi erano già stati pubblicati da tutti i giornali ed un tale atto non potrebbe qualificarsi come un appello alla insurrezione. È pur corsa voce di progetti di spedizioni e nel Tirolo e nelle ProvinciE.'-del Litorale, questo Ministero però può affermare al seguito di accuratissime informazioni assunte al riguardo che le voci stesse non ebbero e non hanno alcun fondamento serio, e che fino al presente non si fece accolta né di uomini, né di armi, né di alcun altro mezzo per tradurre in atto il temerario divisamento. Del resto l'Autorità ed i mezzi di cui dispongono i pochi individui che si occupano a parole di simili progetti, sono tali che non possono dar luogo ad alcun ragionevole timore di vederli reallzzati. Tanto il sottoscritto pregiasi partecipare per quelle officiali partecipazioni ed assicurazioni che codesto Ministero crederà bene fornire al sopraccennato I. R. Rappresentante austriaco.

312

IL MINISTRO A VIENNA, DE BARRAL, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. CONFIDENZIALE S.N. Vienna, 26 marzo 1867.

J'ai terminé hier la série de mes nombreuses audiences chez LL. AA. II. les Archiducs et Archiduchesses d'Autriche. Partout j'ai trouvé le meilleur accueil, et ce qu'il y a eu de plus remarquable, c'est que l'Archiduchesse Sophie, la mère de l'Empereur, qui de tout temps avait poussé S. M. dans une voie éminemment hostile à l'Italie, s'est montrée plus particulièrement affable, m'ayant parlé fort longuement de feu la Reine, de regrettable mémoire, pour laquelle elle a gardé une tendre affection.

Les Archiduchesses Maria Annunziata et Maria Immacolata qui, bien que sans raison, auraient pft peut-étre garder une petite rancune pour la question encore pendante de la restitution de leurs biens, se sont également montrées extrémement bienveillantes. A commencer par l'Empereur l'on peut donc désormais étre sùr, qu'il ne reste plus aucune espèce de ressentiment pour le passé, et que l'Autriche, dont les intéréts du reste la portent à se reconcilier franchement avec nous, est décidément entrée dans une nouvelle voie de sincère amitié et de bons rapports avec l'Italie.

Ce que je viens de dire de l'Empereur et de son Gouvernement je puis également le confirmer des personnes de son entourage, dont l'accueil ne laisse rien à désirer.

313

L'AGENTE E CONSOLE GENERALE IN EGITTO, G. DE MARTINO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 4. Alessandria, 26 marzo 1867 (per. il 1o aprile).

Questa mattina mi è pervenuto il dispaccio di V. E. del 20 corrente n. 2 Serie Politica (1).

Dimani dovendo recarmi al Cairo per ricevere dal Ministro delle Finanze i boni del Governo per la somma delle transazioni convenute, mi farò dovere di esprimere a Sua Altezza il dispiacere di V. E. per l'involontario ritardo a riscontrare la di lui lettera.

Non mi sembrerebbe sorprendente che alcuni di questi Signori abbino rivolto all'E. V. dei lamenti per non aver ancora incassate le somme convenute. Mi sembra che questi Signori potrebbero essere contenti di avere i loro affari terminati quando attesero degli anni, ed altri anni avrebbero dovuto attendere, e chi sa con qual esito, se si fossero seguite le vie giudiziarie. Il Governo Egiziano più di ognuno comprese che ogni ritardo avrebbe molto danneggiato il buon effetto dell'amichevole conciliazione; ma non aveva denari, e ci è voluto il tempo materiale a mettersi d'accordo per l'emissione dei boni sul Tesoro, e sugli interessi, e sulle scadenze.

Questa mattina Raghib Pascià rivenne, come al solito, a discorrere delle giuste aspirazioni dell'Egitto, e manifestò ancora la loro speranza, e convincimento che le Grandi Potenze Europee, e l'Italia tra tutte, avrebbero secondato il loro movimento nella via del progresso. Rispondendogli sempre in termini generali credetti esporgli accademicamente alcune idee espresse nel dispaccio di V. E. e perciò gli tenni parola sulla naturale simpatia che l'Italia professa per le generose aspirazioni di tutti i popoli senza distinzione di razze e di credenze, e che perciò l'Italia sarà ben lieta di poter contribuire, entro la sfera della sua azione politica, alla prosperità ed allo sviluppo progressivo dell'Egitto. Raghib Pascià si è mostrato assai contento di queste parole, benché assa'i vaghe, e mi ha risposto che tre o quattro Grandi Potenze, che non mi nominava, ma che io poteva immaginare, avevano espressi gli stessi sentimenti verso l'Egitto. In queste ultime settimane i Consoli Generali di Francia e di Prussia furono diverse volte a vedere il Vicerè in Mansura, e seppi da terze persone, ignare però dei dettagli, che il secondo particolarmente fu soltanto per gravi quistioni politiche.

Sul progetto che l'E. V. m'interroga nel foglio in cifra annesso al citato dispacio non ho niente inteso finora, ma andando dimani al Cairo potrò, spero, sapere quel che vi sia di vero, e non mancherò informarne subito l'E. V.

In tutto il paese si parla pubblicamente d'indipendenza, e si ritiene per certo che in breve tempo succederanno in tutto l'Impero Ottomano avvenimenti tali da accelerarne l'attuazione.

(l) Cfr. n. 285.

314

L'AGENTE E CONSOLE GENERALE A TUNISI, PINNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. FUORI SERIE S.N. Tunisi, 26 marzo 1867 (per. il 31).

Ho l'onore di recare a notizia di V. E. che col postale di jeri da Livorno è qui felicemente arrivato il Signor Cavalier Castelnuovo, Medico di Sua Maestà, il quale si fece premura di rimettermi personalmente li riverito dispaccio fuori serie in data delli 20 corrente (l).

Confermando le precedenti notizie intorno al migliore andamento che vanno prendendo le cose in questo paese, godo di avere oggi a soggiungere che dopo la favorevole accoglienza fatta dal Commercio europeo alle due accennate operazioni finanziarie, è in corso di studio un terzo progetto che venendo del pari accettato bilancerebbe il debito della piazza. Nell'istesso tempo sarebbesi a buon punto con delle case bancarie di Parigi per un nuovo imprestito effettivo di

L. 7lh Inilioni, onde avere in mano di che soddisfare i portatori delle Tischere che non vogliono intendere di accomodamenti.

D'altra parte ho luogo a credere come vicina la soluzione della lunga e disgraziata pendenza risguardante i crediti previlegiati di alcuni italiani verso del Principe Sidi El-Hemin. Essendo stato giovedì scorso al Bardo all'oggetto di scambiare col Bey la cortesia usatami il giorno della festa del Re, afferrai la buona occasione per entrare issofatto su questo argomento, e dopo lunga ed animata conversazione ebbi la soddisfazione di sentirmi dire finalmente da Sua Altezza: «In via ufficiale (e ciò senza tema di pregiudicare la questione generale de' debiti de' Principi tunisini) non potrei che ripetervt le stesse dichiarazioni; in particolare però vi prometto oggi d'intendermi col mio primo Ministro per trovare il miglior modo di soddisfare alle vostre insistenti domande.

Restava l'altra differenza per l'applicazione della nuova tariffa sull'uscita delle lane, ed ancora riguardo alla medesima assicuravami il Bey che avrebbe dato le occorrenti disposizioni perché siano riconosciuti i diritti del commercio italiano.

In ogni modo non potea il Cavalier Castelnuovo giungere in momento più opportuno, perché godendo presso il Bey e della Corte antica stima e meritata considerazione ho maggiore speranza di pervenire questa volta col suo intervento ad assestare definitivamente le nostre pendenze col Governo tunisino.

La sua presenza poi mi sarà stata utile per un altro verso, riferendo cioè

de visu et auditu al suo ritorno in patria la natura e quantità delli affari cor

renti, le difficoltà della mia posizione, ed in mezzo a tutto ciò quel tanto di credito che pur sono andato bel bello acquistandomi al Bardo, presso de' miei Colleghi e della stessa Colonia italiana.

(l) Non pubbl!cato, ma cfr. n. 286.

315

IL MINISTRO A PIETROBURGO, DE LAUNAY, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 199. Pietroburgo, 27 marzo 1867, ore 18 (per. ore 20,40).

Ministre de Russie à Constantinople propose à son Gouvernement de demander aux tures suspension des hostilités et l'envoi commissaires des légations et des ambassades pour faire voter les crétois. Empereur adhère sous la condition de l'assentiment des autres puissances. Ministre de Russie à Constantinople a reçu instructions de chercher de rallier ses collègues sur piace. Gortchacoff m'a prié d'en instruire V.E. dans le cas où elle juge à propos agir également dans ce sens.

316

IL CONSOLE GENERALE A BELGRADO, SCOVASSO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 198. Belgrado, 27 marzo 1867.

Le prince part demain matin pour Constantinople accompagné du pacha Riza, gouverneur des forteresses, des MM. Marinovitch, ministre Milivoi, sénateur Tzernobaras. Je partirai aussi à la meme heure. Ce soir je saurai d'une manière à peu près exacte si la paix est assurée ou non pour cette année.

317

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, ALL'INCARICATO D'AFFARI A COSTANTINOPOLI, DELLA CROCE

D. CONFIDENZIALE 35. Firenze, 27 marzo 1867.

Non sapendo se i RR. Consoli in Salonicco, Serajevo e Belgrado avranno stimato poterLe inviare colla posta alcune informazioni particolari che mi hanno diretto in questi ultimi giorni, credo opportuno valermi dell'occasione della venuta in Costantinopoli del Signor Console Giudice per informarla di quanto risulta dalle corrispondenze di quei RR. funzionari. Sembra che fra la Serbia, la Grecia ed il Montenegro esistano estese intelligenze per mettere in insurrezione buona parte delle provincie europee della Turchia. Comitati in Atene, Costantinopoli, Corfù ed in molte località delle varie provincie lavorano intenti

a preparare il movimento che colla primavera dovrebbe scoppiare. Questi Comitati in intelligenza col partito d'azione in Italia fanno gran conto sul soccorso di quest'ultimo.

La cessione delle fortezze Serbe sarebbe ora venuta ad interrompere questo lavorio. Il Governo Serbiano si trova vincolato verso la Sublime Porta e le Potenze garanti ad accettare la cessione delle fortezze ed a dichiararsi soddisfatto e d'altra parte comprende che ove si ritirasse dagli impegni assunti senza che le altre popolazioni a lui collegate abbiano ottenuto esse pure qualche vantaggio perderebbe tutto il prestigio e tutta l'influenza che gli sono necessari per giungere un di al compimento delle sue aspirazioni. Questa è la situazione. Epperò a Belgrado cercavasi che gli altri collegati concedessero una proroga per mantenere gli impegni assunti. Se la domanda dovesse essere accettata in Grecia sarebbe partie remise. Però piuttosto che perdere la posizione acquistata presso gli altri popoli Slavi potrebbe forse la Serbia affrettarsi di accettare le fortezze e poscia trovare un facile pretesto per rompere guerra alla Turchia.

Qui unito Le rimetto copia di una Nota che ho sottoposto al Presidente del Consiglio, Ministro dell'Interno circa le relazioni dei Comitati Greci col partit o d'azione in Italia O). Ella vi troverà alcuni cenni di utile informazione. Se a Lei fosse dato di procurarmi qualche notizia sopra questo delicato argomento non manchi di farlo. Di siffatte cose non dobbiamo preoccuparci che nella misura necessaria per provvedere in tempo a che l'opera di pochi non venga a turbare l'assetto delle nostre relazioni esteriori. Se però Ella avesse qualche utile ragguaglio da comunicarmi al proposito procuri di usare nella corrispondenza tutti quei riguardi che valgano a mettere a riparo così confidenziali informazioni dall'indiscrezione delle poste estere. In mancanza di occasioni sicure converrà che Ella ciò faccia per mezzo di annessi integralmente cifrati.

318

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AL PRESIDENTE DELLA COMMISSIONE ITALIANA PER LA DELIMITAZIONE DELLA NUOVA FRONTIERA TRA IL REGNO E L'IMPERO AUSTRIACO. DI ROBILANT

D. S.N. Firenze, 27 marzo 1867.

Il Capitano de Charbonneau m'ha riferito intorno ad alcune proposte di rettificazione di frontiera, che potrebbero essere recate innanzi con certa probabilità di possibile accordo nel corso del negoziato per la delimitazione del confine.

Secondo le indicazioni fornitemi dal Capitano de Charbonneau, i territori che i Commissari Imperiali hanno chiesto, offrendo un conveniente compenso in altra località, sarebbero i seguenti:

Nel Distretto di Auronzo provincia di Belluno, il tratto di terreno compreso tra il confine attuale ed una linea che segnerebbe la divisione dei ver

santi correndo per il Cima di Lavaredo, Monte Campedello, Col Sant'Angelo e Monte Cristallo. Nel Comune di Raccolana: a) Il tratto di terreno compreso tra il confine attuale ed una linea che segnerebbe la separazione delle acque tra i Monti Mittagskofel e Kopfach;

b) Il tratto di terreno pure compreso tra la linea attuale di confine ed una nuova linea che segni la partizione delle acque tra i Monti Cregnedul e Prevala, passando per Madonna della Neve.

Tutti codesti territorii giacciono nei bacini idrografici attribuiti all'Austria, non hanno popolazione, almeno stabile, e sono di scarso utile finanziario.

All'infuori delle condizioni topografiche ed economiche di siffatti territorii, le quali ne renderebbero più conveniente e scevra di danno la cessione dal punto di vista geografico e finanziario, è evidente che l'assenza di popolazione stabile toglie di mezzo l'ostacolo principale che io Le accennai nelle istruzioni escludere la possibilità di retrocessioni territoriali all'Austria. Infatti verun plebiscito avendo avuto luogo in quelle località, sarebbe sufficiente per legittimarne il distacco dal Regno l'approvazione parlamentare, la quale dovrebbe in ogni caso essere riservata.

Il Governo del Re pertanto Le dà piena facoltà di aderire alle domande suesposte dei Commissari austriaci, quando fosse per conseguirsi un accordo circa i compensi da offrirsi a noi. Non è necessario che io Le rammenti Signor Generale, come allo stato attuale delle cose la sola rettificazione di frontiera a cui per avventura l'Austria potrebbe acconsentire e la cui urgenza è pure vivamente sentita è quella appunto che porterebbe il confine del Regno alla Sdobba, e che Le indicai più precisamente nel mio Dispaccio in data del 25 corrente Cl).

Ella potrà pertanto, Signor Generale, formulare la nostra domanda di compensi in guisa da comprendervi quei territorii che sotto il nome di Bassa di Palma costituiscono un triangolo, di cui un lato è la riva del mare tra Porto Buso e la Sdobba, -il secondo la Sdobba poi il Torre ed indi il Judrio -il terzo il confine attuale. Lascio del resto alla prudenza di Lei di ricercare altra misura di compensi nel caso in cui la prima domanda nostra non fosse accettata.

Mi limito solo ad accennarLe come altra località in cui è desiderabile una rettificazione di frontiera sia l'alta valle del Natisone, ove questo torrente taglia due volte, nel suo corso l'attuale confine.

Il Capitano de Charbonneau m'ha pure esposto il desiderio di Lei di conoscere le intenzioni del R. Governo pel caso in cui fossero domandati compensi pecuniarii per equilibrare la disparità economica e finanziaria che fosse per esistere tra i territorii rispettivamente a retrocedersi. Dubito assai che in seno ad una Commissione puramente militare la questione della delimitazione dei confini possa essere recata sovra un siffatto terreno. Ad ogni modo siccome riesce impossibile di prevedere fin d'ora la natura e la portata delle domande

che fossero per essere enunciate a tal riguardo dai Commissari austriaci, così La prego Signor Generale, di accettare puramente ad referendum qualsiasi proposta di tal genere, e mi riservo di farLe pervenire, a seconda del caso, più precise istruzioni.

(l) Cfr. n. 283.

(l) Cfr. n. 307.

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IL MINISTRO A PIETROBURGO, DE LAUNAY, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. CONFIDENZIALE 172. Pietroburgo, 27 marzo 1867 (per. il 3 aprile).

Si les affaires d'Orient doivent etre réglées par une entente entre toutes les Puissances, nous sommes encore éloignés de cet accord. Le tete-à-tete entre la France et la Russie, de la part de cette dernière au moins, se prolonge avec une lassitude, et qui plus est avec une défiance, déjà visible pour la galerie.

En attendant, les négociations se poursuivent sans amener de résultats. La question de l'agrandissement de la Grèce par l'Epire et la Thessalie est indéfiniment ajournée, et les Agents français voudraient faire croire que cet ajournement provient des répugnances du Cabinet de St. Pétersbourg à se rallier à cette combinaison. En toute vérité, celui-ci n'avait pas fait opposition, mais à la condition que des améliorations fussent aussi stipulées en faveur des autres races chrétiennes-Slaves. La cession meme de Candie reste en suspens. Aucune démarche n'a encore été faite à Constantinople. Les entretiens secrets de M. Bourée avec les Ministres Ottomans seraient-ils en contradiction avec le langage officiel qu'il est chargé de tenir, et n'encouragerait-il pas sous-main la résistance du Sultan? Ce soupçon a été émis e n ma présence.

Les rapports des Agents russes à Paris, à Vienne, à Constantinople, à Belgrade, signalent des variantes dans l'attitude et les paroles des diplomates français. Il y a un point cependant, sur lequel le Baron de Budberg et le Chargé d'Affaires Impérial à Vienne concordent. Dans des rapports portant la méme date du mois de Mars, l'un écrit que le Baron de Beust laisse entendre que, pour mieux assurer ses frontières. l'Autriche tiendrait à obtenir la Bosnie et l'Hérzégovine, l'autre mande que le Marquis de Moustier laisse entrevoir qu'il conviendrait de tenir compte de certains désirs bien fondés de cette Puissance. Inutile d'ajouter que la Russie, ainsi qu'elle l'a déjà déclaré précédemment, préférerait en appeler au sort des armes, plutòt que de tolérer que la Maison de Hasbourg fit main basse sur ces contrées. Nous ne pourrions pas l'admettre davantage, sans porter préjudice à nos intérets vers l' Adriatique. Mais, avant de formuler un veto, il faudrait des preuves plus certaines des convoitises du Cabinet de Vienne, il importerait surtout de savoir si elles trouvent réellement un appui à Paris. A l'instar du Gouvernement russe, veillons au grain. Il est évident que l'Autriche, à elle seule, serait aujourd'huy dans l'impossibilité de réaliser de tels desseins. La dernière guerre a laissé des traces profondes de mécontentement, surtout en Boheme et en Moravie. Les coquetteries exercées à l'égard des Polonais de la Galicie ont rejeté les Ruthènes dans le camps russe. La bonne intelligence rétablie avec la Hongrie durera peut-etre autant qu'une lune de miel. Les tiraillements renaitront et les habitants de la Croatie,

Esclavonie etc., pas plus que les populations allemandes, ne pardonneront à l'Empereur François Joseph les préférences accordées à la Hongrie.

L'Autriche aurait également laissé entrevoir que, si les troubles prenaient de plus larges proportions en Orient, elle se trouverait dans la nécessité d'échelonner des troupes vers la frontière dans cette direction. Dans ce cas, la Russie agirait de meme.

Sans etre aussi méfiant à l'endroit de l'Angleterre, le Prince Gortchacow en est encore à attendre de voir se vérifier l'espoir que le Cabinet de Londres sorte de son attitude expectante; mais, jusqu'ici du moins, Sir Buchanan n'a fait aucune communication indiquant le moindre revirement. Bien loin de là, il manifeste ouvertement des sympathies turques, et il dit tout haut que le Cabinet de Londres ne recommandera pas, entre autres, une cession, sous une forme quelconque, de Candie, cession qu'il jugerait au moins inopportune.

Ce n'est donc qu'à Florence et à Berlin que le Prince Gortchacow trouve un certain concours, dont je ne veux pas diminuer l'importance à ses yeux, tant s'en faut; mais il est trop perspicace pour ne pas se rendre compte que ces deux Cabinets ont surtout la mission de travailler, avant tout, au maintien de la paix générale, sans se départir, dans la mesure de cette dignité qui sied à de grandes nations, de certains ménagements de mise à l'égard de la France limitrophe. L'Italie et la Prusse sont les médiateurs indiqués au milieu de ce conflit d'opinions, et partant elles doivent éviter de se placer dans les camps extremes, tout en cherchant à les rapprocher et à gagner leur confiance.

Voici maintenant où en sont les négociations.

En réponse au mémoire du Marquis de Moustier du 22 février échu, le Prince Gortchacow a transmis à Paris un rapport négatij énumérant ses objections contre le Hatt-Houmayoum, qui ne saurait etre adopté comme présentant des éléments suffisants de réformes et d'améliorations, en présence d'une situation qui exige des remèdes prompts et efficaces. Quant au rapport, que j'appellerai positif et énonçant un plan sérieux et réel de manière à rendre possible la coexistence des populations chrétiennes sous la domination musulmane, le Vice-Chancelier a déjà fait connaitre ses vues principales au Marquis de Moustier, vues conformes à celles que j'ai mentionnées dans ma dépeche confidentielle N. 171 (1). Ce travail sera complété plus tard par les renseignements réclamés à la Légation du Tsar à Constantinople.

Pas ces communications, le Gouvernement Impérial se propose de mettre enfin la France en demeure de se prononcer d'une manière plus catégorique et surtout plus pratique, qu'elle ne l'a fait jusqu'ici. Il est permis de supposer que ses ouvertures directes et confidentielles à St. Pétersbourg avaient un double but: lo de chercher à paralyser jusqu'à un certain point la Russie, en la liant sous le sceau du secret; nous savons s'il a été bien gardé de part et d'autre; nous savons aussi que la Russie a pris l'initiative de demander, pro torma, de rentrer dans le droit commun, c'est-à-dire d'ouvrir des pourparlers avec les autres Puissances, jusqu'ici officiellement tenues à l'écart: 2° le Gouvernement français aurait également visé à isoler la Prusse. Le fait est, je le tiens de bonne source, qu'il eùt voulu, en echange d'un certain virement de bord en

Orient, gagner la voix de la Russie en Occident, pour des éventualités non précisées, mais faciles à deviner pour quiconque a suivi avec attention les débats à propos des interpellations de M. Thiers. La Russie se serait bornée à laisser entendre que de son còté, en retour de bons procédés à son égard, elle ne se préterait à aucune coalition agressive contre la France. On aurait répliqué de Paris qu'on demanderait d'avantage, savoir un concours éventuel.

La Russie aurait alors déclaré qu'elle ne pourrait s'engager sur des éventualités à peine esquissées, sur des indications qui restaient trop dans le vague, et que d'ailleurs l'équivalent lui ferait défaut. On ne saurait à ce titre lui offrir une protection, de nouvelles immunités à accorder aux chrétiens en Orient, car il s'agit là de donner satisfaction à un intérét qui ne lui est pas exclusif, mais qu'elle partage avec toutes les autres Puissances européennes, ayant à coeur au méme degré de prévenir de sérieuses complications dans ces contrées si elles ne veulent pas en subir le contre-coup.

Il m'a été dit que, depuis lors, le zèle de la France s'est sensiblement refroidi dans ses rapports avec le Cabinet de St. Pétersbourg. Sans vouloir chercher les subtilités dans les choses, on ne serait peut-étre pas bien loin du vrai, en acceptant cette version qui expliquerait le fin mot de la politique française.

Quant au secret de la politique russe, il git, ou je me trompe fort, dans son désir d'entraver tout arrangement qui ne tiendmit pas compte dans la méme mesure des intéréts des races chrétiennes en Turquie, prises dans leur ensemble, et surtout des Slaves, (sous se rapport rien ne preuve encore que la Serbie soit entièrement désintéressée par l'évacuation de la forteresse de Belgrade, et qu'elle refuse son assistance à un mouvement qui éclaterait au Nord des possessions turques). C'est là pour la Russie une condition rigoureuse pour le présent, et surtout pour l'avenir, quand elle pourra arborer plus ouvertement son drapeau. Pour le moment, elle voudrait se dégager peu à peu de ses entretiens passablement génants avec la France, quand surtout ils n'aboutissent à aucune conclusion acceptable à son point de vue, et leur substituer négociations entre toutes les Puissances. Or, si la politique est un marché, convier tous les ayants cause à en régler les conditions, c'est sans doute plus correct et plus conforme aux traités, mais ce serait aussi introduire dans le débat de nouvelles prétentions, de nouvelles divergences. Dans tous les cas, à defaut d'entente générale, une solution radicale deviendrait impossible dans l'état actuel des choses. n·un còté, il est vrai, les chrétiens en Orient auraient les coudées plus franches, mais, sans un appui direct de l'étranger, ils réussiraient tout au plus à arracher au Sultan quelques concessions de nature à leur faire prendre patience. Alors la Russie dirait, nommément aux Slaves, que, s'ils n'ont pas obtenu davantage,

la faute en aurait été à l'aréopage européen sourd à ses conseils. Elle leur prechérait de compter sur des jours meilleurs. En attendant, le statu quo ne serait pas remanié de fond en comble de manière à farrer l'avenir à cet Empire pour le jour où il serait prèt à prendre hardiment en main des intéréts, qu'il s'appliquera à identifier de plus en plus avec les siens. Je n'ai pas besoin d'ajouter que, pour lui, les Grecs ne passent qu'en seconde ligne. C'est l'élément Slave qui jouit de toutes ses préférences, parceque c'est en lui qu'il croit trouver le meilleur appoint dans sa politique orientale.

(l) Non pubblicato.

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IL CONSOLE GENERALE A SMIRNE, BERlO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 156/11. Smirne, 27 marzo 1867 (per. il 5 aprile).

Per debito di cronista riferisco ìe voci che corrono in città.

Ricciotti Garibaldi arrivato a Sira fu accolto con ogni dimostrazione: ne ripartì per Atene ove parimenti fu accolto in modo straordinario: dicesi ch'egli si dirige in Candia e che il padre suo od il suo fratello sieno determinati a recarsi nella Tessaglia ove l'insurrezione scoppiò ed avvennero già scontri colle Truppe Ottomane.

Aggiungesi che 1500 garibaldini sieno sbarcati in Missolunghi, d'accordo col Governo Ellenico che li diresse in quella città onde, non sbarcando in Atene, evitare reclami per parte del Governo Turco e della diplomazia.

I Greci sono lieti di questo intervento del Generale Garibaldi anzi credono che il Governo di Sua Maestà non osteggi direttamente la venuta del famoso guerrigliero e si ripromettono l'ulteriore appoggio di lui nelle fasi che la vertenza orientale possa avere.

Lo stesso appoggio attendono dalla Francia, anzi ieri s'è sparsa voce che la Francia farà occupare Smirne da un corpo d'esercito per render non impossibile o pericolosa la pubblicazione di quelle riforme che il Sultano sta per dare, riforme che il partito retrivo con ogni forza avversa.

Qui infatti il timore di una reazione turchesca è generale e la pubblicazione di riforme per parte del Governo ne sarebbe certamente il segnale. Perciò la popolazione chiede che legni da guerra rimangano di stazione in questa rada: e conformemente a questo voto generale la « Gazzella » (prussiana) rimarrà qui ed il «Prométhée » ritornerà fra due giorni da Metelino per ripigliare l'ancoraggio di Smirne per lungo tempo, mentre la flotta dell'Ammiraglio Sasset veleggierà in queste acque del Levante.

L'Arcivescovo di Smirne Monsignor Spaccapietra pochi giorni fa mi esprimeva questi timori ch'egli divide col rimanente dei Cristiani e mi raccontava che Monsignor Etienne Generale dei Lazzaristi uomo di gran nome e di grand'affare in Parigi ha testè diramato ai suoi dipendenti nel Levante avvisi di star parati alle temute eventualità, delle quali ieri tenne ancora discorso col Comandante del « Guiscardo ».

L'esempio delle altre nazioni, le tradizioni nostre, mi pare che impongano alla Marina Italiana l'obbligo di concorrere ad un dovere di umanità a scongiurar pericoli, a tutelare queste popolazioni cristiane a rassicurare queste nostre Colonie. Io mi permetto per conseguenza di pregar l'E.V. ad interporre validi uffizi presso il Ministero della Marina perché un Legno da guerra rimanga di stazione in questi paraggi.

Nella speranza che l'E.V. accolga la mia preghiera che è quella della popolazione cristiana, ...

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L'INCARICATO D'AFFARI A COSTANTINOPOLI, DELLA CROCE, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 203. Costantinopoli, 28 marzo 1867, ore 17,10 (per. ore 8,45 del 29).

Aujourd'hui ambassadeur de France sans avoir prévenu ses collègues a fait tout seul une démarche auprès de la Sublime Porte sur la question de Candie. Ambassadeur m'a rendu compte lui meme ce soir du refus net et catégorique qu'il avait essuyé. Fuad pacha a répoussé toutes les propositions qui lui ont été faites à l'égard d'un plébiscite et meme pour une suspension d'hostilités. Ambassadeur de France m'a declaré qu'il croyait que son ròle était fini et que le notre commençait. Demain les ministres de Russie, d'Autriche, de Prusse et moi nous tacherons de nuos mettre d'accord sur une ligne de conduite identique. Ambassadeur d'Angleterre continue dans l"abstention. L'ambassadeur de France a toujours agi dans cette affaire avec beaucoup d'hésitation et de mollesse.

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IL MINISTRO A PARIGI, NIGRA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 202. Parigi, 28 marzo 1867, ore 18,10 (per. ore 20).

J'ai interpellé M. de Moustier sur la forme à donner aux démarches auprès de la Turquie. M. de Moustier m'a dit qu'il laisse une grande latitude à l'ambassadeur de France mais il pense que la démarche ne doit pas etre collective pour ne pas blesser Angleterre et qu'elle doit etre concordante simultanée et verbale.

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IL PRESIDENTE DELLA COMMISSIONE ITALIANA PER LA DELIMITAZIONE DELLA NUOVA FRONTIERA FRA IL REGNO E L'IMPERO AUSTRIACO, DI ROBILANT, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 33/11. Venezia, 28 marzo 1867.

La commissione internazionale per la delimitazione della frontiera AustroItaìiana avendo condotto a termine nella seduta d'oggi l'esame generale del tracciato dell'attuale confine amministrativo la commissione Italiana credette opportuno il momento di rimettere in campo la questione già antecedentemente accennata di una rettificazione di confini nel tratto di frontiera della bassa di Palma sulle basi ch'io aveva l'onore di far sottomettere verbalmente all'E. V. dal Capitano Cavaliere Charbonneau conformemente alle quali V. E. con suo dispaccio di ieri (l) m'autorizzava a trattare.

Conseguentemente esposi i più rilevanti inconvenienti che per i due Stati limitrofi emergono dall'attuale tracciato della frontiera dal punto dove essa abbandona il Iudrio sino a quello in cui dopo aver percorso la pianura con linea serpeggiata, e non in relazione con accidenti qualsiasi di terreno raggiunge il mare a porto Buso.

Accennai come tali inconvenienti fossero per quanto riflette le popolazioni limitrofe minori attualmente di quanto saranno per esserlo in avvenire quando ambi gli Stati ben accertata la frontiera stabiliranno le relazioni di confine in un modo normale che forzatamente dovrà far cessare la larga tolleranza che per reciproco tacito accordo si usa al presente nelle relazioni confinarie di quelle popolazioni. Insistetti sui danni considerevoli emergenti da una linea di confine sì anormale, per la finanza dei due stati. Toccai pure dell'interesse di un ordine più elevato forse ancora che il Governo Imperiale avrebbe di veder mutato uno stato di cose che per la sua apparenza di provvisorietà non potrà a meno di dar costantemente motivo ad aspirazioni per parte delle popolazioni del Regno d'Italia che il Governo Austriaco avrebbe ogni interesse ad attutire. Conchiusi finalmente dicendo che la Commissione Italiana si riteneva fondata a dichiarare i suoi desideri al riguardo, sulla considerazione che i Commissari Imperiali a.vP.nnn lnrn DP.r primi espresso alcuni desideri di parziali rettifiche di confine che importerebbero cessione di territorio per parte nostra, avevano in tal modo preventivamente ammesso l'accettabilità di conseguenti domande di compensi territoriali per parte dell'Italia, compensi che per l'appunto la Commissione Italiana intendeva chiedere nella bassa di Palma. Posi in rilievo la circostanza, che se i tratti di territorio la cui cessione era desiderata dal Governo Austriaco non potevano per la loro estensione pareggiare in modo alcuno la zona di terreno che noi ravvisavamo necessario di unire al Regno d'Italia per regolarizzarne il confine nel bacino del basso Isonzo avevano però una sì alta importanza militare pei due stati (essenzialmente quello del distretto d'Auronzo) da equilibrar forse nella bilancia i desideri da noi espressi. Non credetti insistere maggiormente sugl'interessi militari che motiva,rono il passo non senza importanza e conseguenze, fatto dal Governo Austriaco a riguardo di quei tratti di territorio come su quelli che conseguentemente c'indurrebbero a non condiscendere alla chiesta cessione. Troppo evidente era che nessuna considerazione in proposito erasi sfuggita da ambe le parti.

I commissari Austriaci porsero attento ascolto alla sopradetta esposizione da me fatta, non dissimularono però somma esitanza ad accettar discussione in tal materia, ed il Generale Kirchsberg mostrò anzi dapprima desiderio di riservarsi a dar risposta qualsiasi a riguardo. Ritornai in allora nuovamente sugl'argomenti già da me propugnati e che meglio mi parvero atti a far prendere in considerazione la nostra proposta, feci sentire senza appoggiarvi sopra, ma pur in modo chiaro e preciso che essendo da noi stato accettato antecedentemente l'esposizione dei desideri della parte Austriaca la reciprocità ci era dovuta e che quindi da ambe le parti non potevasi far a meno di riferirne ai rispettivi Governi.

Eccitato allora a definire quale fosse la rettifica dai Commissari Italiani desiderata senz'ambagi accennai che una sola credevamo atta pienamente allo

32 -Documenti diplomatici -Serie I -Vol. VIII

scopo e quella essere di seguire il corso dello Iudrio sino al Torre e poscia il Torre sino all'Isonzo da qui per la Sdobba al mare.

La commissione Austriaca mostrò allora essersi lusingata che forse equo compenso ai vantaggi militari che si sarebbero accordati all'Austria e cedendogli i tratti di terreno da essa desiderati, si sarebbe potuto trovare per parte dell'Italia nell'acquisto di una determinata zona attorno alla fortezza di Palmanova. Tal supposizione però, venne dalla Commissione Italiana combattuta, e respinta: insistendo sulla lievissima importanza per noi di quella Piazza, ed accennando pure come una conveniente estensione di territorio in quel punto speciale, francamente ritenevamo dovercela all'evenienza aspettare senza obbligo di compenso qualsiasi, in base soltanto al precedente della convenzione del 59 relativo alla zona difensiva di Peschiera. Consultatisi allora nuovamente i Commissari Austriaci, il Generale Kirchsberg mostrassi disposto ad accettare ad referendum la nostra proposta, e quindi di comune accordo fu deliberato, che da ambe le parti si sarebbe scritto ai rispettivi Governi esponendo i desideri di rettifica di confine espressi dall'opposta parte, chiedendo quindi l'autorizzazione di trattare sul proge~tato scambio qual venne dalla commissione Italiana proposto, ed in caso tal progetto non fosse ritenuto accettabile chiedendo le istruzioni sulle basi sulle quali i negoziati al riguardo potessero proseguirsi. Presa una tal deliberazione di comune accordo fu determinato che mentre si starebbe in attesa dei rispettivi riscontri dagl'Alti Governi si sarebbe progredito nella trattazione delle questioni non aventi relazione col progetto in questione, e quindi venne sciolta la seduta.

Le istruzioni impartitemi dell'E. V. pienamente già rispondono alla nuova fase in cui entrò la negoziazione affidata alla Commissione ch'io presiedo; ciò non di meno ho creduto opportuno far seguire al cenno telegrafico trasmesso oggi a V. E. sul risultato dell'odierna seduta (1), il presente particolareggiato rapporto onde farle conoscere i particolari della seguita discussione, ravvisando possano essere non senza importanza a conoscersi da chi forse dovrà in questi giorni a Vienna appoggiar la proposta stata oggi accettata ad referendum dai rappresentanti del Governo Imperiale. A tal proposito giovami ancora porre in avvertenza l'E. V. che la commissione Imperiale Austriaca carteggia esclusivamente col Ministro della Guerra, e che quindi converrebbe trovar modo acché questi non porgesse ai suoi dipendenti il chiestogli riscontro prima che su di lui si facessero sentire i risultati delle pratiche che all'oggetto saranno fatte presso la Corte di Vienna.

(l) Cfr. n. 318.

324

L'INCARICATO D'AFFARI A L'AJA, FAVA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. CONFIDENZIALE 3. L'Aja, 28 marzo 1867 (per. il 3 aprile).

A conferma di quanto riferii il 23 andante col mio dispaccio confidenziale

n. 2 (2) ho l'onore di aggiungere nuove particolarità che ho attinte alla stessa

sorgente ufficiale, del tutto consone del resto ad altre informazioni pervenutemi da persona che è accanto al Re.

* Nell'ultima udienza accordata al Signor Baudin da Guglielmo III, il ministro Francese dopo aver esplicitamente dichiarato che il Governo imperiale non nutriva idee di ingrandimenti, conchiuse dicendo che ciò non astante per calmare le suscettibilità nazionali l'Imperatore trovavasi nella penosa necessità di non respingere l'ipotesi dell'annessione del Lussemburgo alla Francia.

Mi si afferma che Guglielmo !III non respinse recisamente queste aperture, ma fece osservare che una simile cessione da parte sua potrebbe essere male interpretata a Berlino * (1). Fu allora che il Signor Baudin insinuando che egli non disperava del consenso prussiano, raccomandò fortemente la combinazione in parola.

L'affare è da quel momento nelle mani del Re. Il Barone di Tornaco ritornò nel Granducato, e niuna nota diplomatica fu del resto scambiata sull'oggetto fra il Gabinetto delle Tuileries e quello del Lussemburgo.

n compenso pecuniario offerto al Re Gran Duca sarebbe appena di 20 milioni di franchi, e l'altro ben più prezioso di un'alleanza è tuttavia allo stato di progetto. Tutto si restringe per ora a semplici trattative fra il Re ed il Signor Baudin, trattative che formerebbero più tardi la base di un accordo.

Noto che il Ministro di Francia si reca domattina di bel nuovo a Parigi, allegando per motivo di dover assistere alle nozze di uno dei suoi fratelli.

*Fra la Francia che agogna il Granducato e la Prussia che vi tien guarnigione ed è ancora titubante a sgomberarlo, la posizione del Governo olandese è divenuta come era facile il prevedere, estremamente delicata*. La tanto invocata sparazione dei due Stati, riuniti soltanto nella persona del Re, è oggimai una chimera. Essa ha già fatto il suo tempo, ed ora non vale a sottrarre gli olandesi dagli imbarazzi che loro suscita la così detta unione personale.

*Egli è evidente che non essendo uno Stato militare l'Olanda non potrebbe starsi di mezzo a conflagrazione di grandi potenze, e dovrebbe invece raffermarsi in quel sistema di circospetta neutralità inaugurato nel 1848, che le procurò lunghi anni di prosperità non interrotta facendo della sua politica esterna una politica affatto commerciale.*

Rifiutando la cessione del Lussemburgo alla Francia, ovvero accondiscendendovi senza previo concreto con la Prussia, Guglielmo III avrebbe trascinata l'Olanda in serie complicazioni europee che sarebbero in ogni caso riescite fatali ai Paesi Bassi.

*Rettamente consigliato il Re ha* (2) schivato questa triste eventualità. Da una parte non ha respinto le aperture della Francia e dall'altra ha voluto renderne consapevole la Prussia affermando voler agire di completo accordo con essa, e mantenere *gli antichi rapporti di amicizia e di buon vicinato.*

I relativi dispacci sono partiti ieri per Berlino, e quando ne perverranno all'Aja le risposte porrò ogni cura per saperne il tenore. In altri termini *la quistione del Lussemburgo * un tempo misteriosa, più tardi minaccevole, sempre variamente esaminata, *pare doversi in un non

lontano avvenire sciogliere di comune accordo tra la Francia, i Paesi Bassi e la Prussia. *

Riferisco questi fatti senza analizzarli. Altri potrà meglio di me informar

V. E. se la Prussia riescirà a rendersi meno impopolare in Francia consentendo alla detta annessione, se codesta desterà o pur no il malcontento dei tedeschi, e se finalmente possa essa lusingare e soddisfare l'amor proprio della nazione Francese.

(l) -T. 201. non pubblicato. (2) -Cfr. n. 304. (l) -I brani fra asterischi sono editi, con parecchie varianti, in LV 11. p. 10. (2) -n testo edito !n LV 11, prosegue cosi: «dichiarato di voler agire di completo accordo colle potenze, e d! voler mantenere con esse ».
325

IL CONSIGLIERE DI STATO, TONELLO, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, RICASOLI (Ed. in Lettere Ricasoli, vol. IX, pp. 360-363 e in Carteggi Ricasoli vol. XXV, pp. 500-502)

Roma, 28 marzo 1867.

Jeri essendomi stata fissata per oggi l'udienza promessami dal Sommo Pontefice, dopo il meriggio mi recai da Lui, e n'ebbi accoglienza al solito benevola e cortesissima. Appena entrato aperse Egli stesso per primo il discorso dicendomi con parole quasi di gentile rimprovero, che io voleva abbandonarlo, ma tosto soggiunse che sperava sarebbe per poco. Intanto mi mostrò la sua soddisfazione di avere col concorso del Governo già potuto provvedere un certo numero di Diocesi, e mi fece sentire l'importanza che metteva a non lasciare l'opera incompiuta, e provvedere anche alle altre, massime a quelle più ragguardevoli, che ancora rimanevano vacanti; perciò ripeté, che contava molto sul prossimo mio ritorno.

Io gli espressi il mio dispiacere di allontanarmi dalla Santità Sua; dissi sperare anch'io, che l'assenza non sarebbe stata di lunga durata; non tacqui per altri, che fra le cause del mio allontanamento v'era per molto il rincrescimento ultimamente avuto dal Governo pel rifiuto continuo, e quasi sistematico degli Ecclesiastici da Lui proposti; dissi che tali proposte non si erano fatte se non sulle sicure notizie che il Governo aveva delle loro buone qualità personali, e sull'appoggio che ricevevano dall'opinione delle popolazioni; soggiunsi che il Governo mi aveva espresso sperare d'ora innanzi propositi più conciliativi per parte della Santa Sede, alla quale Egli per parte sua aveva dato tante prove della più schietta lealtà di procedere e di sollecitudine per l'interesse della Chiesa; e che se io avessi potuto nell'andarmene a Firenze recare colà la certezza di siffatte disposizioni conciliative, ne sarebbe stato al certo affrettato non solo il mio ritorno, ma anche la desiderata e pronta sistemazione di quanto rimaneva ancora a provvedersi.

Il Santo Padre disse, che non era per nulla da propositi di contrarietà al Governo, che erano state suggerite alcune esclusioni, ma solo dalla sollecitudine di fare scelte che tornassero al migliore vantaggio della Chiesa; del resto passando leggermente su questo punto, mi disse, che fra le cose che più gli stavano a cuore di non lasciare incomplete v'era la provvista alla Sede di Genova, persistendo pur sempre Monsignor Charvaz nel proponimento di ritirarsi, e suggerì come adatto a tal posto il Canonico Alimonda Dignitario di quel Capitolo Metropolitano. Io ne presi occasione per riparlare del Vescovo di Pinerolo, che io aveva certa scienza dover riuscire convenientissimo a quella Sede, e sul quale il Governo aveva convinzioni non meno ferme delle mie; il che avrebbe certo astato ad altre possibili candidature. Sua Santità senza contraddire e concludere, si limitò a rispondere quasi sorridendo, che sapeva prendere io molto interessamento per quel Vescovo.

La menzione fattasi di Monsignor Charvaz mi porse anche l'opportunità di far sentire il rammarico del Governo, che tutti o la maggior parte dei Vescovi non ne avessero imitato il nobile esempio nelle ultime elezioni, mentre invece tennero un contegno, del quale il Governo non aveva punto ragione d'essere soddisfatto; Egli si riprometteva che nella lotta impegnata avrebbe trovato il Clero schierato dalla parte dove si propugnavano i grandi principii d'ordine e di moralità, che sono parte così essenziale della di lui missione; ma non parve che il trionfo di tali principii fosse oggetto delle premure e delle preoccupazioni del Clero. Sua Santità anche qui senza contraddire rispose parole evasive passando ad altri argomenti.

Egli mi mostrò premura perché fossero tolti i sequestri decretati per rappresaglia, e specialmente quelli riguardanti la Congregazione di Propaganda. Io gli dissi qual era su ciò lo stato delle pratiche. Il Governo non dissentiva di togliere gli anzidetti sequestri, ma giustamente desiderava, che la Santa Sede dal suo canto rimovesse quelle cause che vi avevano dato luogo. Intanto per mostrare la ottima sua disposizione il Governo aveva già con provvedimenti singolari sciolti alcuni dei detti sequestri, e fra gli altri recentemente anche quello che colpiva un beneficio del Cardinale di Hohenlohe. Il Santo Padre, che già conosceva tale provvedimento me ne espresse la più grande soddisfazione, come pure per quanto il Governo aveva disposto per le Monache di Terni, del che gli era giunta eziandio pronta notizia. Al quale proposito per incarico del prelodato Signor Cardinale devo pure esprimere al Governo i suoi vivi ringraziamenti, come devo ringraziarlo altresì per conto delle predette Monache.

n Sommo Pontefice mi disse pure aver ricevuto istanze da Vigevano per la conservazione di quella Diocesi. E per ultimo nel rinnovarmi il desiderio del pronto ritorno, mi diede incarico di portare a S. M. il Re i suoi saluti, e la sua benedizione.

Da quanto ho sopra riferito appare che l'indifferenza mostratami in qualche momento dal Cardinale Antonelli per la mia partenza, non era che apparente. Al Sommo Pontefice rincresce davvero questa sospensione di negoziati sia perché non è senza timore che non abbiano più a riprendersi, sia perché gli preme assai che senza troppo indugio si combini quanto resta ancora a provvedersi per le Diocesi vacanti. Se vi siano anche altri motivi politici non mi fu dato di scorger lo ben chiaro, sebbene possa facilmente supporlo; tali motivi poi se forse ora non mancano, non sembrano al certo in grado così intenso come per l'addietro, inquantoché la situazione politica pare piuttosto raffermata, ed è qui rinata non poca fiducia nella efficacia delle proprie forze e nella durata dell'attuale condizione di cose. Ad ogni modo si vedrebbe al certo molto volentieri che io rimanessi qui, e ciò oltre all'essermi stato assicurato da molte parti, mi fu anche non ha guarì rapportato dall'Ambasciatore di Francia.

Questa sera andrò dal Cardinale Antonelli per fargli tutte le comunicazioni giuntemi in questi ultimi giorni, e ne scriverò domani l'occorrente relazione. Siccome poi io faccio conto di partire domenica a sera o lunedì prossimi, non mi si dovranno di costà più spedire dispacci onde evitare che stiano giacenti. Se vi sarà qualche cosa d'urgenza si potrà mandarmi un telegramma.

326

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, ALL'INCARICATO D'AFFARI A COSTANTINOPOLI, DELLA CROCE

D. 36. Firenze, 29 marzo 1867.

Nel dispaccio del 15 corrente N. 111 Serie Politica (l) dopo avermi informato di alcune trattative concernenti il prossimo viaggio di S. A. il Principe Michele di Serbia a Costantinopoli, Ella mi ha espresso il desiderio di avere istruzioni pel caso in cui dovesse agitarsi fra le Potenze garanti la questione di sapere se le modificazioni recate all'Art. 29 del Trattato di Parigi del 1856 dalle ultime concessioni fatte dalla Sublime Porta, debbano o non ricevere una espressa sanzione dalle Potenze segnatarie di quel Trattato.

Dappoiché, come Ella riferiva, S. A. Fuad Pascià avrebbe espresso l'opinione che dalla Sublime Porta non debbasi provocare alcun atto internazionale pel riconoscimento delle nuove concessioni fatte, non pare probabile che venga da altri messa innanzi una simile proposta.

Trovandosi fra di loro d'accordo sulla sostanza della questione, tutte le Potenze furono unanimi nel suggerire alla Porta di ritirare i suoi presidi dalle fortezze serbiane. L'adesione dei varii Gabinetti a tutto ciò che poteva in questo senso contribuire a risolvere le difficoltà insorte era adunque assicurata anche prima che il Gran Vizir rispondesse alla lettera indirizzatagli dal Principe Serbiano, ed ebbe a risultare da vari atti e documenti diplomatici delle loro cancellerie rispettive. Per altra parte qualunque possano essere gli intendimenti del Principe Michele è da credere che l'opinione pubblica in Serbia non s'abbia a mostrare favorevole ad una ulteriore intromissione delle Potenze nell'assenteismo definitivo di questa vertenza. Crederei dunque conveniente che per parte nostra non si esprima al riguardo alcuna opinione e si aspetti invece di vedere a qual partito vorranno attenersi gli altri Governi al pari di noi interessati. Nelle contingenze presenti pare utile allontanare qualsiasi motivo di discussione fra i Gabinetti e l'esempio recente di quella alla quale diede luogo il riconoscimento delle mutazioni avvenute nella Rumania ci consiglia di evitare per quanto sta in noi argomento che possa prestarsi anche a semplici contestazioni di forma.

(l) Non pubbl!cato.

327

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AL MINISTRO A VIENNA, DE BARRAL

D. 22. Firenze, 29 marzo 1867.

Dalla nota che io diressi in data del 27 corrente al Generale Robilant e dalla risposta che quest'ultimo mi fece pervenire in data d'ieri (1), de' quali documenti le unisco copia, la S. V. rileverà come in seno della Commissione mil1tare per la delimitazione deHa frontiera, siano state enunciate rispettivamente alcune proposte di rettificazione del confine. Da una parte e dall'altra le reciproche domande furono dai Commissari accettate ad referendum. Però il Governo del Re è disposto fin d'ora ad acconsentire alla richiesta de' Commissari austriaci, quando gli fosse accordato il compenso territoriale che il Generale di Robilant ebbe, a sua volta, a richiedere.

Il progetto di rettificazione del confine verso l'Isonzo, qual fu formulato dal R. Commissario, offre vantaggi per ogni rispetto troppo evidenti, perché io abbia a ripeterLe quanta importanza annetta il Governo del Re a che esso possa tradursi in un accordo concreto. La S. V. vorrà pertanto adoperarsi con ogni mezzo perché il Governo austriaco, fattosi capace delle gravi ragioni che ad esso pure debbono far parere conveniente il progettato scambio territoriale, si induca a prestare il suo consenso alla cessione della Bassa di Palma.

SegnandoLe ricevuta de' Suoi rapporti di Serie politica N. 15 e 16 (2) ...

328

IL MINISTRO A PARIGI, NIGRA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. CONFIDENZIALE 425. Parigi, 29 marzo 1867 (per. il 1° aprile).

*La pubblica opinione in Francia è vivamente preoccupata da rumori che corrono intorno a segreti negoziati della Francia coll'Olanda e colla Prussia per la cessione alla Francia del Gran-Ducato di Lussemburgo.

Il Governo francese tiene a questo proposito un linguaggio molto riservato e il Marchese di Moustier risponde evasivamente alle interpellanze che gli si fanno sull'esistenza e sulla natura di questi negoziati. Io non posso quindi parlarle di questi negoziati altrimenti che colla più grande riserva, giacché le informazioni che pervennero a mia notizia non sono attinte a sorgente ufficiale* (3).

Qualche parola su d'una possibile cessione del Lussemburgo alla Francia corse fra il Conte Bismarck e il Governo francese all'epoca dei negoziati che

precedettero e seguirono la pace di Praga. In quel tempo il Conte Bismarck parve disposto a non sollevare ostacoli a questa cessione, quando essa risultasse conforme alla volontà delle popolazioni. Più tardi un negoziato diretto s'impegnò a questo riguardo fra l'Imperatore Napoleone e il Re dei Paesi Bassi Granduca di Lussemburgo. Sembra che il Re dei Paesi Bassi fosse pronto alla cessione contro un compenso pecuniario, di cui si indicò anche la somma nella cifra di 250, o 300 millioni. Ma intanto lo Stato Maggiore Prussiano, a cui era stato dato l'incarico di studiare la questione della cessione del Lussemburgo alla Francia sotto il punto di vista militare, avrebbe emesso un parere tendente a dimostrare che questa cessione sarebbe stata pericolosa alla sicurezza della frontiera prussiana e che ave fosse stata fatta, sarebbe stato indispensabile di fondare una nuova fortezza prussiana in vicinanza. Questo parere esercitò un gran peso sull'animo del Re di Prussia la cui adesione era in ogni caso indispensabile dal momento che, a diritto o a torto, la fortezza di Lussemburgo era occupata, com'è ancora, da guarnigione prussiana.

Egli pare che si sta da qualche tempo negoziando a Berlino per vincere le ripugnanze prussiane.

Al momento in cui scrivo mi si suppone che il Gabinetto di Berlino si mostri più pieghevole. Ma fino a più sicure informazioni non mi risolvo a darLe nessuna assicurazione a questo riguardo.

(l) -Cfr. nn. 318 e 323. (2) -Non pubblicati. (3) -n brano fra asterischi è edito in LV 11, pp. 9-10, seguito dalla frase seguente: «Pare In sostanza che si stia da qualche tempo negoziando a Berlino; ma fino a più sicure informazioni, non mi risolvo di accertarle alcuna cosa a questo riguardo».
329

IL MINISTRO A VIENNA, DE BARRAL, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 18. Vienna, 29 marzo 1867.

Conformément aux instructions de V. E. j'ai donné lecture à M. de Beust de la dépeche ministérielle du 19 courant (l) relativement à l'admission de l'Italie dans toutes les questions qui pourraient surgir au Liban, et sur sa demande, je lui en ai laissé copie. M. de Beust a paru tout à fait approuver la conduite du Gouvernement du Roi dans cette circonstance, et m'a dit qu'il .'1llait immédiatement en informer le Représentant autrichien à Constantinople. D'après ce qu'il a ajoute à propos des atiaires d'Orient, il semblerait que l'abstention de l'Angleterre dans la démarche faite par les autres grandes Puissances auprès du Sultan pour engager à céder la Crète à la Grèce va singulièrement encourager le Gouvernement ottoman dans ses résistances, et imprimera probablement un temps d'arret à la question. C'est aussi l'avis du Due de Gramont qui m'a dit le meme jour: «gràce au désaccord qui a surgi entre la France et l'Angleterre, et gràce aussi aux nouvelles demandes d'autonomie plus complète, présentées par l'Egypte, à laquelle nous n'avons point les memes raisons politiques et religieuses de nous intéresser, la Turquie risque encore cette fois

de se tirer d'affaires ». Du reste pour en revenir à ce qui concerne la politique autrichienne dans l'ensemble de la question, la nouvelle complication qui vient de s'élever, aussi bien que celles qui pourraient surgir plus tard la trouveront invariablement fixée dans ce principe: qu'elle ne veut pas plus rester isolée dans les négociations et solutions à intervenir, qu'elle ne voudrait permettre l'action isolée d'une seule Puissance.

Les quatre Représentants des Puissances secondaires d'Allemagne, dont les récents traités d'alliance offensive et défensive avec la Prusse ont produit partout une si grande sensation, sont venus chacun séparément et confidentiellment expliquer à M. de Beust, que dans leur position ils n'avaient pu faire autrement; mais que, quoique le traité contint la stipulation offensive, il n'avait cependant en réalité qu'un but purement défensif. Le Président du Conseil a accueilli en souriant ces explications embarrassées, et y a répondu camme n'y attachant aucune importance. Toutefois il leur a fait remarquer que si en général l'on pouvait admettre la conclusion d'un traité défensif sans désignation de celui ou de ceux contre lesquels on croyait avoir à se prémunir, il ne pouvait pas cependant en étre de méme d'un traité offensif qui devait ordinairement spécifier le danger et désigner l'ennemi à attaquer.

A ce propos je dois conflrmer ce que j'ai eu l'honneur de mander dernièrement à V. E., sur l'indifférence que témoigne l'Ambassadeur de France au sujet de ces mémes traités. « Je me charge de prouver en plein conseil, m'a-t-il dit hier soir, que ces conventions ne signifient absolument rien, et ne changent également rien à la situation, car, en cas d'une lutte avec la Prusse, notre premier soin serait de faire savoir à ces petites Puissances, que si elles se joignent à l'armée prussienne, nous les ferons disparaitre de la carte d'Allemagne après la victoire; et que si, au contraire, elles s'en abstiennent nous leur taillerons une large part dans les territoires repris ».

Les élections de Bohéme, qui, il y a seulement quatre jours, étaient en faveur du Gouvernement. ont subi hier une légère dépréciation dans le sens de l'opposition. Ce résultat est en grande partie l'oeuvre du Clergé qui a réussi à faire croire aux populations, et croit peut-étre lui-méme, qu'aussitòt le nouveau système de dualisme établi, certains sièges épiscopaux seront supprimés et réunis à celui de Vienne. Toutefois cet incident électoral ne parait pas devoir infiuer d'une manière décisive sur l'ensemble des votations. L'essentiel pour M. de Beust, et à cet égard il n'y a pas de doute, c'est que les Diètes envoient des députés au Reichsrath et que cette assemblée se rèunisse à l'époque fixée par le Gouvernement. Cette base constitutionnelle étant une fois établie,

M. de Beust se charge de la façonner à ses nouvelles combinaisons gouvernementales, et l'habileté de cet éminent homme d'Etat, jointe a la conviction à peu près générale qu'il n'y a plus d'autre vaie de salut pour la Monarchie, permettent d'espérer un résultat favorable.

En ayant l'honneur de remercier V. E. de sa dépéche du 25 Mars, série politique n. 25 (l), ainsi que de ses annexes, dont j'ai pris connaissance avec beaucoup d'intérét...

(l) Cfr. n. 273, nota 2.

(l) Non pubblicato.

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IL CONSIGLIERE DI STATO, TONELLO, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, RICASOLI (Ed. in Lettere Ricasoli, vol. IX, pp. 363-366 e in Carteggi Ricasoli, vol. XXV pp. 504-506)

Roma, 29 marzo 1867.

Ho avuto jeri sera 28 corrente una nuova conferma col Cardinale Antonelli all'oggetto di fargli le varie comunicazioni richieste dagli ultimi dispacci ministeriali.

Il Cardinale sentì senza fare osservazioni in contrario le spiegazioni che io gli diedi sul fatto occorso delle nomine di alcuni Rettori di chiese annesse a Case Religiose soppresse in Sicilia.

Gli manifestai quali sarebbero in massima le intenzioni del Governo relativamente alla revoca dei sequestri posti per diritto di rappresaglia, sempreché si trovasse la necessaria corrispettività di trattamento dal canto della Santa Sede in ordine a quei pagamenti, la cui sospensione aveva appunto dato luogo alla rappresaglia. Al qual uopo gli osservai, che dai riscontri governativi a me trasmessi risulterebbe meno esatto quanto Sua Eminenza mi aveva nell'ultimo nostro colloquio affermato, che cioè le Casse pontificie non avessero mai rifiutato alcun pagamento dovuto a Corpi Morali od individui del Regno, salvo nel caso della Confraternita d'Ascoli; mentre era accertato, che la Cassa Ecclesiastica non aveva mai potuto riscuotere le somme che le erano dovute sia dalle Casse pubbliche, che da Enti morali dello Stato pontificio. Soggiunsi per altro che mi riservava di riproporre questa materia col necessario corredo d'informazioni e di fatti, bastandomi intanto accennare sommariamente lo stato delle cose a Sua Eminenza per sua norma, e per metterla sulla via di appurare più completamente per parte sua l'argomento.

Il Cardinale sentì con piacere la disposizione favorevole del Governo quanto alla revoca dei sequestri in discorso. Disse che da nuove ricerche praticate dopo l'ultima nostra conferenza gli era risultato che la Cassa del Debito pubblico, che assicurò nuovamente essere l'unica delle pontificie, a cui potessero incombere pagamenti di siffatta natura, non aveva qualche volta potuto pagare perché non era stata giustificata a norma di legge la qualità regolare dei petenti il pagamento, massime quando si presentavano come Rappresentanti di Corporazioni od Enti morali: che in ispecie le Congregazioni di Carità e gli altri Istituti di beneficenza sono secondo le Leggi pontificie rappresentati dai Vescovi, e quelli che pretendevano agire nell'interesse detti Instituti nell'esigere i pagamenti non avevano alcun mandato dai Vescovi stessi: che insomma si trattava di difficoltà nascenti da alcuni principii di diritto qui in vigore, e che si sarebbe trovato qualche modo Ce la Santa Sede ne aveva tutta l'intenzione) di superarle a soddisfazione di tutti gl'interessati: soggiunse poi, che se i pagamenti erano dovuti non dalle Casse governative, ma da altri, bisognava agire regolarmente in giudizio per obbligare i debitori al pagamento.

Da tutto ciò il Governo vedrà, che la cosa è ancora alquanto immatura, sebbene la Santa Sede manifesti buoni intendimenti; e che perciò savio è il partito di riservarne la trattazione al mio ritorno, come già si era concertato. Intanto a prova della sincerità del Governo in questa vertenza manifestai al Cardinale, che come già si era fatto per alcuni altri, si era recentemente sciolto anche il sequestro posto sopra un beneficio del Cardinale di Hohenlohe in Cingoli; il che fu dal Cardinale Antonelli sentito col maggiore piacere.

Quanto alle dimande delle Città di Bosa e di Alghero per la nomina di un Titolare al Vescovado dissi al Cardinale, che avuto riguardo alla piccolezza delle suddette due Diocesi, ed alla necessità di coordinare le nomine, specialmente in Sardegna, ad una razionale sistemazione definitiva delle Diocesi, il Governo si riservava di prenderle in esame, fatti maggiori studi ed indagini sull'argomento.

*Significai al Cardinale i riscontri avuti su Monsignor Gandoltl. suffraganeo del Cardinal d'Andrea, con riserva d'una risposta definitiva quando mi fossero pervenute le risoluzioni ulteriori del Governo.

Partecipai pure a Sua Eminenza l'accettazione per parte del Governo di Monsignor Cavallini-Spadoni Vicario Capitolare di Cingoli per una Diocesi da destinarsi ulteriormente.

Il Cardinale mi disse aspettare tuttora informazioni sui varii candidati proposti dal Governo, e rincrescergliene fortemente il ritardo; come pure mi disse non potersi ancora con suo rincrescimento definire l'affare riguardante Monsignor Brunone Bianchi, perché l'Arcivescovo di Firenze non aveva mandato i riscontri che si attendevano. Io non mancai di rinnovargli su questo particolare, che molto stava a cuore del Governo, specialissime sollecitazioni.* (1).

Chiesto conto dei detenuti politici, il Cardinale mi rispose, che finora non era con sua meraviglia stata inoltrata alcuna dimanda di grazia.

Comunicai al prelato le due note giuntemi jeri, una cioè del Ministero delle Finanze trasmessami da quello degli Esteri, contenente osservazioni sui provvedimenti adottati dal Governo pontificio sul transito delle merci e bagagli sulle ferrovie; e l'altra del Ministero di Grazia e Giustizia tendente ad ottenere informazioni sopra un furto commesso a danno dello scultore Duprè, e specialmente riguardo a certo Lombardi che vi è implicato (2). Essendo sì l'una che l'altra cosa d'urgenza il Cardinale promise di assumere con tutta sollecitudine le informazioni richieste, e di darmi al più presto un riscontro.

Intanto avendogli partecipato che io farei conto di partire domenica prossima a sera, Sua Eminenza mi manifestò di nuovo, e questa volta anche assai più vivamente di prima, il suo rincrescimento per la mia partenza, ed il suo desiderio di un pronto ritorno per compiere l'opera con tanta fatica già condotta a buon punto. Io gli risposi ringraziando, ed esprimendo io pure la speranza d'un prossimo ritorno unita alla fiducia di trovare maggiore condiscendenza nell'accettazione delle proposte governative, condiscendenza della quale il Governo dal suo canto aveva dato larghe prove alla Santa Sede, e n'era saggio anche la pronta accettazione fatta oggi stesso dal Cavallini-Spadoni solo da pochi giorni proposto. Il Cardinale, che trovai anche più del solito cortese, esprimendo su ciò buone intenzioni, soggiunse che avrebbe fatto in modo di potermi

dare prima della mia partenza i ragguagli richiesti sulle merci e bagagli, e sul furto Duprè, e venne perciò fissata una nuova conferenza di congedo per sabato prossimo 30 corrente, della quale renderò poi conto in persona a Firenze.

Porgendo all'E. V. questi riscontri, e rinnovando l'avvertenza di non mandarmi qui altri dispacci, ma scrivermi se occorresse col telegrafo...

(l) -Il brano fra asterischi non è edito. (2) -Non pubblicate.
331

L'INCARICATO D'AFFARI A COSTANTINOPOLI, DELLA CROCE, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 207. Costantinopoli, 30 marzo 1867, ore 18,50 (per. ore 22,30).

Aujourd'hui les ministres d'Autriche, de Russie, de Prusse et moi, nous avons fait successivement une démarche identique auprès de la Sublime Porte. Fuad pacha a fait à tous la méme réponse qu'à l'ambassadeur de France. Mon avis personnel après la conversation que j'ai eue est que la Porte ne cèdera pas.

332

IL MINISTRO A PARIGI, NIGRA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 210. Parigi, 31 marzo 1867, ore 16 (per. ore 17).

On m'assure que la question du Luxembourg recevra dans deux ou trois jours une solution conforme aux désirs de la France. Je vous engage d'hater autant que possible la votation de la convention pontificale.

333

IL MINISTRO A PIETROBURGO, DE LAUNAY, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 214. Pietroburgo, 1° aprile 1867, ore 22,45 (per. ore 2,10 del 2)

En présence des accords pris entre la Hollande et la France Gouvernement

russe croirait inéfficace démarche de sa part à La Haye. Il a transmis instruc

tions au baron Brunuow de chercher à décider Angleterre à protester aux

termes du traité de 1839 comme puissance plus directement intéressée. M. de Bis

marck semble croire à l'imminence d'une guerre si on ne parvient pas à écarter

cette complication.

Je n'ai pas encore reçu lettres de rappel.

334

L'INCARICATO D'AFFARI A BERLINO, QUiGINI PULIGA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 9. Berlino, 1° aprile 1867 (per. il 6).

Après avoir annoncé au nom de V. E. au Gouvernement Prussien, que le Gouvernement du Roi n'avait pas d'objection contre la publication de la lettre par laquelle Sa Majesté a conféré le Collier de l'Annonciade au Comte de Bismarck, le Staats-Anzeiger du 27 Mars dernier a publié ce document sans commentaires. Cette publication a paru pourtant servir de réponse aux bruits qui avaient tout à coup surgi dans la presse allemande, que les rapports entre les deux pays s'étaient sensiblement refroidls. La réponse a paru éclatante. La Prusse tient à prouver au pays l'importance qu'elle met, surtout dans les présentes circonstances, aux bons rapports avec l'Italie. Quoique, ni le Comte de Bismarck, ni M. de Thiele, ne m'en aient parlé en aucune maniére, je suis convaincu que le Gouvernement Prussien verrait avec un plaisir marqué si nos journaux donnaient publicité à la réponse que le Président du Conseil a fait à la lett:re de Sa Majesté, réponse dont j'ignore au reste entièrement le contenu.

L'Ambassadeur d'Angleterre m'a interpellé ce matin sur la publication de cette lettre et sur l'interprétation que le Gouvernement du Roi entendait surtout rtonner aux mots d'alliance durable -s'agit-il d'une alliance offensive et déjensive, m'a-t-il dit? Ne pouvant engager l'opinion de V. E. à ce sujet, j'ai répondu que mon opinion particulière était pour traduire plutòt ces mots en neutralité sympathique (1).

335

L'INCARICATO D'AFFARI A BERLINO, QUIGINI PULIGA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA (Ed. in italiano in L V 11, p. 11)

R. 10. Berlino, 1° aprile 1867 (per. il 6).

M. Bennigsen, l'un des Vice-présidents du Reichstag a adressé aujourd'hui une interpellation au Comte de Bismarck au sujet des bruits qui courraient d'une manière persistante sur une cession par le Roi de Hollande du Luxembourg à la France. M. Bennigsen suppliait au nom de l'Allemagne entière lt:: Gouvernement Prussien à ne pas consentir à cette cession. La Chambre san~ distinction de partis, donnerait volontiers à M. de Bismarck les moyens de défendre cette parcelle de territoire de la grande Patrie Allemande.

M. de Bismarck * pour qui cette interpellation n'était pas inattendue, et qui l'avait peut-ètre provoquée * (2), répondit, en faisant d'abord l'historique

de la question. Il a rappelé à la Chambre que des ouvertures avaient été faites aux Pays-Bas dès le mois d'Octobre dernier, pour savoir s'il voulait faire partie de la Confédération du Nord pour les territoires du Limbourg et du Luxembourg. La Hollande déclina cet honneur * en s'appuyant sur la jalousie des hautes classes, et sur la répugnance des basses classes *. Depuis lors le premier avis parvenu au Gouvernement prussien datait à peine d'une dizaine de jours. Le Roi des Pays-Bas fit appeler le Ministre de Prusse à La Haye et, lui annonçant son intention de céder le Luxembourg à la France, lui demanda ce que la Prusse en penserait. Le Comte de Perponcher répondit que la Prusse ne pouvait pas se prononcer sur cette cession, mais qu'elle en laisserait la responsabilité entière à Sa Majesté.

Depuis lors le Ministre de Hollande près la Cour de Prusse offrit la médiation de son pays dans les négociations qui pourraient avoir lieu au sujet de la garnison de la forteresse de Luxembourg. M. de Bismarck n'avait pas cru devoir l'accepter, * attendu, a-t-il dit, que la Prusse n'en avait pas besoin *. Maintenant les choses en étaient là et le Gouvernement ne pouvait se prononcer d'avance sur la politique qu'il se proposait de suivre à cet égard pour l'avenir, mais il espérait que le différend s'arrangerait plus ou moins promptement sans porter atteinte aux bons rapports entre les Etats voisins. Tel est le résumé de la réponse que le Président du Conseil a cru devoir faire à cette interpellation. *V. E. pourra la connaitre du reste plus exactement par les journaux, attendu qu'il est très difficile dans la Tribune diplomatique de la Chambre de comprendre les paroles qui sont prononcées à une assez grande distance. Ce résumé m'a pourtant été confirmé par un des membres de la Chambre que j'ai pu voir après l'interpellation.

L'Ambassadeur de France se tenant sur ce sujet, tant avec moi, comme avec mes collègues sur la plus grande réserve depuis son retour de Paris, il m'est difficile de donner à V. E. des renseignements exacts. Toutefois il parait résulter de la réponse du Président du Conseil, et tel est aussi l'avis de la plupart de mes collègues:

l) que la cession du Luxembourg à la France est désormais un fait accompli;

2) que les populations seront consultées;

3) que cette cession s'effectuera avec le consentement tacite, ou exprès de la Prusse, et sans amener pour le moment un conflit, qu'il est dans l'intérét des deux pays d'éviter.

Maintenent c'est à l'habilité du Comte de Bismarck de préparer l'opinion furieusement surexcitée de l'Allemagne contre cette cession. Ce ne sera pas une petite besogne; mais l'homme qui préside aux destinées Allemandes est à la hauteur de cette tiìche. Je ne veux pas cacher non plus à V. E. que le parti militaire, le Ministre de Roon à la téte, (il a déclaré hier dans une réunion du parti conservateur, la Prusse vouloir plutot la guerre que céder dans cette question), use de toute son influence auprès du Roi pour le pousser à des déclarations hostiles contre la France: le bon sens de M. de Bismarck viendra, malgré tout, à bout de toutes les oppositions, et réussirà à persuader à Sa Majesté qu'il ne faut pas, pour le Luxembourg, mettre de nouveau en question les résultats acquis: une guerre, mème faite dans les meilleures conditions dépend toujours d'une chance heureuse, ou malheureuse. M. de Bismarck, qui, seul de son avis en Prusse, a réussi a entrainer le pays à une guerre contre l'Autriche, saura bien empècher une guerre contre la France*.

(l) -Cfr. !n Les origines diplomatiques de la guerre de 1870-71, vol. pp. 191-192 un rapporto d! Malaret a Moust!er del 28 marzo su un colloquio con Visconti Venosta a propositodella pubbllcazione delle lettere d! Vittorio Emanuele II e di Bismarck. (2) -I brani fra asterischi sono omessi in L V 11.
336

IL MINISTRO A PARIGI, NIGRA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 215. Parigi, 2 aprile 1867, ore 19,40 (per. ore 21,10).

Rouher m'a dit que la question du Luxembourg serait réglée dans 2 ou 3 jours selon désirs de France. D'autre part Goltz est allé aujourd'hui chez l'Empereur pour lui communiquer une dépèche de son Gouvernement qui au fond contient un refus ou tout-au-moins une réponse évasive.

337

L'AGENTE E CONSOLE GENERALE A TUNISI, PINNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 3. Tunisi, 2 aprile 1867 (per. il 7).

Non mi apponevo male prenunziando che la venuta in Tunisi del signor Cavaliere Castelnuovo mi sarebbe tornata utilissima stante le sue antiche relazioni col Bardo e particolarmente col Primo Ministro il Generale Si Mustafa, che come suol dirsi fa qui il bel tempo e la pioggia. Diffatti egli m'ha realmente prestato un buon colpo di mano, ed al punto in cui sono le cose, ritengo ormai come sicuro il regolamento definitivo delle nostre pendenze col Bey, non esclusa quella dei debiti dei Principi.

A quest'ora ho già veduto tre volte il Primo Ministro alla sua villa della Manuba, ed importando che nulla -al di fuori -si sapesse delle nostre negoziazioni, non vi assistevano che il Ministro delle Finanze Si Aziz ed il Cavaliere Castelnuovo il quale ne servì eziando di comune interprete.

Cominciando dalle Tischere del Bey si convenne che i creditori italiani 1 quali si rifiutassero di entrare nella terza operazione finanziaria che tra oggi

o dimani deve essere presentata al Commercio europeo, sarebbero definitivamente pagati; ma rimane tuttora a stabilire il tempo che non sarà certo lungo, ed il modo del pagamento, cioè se in moneta sonante o con cambiali in Parigi.

Riguardo poi alla questione de' debiti dei Principi, il Generale Si Mustafa rispose alla mia domanda che dopo il pagamento fatto dei debiti precedenti e il diflldamento dato dal Bey colla nota Circolare, Sua Altezza si credeva in diritto e come Sovrano e come capo della Famiglia di respingere ogni qualunque richiesta; tuttavia desiderando di dare novelle prove della sua gratitudine ed

amicizia al Governo d'Italia confermava le promesse fattemi ultimamente eU provvedere perché vengano senza ritardo soddisfatti i crediti privilegiati degl'italiani verso del Principe Sidi El-hemin colla vendita forzata dei propri beni.

Qui stava tutta la difficoltà; ma qui appunto mi venne in appoggio il Cavaliere Castelnuovo, il quale ai miei argomenti aggiungendo le sue insinuazioni tanto si disse e si fece che finimmo per vincere la sua resistenza; la piazza però non fu presa d'assalto che nella seconda seduta, nella quale il Ministro accettò francamente di entrare in trattative.

Il Generale Si Mustafa esordiva col protestare che esclusivamente a riguardo dell'Italia accollavasi questi debiti dei Principi, che però al punto in cui erano le cose non potea trattare solo coll'Italia, che quindi importava mettersi d'accordo cogli altri Consoli, e che da parte sua era disposto a sborsare in tutto e per tutto la somma convenuta sin dal tempo del Cavaliere Gambarotta di Piastre 1.200.000. Era già un gran punto di guadagnato, onde non mancava che a condurlo a migliori condizioni, come a forza d'insistenza da una parte e di persuasioni dall'altra il Cavaliere Castelnuovo ed io vi siamo riusciti inducendo con ogni maniera il Ministro a portare d'offerta in offerta la somma alla ingente cifra di Piastre 3.000.000 che sarebbero pagate in tante sue cambiali a 3, 6, 9 e 12 mesi data.

Ora non resta che ad intendersi cogli altri Consoli interessati, e questo sarà il mio compito appena il Signor Bellecourt ritornerà da Corbes ove trovasi a prendere le acque. Intanto col Cavaliere Castelnuovo abbiamo creduto conveniente di metterne a parte il Console d'Inghilterra Signor Wood, il quale nel mostrarsi grandemente meravigliato della deferenza e generosità del Generale Si Mustafa a nostro riguardo ci ha promesso di osservare il segreto e di appoggiare all'occorrenza presso dei Colleghi la nostra transazione, che darebbe termine ad una lunga, difficile e disgustosa pendenza (l).

Nell'ultima conversazione ch'ebbe luogo jeri l'altro, il Ministro ha preso pure l'impegno di terminare a nostra soddisfazione i due affari dei signori fratelli Avvocato a Sfax, ed un altro del signor Moro a Susa, i soli che giacevano in contestazione.

Dopo di ciò colla solita sua finezza prendendo il Ministro ad esaltare la gratitudine del Bey verso il Reale Governo d'Italia ed i vantaggi che risentono i rispettivi Stati dalli amichevoli rapporti esistenti, conchiudeva col pregarmi istantemente di far pervenire a V. E. il desiderio di Sua Altezza che i Consoli tunisini come in Ancona innalzassero nelli altri porti de' R. Stati il suo stemma, e potessero pubblicamente esercitare le proprie funzioni. Nell'istesso tempo mi lasciò intendere che non esistendo un trattato coll'Italia il Bey terrebbe a grande onore e fortuna di addivenire ad un simile atto col Re Vittorio Emmanuele.

Nel riferirne a V. E. io osserverò soltanto che in questo caso mi renderei forte di stipulare delle grandi consessioni, come per esempio libertà di culto, libero esercizio di ogni arte e mestiere, ed il più esteso diritto di proprietà che

nell'aprire la via a fondare delle colonie agricole italiane in questa ubertosa parte dell'Africa, servirebbe meravigliosamente ad accrescervi la nostra influenza.

(l) Con t. 249 del 16 aprile Pinna dette notizia del definitivo regolamento della questione dei debiti del principi.

338

L'INCARICATO D'AFFARI A BERLINO, QUIGINI PULIGA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 217. Berlino, 3 aprile 1867, ore 16 (per. ore 19,25).

La situation ici tend à se compliquer. Parti militaire pousse le Roi à la guerre plutòt que céder dans la question du Luxembourg. Comte de Bismarck a réussi à empecher parti conservateur à la Chambre de proposer une résolution qui aurait engagé le Gouvernement dans le sens guerrier sans possibilité de retour. Mais on m'a dit que cette résolution n'est qu'ajournée. On m'a dit que la Prusse compte sur nous en cas de guerre.

339

IL DIRETTORE SUPERIORE DEGLI AFFARI POLITICI, ULISSE BARBOLANI, AL MINISTRO A VIENNA, DE BARRAL

D. 23. Firenze, 3 aprile 1867.

Nel dispaccio che Ella mi ha diretto il 6 Marzo (N. 4 Serie politica) (l) dopo avere esposto quanto il Barone di Beust Le aveva detto circa le viste dell'Austria nella questione d'Oriente, e dopo avermi riferito testualmente alcune parole del Ministro Imperiale Ella aggiunge alcuni riflessi sulle possibili esigenze dell'Austria, nel caso in cui la vertenza presente dovesse prendere maggiori proporzioni e condurre ad uno smembramento degli Stati del Sultano. Mi importerebbe di sapere se questi riflessi Le fossero suggeriti dalle cose dette a Lei dal signor di Beust e se un cenno qualsiasi Le sia stato fatto a tal riguardo, perché d'altra parte mi giungono notizie le quali farebbero credere che l'Austria abbia fatto chiaramente intendere che aspirerebbe all'acquisto della Bosnia e dell'Erzegovina più che a sollecitare dal Governo del Sultano provvedimenti che valgano a condurre quelle provincie ad uno sviluppo interno sumciente ad assicurarne l'indipendenza (2).

340

L'INCARICATO D'AFFARI A L'AJA, FAVA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 8. L'Aja, 3 aprile 1867 (per. il 9J.

*n 30 del passato Marzo essendosi sparsa la voce che la cessione del Lussemburgo alla Francia fosse già un fatto compiuto, lo Staats Courant giornale

33 -Documenti diplomatici -Serie I -Vol. VIII

ulficiale dei Paesi Bassi conteneva il seguente comunicato: «In nome della Cancelleria Lussemburghese siamo pregati di smentire nel modo più positivo la notizia che una cessione del Granducato avrebbe avuto luogo, e di far rimarcare che una tal cessione non potrebbe attuarsi senza previo accordo delle grandi potenze direttamente interessate»* (1).

Sia che questo comunicato, trasmesso a Lussemburgo, fosse stato travisato dal telegrafo, sia che un telegramma del Principe Luogotenente concepito negli stessi sensi fosse stato male interpretato, i Lussemburghesi nutrirono per un momento la speranza di veder svanire per sempre codesta eventualità (2).

Come curiosità istorica ho l'onore di trasmettere qui accluso il supplemento di un giornale Lussemburghese (3), il quale dipinge al vivo la gioia troppo breve risentita dagli abitanti del Granducato.

Meglio delle mie parole esso serve a provare come *il voto più caro dei Lussemburghesi è quello di vedere rispettata la loro nazionalità, voto universalmente formato ed espresso in tutti i modi legali dalle varie classi della popolazione •.

Ringrazio sentitamente l'E. V. delle interessantissime comunicazioni che si è degnata farmi col suo dispaccio politico n. 4 (4). Non mancherò di strettamente attenermi alle prescrizioni che m'impartisce circa i passi cifrati di cui potrei fare uso nei rapporti che avrò in seguito l'onore d'indirizzarle...

(l) -Cfr. n. 241. (2) -Per la risposta cfr. n. 366.
341

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, GUERRIERI GONZAGA, ALL'INCARICATO D'AFFARI A BERLINO, QUIGINI PULIGA

T. 151. Firenze, 4 aprile 1867, ore 0,05.

Veuillez me dire par télégraphe qui vous a dit que l'an compte sur nous en cas de guerre (5). Est-ce un bruit qui court ou bien s'agit-i! d'une conversation que vous avez eue? (6).

342

L'INCARICATO D'AFFARI A BERLINO, QUIGINI PULIGA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 219. Berlino, 4 aprile 1867, ore 12 (per. ore 15,20).

Prusse compte sur Italie. C'est un bruit qui m'a été rapporté par un secrétaire d'ambassade français sans vouloir me dire d'où il le tenait. Ce bruit était

(-6) Per la risposta cfr. n. 342.

basé selon lui sur les mots «alliance durable >> contenus dans la lettre souveraine adressée à Bismarck publiée dans Journal ojjiciel. J'ai cru devoir vous en informer pour le cas où vous jugiez à propos de le faire démentir.

(l) -I brani fra asterischi sono editi in L V 11, p. 12. (2) -In LV 11, Invece di questo capoverso: «Questo comunicato. trasmesso col telegrafo a Lussemburgo, vi fu Interpretato nel senso che ogni probabilità di cessione fosse svanita». (3) -Non si pubblica. (4) -Non pubbllcato. (5) -Cfr. n. 338.
343

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AI MINISTRI A LONDRA, D'AZEGLIO, A PARIGI, NIGRA, E A PIETROBURGO, DE LAUNAY

T. 152. Firenze, 4 aprile 1867, ore 15.

Le Ministère a donné ses démissions qui ont été acceptées par Sa Majesté.

344

L'INCARICATO D'AFFARI A BERLINO, QUIGINI PULIGA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 220. Berlino, 4 aprile 1867, ore 16,15 (per. ore 16,30).

La situation n'a pas changé depuis hier. Bismarck a dit à un des grands banquiers d'ici qu'il pouvait se rassurer car on trouverait moyen de résoudre question sans guerre. Bruit dont je vous ai parlé dans mon télégramme de ce matin (l) persiste. II serait peut-etre utile que V.E. m'indique le sens de mon langage dans le cas où l'on se décide à me faire insinuation directe à ce sujet (2).

345

IL MINISTRO AD ATENE, DELLA MINERVA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 221. Atene, 4 aprile 1867, ore 19,20 (per. ore 21,25).

Fils du général Garibaldi parti ce matin avec 79 volontaires pour Brindisi sur le batiment de guerre Salamine que le Gouvernement grec lui a offert. II me revient de très bonne source qu'avant de partir il a acheté 100 fusils. 31 autres volontaires presque tous refractaires iront sous peu à Alexandrie (3).

(l) -Cfr. n. 342. (2) -Per la risposta cfr. n. 350. (3) -Annotazione a margine: «Comunicato in traduzione al Ministero dell'Interno».
346

IL MINISTRO A MONACO DI BAVIERA, OLDOINI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. CONFIDENZIALE 23. Monaco, 4 aprile 1867 (per. l'B).

La question du Luxembourg a fait faire un pas de plus en Allemagne, à la Bavière entre autres, à la question nationale, marche du reste progressive en raison directe, comme j'ai eu l'honneur de le signaler à plusieurs reprises, d'oppositions intérieures ou de craintes étrangères.

Cette question du Luxembourg a remué la fibre allemande au point que meme ici à Munich où le parti féodal, ultramontain et particulariste a, jusqu'à la dernière guerre exercé une infiuence incontestable, l'esprit national a pris un essort qui, sans se manifester trop ouvertement, vu le caractère peu démonstratif des allemands n'en est pour celà moins réel.

Le parti libéral, non seulement celui politique proprement dit, mais tout le grand parti de l'intelligence, meme le Bavarois pur sang (dans le sens social et non aristocratique), dans une guerre Franco-Prussienne est et sera Prussien politiquement et militairement, et, au besoin, met dejà sa propre autonomie en seconde ligne, pret à accepter meme les conséquences extremes de ses aspirations nationales.

Des hommes très sensés de ce parti l'atlìrment hautement, seulement, au lieu d'etre aussi belliquex que bon nombre de leurs confrères, et tout en étant prets à la guerre défensive à outranee, sans la désirer offensive contre la France, ne se cachent pas le danger, si les événements venaient à précipiter la fusion complète entre le Nord et le Sud et, par là, la constitution d'un Empire Germanique de 40 millions, lequel ne tarderait pas à attirer dans son orbite les 8 millions d'allemands, aujourd'hui autrichiens, ne se cachent pas, dis-je, le double danger d'un Césarisme à l'ìntérìeur, et d'une coalitìon à l'extérieur, conséquences d'une force trop prépondérante dans le centre de l'Europe.

Mieux vaut aux yeux de ces sages pour l'Allemagne d'aujourd'hui l'état actuel, non plus dans l'intérét particulariste des Etats et des Couronnes, mais pour préserver leur pays, vainqueur ou vaìncu, d'éventualités dangereuses, et pourvu qu'une organìsation largement nationale surtout la militaire aille de pair dans toute l'Allemagne avec l'autonomie des Etats Méridionaux.

Pour compléter ce rapport je dois ajouter que des Mìnistres Prussiens m'ont répété dernìèrement, s'étre presque étonnés eux mémes d'avoìr trouvé, parmi l'élément militaire des Armées Méridionales, surtout les jeunes otlìciers, nommément dans les armes spéciales, de si nombreux et chaleureux auxiliaires; et quant au pays j'ai entendu dire tout récemment à des libéraux «à l'heure qu'il est il y a en Bavière plus d'Allemands que de Bavarois »; à un membre des plus traditionnellement conservateurs du parti aristocratique, interpellé sur son opinion répondre «en cao: de guerre nous serions volontìers moi et les miens contre la Prusse, mais nous ne pourrions désormais plus compter sur aucun parti pour nous suivre », et une personne tenant de près à la famille Royale faìsait ressortir tout dernièrement la solidarité absolue de la Bavière avec la Prusse en cas de guerre, mème contre l'Autriche, si cette puissance devenait l'alliée de la France. Des informations particulières arrivées ces jours ci à plusieurs sources confirment les informations contenues dans mon annexe chiffré joint à la dépèche Affaires Courantes n. 67 (1).

Il se peut que la question du Luxembourg (dont les nouvelles de ce soir télégraphiées de Berlin assurent que le Roi de Hollande désiste de la cession) habilement exploitée ait donné plus d'élan aux aspirations nationales, mais les informations et appréciations qui précèdent ne sont pas moins le reftet d'une situation faite, actuellement plus accentuée.

347

IL MINISTRO A PIETROBURGO, DE LAUNAY, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. CONFIDENZIALE 176. Pietroburgo, 4 aprile 1867 (per. il 10).

* Dans la visite que j'ai faite hier au Prince Gortchacow, il m'a parlé de* (2) deux entretiens qu'il venait d'avoir avec mes collègues des Pays Bas et de France, qui, chacun à leur tour, étaient venus s'expliquer sur * la question du Luxembourg *.

Le premier avait été chargé par le Comte de Zuylen de fournir quelques explications. La situation toute particulière du Grand Duché, régi séparément par un autre Ministre d'Etat, chargé de la direction spéciale des affaires étrangères, pourrait le dispenser d'entrer à ce sujet dans quelques détails; s'il s'y résolvait cependant, c'était aftn de prévenir des commentaires erronés. La Cour de Hollande n'attache pas d'importance à la possession, plutòt onéreuse, de ce pays. Des pourparlers ont eu lieu avec la France, à laquelle seraient transférés les droits de souveraineté. Mais le Roi Grand-Due s'était réservé de consulter la Prusse, d'entendre le suffrage des populations, et de demander l'adhésion des Puissances signataires des traités de Londres du 19 Avril 1839.

Le Vice-Chancelier a fait sentir au Baron Gevers que sa communication était un anachronisme, car on n'ignorait pas ici que l'arrangement, portant cession de ce territoire à la France, était déjà conclu. Il se peut que, conformément à son afflrmation, le Roi actuel des Pays Bas tienne médiocrement au Grand Duché de Luxembourg, mais on ne saurait oublier que son aieul l'a revendiqué avec une infatigable énergie après 1830, et Sa Majesté ne saurait méconnaitre les engagements dont Elle a hérité en montant sur le trone.

Le Baron de Talleyrand voulait engager le Cabinet de St. Pétersbourg à precher à Berlin la modération, devant un fait dont la France acceptait les conséquences. Le Prince Grotchacow a décliné indirectement ces ouvertures, en alléguant que, si difflcultés il y avait, elles n'avaient pas été provoquées par la Prusse. La Russie désirant au plus haut degré le maintien de la paix, ce ne sera pas elle certainement qui jettera de l'huile sur le feu, mais elle ne voit

pas la possibilité d'un compromis, du moment où la France déclare ne pouvoir et ne vouloir reculer, et qu'à Berlin on se retranche derrière les susceptibilités de l'Allemagne. M. de Talleyrand laissait comprendre, à mots couverts, combien il importait au Cabinet des Tuileries, en présence de la disposition des esprits en France, d'obtenir quelque satisfaction pour l'amour propre national.

Le Prince Gortchacow a dit alors à son interlocuteur qu'il allait pour un instant dépouiller son caractère offl.ciel, pour parler à coeur ouvert. Ses sympathies (précaution oratoire sans doute) pour la France ne permettraient pas de voir dans son langage la moindre intention blessante:

«Comment la France elle-méme jugerait-elle un autre Etat quelconque qui, après lui avoir exposé ses diffl.cultés intérieures, viendrait parler de la nécessité où il se trouverait d'amener une diversion à l'étranger, au risque de soulever une question européenne? Ne devrait-il pas porter seui la responsabilité d'une semblable attitude? Voulez-vous le prétexte d'une guerre? Est-il digne d'une grande Puissance de le chercher dans une cause semblable, pour un lopin de territoire, dans un marché où chaque habitant serait taxé à 500 francs? Si du moins il avait été mLc; en avant que l'accroissement de la puissance de la Prusse rompait l'équilibre européen au détriment de la France, il y aurait eu plus de franchise dans les procédés. Il est vrai que cet argument serait tardif et assez spécieux. Il se trouverait en contradiction avec des assertions verbales et par écrit, ayant les unes et les autres un caractère offl.ciel. Déjà, peu après les événements de l'été dernier, on s'appliquait, à Paris, à piacer sous un jour optimiste l'oeuvre de la diplomatie française. Les succès de la Prusse, on le proclamait tout haut, ne portaient pas ombrage à son voisin d'outre-Rhin. Pour ce qui concerne la Russie, elle n'avait rien négligé pour empécher une collision entre les deux autres Puissances du Nord. L'Empereur n'avait pas ménagé ses conseils à la Cour de Berlin. Il y a méme fait entendre un langage sévère. Si l'Empereur Napoléon s'y était associé, et si, plus tard après la bataille de Sadowa, il eut, de concert avec nous, adressé des remontrances au vaniqueur, les préliminaires de Nikolsburg n'eussent pas été signés. Des trones n'eussent pas été anéantis par un tract de piume. Il est de fait que M. Benedetti n'a pas été pour eux un auxiliaire. Il s'est endormi sur un semblant de lauriers. Car ce fut de sa part une illusion, de croire qu'il avait arrété les Prussiens aux portes de Vienne. Le Tsar savait déjà par le Roi Guillaume qu'il n'entrerait pas dans cette capitale. Ce Souverain n'a jamais varié dans sa manière de voir, que l'anéantissement de l'Autriche causerait une telle perturbation, qu'il ne fallait pas lui fermer toute chance de salut. Comment justifierait-on aujourd'hui à Paris un virement de front, en présence des signatalres des traités de 1839, qu'on consulteralt après le fai t accompli? L'opinion publique, en France méme, ne taxerait-elle pas d'inconséquence le Gouvernement de l'Empereur? Car on ne se rendrait pas compte comment les conseillers de cette annexion auraient motivé leru avis. Dans quels termes M. Rouher pourrait-il répliquer à M. Thiers, venant à la tribune avec une de ces phrases incisives dans lesquelles il excelle? Ne serait-il pas tenté d'avouer à la Chambre qu'il a fait erreur en a)léguant qu'il n'y avait plus une seule faute à commettre, puisqu'une nouvelle faute vient d'étre commise? ».

Telles ont été en substance les observations du Vice-Chancelier. Il me les a communiquées très-confidentiellement, sans me dire quelle impression elles avaient produit sur M. de Talleyrand. Je n'ai pas besoin d'ajouter que * le Ministre Impérial des Affaires Etrangères envisageait la situation comme extrèmement tendue *. La France, aussi bien que la Prusse, seraient dans une impasse. La retraite leur serait coupée, à moins de subir une humiliation, à laquelle, au point où en sont les choses, ni l'une ni l'autre ne voudraient se soumettre.

* L'Italie ne pourrait-elle pas essayer, par ses bons offices, de prévenir, s'il en est temps encore, une rupture entre deux Nations qui, directement ou indirectement, ont servi sa cause? Aucune allusion dans ce sens ne m'a été faite par le Prince Gortchacow, mais je crois de mon devoir d'en toucher un mot, au moment surtout où je vais me rendre à Berlin *.

(l) -Non pubblicato. (2) -I brani fra asterischi sono editi In LV 11, p. 15.
348

IL MINISTRO A PIETROBURGO, DE LAUNAY, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 79. Pìetroburgo, 4 aprile 1867 (per. il 10).

J'ai reçu la dépéche que V. E. m'a fait l'honneur de m'adresser en date du 22 Mars, N. 67, Série Politique (l). Je n'ai vu aucun inconvénient à laisser prendre lecture au Prince Gortchacow de ce document et de son annexe. Il s'est montré très satisf.ait de leur contenu, et m'a chargé de le faire savoir à

V. E. Il est entièrement de notre avis, que la meilleure garantie des intéréts généraux en Orient, devrait étre trouvée dans l'accord des Puissances. La voix de l'Angleterre malheureusement fait encore défaut et enhardit le Sultan dans sa résistance, ainsi qu'il vient d'en donner une preuve, dans sa réponse aux démarches des autres Grandes Puissances.

Il faut attendre des rapports plus détaillés de Constantinople. Peu importe ici la forme qui sera adoptée pour des démarches ultérieures, pourvu que des divergences ne se produisent pas sur le fond méme des choses. Il conviendrait que chaque Gouvernement, à l'instar de la Russie et de l'Italie, munit ses Agents, près la Sublime Porte, d'instructions assez larges, pour qu'ils fussent à méme de se concerter sur piace.

Dans cet entretien, je me suis prévalu de l'autorisation qui m'était donnée par la pièce chiffrée jointe à cette méme dépéche. Le Prince s'est défendu d'avoir émis, à l'époque indiquée, des doutes sur notre attitude. Bien loin de là, indépendamment de notre déclaration, il était facile d'induire, de la teneur de nos dépéches et de mon langage, que notre action était entièrement libre. Le Marquis Incontri, ainsi qu'il l'écrivait, n'avait rapporté à cet égard que des allusions, parties de l'entourage du Ministre Impérial des Affaires Etrangères.

J'ai l'honneur d'accuser réception des deux circulaires du 21 mars, Série Politique, de la dépéche n. 67 (bis), 25 mars, de la méme Série, avec ses anne

xes (1), de meme que des pièces qui m'ont èté transmises en date du 28 mars, à savoir 14 (il n'y en avait que 13) documents, et deux dossiers, l'un relatif à la question de Candie, l'autre à la situation générale de l'Empire Ottoman.

En remerciant V. E. de ces communications, aussi intéressantes qu'utiles pour un chef de mission, ...

(l) Cfr. n. 297.

349

IL MINISTRO A VIENNA, DE BARRAL, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 223. Vienna, 5 aprile 1867, ore 13,50 (per. ore 15,10).

Ambassadeur de France est extrèmement irrité de la nouvelle aujourd'hui ofiì.cielle que le Luxembourg restera à la Hollande. Il a dit hier au soir, que dans cette circonstance la France avait encore été jouée par Bismarck et que c'était un nouveau venin apporté dans relations déjà si tendues avec la Prusse. Le langage de Beust s'accorde pleinement avec celui de l'ambassade de France pour attribuer à cet incident une très grande gravité.

350

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, ALL'INCARICATO D'AFFARI A BERLINO, QUIGINI PULIGA

T. 155. Firenze, 5 aprile 1867, ore 15.

Gardez la réserve la plus complète. C'est ce qu'il y a de mieux à faire (2).

351

L'INCARICATO D'AFFARI A BERLINO, QUIGINI PULIGA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 12. Berlino, 5 aprile 1867 (per. il 12).

Depuis ma dépeche du 1er courant (3), l'agitation que la presse, les Etats secondaires, le parti militaire et le parti conservateur font pour empecher la Prusse de céder dans la question du Luxembourg a toujours été croissante. C'est une marée montante qu'on avait oublié de marquer sur les calendriers Allemands. Malgré les bonnes dispositions du Gouvernement, bonnes dispositions qui avaient peut-etre engagé la France à essayer un arrangement avec la Hollande, l'opinion exerce une telle pression, tant sur l'esprit du Roi, que sur l'esprit des gens les plus modérés, qu'il est à craindre que les suppositions

optimistes dont ma dernière dépeche était le reflet, ne se réalisent entièrement. J'ai eu quelques conversations avec des membres du Parlement appartenants au parti conservateur, et je crois devoir les résumer à V. E. pour La mettre au fait de la situation.

«Nous voulons la guerre avec la France, m'ont-ils dit, quoique nous reconnaissions que ce sera une guerre d'extermination et qui épuisera pour longtemps les deux pays. Mais la responsabilité ne doit pas etre renversée sur nous, seulement. Il est un fait que la France a assisté d'un oeil jaloux et mécontent aux triomphes de nos armes. Le projet d'organisation militaire, et la sollicitude qu'on y emploit pour activer la réforme de l'armement dans les armées françaises en sont une preuve évidente. La France n'attend qu'une occasion favorable pour tomber sur nous. Le prétexte est tout trouvé dans le jalon qu'on a posé il y a quelque mois sous la forme d'une demande de compensations territoriales. La circulaire La Valette n'a fait que détourner l'attention, mais le jalon existe. La guerre avec la France est, selon nous, inévitable, et nous serions indignes du nom de patriotes allemands, si nous attendons son bon plaisir. Elle n'est pas prete, nous sommes les plus forts, donc elle doit céder. Telle est l'opinion générale du parti conservateur et militaire, qui a une grande force sur l'opinion à cause de son nombre et de sa discipline'>.

A cette opinion déjà prépondérante par soi-meme, il faut ajouter l'agitation qui se fait dans les Etats secondaires, surtout dans l'Allemagne du Sud, qui dans le cas d'une guerre avec la France, auraient, disent-ils, peu à perdre et tout à gagner. La Prusse battue, ils pourraient peut-etre reprendre leur infiuence perdue. La Prusse victorieuse farait une Allemagne prépondérante, et ils auraient une part dans la gioire de la patrie commune.

Le parti modéré, il est vrai, en ayant M. de Bismarck à sa tete, voudrait trancher cette question du bon accord avec la France, et lui laisser cet os de Luxembourg à ronger à la condition de se déclarer satisfaite, et de passer un bail de silence tant pour le passé que pour l'avenir.

Le monde flnancier s'est ému vivement d'une complication qui compromettrait pour de Iongues années la prospérité matérielle de l'Allemagne, et paralyserait le développement vraiment extraordinaire que prennent son industrie et son commerce. Un des banquiers les plus importants de cette capitale a représenté au Président du Conseil les préoccupations du commerce Prussien. M. de Bismarck, ainsi que j'ai eu l'honneur de le faire connaitre à V. E. par mon télégramme du 4 courant (1), aurait répondu qu'il devait se rassurer, que cette question serait résolue d'une manlère, ou d'une autre (peut-etre M. de Bismarck faisait allusion à un congrès des Puissances signataires du Traité de 1839), mais sans guerre: toute la question est de savoir si le Président du Conseil sera assez fort pour résister à l'opinion qui se fait jour de tout còté, et au parti militaire qui entoure le Roi.

Pour donner à V. E. tous les éléments pour bien juger la situation, je dois encore Lui rapporter une conversation que j'ai eu à ce sujet avec l'Ambassadeur de France. Je lui exprimais mon opinion qu'il me paraissait bien difficile à la France, qui s'était engagée si avant, de reculer dans ce moment. Oh! si elle

recule, me répondit M. Benedetti, ce ne sera que pour mieux sauter. Les journaux Prussiens font aujourd'hui beaucoup de bruit d'un télégramme de La Haye dans lequel il est dit que le Gouvernement Hollandais a rompu les négociations avec la France au sujet du Luxembourg. Devons-nous interpréter ce télégramme dans le sens du recul, dont M. Benedetti m'a parlé? Les données me manquent pour répondre à cette question.

En tous les cas la situation me parait très tendue, et il me semble impossible qu'une solution quelconque se fasse longtemps attendre. Le télégraphe la donnera peut-étre à V. E., avant que ma dépikhe, que je confie au Chevalier Tosi, ne lui arrive.

(l) -Cfr. n. 292. Gli altri documenti no nsono pubblicati. (2) -Questo telegramma risponde al n. 344. (3) -Cfr. n. 335.

(l) Cfr. n. 344.

352

L'INCARICATO D'AFFARI A WASHINGTON, CANTAGALLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 320. Washington, 5 aprile 1867 (per. il 24).

Dopo lunghe tergiversazioni, venne adottato l'aggiornamento del Congresso, sì dalla Camera che dal Senato. La prima cessò dì sedere col Giovedì scorso, e Sabato passato ebbero fine le riunioni del Senato. Concordemente però all'uso, il Presidente con sua proclamazione convocava allora il Senato per una sessione speciale, extra session, all'oggetto di provvedere a materie di propria giurisdizione di questo, quali la conferma di nomine ad impieghi pubblici, promozioni nell'armata, e simili. Nel prossimo mese di Giugno, tuttoché si giunga a riunire un quorum sufficiente d'ambedue i Corpi legislativi, si terrà una sessione straordinaria, all'oggetto senza dubbio d'investigare la condotta del Presidente, all'oggetto di mantener viva la lotta e l'animosità contro di lui.

Lo scopo però principale della sessione straordinaria del Senato, è la discussione e la ratifica eventuale del trattato colla Russia, per la cessione delle possessioni che questa ha nell'America continentale del Nord, e intorno al quale sono ben divisi i pareri. V'ha infatti chi vuol ravvisare in questo un affronto,

o una sfida almeno all'Inghilterra, e quindi una deviazione pericolosa dalla politica tradizionale del paese, quasi in dispetto del recente progetto (certo di data assai posteriore) del Gabinetto di Saint James, di erigere in vice-reame le province del Canada, e le altre colonie confederate. Altri qualifica d'improvvida una tal misura, quasi che il danaro necessario all'acquisto, (7.700.000 dollari) siano per essere gettati, e il territorio ceduto abbia a divenir fonte di continue spese, senza guadagno di sorta per gli Stati Uniti. Fra questi e varii altri modi di vedere onde si fa organo la stampa, vuolsi essere esitante il Senato; ma oltreché prematura sarebbe ogni decisione di questo Corpo, per quanto avesse a pesar d'influenza, inftntantoché la Camera cui sola spetta statuire in materia di finanze, non abbia votato l'allocazione del prezzo di compera, rendendo possibile la realità dell'acquisto, io non sono d'avviso che il Senato vorrà per varie ragioni dichiararsi così per fretta avverso o favorevole. Dico varie ragioni inquantoché la massima opposizione sgorghi dal fatto, che tale atto politico emanando dal Presidente, o dal suo consigliere in ogni caso, cui si rimprovera d'aver voluto attaccar briga in Inghilterra per stornare l'attenzione del paese, e della legislatura, dalla sorveglianza delle cose interne, con una esterna diversione; e a ciò vuolsi aggiungere che interessi rilevanti, o locali o individuali, militeranno per il rifiuto della ratifica a questo trattato. L'opinione generale, se per tale si prenda quella che dista ugualmente fra la cieca ostilità de' più agli atti dell'Esecutivo, e l'esagerato entusiasmo di molti per quanto sa di moscovita, si pronunzia anzi che no in favore dell'acquisto, per parte degli Stati Uniti, d'un vasto territorio che si conosce esser ricco di carbone fossile e di metalli, onde sarà d'immenso vantaggio alla vicina California sul Pacifico, e avvantaggerà grandemente gli interessi (fonte di perenni dispute) delle pescherie marittime sulle coste dell'Atlantico. D'altronde il progetto non è nuovo, e fu oggetto di politica generale (V. Presidenza Pierce, Jefferson etc.) e di speciale sollecitudine per parte di distinti uomini di Stato in questo paese. L'E. V. ben sa che in proposito di queste stesse possessloni russe, il Presidente Monroe pronunziò in un suo messaggio, e diè corpo a quelle vedute, che tarvisate in seguito a bella posta, han preso nome di dottrina Monroe, quasi contengono un assoluto ed immutabile dogma politico. Certo si è, che se le negoziazioni saranno coronate di buon successo, gli Stati Uniti non avranno a dolersi del loro mercato; ed in ogni ventura l'aver fatto del Canada un enclave nel territorio degli Stati Uniti, potrà soddisfare l'amor proprio repubblicano. e le capricciose turbulenti esigenze de' più ostili all'Esecutivo.

L'annessa carta (A) che ho l'onore di compiegarle, offre assai esattamente la configurazione del territorio proposto in cessione (l).

353

IL MINISTRO A PARIGI, NIGRA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 228. Parigi, 6 aprile 1867, ore 18,28 (per. ore 20,45).

Empereur des français ayant su que le Roi de Prusse avait exprimé intention de venir à Paris lui a écrit en l'invitant à descendre aux Tuileries .Le Roi de Prusse répondit en acceptant. Malgré cet échange de politesses question de Luxembourg n'a fait aucun pas vers une solution. Si la France avait complété son armement la guerre aurait été immédiate. Empereur des français se touve en présence d'un échec et dans une situation extrèmement pénible et se croit joué par Bismarck.

354

IL MINISTRO AD ATENE, DELLA MINERVA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 36. Atene, 6 aprile 1867 (per. il 12).

Il Governo Ellenico è stato dai suoi Rappresentanti informato del progetto proposto dalla Francia alla Russia ed alle potenze segnatarie, e dell'adesione

di queste, eccetto l'Inghilterra, per domandare alla Porta di concedere ai Cretesi la libera manifestazione dei loro voti.

Domenica il Presidente del Consiglio mi disse che il signor Delyanni aveva telegrafato che i Rappresentanti delle Potenze che avevano aderito, avevano fatto le pratiche ufficiali in forma identica ma non collettiva.

Questo Governo non volendo da parte sua pregiudicare a quell'atto così importante per parte delle Potenze in favore dei Cretesi ha assicurato che avrebbe invigilato con tutta severità affinché nulla succedesse nelle frontiere delle Provincie di terraferma. Anzi considerando che la presenza dei Garibaldini potesse nuocere ed esser sinistramente interpretata ha disposto ch'essi debbano partire al più presto per la via di Corfù e Brindisi e verrà ad essi pagato il viaggio.

Il Governo greco si è indotto maggiormente ad adottare questa misura in seguito a rimostranze ufficiali fatte per parte dei Ministri di Francia e di Russia i quali consigliavano di eliminare il pretesto dell'intervento dell'elemento rivoluzionario per non intralciare l'azione diplomatica (l).

Qui però si è gravemente preoccupati del caso in cui la Porta rifiutasse perentoriamente la proposizione presentata dalle Potenze, e si chiede se in previsione di tale rifiuto, quelle abbiano pensato ad altri mezzi per indurre la Porta ad accondiscendere.

In previsione di un resultato non immediatamente favorevole il Ministro

degli Esteri ha in animo di fare un nuovo appello per mezzo dei Ministri Elleni

presso le Potenze marittime in favore delle famiglie Cretesi, le quali in que

st'anno soffriranno di una tristissima carestia a motivo che non si farà quasi

alcun raccolto di cereali nell'Isola, per causa della guerra che non permise il

seminare, ed i campi vennero per lo più distrutti, od assai malconci.

(l) Non si pubblica.

355

L'INCARICATO D'AFFARI A BERLINO. QUIGINI PULIGA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. CONFIDENZIALE 13. Berlino, 6 aprile 1867 (per. il 12).

Ainsi que j'ai eu l'honneur d'informer V. E. hier par le télégraphe (2) l'affaire de la cession du Luxembourg et les nuages qui menaçaient l'horizon politique, est, si non terminée pour le moins ajournée. C'est une question à la quelle, d'après l'expression de l'Ambassadeur de France, il faudra remettre un nouvel habit.

-o più Italiani non può impegnare la responsabilità del R. Governo; epperò nel mentre non possiamo esercitare alcuna ingerenza diretta per impedire atti che non ledono il dritto pubblicodegli stati fra loro, abbiamo tutto l'interesse di vegliare attentamente a ciò che questi atti non abbiano a prendere proporzioni tali da dar luogo a fondate lagnanze per parte di Governi Esteri. È a questo solo intento che debbono mirare le nostre investigazioni, ed lo sono persuaso che la S. v. spiegherà nella sorveglianza di questo nostro interesse quello zelo prudente pel quale il R. Governo ebbe più volte ed in ripetute occasioni a lodarla ». M. -de Thile, a qui j'en parlais ce matin meme, m'a dit qu'il ne savait pas encore comment la France prendrait la décision du Roi de Hollande, décision qui était arrivée entièrement inattendue à Berlin. Il me résulte pourtant par des informations qui m'ont été données par une personne qui est très au courant de toute cette affaire, que la Prusse a exercé à la Haye une pression peu commune sur l'esprit déjà suffisamment irrésolu du Roi. D'après lui la Prusse aurait déclaré, si non officieìlement, du moins en sous main à Sa Majesté que la cession du Luxembourg à la France avait produit en Allemagne une agitation telle dans les esprits que le Gouvernement n'était plus maitre de la situation: que si cette cession s'effectuait il serait impossible de résister au courant de l'opinion publique -et que l'opinion publique voulait impérieusement la guerre.

Le Roi des Pays-Bas ne pouvant se couvrir de personne que de M. de Tornaco qui, à ce qu'il parait ne lui donnerait pas un conseil bien arreté, s'effraya des suites de cette cession et rompit le marché.

Les journaux Prusslens chantent victoire, et c'en est une assurément; je persiste néanmoins, dans un intérèt humanitaire et de civilisation, à déplorer une vlctoire qui ne finit pas la question, mais qui aigrira au contraire davantage les esprits des deux pays et amènera dans un avenir plus ou moins éloigné une guerre d'extermination.

P. S. J'ai l'honneur de joindre ici un extrait du journal otlìciel (l) par lequel V. E. remarquera que le Gouvernement Prussien a publié la loi de l'emprunt consenti par les Chambres en Septembre dernier. Les circonstances politiques du moment donnent une importance marquée à cette publication. Je prie V. E. de m'excuser si je n'ai pas le temps d'y joindre une traduction.

(l) -Cfr. l seguenti brani del d. 17 inviato il 25 aprile a Della Mlnerva: «La ringrazio delle ripetute informazioni favoritemi sulle intelligenze che passano tra l comitati elleni ed il partito d'azione in Italia... Appena giova rlpeterle in quest'occasione che il fatto individuale che uno (2) -T. 225, non pubblicato.
356

IL MINISTRO A VIENNA, DE BARRAL, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 21. Vienna, 6 aprile 1867.

J'ai l'honneur d'accuser réception à V. E. des cinq documents diplomati

ques qu'Elle a bien voulu m'adresser sous la date du 2 courant, et je m'empresse

de La remercier de ces intéressantes communications réservées à mon informa

tion particulière. Je dois également offrir mes remerciments à V. E. pour Sa

circulaire du 21 mars dernier (2) résumant avec autant de clarté que de préci

sion l'action politique de l'Italie dans les différentes questions du moment.

Conformément aux instructions renfermées dans la dépeche de V. E. en

date du 29 mars dernier S. P. n. 22 {3), je me suis empressé de me rendre chez

le Baron de Beust, aussitòt après son retour de Pest, pour lui parler de la con

venance qu'il y aurait pour les deux pays de s'entendre sur la délimitation de

la nouvelle frontière austro-italienne, en prenant dès à présent pour base les proposition d'échange de territoires faites par les Commissaires respectifs, et qui, dans le principe, n'avaient été acceptées que ad referendum.

M. de Beust m'a promis de s'intéresser à cette affaire et, sur sa demande, je lui ai transmis une petite note verbale pour lui servir, camme il m'a dit, de promemoria. Ayant eu en outre l'occasion de voir le Général Moering qui m'a souvent témoigné de grandes sympathies pour l'Italie, je lui en ai glissé quelques mots auxquels il m'a répondu en me disant confidentiellement qu'il ne voyait pas que l'Autriche consentit à des échanges d'une trop grande étendue, mais que s'il s'agissait de quelques parcelles de territoire, l'avis du Général Kirchsberg serait infalliblement adopté, et qu'ainsi c'était auprès de ce dernier qu'il fallait essentiellement agir.

(l) -Non si pubblica. (2) -Cfr. n. 292. (3) -Cfr. n. 327.
357

L'INCARICATO D'AFFARI A L'AJA, FAVA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 10 L'Aja, 7 aprile 1867 (per. il 12).

*La quistione del Lussemburgo è entrata in una fase novella * (1).

Ecco come questa fase è spiegata qui nelle regioni officiali.

"'Le trattative fra i Paesi Bassi e la Francia relativamente ad una cessione eventuale del Granducato sarebbero sempre state subordinate dall'Olanda alla adesione della Prussia.

Avendo ora il Gabinetto di Berlino notificato in una lettera giunta qui la sera del 4, che la Germania si opporrebbe all'abbandono del Lussemburgo ed al ritiro della guarnigione prussiana, il Governo neerlandese, il quale non era legato da niun atto diplomatico con la Francia, avrebbe da una parte risposto alla Prussia che Guglielmo III rinunziava all'idea di cedere il Granducato, ed avrebbe dall'altra comunicata siffatta risoluzione a questo Ministro di Francia*. Malgrado ciò il Governo di Francia insisterebbe per l'attuazione del progetto in parola, dicendo doversi l'Olanda considerare come moralmente impegnata dalle recenti trattative. Era forse a questa insistenza che faceva allusione Tornaco, quando mi diceva che la Francia procedeva in un modo poco corretto (annesso al mio dispaccio confidenziale n. 5) (2).

*Il Re Granduca pare volersi però attenere strettamente alla politica che

si era tracciata, di non cedere, cioè, il Lussemburgo senza previo accordo con

la Prussia, e di svincolare così interamente l'Olanda da ogni responsabilità*.

Questo sarebbe stato uno degli oggetti della conferenza di ieri, da me prece

dentemente annunziata *. Egli è perciò che il Ministero neerlandese ha presa la

ferma risoluzione di non mischiarsi ulteriormente nelle cose del Granducato, le

quali sono ormai affidate soltanto al Barone di Tornaco.

Si spererebbe in tal modo far dibattere la quistione direttamente fra la Prussia e la Francia, tenendo altresì possibilmente conto delle preferenze dei Lussemburghesi per l'una o per l'altra potenza. *

Questa situazione mi vien confermata da un'altra conversazione che ho avuto oggi con Tornaco, il quale mi ha ripetuto:

«L'autonomie du Grand Duché est un rève. Un petit pays ne peut nì faire respecter ni défendre sa neutralité, et nous devons devenir ou Français ou Prussiens ».

In questo stato di cose la Francia avrebbe subito uno scacco, da cui tosto

o tardi le fa mestieri rilevarsi. Qui si pensa che l'appello alle potenze consegnatarie dei trattati del 1839 è fatto per orpellare codesto insuccesso, e per non urtare di fronte le suscettibilità del Gabinetto delle Tuileries, il quale in questa quistione si è avanzato oltre misura.

(l) -I brani fra asterischi sono editi, con qualche variante, in LV 11, p. 16. (2) -Non pubblicato.
358

IL MINISTRO A PARIGI, NIGRA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 230. Parigi, 8 aprile 1867, ore 17,40 (per. ore 20,50).

La communication suivante a été faite aujourd'hui aux Chambres par le Gouvernement français: « Messieurs, l'Empereur m'a donné l'ordre de vous faire connaitre les circonstances au milieu desquelles est née la question du Grand Duché du Luxembourg et la situatìon actuelle de cette affaire. Le Gouvernement français dominé par la conviction profonde que les intérets véritables et permanents de la France sont dans la conservation de la paix de l'Europe n'apporte dans ses relations internationales que des pensées d'apaisement, aussi n'a-t-il pas soulevé spontanément la question du Gran Duché. La position indécise du Limbourg et du Luxembourg a déterminé une communication du Cabinet de la Haye au Gouvernement français. Les deux souverains ont été appelés ainsi à échanger leurs vues sur la possession du Luxembourg. Ces pourparlers n'avaient d'ailleurs encore pris aucun caractère officiel lorsque consulté par le Roi des Pays Bas sur ses dispositions, le Cabinet de Berlin a invoqué les stipulations du Traité de 1839. Fidèles aux principes qui ont constamment dirigé notre politique nous n'avons jamais compris la possibilité de cette acquisition de territoire que sous trois conditions: le consentement libre du Grand Duché du Luxembourg; l'examen loyal des intéréts des grandes puissances; le voeu des populations manifesté par le suffrage universel. Nous sommes donc disposés à examiner de concert avec les autres Cabinets de l'Europe les clauses du Traité de 1839. Nous apporterons dans cet examen le plus entier esprit de conciliatìon et nous croyons fermement que la paix de l'Europe ne saurait ètre troublée par cet incident ».

359

IL MINISTRO A VIENNA, DE BARRAL, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 22. Vienna, 8 aprile 1867.

La confirmation pure et simple de la continuation de possession du Grand Duché de Luxembourg par la Hollande, après les démarches pressantes de la France pour acquérir ce territoire, a été regardée ici comme un échec d'autant plus grave pour la politique napoléonienne que l'on a cru y voir clairement une entente entre la Prusse, l'Angleterre et peut-etre méme la Russie, dans le but de s'opposer à toute extension du territoire français. L'on est persuadé, et le Due de Gramont tout le premier, que les interpellations du Deputé Benningsen au Parlement allemand, aussi bien que la réponse du Comte Bismarck, étaient combinées à l'avance entre eux deux, et avaient uniquement pour but de bien faire comprendre à l'Empereur, que si la Prusse croyait encore avoir à garder quelques égards purement de forme envers les susceptibilités françaises, en revanche le sentiment allemand se révoltait à l'idée de la moindre cession de son territoire, et que la nation tout entière était prete à se lever en masse pour s'y opposer. La diplomatie est très inquiète de savoir ce que l'Empereur Napoléon va faire dans une circonstance aussi critique et où une retraite devient aussi périlleuse qu'un pas en avant.

Le due de Gramont qui part ce soir pour Paris, se montre lui..,meme très alarmé de cet état de choses; il m'a dit que ce n'était pas à lui de faire la critique des actes de son Gouvernement, mais que cependant il devait bien reconnaitre que depuis quelque temps l'on faisait faute sur fautes à Paris, et que la dernière, à propos du Luxembourg, était d'autant plus impardonnable que en pensant à l'humiliation qu'en éprouverait le sentiment français, l'on n'aurait dù s'exposer à un échec.

La situation extremement tendue dans laquelle se trouve le Gouvernement français, a naturellement ramené dans la presse la question d'alliance entre la France et l'Autriche. Ainsi que déjà j'ai eu occasion d'en informer V. E., les avances de la Prusse inspirent peu de confiance ici. «La Prusse -me disait hier, un homme d'Etat -nous fait dans ce moment patte de velours, mais nous savons que des griffes sont dessous et nous ne voulons pas nous exposer à de nouvelles trahisons >>. En réalité les tendances générales, surtout depuis que M. de Beust est à la tete des affaires, sont vers l'alliance française. Toutefois, il ne faudrait pas donner à ces tendances des proportions trop accentuées du moment que, par des circonstances fortuites, elles devraient se traduire en faits immédiats; et ce n'est que pour le cas où elles porteraient seulement dans un avenir d'au moins une année, qu'elles pourraient prendre une certa.ine consistance pratique. Pour le moment, le premier besoin de l'Autriche est de se refaire de la rude secousse qu'elle a éprouvée, et qui par la foudroyante rapidité des désastres subis, a jété la nation aussi bien que l'armée dans une de ces prostrations morales dont un retour de confiance dans leurs propres forces peut seul les relever. C'est là avant tout une oeuvre du temps. En résumé, si le pays repousse bien positivement camme blessante pour sa dignité et contraire à ses intérèts toute idée d'alliance avec la Prusse, en vue des événements belliqueux qui IJ€Uvent surgir, l'on ne saurait, par contre mieux définir, je crois, la disposition actuelle des esprits en ce qui concerne la France, qu'en lui attribuant le caractère de simples aspirations.

360

IL MINISTRO A PARIGI, NIGRA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 232. Parigi, 9 aprile 1867, ore 15 (per. ore 19,20).

La communication du Gouvernement français aux Chambres écarte pour le moment tout danger de conflit avec la Prusse. Le Gouvernement impérial désire ques les bureaux du Corps législatif n'accordent pas l'autorisation pour les interpellations sur le Luxembourg. Il est probable qu'il parviendra a les éviter.

361

IL MINISTRO A STOCCARDA, GREPPI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI "\lENOSTA

R. 3. Stoccarda, 9 aprile 1867 (per. il 14).

La comunicazione che il R. Ministero degli Affari Esteri si compiacque di farmi in data delli 2 corrente di alcuni documenti diplomatici relativi alle presenti complicazioni germaniche, mi spinge fin d'oggi a sottomettere all'E. V. le mie osservazioni sull'attitudine del Wurttemberg, iscusandomi se per il breve tempo dacché mi trovo in questa residenza debbo per ora restringermi a sommi capi.

La persona del Re non influisce granché sul sistema governativo. La pochezza della sua mente lo rende indifferente alle cose di Stato, il quale attese le cure che n'ebbe per tanti anni il defunto Re Guglielmo, si mantiene in condizioni materiali assai floride. Il Re non sembra essersi fatta un'idea esatta della sua posizione di fronte alla Prussia, e parla come se nessun impegno lo legasse a quella potenza. All'avvenimento del presente Re Carlo, la Regina Olga tentò immischiarsi nelle faccende di Stato, ma non apportandovi molta saldezza di mente, anzi lasciandosi strascinare in varj sensi, per l'alternarsi delle sue personali simpatie, perdette in breve tempo ogni autorità in materia di Governo. Restringe pertanto le sue cure alla rappresentanza regale, quasi cercando un velo che le nasconda il recente guasto fatto all'indipendenza del trono dal trattato d'alleanza offensiva e difensiva colla Prussia.

La nobiltà vorrebbe mantenersi fedele alle antiche sue inclinazioni per l'Austria, tuttavia scorge che da quel lato non v'ha più a sperare appoggio. Verso la Prussia propendono il clero protestante influente nel paese, molti pubblici funzionarj ed ufficiali dell'esercito; i primi volendo accostarsi maggior

34 -Documenti diplomatici -Serle I -Vol. VIII

mente al loro gran centro religioso, gli altri per la speranza di più larga e rapida carriera.

Assunto più difficile è quello di precisare l'opinione delle campagne. Ma in quelle, come nelle città, le dottrine democratiche trovano favore, specialmente per il poco impegno che la Corte pone a conquistarne l'affetto.

All'occasione della riunione della Rappresentanza del Paese, vale a dire nel prossimo Agosto, si potranno concretare i sentimenti della popolazione a riguardo del Trattato Prussiano di alleanza. È lecito di credere che quando esse ne risentiranno le conseguenze, come per esempio una più forte coscrizione ed un aumento di imposte per far fronte alle nuove esigenze del bilancio della guerra, accresciuto d'un tratto di quattro milioni di fiorini, si mostreranno meno entusiastici per l'unità germanica. Altra conseguenza sarà quella di una più diretta ingerenza della Prussia, specialmente nelle cose militari, per cui l'amor proprio nazionale ne verrà ad essere offeso.

Il Ministro dirigente è il Barone di Varnbiiller, capo del Dipartimento degli Affari Esteri. È uomo spigliato, pratico negli affari ed abile nel maneggio delle cose parlamentari. Ma troppo rapida fu l'evoluzione colla quale distaccandosi dall'Austria si gettò nelle braccia della Prussia perché la sua popolarità non avesse a soffrirne. Egli però conosce su qual pendio stieno le cose, e non potendole arrestare, si accontenta di dirigerle.

Recentemente la Prussia ha qui mandato a suo Rappresentante il Barone di Rosemberg, diplomatico che ricorda i residenti che l'Inghilterra accreditava nei Regni Indiani, in vista di prepararne l'annessione. Egli spiega grande attività, e si atteggia in modo da far palese che la Prussia è decisa a trarre ogni vantaggio dalla sua alleanza cogli Stati Tedeschi del Mezzogiorno.

In questi ultimi giorni regna molta agitazione nel ceto finanziario per le notizie giunte di Francia dell'improvviso ribasso di fondi. Nelle sfere ministeriali però nulla si scorge ancora che accenni a nuove disposizioni politiche.

Nell'accusare ricevuta all'E. V. della circolare delli 21 marzo u.s. serie politica, (1) ...

362

IL CONSOLE A CORFù, VIVIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. R. 128. Corfù, 9 aprile 1867 (per. il12).

Nella notte dal 6 al 7 corrente giungeva qui dal Pireo, Ricciotti Garibaldi con settantanove compagni. Egli lasciò Atene, non tanto per suo proprio moto, quanto per l'invito espresso del Ministro Comunduros, il quale gli avrebbe fatto intendere che prolungandovi più oltre la sua dimora avrebbe messo il Governo greco in impaccio coi Ministri delle Potenze Protettrici. E tanto pare che pre

messe al Signor Comunduros che Ricciotti Garibaldi ed i suoi Compagni lasciassero la Grecia, che fu posta a loro disposizione la cannoniera «Salamina » per condurli a Brindisi, via di Corfù.

Non si crede che il Comitato di Atene abbia veduto di mal occhio questo fatto. Si dice che il partito di azione italiano, vi avesse assunto, nella persona di Ricciotti Garibaldi, un contegno da indurre a credere che egli volesse in certo modo sostituire la iniziativa propria a quella del suddetto Comitato. Gli si è pertanto fatto intendere che, senza rifiutare la cooperazione che le si veniva offerendo, la Grecia intendeva che la liberazione delle provincie elleniche, da differirsi a tempo più opportuno, conservasse, tanto per la iniziativa, quanto per la direzione, intero il carattere d'impresa essenzialmente nazionale. Ricciotti Garibaldi avendo quindi trovato disposizioni contrarie alla impazienza del suo partito, torna in Italia poco soddisfatto dell'esito del suo viaggio, il quale può essere considerato come assolutamente negativo in fatto di accordi da prestabilirsi.

Si assicura che nel partire da Atene, egli promettesse di lasciare lo Stato senza indugio alcuno con tutti i suoi compagni. Ma, giunto a Corfù, tentò indirettamente ottenere dal Generale Milios il permesso di accasermarne cinquanta in una di queste fortezze. Il suo desiderio non potè essere soddisfatto.

Nel pomeriggio del 7 corrente, Ricciotti Garibaldi si recò a visitare il Generale Spiro Milios, che non conosceva di persona. Fu accolto con molta cortesia e dal Generale e dal Prefetto che si trovava per avventura presente. Posso peraltro affermare con piena cognizione di causa che, non fu detta durante il colloquio una sola parola di politica.

La sera dello stesso giorno fu fatta sotto le finestre dell'albergo, dove abitava Garibaldi, una popolare dimostrazione in suo onore. Gli fu presentato un indirizzo, al quale egli rispose ringraziando delle accoglienze ricevute ed invitando il popolo ad acclamare alla libertà della Grecia unitamente a lui. La dimostrazione nulla ebbe però di straordinario né in fatto di entusiasmo, né in fatto di numero di gente concorsavi. Nel corso del giorno Garibaldi era stato visitato da più persone.

So che egli si abboccò anche con uno dei Capi del Comitato di Corfù presieduto dall'Arcivescovo greco e del quale è Membro anche questo Prefetto. Ma non vennero a conclusione di sorta alcuna.

Garibaldi è partito jeri alle ore 4 p.m. per Brindisi con la cannoniera greca «Salamina » accompagnato da ventinove dei suoi, lasciando qui i cinquanta di che ho parlato più sopra, a spese sue, e sotto gli ordini del Maggiore Sgarallino di Livorno. Non credo che questo fatto sia da considerarsi come avviamento alla formazione di una specie di deposito. Credo piuttosto che, avendo Garibaldi fatto in Italia a chi l'ha seguito in Grecia promesse, che non si sono potute realizzare, egli abbia preso il partito di lasciare qui i più turbolenti fra i suoi compagni, per acquistare tempo a trarsi d'impaccio.

Con Ricciotti Garibaldi è pure partito quel signor Andreuzzi di che feci parola nel mio n. 126 (1). Egli è latore di una lettera di questo Comitato al Comitato della Associazione !taio-Ellenica di Firenze, nella quale si conclude in sostanza

con la domanda di armi e di munizioni, da servire per la insurrezione dell'Epiro, a tempo opportuno. Si prega di spedire le armi e le munizioni di cui si potesse disporre, all'indirizzo di questo signor Senofonte Vassilà, negoziante epirota, il quale è come chi dicesse l'uomo d'affari del Comitato. Non è riuscito al predetto signor Andreuzzi di promuovere la formazione di un Comitato nuovo, che fosse in certo modo un'emanazione di quello di Firenze e fosse quindi più arrendevole agl'impulsi del partito di azione.

Il viaggio di Garibaldi in Grecia sembra avere chiaramente manifestato quali siena gl'intendimenti del detto partito. La Grecia non è in grado né di sollevare direttamente le provincie elleniche non libere, né di concorrere alla loro sollevazione in modo veramente efficace, qualora essa nascesse (il che è poco probabile) spontanea. Aggiungasi che la sua impotenza è aumentata dalla pressione diplomatica della Francia e dell'Inghilterra.

Ora il partito di azione italiano, non conoscendo punto né le condizioni vere della Grecia indipendente, né quelle delle provincie elleniche non libere, né il carattere orgoglioso e diffidente de' Greci, ha creduto che a sollevare la Grecia tutta quanta e ad acquistarvi subito una posizione predominante, bastasse forse il mandare in Atene il figlio di Garibaldi. Credo che a quest'ora il partito di azione debba essersi completamente disingannato. Aggiungo che la di lui insistenza a spingere il Comitato di Atene a rompere ogni indugio, ha generato nei Greci il sospetto che in quella insistenza si nascondessero mire segrete, oltre all'averne offeso l'amor proprio con una ingerenza che ha quasi assunto l'aspetto di soprastanza.

Durante la breve dimora di Ricciotti Garibaldi a Corfù, per non dar luogo a congettura alcuna di connivenza, io mi sono accuratamente astenuto dall'avere con lui relazioni di sorta: il che mi è riuscito del resto facilissimo, non avendo egli cercato né direttamente, né indirettamente di vedermi.

Giungeva jeri in questa residenza, proveniente da Trieste con vapore austriaco, S.A.R. il Principe Giovanni di Danimarca, il quale si conduce in Grecia, per assumervi la Reggenza, durante l'assenza del Re, che deve intraprendere quanto prima il viaggio onde da tanto tempo si parla. Sua Altezza Reale ha continuato lo stesso giorno per Sira, col vapore col quale era giunto a Corfù.

P. S. Ho l'onore di trasmettere qui unito a V. E. un dispaccio della R. Legazione in Atene, diretto all'E. V. che mi giunge in questo momento.

(l) Cfr. n. 292.

(l) Non pubblicato.

363

L'INCARICATO D'AFFARI A PIETROBURGO, INCONTRI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 235. Pietroburgo, 10 aprile 1867, ore 14,40 (per. ore 19,20).

Russie a proposé à Paris nouvelle démarche auprès de la Sublime Porte pour arréter effusion de sang à Candie. France a déclaré d'accepter. Gortchacoff m'a dlt compter sur notre participation que j'ai promise.

364

IL MINISTRO A BERLINO, DE LAUNAY, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. l. Berlino, 9-10 aprile 1867 (per. il 16).

*Arrivé hier, j'ai eu ce matin ma première audience chez le Comte de Bismarck qui m'a accueilli avec sa bienveillance d'ancienne date* (l). Il m'a demandé tout d'abord si j'avais quelques nouvelles sur la formation de notre Ministère.

N'ayant reçu aucun télégramme depuis mon départ de S. Pétersbourg, j'ai du me borner à répondre que la direction des Affaires Etrangères resterait la m~me, quels que fussent les hommes d'Etat appelés par le Roi à composer une nouvelle administration. Notre politique sous ce rapport est inspirée par des intér~ts permanents, parmi lesquels nous comptions celui de maintenir vis-à-vis de la Prusse le principe d'une alliance qui avait déjà produit d'heureux résultats pour les deux pays si bien faits pour s'entendre.

M. de Bismarck m'a ensuite parlé de la question du Luxembourg. Voici en substance quel a été son langage.

«Cette affaire a été conduite à Paris avec une inhabilité sans pareille. J'avais, dans le temps, laissé comprendre à demi-mot qu'une entente serait possible, et que le Cabinet de Berlin aurait peut-~tre le pouvoir de la faire accepter en Allemagne, surtout si du m~me coup on réglait d'autres points jusqu'ici incomplètement définis. A cet effet il eut fallu adroitement préparer le terrain, le déblayer à l'avance de la question très délicate de notre droit de garnison dans la forteresse. Il fallait surtout éviter d'ébruiter la chose, tant que la publicité pouvait présenter des inconvénients sérieux. Au lieu de cela, comment a-t-on procédé? Le Gouvernement Français est entré en pourparlers avec le Roi des Pays-Bas. Celui-ci a voulu nous consulter. C'était une maladresse que de provoquer notre opinion d'une manière aussi inopportune, quand nous avions fait comprendre qu'il importerait de ménager la transition, de nous permettre de retirer nos troupes du Luxembourg et cela de notre propre mouvement, pour éviter l'apparence m~me d'une pression. Comme pour compliquer à plaisir la situation, le secret des pourparlers ou négociations a été divulgué. Je n'en accuse pas la France. Celle-ci parait en rejeter la responsabilité sur le Gouvernement Beige, tenu en éveil par ses sentiments de défiance. Mais la cloche d'alarme n'en a pas moins sonné et retenti dans toute l'Allemagne. L'écho a fortement résonné dans le Parlement fédéral. L'opinion publique est en émoi. Il nous serait impossible de n'en pas tenir compte, quand elle s'est manifestée d'une manière aussi unanime. Si dans de pareilles circonstances notre garnison du Luxembourg quittait ce poste, on pourrait croire qu'elle cède à une injonction partie de l'étranger. Nous ne saurions y consentir. Pour expliquer les fautes commises on serait tenté de croire, et je reçois des renseigne

ments dans ce sens, que l'Empire est devenu moins solide et qu'on voudrait l'étayer par des bayonnettes. On chercherait une diversion. Un certain parti parmi lequel je nommerai M. de La Vallette et M. Benedetti, pousse à une guerre qui servirait en quelque sorte de sauvetage à l'intérieur. Puisque j'ai nommé M. Benedetti, j'avoue ne pas comprendre pourquoi l'Empereur Napoléon, s'il tient à conserver de bons rapports avec la Prusse, ne donne pas une autre destination à ce diplomate, à ce conseiller de remèdes aussi dangereux. Quels seraient en cas de lutte les auxiliaires de la France? L' Angleterre se tiendrait à l'écart en faisant peut-etre des voeux pour que sa rivale eut les pattes coupés. Dans tous les cas, elle garderait la réserve, sauf à se ranger plus tard du còté du vainqueur. L'Autriche garderait la neutralité. Elle ne pourrait se ranger contre nous, sans s'exposer à perdre ses possessions Allemandes surtout si elle ne parvenait pas à se concilier entièrement les suffrages de la Hongrie. D'ailleurs la Russie, qui sans doute, ne marcherait pas avec nos adversaires, aurait aussi bien que l'Italie, les moyens nécessaires pour tenir l'Autriche en échec, et paralyser un mauvais vouloir éventuel, dont cependant jusqu'ici il n'y a pas d'indices. En outre la Russie aurait tout avantage à prendre position pour se préserver moyennant un accord avec nous du contre-coup dans le Royaume de Pologne et ses autres provinces occidentales. La France ne devrait pas oublier qu'elle doit à la Prusse d'avoir empeché de prendre corps à des velléités, pour ne pas dire plus, de coalition. Ce serait un mode étrange de nous marquer sa gratitude que de vouloir nous chercher querelle, pour obtenir un territoire qui n'ajoute rien à sa grandeur, ni à la sécurité de ses frontières. Serait-il peut-etre dans ses habitudes, de ne pas convenir des erreurs commises et de ne chercher à les corriger que par la force des armes? En attendant, il est inexact de nous attribuer une démarche menaçante à La Haye, démarche qui aurait eu pour résultat un désistement du projet de cession. Les exhortations sont venues d'ailleurs. Maintenant les difficultés paraissent ajournées, mais l'avenir n'en reste pas moins gros d'orages ».

*M. de Bismarck reconnaissait néanmoins que, dans son discours récent au corps législatif, le Marquis de Moustier s'était appliqué à apaiser les esprits par un langage qui n'excluait pas entièrement une solution par la voie diplomatique.

Je n'avais pas à me prononcer sur une question internationale qui rentre en premier lieu dans la compétence des signataires des traités de 1839. J'ai seulement dit, en me plaçant à un point de vue plus général, que nous déplorerions toute complication qui pourrait compromettre la paix dont le besoin se faisait si universellement sentir. Nous verrions surtout avec un profond regret surgir des hostilités entre deux pays qui l'un et l'autre ont été nos frères d'armes dans l'oeuvre de notre affranchissement.* Nous voudrions etre assez puissants, assez avancés dans notre travail d'améliorations intérieures pour pouvoir rapporter à l'Italie le mot que Frédéric le Grand appliquait à la France: «Si je régnais à Paris, disait-il, pas un seui coup de canon ne se tirerait en Europe sans ma permission ».

La veille j'avais vu M. Benedetti d'après sa version, conforme à celle du Baron de Talleyrand, le projet de transférer le Luxembourg à la France avait paru marcher vers un réalisation. Le Cabinet de Berlin était instruit des pourparlers entamés à cet effet avec le Roi Grand-Due, et il se taisait. Mais lorsque l'opinion publique a été en quelque sorte saisie de la question, M. de Bismarck a faibli. Il s'est replié derrière l es signataires des Traités de 1839; derrière !es manifestations du sentiment national en Allemagne. M. Benedetti croyait que son Gouvernement ne pouvait admettre une semblable situation. C'était une afiaires à reprendre. Si la guerre était inévitable, mieux vaudrait-il l'affronter sans retard, que de la différer, ne fut-ce que pour éviter un marasme commerciai et une agitation qui paralyserait l'esprit d'entreprise et le travail national.

M. de Bismarck n'a peut-étre point tort quand il insinue que ce diplomate appartient au parti qui pousse à la guerre. Il me résulte en effet qu'ayant reçu, après la signature des préliminaires de Nikolsbourg, une lettre de félicitation de son collègue en Russie, il déclarait ne pouvoir accepter ses éloges. Il disait plus tard que s'il avait décliné d'autres postes, nommément celui de Constantinople, c'était parce qu'il voulait à Berlin attendre une revanche.

Je terminerai par un mot dit au Prince Reuss par le Prince Gortschakoff, et que celui-ci m'a répété la veille de mon départ: « Ecrivez à Berlin qu'on ne perde pas un instant pour compléter les armemens. Multipliez !es fusils à aiguille ».

Selon la manière de voir du vice-chancelier, l'ajournement n'était pas une solution, mais un danger de plus pour l'avenir. Il serait impossible en effet aujourd'hui de ne point partager cette opinion, à moins que l'imprévu, auquel il faut toujours faire une large part dans les affaires de ce monde, ne vienne dissiper l'orage qui s'amoncelle à l'horizon.

Chacun m'interpelle ici sur le projet de voyage de S.A.R. le Prince Humbert. Je donne la méme réponse que j'ai déjà faite à St. Pétersbourg.

Berlino, 10 aprile 1867.

P. S. Demain j'aurai mon audience chez S. M. le Roi pour la présentation de mes lettres de créance.

(l) I brani fra asterischi sono editi in LV 11, p. 18.

365

L'INCARICATO D'AFFARI ALL'AJA, FAVA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 13. L'Aia, 10 aprile 1867 (per. il 16).

Dopo le spiegazioni date da Lord Stanley alla Camera dei Comuni, poche cose mi restano a dire oggi sulla cessione del Lussemburgo alla Francia.

Malgrado il rifiuto della Prussia di aderirvi, rifiuto mantenuto mentre scrivo dal Conte di Perponcher Inviato Prussiano all'Aja, il signor Baudin insiste tuttavia per l'annessione del Granducato all'impero francese.

Ne ho ricevuto testé l'assicurazione da persona iniziata direttamente in questo affare, la quale pensa inoltre che la comunicazione fatta ieri l'altro dal Marchese di Moustier al Corpo legislativo conferma implicitamente le pratiche non mai interrotte di questo Ministro francese. Con quella dichiarazione il Governo imperiale ha per la prima volta ufficialmente confessato di voler fare un tale acquisto di territorio mercé il libero consenso del Re Gran Duca, consultando le popolazioni, ed esaminando le clausole dei trattati del 1839.

Le prime due condizioni non spaventano il Marchese di Moustier, e la terza, la più seria, quella di provocare l'avviso dei cosignatari dei trattati del 1839, pone la quistione sul terreno degli interessi europei.

Della Prussia, che è la potenza la più interessata e che ha già pregiudicato il suo parere non consentendo alla cessione, non fu parola al corpo legislativo. O se alcunché ne venne detto, lo fu per stabilire che anche essa era in causa, e nulla più.

*La quistione è dunque interamente spostata. Mentre alla fine di Marzo essa pareva potesse risolversi di comune accordo fra l'Olanda, la Francia e la Prussia, è divenuta oggi, anche di comune accordo, un litigio europeo* (1).

*La sosta che questa nuova fase diplomatica impone alla vertenza riescirà forse profl.ttevole ai Lussemburghesi *. Abilmente diretti essi. la sconteranno al loro prò, *e già si raccolgono nel Granducato petizioni per essere sottomesse al Re. So da buona fonte che in questi giorni arriverà all'Aja una deputazione per esporre a Guglielmo III che il voto dei Lussemburghesi è quello di conservare anzi tutto e di vedere rispettata la loro autonomia,* ed ho motivi per credere che S.AR. il Principe Enrico ed il Barone di Tornaco siano alla testa di questo movimento la di cui importanza sarà meglio apprezzata da V. E.

* -Le conferenze si succedono alla Reggia ove il Re riunisce giornalmente il Principe Luogotenente, il Barone di Tornaco ed il Conte di Zuylen. Molti progetti furon discussi, molti altri abbandonati, ma quello della neutralizzazione dei Granducato basato sulla demolizione della fortezza e sul ritiro della guarnigione prussiana, venne sovente ripreso * come l'unico che pel momento potrebbe ritardare le eventualità di una guerra sterminatrice. * -Se codesta combinazione venisse accolta, il Re dei Paesi Bassi cederebbe al suo secondogenito Principe Alessandro, ovvero allo stesso Principe Enrico, i suoi diritti di Granduca di Lussemburgo. In tal guisa l'Olanda sarebbe fuori di ogni imbarazzo, ed il nuovo Granduca libero di entrare o pur no nella Confederazione del Nord. Nulla per altro v'ha di stabilito fino ad oggi.*

Seguirò come meglio potrò queste conferenze, giacché il Conte di Zuylen, che ha cura di tener bene informati gli Agenti Olandesi all'estero, si fa una legge di essere più che discreto con questo corpo diplomatico, e quando vien messo alle strette dice ordinariamente quello che non pensa. La sua riserva del resto è abbastanza spiegata dalla gravità della situazione, da cui gli è malagevole uscire senza destare il malumore della Francia o della Prussia. Son perciò costretto di attingere le mie notizie ad altre sorgenti non meno autorevoli delle quali ho già parlato nel precedente mio carteggio, onde seguire attentamente una controversia che ha richiamato a buon diritto l'attenzione dell'E. V.

ALLEGA'ro.

ANNESSO CIFRATO.

Tornaco me dit très confidentiellement qu'il existe des dépèchcs émanant de>s Gouvernements Français et Prussien tellement graves que l'un des deux doit reculer, si l'on veut éviter la guerre, qu'il semble considérer comme prochaine.

Il pense que la Prusse devrait céder.

(l) I brani fra asterischi sono editi, con varianti, in LV 11, p. 17.

366

IL MINISTRO A VIENNA, DE BARRAL, AL MINISTERO DEGLI ESTERI (l)

R. CONFIDENZIALE S.N. Vienna, 11 aprile 1867.

Je m'empresse de venir répondre à la dépéche confìdentielle de V. E. portant la date du 3 courant série politique n. 23 (2) et qui ne m'est parvenue qu'hier de Berlin, par occasion.

Dans l'entretien que j'ai eu avec M. de Beust le 4 Mars au sujet des aft'aires d'Orient, et dont j'ai rendu compte à V. E. dans ma dépéche du 6 (3), le Président du Conseil ne m'a fait aucune allusion, ni directe ni indirecte au désir qu'aurait l'Autriche d'acquérir la Bosnie et l'Herzégovine pour le cas où la question venant à prendre de plus grandes proportions déterminerait un démembrement de l'Empire ottoman. Les réflexions, dont j'ai fait suivre les paroles de M. de Beust, m'étaient toutes personnelles et résultaient d'informations prises auprès de mes collègues, qui me les avaient données pour certaines.

Depuis lors toutefois, d'après le langage du Ministre de Russie de retour ici depuis quelques jours seulement de Pétersbourg, la situation, en ce qui concerne l es désirs d'acquisitions territoriales de la part de l' Autriche dans le cas du démembrement précité, s'est nettement dessinée. L'Autriche continuant son ròle de conciliation, désirerait bien, il est vrai, apaiser encore autant que possible la question et conjurer l'orage. Mais si ses eft'orts devaient échouer, et que l'an en vint un jour à une répartition de territoires, il est certain qu'elle a exprimé à Pétersbourg le désir d'obtenir la Bosnie et l'Herzégovine. Au dire du Comte Stackelberg une pareille prétention a été péremptoirement repoussée. Il est evident en eft'et que quels que puissent étre les événements à venir, la Russie ne saurait admettre une dislocation qui aurait pour résultat immédiat de soustraire à son inftuence un groupe aussi considérable de populations slaves sur lesquelles, malgré toutes ses déclarations de désintéressement personnel, l'opinion publique persiste à lui attribuer des arrière-pensées d'assimilation.

Quant aux négociations auxquelles, dans ces derniers temps, ont donné lieu entre les Cabinets de Pétersbourg et des Tuileries, les propositions à faire en

commun au Sultan, l'on sait ici de bonne source, que chaque fois que le Prince Gortschakoff parlait « Orient », l'Ambassadeur français répondait « Rhin ». Non seulement la France ne se contentait pas d'une neutralité de la Russie, pour le cas d'une tentative sur le Rhin, mais elle réclamait encore un certain appui. A ces ouvertures l'on aurait répondu, que si la Russie s'intéressait à la question d'Orient, c'est qu'elle présentait un intérét européen; mais qu'il n'en pouvait en étre de méme pour celle du Rhin, qui constituait un intérét exclusivement français.

(l) -Il 10 aprile si era formato il nuovo Governo presieduto dal Rattazzl. L'interim del Ministero degll Esteri fu tenuto fino al 12 aprile dal ministro della Marina, Pescetto. Il 12 aprile fu nominato ministro degll Esteri Campello che però assunse le funzioni il 18 aprile. (2) -Cfr. n. 339. (3) -Cfr. n. 241.
367

IL MINISTRO A PARIGI, NIGRA, AL MINISTERO DEGLI ESTERI

T. 240. Parigi, 12 aprile 1867, ore ... (per. ore 21,40).

Le Cabinet de Vienne aurait déclaré, à ce qu'on m'assure, à celui des Tuileries qu'en cas de guerre entre la Prusse et la France il désire garder sa liberté d'action (1).

368

IL MINISTRO A PARIGI, NIGRA, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, RATTAZZI

T. 241. Parigi, 12 aprile 1867, ore 20,45 (per. ore 22,30).

Le marquis de Moustier m'a prié d'insister auprés du Gouvernement du Roi pour que la convention de la dette pontificale soit votée par le Parlement italien avant l'échéance qui a été prorogée au premier mai prochain.

369

IL MINISTRO A PARIGI, NIGRA, AL MINISTERO DEGLI ESTERI

R. CONFIDENZIALE S.N. Parigi, 12 aprile 1867 (per. il 16).

*La comunicazione fatta dal Ministro Imperiale degli Affari esteri nello scorso Lunedì al Senato ed al Corpo Legislativo espone la posizione diplomatica della questione del Lussemburgo. Il Marchese di Moustier dichiarò a nome del Governo Imperiale:

Che la posizione incerta del Limburgo e del Lussemburgo aveva dato luogo

ad una comunicazione dell'Olanda alla Francia e che per tal modo i Sovrani

Ministre d'Autriche tient langage analogue et m'a-t-il dlt encore hier, neutralité bienve!llante, oui, coopération en cas de guerre, non.

Légation Prussienne tient ic1 langagn b·~lliqueux. et le nouveau l\1in1stre de Prusse sans yétre nullement provoqué et malgré ma réserve complète et persistante voudrait toujours pousser à des appréciations délicates sur l'utilité de notre alllance avec la Prusse quand mème ».

dei due Paesi erano stati chiamati a scambiare le loro idee sul possesso del Lussemburgo;

Che queste aperture non avevano ancora preso alcun carattere ufficiale, quando il Gabinetto di Berlino, consultato dal Re dei Paesi Bassi, invocò le stipulazioni del 1839;

Che il Governo francese non ha mai ammesso la possibilità dell'acquisto del Lussemburgo per parte della Francia altrimenti che sotto tre condizioni, cioè consenso del Granduca di Lussemburgo, esame leale degl'interessi delle Grandi Potenze, e il suffragio universale delle popolazioni.

Che infine la Francia era disposta ad esaminare d'accordo coi Gabinetti interessati le stipulazioni del 1839, e che sperava che da questo esame fatto con uno spirito di conciliazione, la pace dell'Europa sarebbe uscita salva.

In seguito a questa comunicazione il Governo francese diresse un dispaccio identico ai suoi rappresentanti presso le Corti segnatarie dei trattati del 1839, nello scopo di sottoporre la questione all'esame dei Gabinetti rispettivi. Finora nessuna risposta è giunta al Ministero imperiale degli affari esteri* (1). Del resto il Governo francese dichiara che la sua condotta è ormai fissata indipendentemente dalle risposte che saranno fatte dalle Potenze. Il Marchese di Moustier m'ha detto ieri che in tutta questa questione il Governo francese s'era regolato in conformità delle indicazioni che il Conte Bismarck gli aveva fatto pervenire. Egli sostiene che il Conte Bismarck non solamente non lasciò mai comprendere al Governo francese che vi potesse essere ostacolo per parte della Prussia all'annessione del Lussemburgo alla Francia, ma avrebbe anzi tenuto costantemente un linguaggio rassicurante e incoraggiante. Il Marchese di Moustier mi soggiunse poi che oramai il Governo Francese era ben deciso a non dare alla Prussia il menomo pretesto d'una rottura, che esso desiderava evitare con cura il pericolo di una guerra; e che anzi si sarebbe scrupolosamente astenuto dal rispondere ad ogni provocazione che potesse venire da Berlino. Questo stesso linguaggio fu tenuto dal Marchese di Moustier a molti dei miei colleghi. Il linguaggio del Signor Rouher è pure identico.

D'altro lato il Gabinetto Prussiano protesta altamente di non aver mai dato nessuna assicurazione d'acquiescenza per l'annessione eventuale alla Francia del Lussemburgo. Esso si mostra convinto che il Governo francese non desidera che di guadagnar tempo per prepararsi ad una guerra giudicata inevitabile.

Intanto gli animi s'inacerbiscono di giorno in giorno in Francia e in Allemagna, e i rapporti fra i due Governi diventano sommamente tesi.

*La situazione è quindi gravissima. Il menomo incidente può provocare un conflitto. Il Governo francese si crede giuocato dal Gabinetto di Berlino e l'opinione pubblica in Francia affretta coi desiderii il giorno in cui la Francia potrà far scontare alla Prussia la colpa delle sue recenti vittorie e della posizione preponderante da essa presa in Allemagna. Imperciocché la questione del Lussemburgo non è in fondo che un incidente il quale ha origine in cause più generali e più remote, che sono appunto l'antica gelosia di razza, la rapida e

«Il marchese di Moustier mi parlò ieri in senso affatto pacifico ed un identico linguaggio tiene il signor Rouher. Malgrado il tenore pacifico delle fatte dichiarazioni è positivo che gli

aninli si inacerbiscono in Francia».

brillante compagna militare della Prussia nel 1866, e la posizione politica e militare che questa Potenza si creò in Allemagna e in Europa. Il linguaggio che il Governo francese tiene in questo momento è senza dubbio molto pacifico, dirò anzi troppo pacifico. È evidente che se la Prussia, o per propria iniziativa, o in seguito all'iniziativa delle altre Potenze, non si decide a sgombrar la fortezza di Lussemburgo, la Francia sarà inevitabilmente condotta a tirar la spada. La trasformazione dei fucili si opera qui con grande attività. Molte forniture furono comandate dall'Amministrazione militare. Furono già comperati circa 20.000 cavalli. Al Ministero francese della Guerra si scorge quella medesima attività che fu vista alla vigilia delle guerre di Crimea e d'Italia. Nessuno vorrà far colpa al Governo francese di prendere le precauzioni che sono ricllieste da una situazione così grave. Ma noto questi fatti, perché a mio giudizio essi sono l'indizio d'un prossimo conflitto, che la forza delle cose renderà inevitabile, malgrado la volontà degli uomini che reggono la cosa pubblica in Francia e in Prussia.

* Una guerra tra la Francia e la Prussia è una sventura immensa per l'umanità, è un danno per l'Italia. Io penso che gli uomini di Stato di tutta Europa non dovrebbero risparmiare gli sforzi per iscongiurare una tanta sventura. Io non vedo che un solo modo che possa condurre a questo risultato. Bisognerebbe che la Prussia richiamasse la sua guarnigione da Lussemburgo e che il Granducato fosse dichiarato neutro e indipendente. Ciò potrebbe farsi direttamente fra la Prussia e l'Olanda o per l'intermediario delle Potenze. Sono assicurato che l'Inghilterra fa uffìzìì in questo senso. Probabilmente la Russia e l'Austria aderirebbero a quest'ordine d'idee*. L'Austria però finora sì è limitata a dichiarare alla Francia che in caso di conflitto osserverebbe una neutralità attenta e riserverebbe la sua libertà d'azione. La frase adoperata dal Gabinetto di Vienna è precisamente identica a quella dì cui si servì la Francia prima della guerra del 1866.

Il Marchese di Moustier nella conversazione che ebbe ieri con me, mi disse ridendo: «Noi non metteremo a crudele prova il vostro cuore, obbligandolo a scegliere fra gli antichi e i nuovi amici». Mi affretto ad aggiungere che queste parole furono dette senza intenzione e leggermente. Tuttavia esse sono di natura a farci riflettere. * Noi siamo ora senza impegni, e la nostra situazione interna è ben lungi dal consigliarci a cercarne. Ma una guerra tra la Francia e la Prussia può metterei in una situazione delicatissima e pericolosa. A mio giudizio, è quindi per noi d'un interesse capitale la conservazione della pace in Europa*.

(l) Cfr. Il seguente annesso cifrato al r. 55 di Oldoini dell'H aprile: «Le Mlnistre des affalres étrangères vlent de me dire étre persuadé jusqu'icl, d'après nouvelle officielle et partlculière, de la neutralité méme non armée de l'Autriche en cas de guerre.

(l) I brani fra asterischi sono editi In LV 11, pp. 18-19 ove a questo punto del documento si trova il brano seguente:

370

L'INCARICATO D'AFFARI A WASHINGTON, CANTAGALLI, AL MINISTERO DEGLI ESTERI

R. 323. Washington, 12 aprile 1867 (per. il 29).

n Senato che a seconda di quanto informai l'E. V. nel mio ultimo rapporto, era stato convocato in sessione straordinaria, è tuttavia riunito, stante l'antagonismo che sempre regna e si manifesta ora contro il Presidente, nel rigettare che si fa per la maggior parte delle nomine mandate dall'Esecutivo per la necessaria conferma. Ora essendo queste numerose, e dei varii rami della pubblica Amministrazione, ed intese a riempire uffici e posti diplomatici vacanti, non è a dire quanto durerà l'attuale sessione; sembrando ormai risoluti questi onorevoli a non accettare nomine se non di gente cognita come ligia al partito predominante, e tutta di loro genio.

Intanto cova sordamente la lotta, e le passioni si van facendo ogni dì più acri, per la novella ed inaspettata attitudine degli Stati del Sud, o della maggior parte di essi, di fronte alla recente legislazione, che loro interdice di prender parte non solo agli affari generali del paese, ma eziandio alle proprie faccende di Stato. Da un lato sono esasperati i radicali della passiva obbedienza dei più fra gli Stati interdetti, dai quali si attendevano meglio proteste e dimostrazioni turbolenti, onde dar pretesto a rappresaglie, e misure vessatorie più gravi delle presenti. Ora si leva voce contro l'azione degli Stati del 3° Distretto (Georgia, Fwrida, Alabama) i quali colla protesta ed opposizione legale (injunction bill) della quale ho l'onore d'inviar copia all'E. V. (A) (l) chiedono nanti la Corte Suprema Federale, che vengano istituiti procedimenti legali contro il Presidente Johnson et alii, per impedire loro di far eseguire quanto venne stabilito in virtù della citata legge («Bill oj military etc. ») che i vi è tacciata di anticostituzionale. Senza entrare ora a giudicare dei meriti di un tale piano, l'E. v. può di leggieri comprendere che l'effetto portato fu di subito rallumare le vie degli oppositori del Sud, dai quali si volle accusare il Presidente di aver spinto a quest'atto, i più notabili degli Stati che or si presentano quali attori in causa. E si tornò tosto a parlare di confisca generale e di impeachment; quistioni che rivengono a galla ad ogni agitare delle acque torbide nelle quali naviga il

paese.

Il trattato colla Russia (vedi Dispaccio n. 320) (2) ha ricevuto la sua sanzione dal Senato, presso il quale prevalsero i motivi che già cercai di esporre all'E. V. ed ottennero successo le considerazioni di indisputabile e generale interesse, sovra le private meschine stizze che pareano in principio dover condurre al rigetto (3). La Camera avrà tuttavia a pronunziarsi sull'appropriazione dei fondi (7 e più milioni di dollari) che dovranno esser pagati entro dieci mesi dallo scambio delle ratifiche. Non vi ha dubbio però che la Camera non sia per confermare col suo placet la decisione del Senato, sul quale pesò molto l'influenza del Sumner, Capo dei radicali nel Senato, e Presidente del Comitato degli Affari Esteri, che anco previamente al voto finale affermativo si era dichiarato ed espresso in favore di questo trattato. Il Signor Seward, cui tale negoziazione rende alquanto dell'antica popolarità, riceve frequenti e generali congratulazioni sul tal proposito; onde io pure seguendo l'esempio di varii colleghi, credetti di esprimere of!ìciosamente alcune parole in tal senso al Segretario di Stato, nell'occasione che fui a visitarlo in sua casa.

(l) -Gli allegati non si pubblicano. (2) -Cfr. n. 352. (3) -La ratifica da parte del Senato aveva avuto luogo 11 9 aprile con 27 voti contro 12.
371

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, GUERRIERI GONZAGA, AL MINISTRO A BERLINO, DE LAUNAY (l)

T. 158. Firenze, 13 aprile 1867, ore 18.

Votre rapport confidentiel n. 176 (2) a été soumis au conseil des ministres. Nous ne pourrions invoquer aucun titre légal pour intervenir oflìciellement dans l'affaire du Luxembourg, mais nous souhaitons vivement que la paix ne soit pas troublée en Europe. Vous etes, par conséquent, autorisé, si l'occasion s'en présente à profiter de votre situation personnelle en vue de faciliter les négociations entre Berlin et Paris.

372

IL MINISTRO A CARLSRUHE, GIANOTTI, AL MINISTERO DEGLI ESTERI

R. 75. Baden, 13 aprile 1867 (per. il 16).

La questione del Lussemburgo, benché entrata, a quanto pare, in una fase meno inquietante per la pace d'Europa, non tralascia però di tenere in grande agitazione gli uomini politici, non meno che le masse nel Sud della Germania.

Il Granducato di Baden in particolare, paese confinante alla Francia e per conseguenza esposto prima e più degli altri, in caso di scoppio di ostilità, all'invasione, sente più che mai il bisogno, quindi vivissimo il desiderio, che sia conservata la pace. Ciò nonostante la stampa in generale è unanime nel proclamare il Lussemburgo territorio tedesco. e nell'applaudire alla coraggiosa attitudine presa dal Gabinetto di Berlino.

Un indirizzo al Governo Granducale, redatto dal Consigliere di Stato Lamey (già Ministro dell'Interno gli anni scorsi fino alla conclusione della pace colla Prussia) ed unanimamente approvato in un meeting tenutosi 1'11 corrente a Mannheim, concretizza per quanto è possibile le viste ed i sentimenti del popolo Badese. In esso il signor Lamey fassi a dimostrare che lo scioglimento della Confederazione Germanica non ha sciolti i vincoli esistenti tra i varj membri della gran famiglia tedesca. Protesta vivamente contro l'idea invalsa in Francia che nel Sud della Germania esistano nel popolo partiti forti, i quali, in caso di guerra tra il Nord della Germania e la Francia, vogliano inclinarsi verso quest'ultima: dice che la vendita di un territorio tedesco allo straniero è per il popolo Germanico un'insopportabile affronto ad evitare il quale si incontreranno i più gravi sacrifici, e conchiude facendo voti perché la massima suum cutque possa trionfare ed assicurare, calmando gli spiriti da una parte e dall'altra, i beneficj della pace a tutte le nazioni.

4R8

Questo indirizzo del signor Lamey è degno di special nota dal momento che il suo autore, appoggiato l'anno scorso dal sentimento e dal favore popolare, era seriamente avverso alla politica del Conte di Bismarck: oggi invece, secondando sempre l'aura popolare, mostrasi alla politica del Gabinetto di Berlino favorevole a rischio anche di spingere il Governo Granducale ed il paese ad una guerra colla Francia. Tale conversione deve ascriversi al fatto che nell'anno scorso la lite verteva tra l'Austria e la Prussia, considerata la prima come potenza conservatrice e fondata in diritto, mentre tenevasi la seconda come ambiziosa e sovvertitrice dell'ordine esistente in Germania. In quest'anno invece la lite verte tra la Francia giudicata ambiziosa ed usurpatrice, e la Prussia, rappresentante la Germania, siccome conservatrice e protettrice dei diritti e del territorio tedeschi.

Dopo le dichiarazioni fatte dal Marchese di Moustier nella seduta del Corpo Legislativo delli 8 corrente, la fase della vertenza, come ebbi l'onore di accennare più sopra, si è fatta meno inquietante. Io ebbi il giorno successivo occasione di vedere il Barone di Freydorf il quale mi osservò come gli fosse giunta grata la novella delle dichiarazioni officiali del Governo Francese, e come egli sperava che in seguito alle medesime i rapporti tra la Prussia e la Francia non si sarebbero maggiormente inaspriti e che in ultimo, grazie a concilianti negoziati, l'imminenza del pericolo di una rottura sarebbe stata rimossa. « Nous ne sommes pas prets, mi disse egli, pour la guerre; nos troupes ne son t pas encore armées ni organisées pour entrer en campagne; la Bavière et le Wiirtemberg sont tout aussi peu prèts que nous: si la guerre venait à éclater nous serions pour sur envahis et forcés de nous retirer pour nous appuyer sur les Prussiens: le Gouvernement n'aurait d'autre chemin à suivre que d'aUer s'enfermer dans la forteresse de Rastatt, et d'y rester jusqu'à ce que les Prussiens, soit en pénétrant en France, soit en occupant eux-memes le Grand Duché, vinssent nous délivrer en forçant les Français à la retraite. Mais, Dieu merci! ce danger ne nous menace plus, et si la guerre doit éclater d'ici à quelques mois nous serons, j'espère, en mesure de défendre ici comme au Nord notre territoire contre toute invasion ».

Nel pronunciare questi detti il Barone Freydorf m'aveva l'aria di un uomo non perfettamente rassicurato, ma bensì di colui che sdrucciolando inavvertito giù d'un precipizio giunge ad afferrare un cespuglio che per poco è atto a reggerlo e differire così la sua caduta.

Mi lusingo che l'E. V. vorrà fare buona accoglienza a questi tratti, da me concisamente delineati, d'un'attuale situazione politica del Granducato e ch'essi varranno, ancorché molto vaghi, giusta la natura stessa delle cose, a darLe una idea delle aspirazioni e delle apprensioni di questo Governo e di questi popoli.

La voce corsa giorni orsono di una prossima occupazione della fortezza di Rastatt per parte dei Prussiani è stata quest'oggi dai giornali formalmente smentita.

S.A.R. la Granduchessa è arrivata jeri a Carlsruhe, ed io mi sono fatto

in oggi premura di domandare l'onore di un'udienza. Nell'unire qui un articolo in cifra...

ALLEGATO. ~SSO CIFRATO.

Grand Due de Bade pendant le diner m'a demandé « que fera votre Gouvernement si la guerre éclate? ». J'ai repondu que je manquais de toute instruction a ce sujet, mais que d'après l'opinion publique exprimée dans les journaux, l'Italie se tiendrait probablement neutre. Son Altesse Royale dit alors: «c'est un malheur ». J'ai voulu justifier l'opinion de la presse italienne en démontrant que la neutralité nous était presque imposée par nos conditions financières et administratives; mais le Grand Due de Bado me répondit encore: «c'est un malheur Vous devriez étre avec nous ». Son Altesse se réjouit avec moi de ce que le Prince Humbert a encore différé son voyage à Vienne.

(l) -Ed. in Italiano In LV 11, pp. 16-17. (2) -Cfr. n. 347.
373

IL CONSIGLIERE DI STATO, TONELLO, AL MINISTRO DI GRAZIA E GIUSTIZIA E DEI CULTI, TECCHIO

(ACS, Ministero dell'Interno, Gabinetto, Missioni Diplomatiche; ed. in DEL VECCHIO, (cit., appendice VII)

Firenze, 13 aprile 1867.

In adempimento dell'onorevole missione affidatemi dal Governo nel dicembre ultimo recatomi in Roma il 10 di detto mese, ebbi cura di aprir tosto i negoziati colla S. Sede per l'assestamento delle questioni ecclesiastiche pendenti in continuazione delle trattative iniziatesi già dal Comm. Vegezzi, e rimaste senza conclusioni.

Dopo qualche scambio d'idee col Cardinale Antonelli Segretario di Stato di Sua Santità io dichiarai in conformità delle ricevute istruzioni che il Governo inerendo ai principi da Lui adottati, e per agevolare la via agli accordi ulteriori rinunciava al giuramento dei Vescovi, ed al diritto d'exequatur per tutti i provvedimenti emanati dalla S.S. e concernenti le materie dogmatiche e morali, i riti, la disciplina ed il governo puramente ecclesiastico. Insistei perché si ammettesse nel Governo il diritto di presentazione dei nominandi alle Sedi Episcopali, e perché le Bolle d'instituzione canonica fossero presentate al R. Exequatur prima ed affinché si potesse dal Governo provvedere alla concessione del possesso delle temporalità dipendenti dalla nomina.

Riuscite vane su ciò le trattative per la ragione sostanzialmente, che a parte le osservazioni di merito, il diritto di presentazione dalla S. Sede non era mai stato ammesso salvo che in favore di Governi da Lei riconosciuti, e perché la sottomissione delle Bolle al R. Exequatur avrebbe, nel di Lei concetto, implicato appunto la ricognizione per parte sua del Governo Italiano, sul che, specialmente in riguardo delle provincie ex-pontificie essa voleva tenersi da riserva, la S. Sede medesima suggerì, che lasciate le questioni di principio, si cercasse di combinare l'adozione di espedienti, che riservando su quel terreno i diritti e le pretensioni ·delle altre parti, porgessero intanto il modo di provvedere ai bisogni della Chiesa con sufficiente guarantigia degli interessi delle parti stesse.

Seguirono su tal nuova base parecchie discussioni, a conclusione delle quali si propose, quanto alle nomine episcopali, che la scelta dei candidati si facesse

di concerto tra le parti. Quanto alle Bolle d'instituzione, che la loro formula fosse pure preventivamente accordata tra le parti, e la S. Sede prendesse impegno formale di non rilasciarle che in conformità di detta formula. Il Governo accettò tali temperamenti, che parvero su!Ilcienti a cautelare gli interessi dello Stato, inquantoché costituisse il primo un adeguato equipollente del diritto di presentazione, ed il secondo del Regio Exequatur essendo questo diretto specialmente ad accettare che nelle Bolle emanate dalla S. Sede nulla si contenga di lesivo ai diritti dello Stato, cosa questa che si otteneva col preventivo esame delle formule da adoperarsi.

Si presero quindi in conformità di siffatte due basi gli accordi occorrenti colla S. Sede; si nota, che per mantenere il carattere puramente provvisorio degli adottati espedienti, e per salvar meglio ogni maggior diritto in futuro del Governo, si volle che i detti accordi non fossero altro che verbali.

Quanto ai Vescovi già preconizzati dal S. Pontefice anteriormente alle trattative si adottò che avuto riguardo al fatto compiuto essi in massa potessero venire ammessi al possesso delle loro diocesi ma a condizione che l'incaricato del Governo potesse anteriormente aver visione delle Bolle d'istituzione ad essi rilasciatesi ed il loro insediamento non potesse aver luogo, che quando il Governo, presi i concerti con la S. Sede, ne avesse creduto opportuno il momento, ad esclusion fatta anche di alcuni di essi.

L'intiera forma di procedere pertanto, che rimase intesa e stabilita sia col Governo, che colla S. Sede fu la seguente:

l) Che io prenderei gli opportuni concerti verbali con la S. Sede sulle Diocesi da provvedersi, e sulle persone da nominarsi o traslocarvi.

2) Che intervenuto l'accordo io annunzierei al Governo «che in seguito ai concerti presi il S. Pontefice preconizzerebbe N.N. alla Diocesi di N.N.

3) Che fatta la preconizzazione la S. Sede darebbe anche l'avvio della medesima e del rilascio che si farebbe al preconizzato delle Bolle d'instituzione secondo la formula intesa.

4) Che le Bolle sarebbero rilasciate in conformità del modulo che servì per la nomina di Monsignor Charvaz alla sede di Genova (fu questo il modulo prescelto) ammessa la formula relativa alla presentazione fatta dal Re della persona da nominarsi.

5) Che ricevuto l'avviso io scriverei al Governo per l'emanazione dei provvedimenti opportuni a!Ilnché il nominato potesse conseguire il possesso della temporalità.

6) Che eguale richiesta o farei pei preconizzati, non si tosto, presi i concerti colla S. Sede, il Governo credesse che ne fosse venuto il momento opportuno...

Dovendosi ancora provvedetsi alcune fra le sedi più importanti si erano già avviate in proposito le discussioni, quando la missione tornò in congedo temporaneo a Firenze.

35 -Documenti diplomatici -Serle I -Vol. VIII

Tale è il sunto sommario delle trattative condotte dalla missione in Roma, sulla principale materia che ne aveva determinato l'invio presso la S. Sede, senza far cenno delle trattazioni minori nello stesso ordine di materie, e delle altre varie in argomenti amministrativi.

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IL DIRETTORE SUPERIORE DEGLI AFFARI POLITICI, ULISSE BARBOLANI, AL MINISTRO A STOCCARDA, GREPPI

D. l. Firenze, 14 aprile 1867.

Mi sono regolarmente pervenuti i rapporti di serie politica che V. S. mi diresse in data 28 marzo 4 e 9 Aprile NN. l, 2 e 3 (1).

La ringrazio delle interessanti notizie ch'Ella mi ha fornito, segnatamente coll'ultimo di siffatti rapporti. Sono certo che a fronte de' gravi avvenimenti che stanno svolgendosi, la S. V. non cesserà dall'osservare quella assoluta riserva che Le fu raccomandata nelle sue istruzioni generali e che si asterrà quindi sopratutto dallo esprimere alcun concetto che possa parer contrario alla politica della Prussia ed alla Unità Germanica, lo sviluppo della quale noi non intendiamo per modo alcuno avversare.

Le trasmetto, per sua informazione riservata e personale dieci documenti relativi alla questione del Lussemburgo.

375

IL MINISTRO A BERLINO, DE LAUNAY, AL MINISTERO DEGLI ESTERI

R. 4. Berlino, 14 aprile 1867 (per. il 19).

*J'ai fait visite hier à M. de Thile, pour lui demander les renseignements mentionnés dans ma dépèche n. 3 (2).

J'ai profité de l'occasion pour l'interroger également relativement à l'affaire du Luxembourg. Il semblait, disait-il, qu'elle se trouvait dans une phase d'apaisement. D'après un télégramme récent du comte de Goltz, ce diplomate avait reçu l'assurance que le Marquis de Moustier travaillait à calmer l'agitation des esprits en France, et qu'en attendant le Cabinet des Tuileries s'abstiendrait de faire des communications officielles sur cette question * (3); mais il ne résultait nullement que le Cabinet Impérial se fiì.t désisté de son projet d'annexion. C'est pourquoi la crise pouvait avoir perdu de son intensité, mais le danger n'était point écarté. Le sécrétaire général avait lieu de croire que l'Empereur ne voulait pas la guerre de propos délibéré, et qu'il chercherait mème à l'empècher,

mais en présence des embarras intérieurs et d'un parti qui poussait à la rupture, ce souverain ne serait-il pas entratné tot ou tard dans une voie belliqueuse?

J'apprends d'une manière indirecte que jusqu'ici la Prusse n'a fait aucun armement extraordinaire. Tout dernièrement encore le Comte de Bismarck a démenti o!ficieusement et o!ficiellement le bruit qui avait été répandu d'une mobilisation de troupes vers le Rhin. Il est vrai que, gràce à son excellente organisation militaire et à son réseau de chemins de fer, la Prusse est en mesure de concentrer en trois semaines, une armée de 300/m. hommes sur un point quelconque de la Confédération du Nord; et qu'une réserve toute aussi nombreuse suivrait de près. Il serait assez douteux que, dans le meme intervalle, l'ennemi fut a meme de lui opposer des forces aussi considérables. Néanmoins il y aurait le défaut de la cuirasse; c'est l'Allemagne du Sud, dont les régiments n'ont pas encore la meme instruction, la meme solidité que dans le Nord. Par un rapide coup de main la France chercherait peut-etre à faire une trouée vers ce còté, relativement moins bien gardé malgré les forteresses d'Ulm et de Rastadt. En cas de réussite, la ligne si bien fortifiée du Rhin à partir de Mayencejusqu'au Weser serait t.ournée, et l'armée Prussienne s'exposerait, en voulant envahir le territoire Français, à etre prise entre deux feux, et à subir peut-etre le contre-coup des intrigues qui se noueraient derrière son dos pour réveiller l'esprit de particularisme. En eft'et le chauvinisme à Paris est tel qu'on ne mettrait pas en doute qu'au premier signal en Bavière, dans le Wtirtemberg, aussi bien qu'en Saxe et dans le Hanovre, la majorité se rangerait contre la Prusse. C'est là une illusion, car pour la défense du territoire national, l'Allemagne se léverait comme un seul homme. Je n'ais pas besoin d'ajouter qu'en Prusse l'enthousiasme pour une semblable lutte serait général. Les indices sont déjà très évidents. Autant parmi les o!ficiers chacun se prononce sans forfanterie, autant dans les classes populaires, se montre-t-on pret à répondre à l'appel du Souverain. Ce serait un combat pro aris et tocis. D'ailleurs les souvenirs de 1813 sont loin d'etre éteints.

Ces détails sont prématurés, car heureusement l'imminence d'un conflit n'existe plus au meme degré qu'on avait presque lieu de l'appréhender dans les premiers jours de ce mois. Il me revient meme un détail que je m'empresse de noter, comme étant d'un bon augure. Le Roi Guillaume a laissé entendre que l'aspect du champ de bataille après Sadowa, avait produit une telle impression sur son esprit, qu'il ne négligerait rien pour le maintien de la paix, si on lui en facilitait les moyens à Paris, par une attitude conciliante et par des arrangements qui sauvegarderaient les justes susceptibilités de son armée et de la nation.

(l) -Cfr. n. 361; gli altri rapporti non sono pubblicati. (2) -Pari data, non pubblicato, relativo alla questione di Candia: «le istruzioni generali date a Brassier gli consentono di associarsi al nuovo passo proposto dalla Russia per una sospensione d'armi:.. (3) -Il brano fra asterischi è edito in LV 11, p. 20, dove però, Invece d! «le marquis de Moustier travalllait à colmer l'agitatlon des esprits en France» si legge: «l'agltatlon des esprits en France tendalt à se calmer ».
376

IL MINISTRO A BERLINO, DE LAUNAY, AL MINISTERO DEGLI ESTERI

R. CONFIDENZIALE 6. Berlino, 14 aprile 1867 (per. il19).

Dans le premier entretien que j'ai eu avec le Comte de Bismarck, il m'a parlé du discours adressé par le Général de La Marmora a ses électeurs.

Ce Ministre déclarait n'avoir jamais lancé d'accusation sur la loyauté du Général. Il avait peut-etre critiqué avec quelque vivacité notre pian de campagne, son exécution; il avait peut-etre cédé, durant la période d'inaction après Custoza, à quelque mouvement d'impatience assez explicable, si on voulait se mettre en son lieu et piace, et dont aurait du se rendre compte qui a eu le tort de répéter des phrases prononcées au milieu du camp et en pareilles circonstances. Au reste S. E. ne se rappelait meme plus, quels avaient été ses propos. Mais elle n'avait jamais élevé le moindre soupçon sur le caractère du Général de La Marmora.

J'ai exprimé ma satisfaction de ces explications. J'ai profité de l'occasion pour ajouter qu'ayant moi-meme lu tous les documents qui se rattachaient aux événements de l'été dernier, j'avais de plus en plus acquis la certitude qu'il n'y avait jamais eu de la part du Général aussi bien que du Gouvernement, l'ombre d'une hésitation à remplir avec une fidélité parfaite les conditions du traité d'alliance offensive et défensive.

Ainsi qu'il résulte de mon rapport N. 2 (1), le Roi de Prusse a porté le meme témoignage sur la loyauté réciproque des parties contractantes. De son còté,

S. M. la Reine m'a chargé de La rappeler au souvenir d'un personnage «au caractère si chevaleresque ».

V. E. jugera peut-etre à propos de communiquer au Général La Marmora des détails qui me semblent de nature à clore cet incident. Dans tous les cas ils mettent entièrement à couvert une honorabilité d'ailleurs si bien connue et si bien établie (2).

377

L'INCARICATO D'AFFARI A COPENAGHEN, GERBAIX DE SONNAZ, AL MINISTERO DEGLI ESTERI

ANNESSO CIFRATO (3). Copenaghen, 14 aprile 1867 (per. il 20).

Il règne une certaine inquiétude ici dans le public et meme parmi les personnes qui sont aux affaires. On craint que si le différend entre la Prusse et la France à propos du Luxembourg n'a pas une solution pacifique, la Prusse ne veuille faire un coup de main sur le Danemark en occupant le Jutland et en surprenant la flotte Danoise dans l'Arsenal de Copenhague pour éviter d'avoir un petit ennemi à dos pendant qu'elle en aurait un puissant par devant.

«Ebbi a suo tempo il dispaccio ch'Ella m! ha diretto per rlferlrm! quanto Il Conte d! Bismarck avea detto nella prima conversazione ch'Egli ebbe con Le! circa Il discorso tenuto da

S. E. il Generale La Marmora al suoi elettori di Biella.

La dichiarazione così esplicita che Il Ministro del Re Gug!lelmo ha fatto alla S. V. di non avere mal mosso accusa sulla lealtà del Generale La Marmora dovea necessariamente riuscire tanto gradita al Governo !ta!lano quanto lo era stata a Le! che nel suo soggiorno a Firenze ha potuto anche meglio convincersi che per parte nostra non vi fu mai esitazione a soddisfare agli impegni assunti col Trattato d'alleanza offensiva e difensiva. Ho stimato che li dare comunicazione confidenziale del di Lei dispaccio a S.E. Il Generale La Marmora potesse giovare ».

En prévision de cette éventualité, qui me parait pourtant peu probable, on a armé le plus promptement possible le « Rolfe Krake » et plusieurs autres navires, et on prétend que des ordres ont été donnés pour mettre en état les batteries qui défendent Copenhague, pour préparer l'appel des réserves et activer le nouvel armement de l'armée. Le prompt retour du Roi, qui arrivera mercredi, serait du en grande partie à ces craintes. La conduite peu amicale de la Prusse envers le Danemark dans la question du Sleswig Septentrional pousse le Cabinet de Copenhague à se tenir sur ses gardes.

En cas de guerre il voudrait rester neutre comme l'année dernière, mais il craint de se voir entrainer à son corps défendant, et veut-étre prét. Je dois constater aussi qu'après l'inexècution de l'article 5 de la paix de Prague, l'irritation contre la Prusse en Danemark est plus grande qu'elle ne l'était méme en 1864 après la perte des deux Duchés, et qu'ains1. 1e senUment populaire pousserait fortement le Gouvernement à s'allier à l'ennemi de la Prusse, surtout si cet ennemi n'est pas aliéné et s'appelle la France.

(l) -Non pubblicato. (2) -Nel pacco del rapporti In arrivo da Berlino si trova la minuta, priva d! data, del seguente dispaccio confidenziale fuori serle:

(3) Al r. 60, non pubblicato.

378

L'AGENTE E CONSOLE GENERALE A BUCAREST, SUSINNO, AL MINISTERO DEGLI ESTERI

ANNESSO CIFRATO (l). Bucarest, 14 aprile 1867 (per. il 22).

Il parait que visite du Prince Miche! (2) n'est pas de simple courtoisie.

M. Marinovitch m'a dit qu'autant qu'il dépend des Serbes la bonne harmonie entre la Serbie et la Roumanie serait durable.

379

L'ONOREVOLE VISCONTI VENOSTA AL FRATELLO GIOVANNI

(AVV)

L. P. Firenze, 14 aprile 1867.

Ti chiedo mille scuse se non ti ho mai scritto una riga, ma non ebbi mai un momento per me. Sono più che contento di non essere entrato nel Ministero. Ti assicuro che vi è voluto una costanza poco comune. È vero che, se vi fossi stato io, nel Ministero sarebbero anche entrati Correnti, d'Afflitto e Digny. Ma tant'era, la mia situazione non sarebbe stata netta e il Ministero sarebbe per sempre stato insufficiente. Il Re ha esercitato su me, perché accettassi, una pressione incredibile. Mi chiamò due volte, mi scrisse una lettera e mi mandò due ajutanti di campo. Tutto questo in un giorno. Ma ho pensato ch'era meglio attraversare una brutta giornata che trovarmi poi male chi sa per quanto.

La gran maggioranza degli amici nostri mi dà ragione. E la mia ostinazione ha mostrato che non lascio disporre di me così facilmente come si credeva.

Ora io credo che la maggioranza debba sostenere il Ministero, è il solo modo per non scindersi e per non cavare colle nostre zampe le castagne dal fuoco per la Sinistra. Deve sostenere il Ministero senza eclissarsi dietro ad esso, fatta sempre la riserva della quistione capitale, vale a dire del piano finanziario.

È dimcile fare delle previsioni assolute per la pace o per la guerra. Mi spiace che qualche tempo fa non m'abbi scritto. Ma, conoscendo le condizioni nostre, non si potevano fare esperimenti incerti. Se la Francia fosse stata preparata, la guerra sarebbe stata inevitabile e pronta. Ora le dichiarazioni al Corpo Legislativo rimandano il vicino pericolo di un conflitto. La quistione entra in una fase diplomatica e la Francia ha interesse a guadagnar tempo. Non credo alla guerra subito, ma la situazione è grave e la guerra vi è sempre allo stato latente. Quanto all'Italia, non credo che vi debba prendere parte, sono convinto ch'essa potrà rimanere all'infuori, perché la guerra rimarrà isolata fra la Prussia e la Francia, almeno nella prima fase. Se ve ne fosse una seconda in cui l'Austria e la Russia entrassero, allora bisognerà vedere. Io però mi terrò al corrente della situazione.

Ieri si approvò il Trattato di pace, ma la discussione fu sì insignificante, che gli amici nostri furono d'avviso ch'io non dovessi entrarci. Fra tre o quattro giorni verrà il debito pontificio. Non mi posso prima allontanare da Firenze. D'altronde per debito di cortesia ho promesso che sarei rimasto a Firenze sino all'arrivo del nuovo mio successore. Sarò a Milano per Pasqua. Ti prego di disporre per riassorbire il Filippo e il Serafino nel servizio nostro. La nomina di Campello fu qui assai male accolta, perché chi lo conosce, dice che è una assoluta mediocrità.

(l) -Al r. 10, non pubblicato. (2) -Con t. 245 del 13 aprile, non pubblicato, Susinno aveva dato notizia del~'arrivo a Bucarest del principe di Serbia, accolto con grande solennità.
380

IL DIRETTORE SUPERIORE DEGLI AFFARI POLITICI, ULISSE BARBOLANI, AL MINISTRO A BERLINO, DE LAUNAY

T. 162. Firenze, 15 aprile 1867, ore 15,10.

On assure que la France aurait fait des démarches pour entrainer la Prusse à se joindre aux Puissances catholiques dans des combinaisons qui auraient pour but d'assurer le pouvoir temporel du Saint Siège, tel qu'il est, et de subvenir à ses frais. Nous aimons à croire que la Prusse s'y refusera.

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IL CONSOLE GENERALE A BELGRADO, SCOVASSO, AL MINISTERO DEGLI ESTERI

R. 5. Belgrado, 15 aprile 1867.

Il Principato di Servia è quasi tre volte e mezzo più grande del Belgio, confina dal lato della Drina colla Bosnia, dalla parte della Sava coi confini militari dei reggimenti dei Banati Tedesco, Serbo, e Valacco non che colla Valacchia stessa, dalla parte del Timoc confina colla Bulgaria e dai monti del piccolo e grande Jastrebatz ed altri, confina colla Bulgaria, colla Macedonia e Vecchia Servia, ha una popolazione di 1.100.000 a 1.200.000 abitanti gente robusta, sobria, bellicosa, difficile a piegarsi alla disciplina militare, dedita piuttosto alla pastorizia che all'agricoltura, possiede delle ricchissime selve di querele secolari pregevolissime, e miniere abbondanti di ferro, di rame, di piombo argentifero etc. di lignite etc. Il suo commercio è calcolato da 35 a 40 milioni di franchi annui, fra importazione, esportazione e transito; è vassallo della Turchia alla quale paga un tributo di circa 500/m franchi. Il Principe Milosch ottenne l'autonomia amministrativa del Principato (1831-1833), ottenne altresì la sovranità ereditaria. Il Governo non è né assoluto né costituzionale, una Skuptchina o assemblea nazionale eletta dal popolo si raduna ogni tre anni dinnanzi la quale il principe rende conto della sua amministrazione, cioè di quel che ha fatto, ed espone ciò che vi è da fare. Essa propone quelle leggi che crede necessarie, e dopo questo compito che dura pochi giorni si scioglie.

Questo paese faceva parte dell'antica Mesia, ed i Serbi procedenti dal versante settentrionale dei Carpati vi si stabilirono chiamativi da Crachio (anno 640 dell'Era nostra) succedendo agli Avari. Dopo sette secoli di vicende or prospere ed or avverse finirono per dominare quasi tutta la Macedonia, la Tessaglia, l'Epiro, l'Albania, il Montenegro, l'Erzegovina, la Bosnia, la Servia, la Bulgaria, dico quasi perché questo paese era abitato all'est dai Bulgari ed all'ovest dagli Albanesi che non furono pienamente conquistati, ma la supremazia politica apparteneva ai Serbi. Gli Slavi adunque toccavano il mar Nero per Kustendjé e Varna, per Salonicco toccavano l'Arcipelago, per Prevesa, Durazzo, Cattaro e Ragusa il mar Jonio e l'Adriatico, per Belgrado, Widin e Silistria toccavano la Sava ed il Danubio, e di questi fiumi possedevano le foci. Questi erano i tempi dell'Imperatore Duchan il forte, sotto il regno del quale la potenza serba giunse all'apogeo. Duchan morì nel Decembre del 1356, e trenta tre anni dopo l'impero e l'indipendenza Serba spiravano sui campi di Kòssovo (1389). La cattività dei Serbi durò dal 1389 al 1804.

Nel 1804 Karageorge (Giorgio il nero) ch'era una specie di Aiduk (brigante), ajutato dalla Russia, giunse ad emancipare per qualche tempo il Principato serbo, ma poscia la fortuna delle armi avendogli volto il dorso abbandonò ai Turchi il paese e si rifugiò in Austria, se non che un suo capitano Milosch Obrenovitch ristorò la fortuna dei Serbi rialzando nel 1815 lo stendardo della rivolta e colla forze delle armi, col denaro e coll'astuzia diplomatica pervenne a fondare su solide basi l'indipendenza amministrativa, se non politica del Principato (1831, 1833). Tre rivoluzioni sconvolsero poscia il paese; Milosch fu cacciato e gli succedette Milan suo primogenito il quale morì pochi giorni dopo, poscia Michele secondogenito di Milosch, anche questo ha dovuto scendere dal trono, e venne surrogato da Alessandro Karagiorgievitch (figlio di Giorgio il nero) il quale regnò 17 circa anni e fu a sua volta costretto di cedere il trono al vecchio Milosch, morto questi gli succedette il sudetto suo figlio Michele attualmente regnante.

Questo Principe ha 42 anni circa, ammogliato colla Contessa Giulia Uniadi dalla quale non ebbe prole, dopo essere vissuto 9 anni con essa si è divorziato di fatto; di nobile cuore, retto non è dotato di grande capacità, si deve credere che possede la rara qualità di conoscere gli uomini perché ha scelto a suoi consiglieri, come primo ministro, il Garachanine, come presidente del Senato il Marinovitch, che sono i due statisti più eminenti della Servia, il primo alle tendenze francesi, l'altro russe ma tutti e due buoni patrioti incapaci di far cosa che possa pregiudicare il presente a l'avvenire della Servia.

Il Principe Michele aspira a ricostituire l'antico regno unendo alla Servia tutte le provincie slave della Turchia cioè la Bosnia, l'Erzegovina (in tutto un milione e duecentomila a un milione e trecentomila) la Vecchia Servia (300 mila) il Montenegro (140 a 170 mila) e la Bulgaria (3 milioni e 1/2 a 4 milioni alcuni la fanno ascendere a 5 milioni il che a me sembra molto esagerato) e formare cosi uno stato Jugo-slavo di 6 milioni e 1/2 a 7 milioni tutti slavi, senonché le diiD.coltà che si presentano pella realizzazione di questa nobile idea sono molte ed immense, ne indicherò due soltanto: in Bosnia vi sono da 350 a 400 mila serbi musulmani dipendenti da quell'antica aristocrazia serba che dopo la conquista turca ha abbracciato l'Islamismo, onde conservare feudi e privilegi, questa popolazione di Beg è valorosa e quantunque in minoranza essa forma il nerbo della forza di quella provincia, è piuttosto ostile che amica ai serbi del Principato, dei quali si diiD.da perché teme che se i serbi divenissero padroni della Bosnia essi sarebbero spogliati dei loro beni e cacciati dal paese come si fece per i serbi loro correligionari che abitavano Belgrado ed altri luoghi del Principato. Vi sono anche in Bosnia, in Erzegovina e nella Vecchia Serbia forse 150 mila serbi cattolici e questi odiano meno i serbi musulmani che i loro fratelli ortodossi.

Il signor Garachanine deve quindi o amicarsi o neutralizzare questi elementi prima di nulla intraprendere contro la Turchia, cosa questa assai più ardua di quel che nel Principato sembrano credere.

I Bulgari poi slavi anch'essi, come alcuni pretendono, ma discendenti da un ramo che non è quello dei Serbi, mal comporterebbero di essere uniti ai Serbi delle altre provincie turche ancorché queste fossero unite in un sol fascio. Essi desiderano di formare un regno a parte, sl crede che la Russia fomenta secretamente questa tendenza. Essi sono agricoli, alquanto commercianti, alquanto industriosi e più ricchi dei Serbi, odiano i Greci (le gare fra la chiesa bulgara e greca alimentano quest'odio) e non amano molto i Serbi, infine essi non hanno tendenze guerriere e per questo appunto converrebbe loro unirsi ai servianl per difendersi, in un tempo più o meno remoto, dall'ambizione greca, dalla russa, o da quella austriaca. Il signor Garachanlne deve dunque vincere le ripugnanze dei Bulgari ed ottenere ch'essi si uniscano al regno Jugo-slavo almeno col legame d'una unione personale e questa neppure è cosa di facile conseguimento.

La religione come si vede entra per molto nella divisione di questi popoli.

Il clero cattolico in Erzegovina, Albania e Bosnia è l'istrumento della poli

tica austriaca, e la Russia si serve del clero ortodosso per dividere in Bulgaria

e per preparare la sua conquista ln Oriente.

Il signor Garachanine deve combattere e vtncere queste grandi difficoltà ed altre che ometto per amore di brevità.

La popolazione della Vecchia Servia, quella dell'l!:rzegovlna, quella del Montenegro e del Principato serbo sono valorose, non cosi i cristiani ortodossi ed i cattolici della Bosnia, perché il duro servagglo e la proibizione di usar armi loro tolse non solo l'ardire per le nob1ll Imprese, ma anche la nobiltà del sentire. Ma tutti questi popoli appartengono aua stessa razza cioè alla razza serba.

La Servia per l'indole guerriera de' suo! abitanti per la saviezza ed abllità del suo Governo, per la tenacità d1 proposito del suo Principe, per lo stato relativamente formidabile de' suoi armamenti è la speranza delle provincie slavo-turche, ed è per questo che 11 Governo serbo ha potuto raccogliere nelle sue mani le redini d'una gran parte del movimento Jugo-slavo che si sta combinando in Turchia e Croazia, e che occorrendo potrà presto appoggiare con 50 mila uomini di mllizie nazionali attive, e con una riserva di 50 mila altri, con 400 cannoni, e con 130 a 150 mila fuclli 26 mila dei quali ad ago forniti di sufficienti munizioni. Per formare una buona armata di 25 a 30 mila uomini i Serbi non hanno bisogno che di piegarsi alla disciplina ed avere esperimentati ufficiali di tutti i gradi di cui mancano affatto.

Il Principato di Servia è adunque il Piemonte slavo, cioè la leva la più possente della nazionalità slava della Turchia, e questo Piemonte ha anche il suo piccolo Cavour nel signor Garachanlne uomo prudente e ad un tempo ardito, di molta intelligenza e di molto tatto politico, e non mancherà all'occasione un Garibaldi siavo.

La Russia accarezza e protegge la Servia, ma non credo veda con piacere le aspirazioni gigantesche del Principe Michele, essa metterà tutto in opera per impedirne la piena realizzazione, essa ajuterà alla distruzione della Turchia, ma non vorrà che sulle rovine di questa si innalzi un possente stato. Ebbi lingua che la Russia ha esternato il desiderio che sia concessa un'autonomia limitata alle singole provincie slave della Turchia, questa idea dal lato filantropico è ottima, ma non è così, secondo il mio modo di vedere, dal lato politico riguardo alla Servia, perché è di questo modo che quelle possono cominciare a succhiare idee di municipalismo, ed assuefarsi all'indipendenza onde riesca poi più difficile alla Servia di indurre le medesime a formare un solo stato.

La Russia in conclusione da un lato protegge la razza slava d'Oriente per metterla in istato di distruggere l'Impero Ottomano in Europa, dall'altro lavora secretamente a gettare i germi della divisione per impedire che sorga, in luogo della potenza turca, una potenza che per essere più giovane e più vigorosa sarà più formidabile e presenterà alle sue ambizioni un intoppo difficile a rimuovere.

La Francia vede di mal occhio l'influenza della Russia in Servia, ma la sua politica dal 1863 a questa parte non è poi tale da diminuire l'influenza russa, ed accrescere la propria, consiglia alla Servia a nulla intraprendere contro la Turchia specialmente in Bosnia ed in Erzegovina, la minaccia in caso diverso colla possibilità d'un intervenzione austriaca.

L'Inghilterra è anch'essa gelosa dell'influenza russa, consiglia anch'essa al Governo serbo di non creare imbarazzi alla Turchia ch'essa tenta di sostenere con tutta la forza morale di cui può disporre.

La Prussia che, ancora qualche giorno prima della guerra contro l'Austria, si curava poco della Servia ora mostra d'interessarsi alla medesima. Essa forse desidera averla ad alleata in caso d'una nuova guerra contro l'Austria, perché potrebbe in questo modo incomodare seriamente l'Austria nei confini militari, ed in quest'ipotesi ella deve far balenare ai serbi ed ai croati la possibilità d'una unione della Croazia, della Slavonia e della Dalmazia al Regno slavo della Turchia, qualora questo fosse in allora già costituito, ma se non lo fosse la Servia potrebbe sempre profittare d'una guerra dell'Austria colla Prussia per ajutare i croati, slavoni, dalmati ed i serbi della Voivodina a scuotere il giogo dell'Austria e ad unirsi in un sol regno, il quale ajuterebbe a sua volta i serbi della Turchia a scacciare i turchi dalle provincie slavo cristiane e formare il sospirato regno Jugo-slavo.

L'Austria che sino dal 1865 si era fatta distinguere per la sua grande ostilità verso la Servia oggi invece l'accarezza e se le dimostra amica, e fu la prima a consigliare l'abbandono delle fortezze. Ma il Governo serbo conosce qual fiducia deve avere in queste dimostrazioni. Egli sa che l'Austria desidera per sé la Bosnia e l'Erzegovina e pare che questa pretesa dell'Austria sia appoggiata dalla Francia, e sebbene sinora non l'appoggia risolutamente ed in modo evidente, il Governo di Sua Altezza si diffida di ambedue queste potenze e si avvicina sempre più alla Russia quantunque egli ne conosce assai bene la recondita politica ed il suo amore pei piccoli e deboli stati.

Il Principe Michele non desidera dalle potenze garanti che un ajuto morale, esso dice, noi vogliamo rivendicare la gloria e l'eredità dei nostri avi ma non vogliamo sconvolgere l'Europa. Quindi !asciateci soli dirimpetto alla Turchia. Noi Serbi se Dio ci darà la vittoria, ci uniremo formeremo un regno slavo di 6 a 7 milioni che confederato al regno latino della Rumenia ed al regno greco aggrandito formerà una barriera formidabile all'ambizione russa ed austriaca.

Or mi rimane parlare della politica italiana in Servia.

L'Italia mi pare non deve volere che la Bosnia l'Erzegovina cadino in potere dell'Austria l'Italia per principi e per convenienza non può non desiderare il risorgimento della razza slava latina e greca dell'Oriente e per li stessi principi e lo stesso interesse la decrepita Turchia non può essere più una buona alleata per l'Italia.

Più che l'influenza russa, francese, inglese, austriaca e prussiana dovrebbe prevalere in Oriente presso queste razze l'influenza italiana, ed il mare Adriatico dovrebbe essere esclusivamente un mare italiano. Ciò non potrebbe succedere se l'Austria giungesse ad impradonirsi della Bosnia e dell'Erzegovina, aggrandendo così i suoi domini immediati alla Dalmazia ed all'Albania. Se le razze slave non sorgono a vita politica riunite in un sol regno.

Gli uomini politici i più eminenti della Servia ed i serbi in generale desiderano ardentemente il consolidamento dell'Italia, desiderano ch'essa sia forte perché scorgono chiaramente che l'Italia è la naturale la vera la più disinte

ressata amica ed alleata della Servia, e lo deve essere del futuro regno Jugo slavo della futura confederazione Danubiana. L'Italia quindi non dovrebbe rivelare ambizioni nell'Arcipelago né in Dal mazia perché gli sarebbero perniciose e la inimicherebbero con queste razze.

Ella deve aver l'occhio fisso sulla Servia e far voti perché il Principe Mi chele trionfi di tutte le immense difficoltà che si oppongono alla realizzaziom, de' suoi progetti (1).

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IL MINISTRO A PARIGI, NIGRA, AL MINISTERO DEGLI ESTERI

R. CONFIDENZIALE S. N. Parigi 16 aprile 1867 (per. il 19).

L'iniziativa dei negoziati tra la Francia e i Paesi Bassi per la cessione del Lussemburgo alla Francia fu presa dal Gabinetto delle Tuileries. 11 Ministro di Francia all'Aja fu incaricato delle prime aperture confidenziali. Egli si diresse in primo luogo alla Regina dei Paesi Bassi, e quindi, per consiglio della Regina, al Principe d'Orange, che si assunse l'incarico di portare a notiza del Re Guglielmo i desiderii della Francia. La somma fissata per l'indennità da darsi al Re dei Paesi Bassi era di 60 milioni di franchi in capitale, corrispondente alla rendita del Granducato che è calcolata in 3 milioni annui all'incirca. Il trattato di cessione era convenuto, ma non fu firmato. Prima d'apporvi la sua firma il Re dei Paesi Bassi volle ottenere l'assenso del Re di Prussia, il quale sollevò le obbiezioni che diedero luogo alla complicazione ora pendente.

* Le Potenze segnatarie dei Trattati del 1839 chiamate a pronunciarsi dalla Francia e dalla Prussia, hanno ora ad emettere il loro giudizio. Sembra che esse siano d'accordo su due punti principali, cioè che la Prussia non abbia diritto di tener guarnigione in Lussemburgo, e che sia conveniente che il Granducato non debba essere ceduto alla Francia * (2). A Londra sarebbe stato emesso il concetto, a quanto mi si dice, che il Granducato di Lussemburgo sia annesso al Belgio, il quale cederebbe alla Francia le città di Philippeville e Marienville. È da temersi che ogni progetto il quale tenda a mutare i limiti territoriali del Belgio, complichi invece di risolvere la questione. Ad ogni modo par certo che una tale combinazione non piace al Governo francese, quantunque esso abbia dichiarato che accetta ogni soluzione la quale abbia per risultato l'evacuazione della Fortezza di Lussemburgo dalla guarnigione Prussiana ed una guarentigia che la fortezza stessa non diventi una minaccia per la frontiera francese. *La soluzione che sarebbe più volentieri accettata dalla Francia è la seguente: evacuazione della fortezza dalla guarnigione Prussiana e susseguente distruzione della fortezza stessa, rimanendo il Granducato indipendente sotto la sovranità del Granduca attuale. Questa combinazione* dovrebbe essere accettata dalla Prussia e *certamente non può spiacere agli Stati che hanno

(-2) I brani fra asterischi sono ed1ti in L V 11, pp. 22-23.

conchiuso i trattati del 1839. Essa non implica mutazioni di territorio, cosa sempre difficile a regolarsi pacificamente*, ed è conforme al diritto ed all'equità. Si può presumere con fondamento che se le Potenze insistono presso il Gabinetto di Berlino per l'accettazione d'un tale progetto, il Re di Prussia finirà per aderirvi. *Una guerra tra la Francia e la Prussia sarebbe una sì grande sventura per l'umanità, un pericolo sì grave per molti Stati d'Europa, un regresso così deplorevole nella via della civiltà, che veramente i Gabinetti di Europa non possono non fare ogni possibile sforzo per evitare il conflitto. Il Governo del Re è specialmente interessato al mantenimento della pace fra due Nazioni a cui fu stretto da vincoli d'alleanza, ed a questo titolo egli è autorizzato a fare uffizii di moderazione presso il Gabinetto di Berlino. Posso assicurare l'E. V. che tali uffizii di conciliazione e di prudenza sarebbero veduti con soddisfazione dal Governo francese*.

(l) -Annotazione a margine: «Duplicato del Rapporto n. 5 politica del 15 aprile 1867 stato corretto in alcuna parte >>.
383

IL MINISTRO A MONACO DI BAVIERA, OLDOINI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DELL'INTERNO, RA'ITAZZI

(ACR)

L.P. CONFIDENZIALE. Monaco, 16 aprile 1867.

Vorrà anzi tutto scusarmi se mi permetto distogliere per poco V. E. dalle gravi cure di stato all'interno per intrattenerla di volo di politica estera, specialmente Germanica, paese ave da diversi anni e in diversi Stati ebbi l'onore di rappresentare l'Italia.

Sono cenni di attualità che oso sperare verranno accolti favorevolmente dal Presidente del Consiglio, perché dettati dal sentimento che sempre mi guidò, quello dell'interesse del Re e del Paese.

L'abile ed importante dichiarazione fatta da V. E. al Parlamento nel suo programma ministeriale, dichiarazione che per quanto, oserei dire, negativa implica nullameno idea di neutralità ed atta a rassicurare senza impegnare il presente e l'avvenire, fu tanto più opportuna che non lievi timori erano già sorti in Germania e segnatamente qui di Alleanza Itala-Francese, quindi AntiPrussiana, all'avvenimento del nuovo Ministero Italiano, a tal punto che diversi personaggi e perfino la Legazione Prussiana, che spontaneamente se ne mostrarono meco preoccupati, provocarono la mia risposta «Che non essendovi per anche Ministro degli Affari Esteri officialmente nominato non poteva esservi programma definito di politica estera, e che l'Italia ha anzi tutto supremo bisogno di organizzazione e sistemazione interna».

Malgrado quanto precede si è qui quanto nel rimanente della Germania almeno la Meridionale, ove ho molte ed utili aderenze personali, assai preoccupati dell'attitudine presente e futura dell'Italia circa eventualità di conflitto Franco-Germanico, e so che nelle sfere governative, politiche e sociali si dà attualmente più importanza alla neutralità Italiana che a quella Austriaca.

Non sarà quindi del tutto superfluo, oso sperarlo, confermare direttamente e particolarmente a V. E. la mia decisa opinione sulla Germania, constatata nei miei diversi rapporti confidenziali al precedente Ministero, nei quali mi permisi osservare come conseguenza di diverse premesse avvalorate da prove di fatto e da avvenimenti previsti «non esservi dubbio per me attualmente che nelle combinazioni di alta politica è d'uopo tener conto non solo di una Prussia forte ed ingrandita dalle recenti annessioni come rinforzata dalla Confederazione del Nord, ma di una Germania di 40 milioni, malgrado le molte difficoltà che presenta tuttora la ricostituzione di questo Gran Paese in un tutto politico e militare, con autonomie amministrative e sovranità distinte».

Allorché ebbi l'onore nello scorso autunno di accennarle a Baden lo stato della Germania in allora non ben anche definito ma pure già abbastanza palese per non lasciare illusioni sulle conseguenze prossime e remote della recente Guerra Austro-Prussiana, le mie osservazioni e previsioni si sono intieramente avverate [sic], e lo stato attuale non è che la liquidazione progressiva di una situazione fatta la quale diverrà più o meno accentuata, più o meno precipitata nelle sue conseguenze finali in ragione diretta delle opposizioni interne o dei timori ed influenze esterne.

Sto attendendo le norme circa la nostra attitudine verso la Germania che piacerà al nuovo Ministro Conte di Campello, del quale il giornale officiale mi portò jeri la nomina, di darmi, non osando sperare che Ella signor Cavaliere, troppo occupato e preoccupato, voglia darmene particolarmente un cenno, che pure sarebbe prezioso onde evitare difficoltà di posizione per chi ha, come me, fatto sin qui della politica Itala-Germanica a seconda delle istruzioni del Governo di Sua Maestà.

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IL DIRETTORE SUPERIORE DEGLI AFFARI POLITICI, ULISSE BARBOLANI, ALL'INCARICATO D'AFFARI A COSTANTINOPOLI, DELLA CROCE

D. 41. Firenze, 17 aprile 1867.

Mi feci premura di comunicare a' Rappresentanti presso le Corti di Austria, Francia, Inghilterra, Russia e Prussia i dispacci che la S. V. mi ha diretto, da' quali risultava come la Sublime Porta abbia riconosciuto il nostro diritto di prendere parte alle conferenze internazionali risguardanti gli affari di Siria. I Gabinetti di quelle Potenze hanno accolto con molta soddisfazione l'annunzio della soluzione che per tal maniera venne data alla vertenza ch'esisteva fra il Governo Ottomano e quello del Re, ed io mi pregio di recare a di Lei notizia gli atti diplomatici da' quali risulta l'ottimo accoglimento fatto alla nostra comunicazione. Ora rimane che la S. V. faccia conoscere ufficiosamente questo risultato a' singoli rappresentanti delle Potenze, assicurandosi presso i medesimi che, ove il caso d'una riunione si dovesse presentare in Beyrouth, i consoli rispettivi saranno muniti delle necessarie istruzioni perché il nostro dritto venga da tutti ammesso e riconosciuto.

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IL MINISTRO A LONDRA, D'AZEGLIO, AL MINISTERO DEGLI ESTERI

R. 661/237. Londra, 17 aprile 1867 (per. il 21).

*L'affare del Luxemburgo mi pare aggravarsi assai. Ho chiesto a lord Stanley questa mattina quale fosse la posizione dell'Inghilterra in questo momento riguardo a questa questione, e se fosse vero che assieme ad altre potenze ~ssa fosse per interporsi amichevolmente. Lord Stanley mi rispose* (l) che da quanto poteva giudicare per quantunque essi fossero desiderosi per evitare una guerra di giovar coi loro consigli, questi non potevano utilmente impiegarsi, trovandosi la quistione posta fra due opinioni estreme ugualmente decise a non cedere. La Francia, quantunque desiderosa di uscir da questo imbroglio, credeva però di non poter andare per la sua dignità oltre a certi limiti. Questi essendo sopratutto l'evacuazione del Luxemburgo per parte della Prussia. La Prussia invece diceva per bocca di Bismarck che tanto varrebbe cedere un pezzo del Ducato di Baden, come del Luxemburgo.

L'Austria pare consigliasse la neutralizzazione del Luxemburgo e la sua riunione al Belgio concedendo alla Francia qualche compenso per parte del Belgio. Ed a questo il governo Belga dichiaravasi avverso.

* In questo stato di cose non pareva di nessuna possibilità l'intervenire coi consigli o come amichevoli mediatori. Dunque il Governo Inglese aspettava a decidere cosa potrebbe fare ulteriormente a vedere qualche sintomo d'arrendevolezza dall'uno o dall'altro lato*. E cosi dunque stava per ora in aspettativa ed osservazione.

Del resto lord Clarendon che espresse giorni fa una critica della politica estera di questo Governo alla Camera dei Pari mi diceva tre giorni fa che quel che trovava a ridire era quel dichiarare quasi direi ad alta voce e sfacciatamente che l'Inghilterra non si curava di quanto accadeva nel Continente, come se una rottura tra la Francia e la Prussia colle relative conseguenze non significasse nulla per questo paese. Ed io gli risposi che lord Derby aveva in suo discorso parlato del Belgio come terreno da non toccarsi sotto pena d'intervento Inglese. E gli rimarcai che stava bene che Ministri e Governi scambiassero queste dichiarazioni, ma restava a vedersi se la nazione ratificherebbe pagando le spese della guerra. E ne dubitano assai, essendo poca differenza per gli Inglesi che il Belgio fosse o no Francese col littorale, che già esisteva, e lord Clarendon finì per dirmi che egli la pensava esattamente come me.

P. -S. confidenziale e non facendo parte del dispaccio n. 237.

Un fatto curioso è venuto alla mia conoscenza. Ed è che stasera il Conte di Bernstorff fa partir un Addetto Incaricato di dispacci che dovrà portare fino alla frontiera prussiana d'Aix La Chapelle e rimetterli in mano sicura.

Inoltre so aver costui ordine dl non passar per la Francia e desiderarsi dall'Ambasciatore di Prussia che persino il Bismarck ignori questo viaggio. Parrebbe quindi che il Re abbia una sua corrispondenza speciale. O che siasi fatta qualche comunicazione al Bernstorff senza la partecipazione del Conte Bismarck.

(l) -I brani fra asterischi sono editi, con qualche variante, in LV 11, p. 25.
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IL DIRETTORE SUPERIORE DEGLI AFFARI POLITICI, ULISSE BARBOLANI, AL MINISTRO A VIENNA, DE BARRAL

D. 26. Firenze, 18 aprile 1867.

Dall'unito estratto di rapporto del Generale di Robilant (l) la S. V. rileverà come la Commissione militare austriaca, per la delimitazione della frontiera, abbia, con una formale dichiarazione troncato ogni quistione di rettifica del confine.

Il Generale di Robilant mi soggiunge però confidenzialmente risultargli, in via riservata, che siffatta dichiarazione del Generale Kirchsberg è per avventura più recisa che non lo siano le istruzioni dal Governo Imperiale impartitegli in proposito, ed esprime il desiderio che si possa ancora ritentare a Vienna, con alcuna speranza di successo, ciò che evidentemente non potrebbe più essere riproposto a Venezia in seno alla Commissione militare.

La S. V. col Suo rapporto N. 21 di Seria politica (2), già ebbe a farmi conoscere come il Signor di Beust paresse favorevolmente disposto in ordine alla quistione di cui si tratta, e si fosse impegnato ad interessarsene in modo speciale. Ond'io La prego, signor Ministro, di cogliere l'occasione in cui Ella esprimerà a S. E. il Ministro Imperiale degli Affari Esteri il nostro rammarico per la dichiarazione enunciata dal Generale Kirchsberg per indagare accortamente se si possa tener vivo il negoziato col Governo Imperiale e se v'abbia probabilità che il Governo austriaco possa indursi a munire di più concilianti istruzioni il suo Commissario a Venezia.

SegnandoLe ricevuta del pregiato suo rapporto confidenziale senza numero delli 11 aprile corrente (3), ...

387

IL MINISTRO A BERLINO, DE LAUNAY, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI CAMPELLO

R. CONFIDENZIALE 7. Berlino, 18 aprile 1867 (per. il 24).

C'est à desse in, dans mon n. 176 daté de Saint-Pétersbourg (4), que je me suis servi de l'expression «bons ojjices » laquelle n'a pas la mème portée, la mème

valeur que les mots « médiation-arbitrage-intervention ». Pour une intervention, le titre légal nous manque en effet pour assumer ce ròle de notre propre chef. Mais la vaie des bons offices nous reste ouverte. Elle nous est meme tracée.

Si nous ne sommes pas signataires des Traités de 1839, nous avons un intéret personnel et général au maintien de la paix. Si nous n'avon.<> un droit légal d'immixtion dans le règlement d'une question où nous n'avons pas figuré camme partie contractante, nous n'avons pas moins le devoir vis-à-vis de la Prusse et de la France, camme vis-à-vis de nous-mèmes, de chercher à prévenir un conflit armé entre deux Puissances qui, directement m1 indirectement, ont prèté leur appui à l'oeuvre de notre affranchissement. Lors meme que nous ayons largement compensé ce concours et que la reconnaissance soit mutuelle, les événemens n'en ont pas moins établi entre les alliés des obligations morales dont il serait peu généreux de ne pas tenir compte. Certes je ne saurais recommander une politique de sentiment; mais il ne faudrait pas non plus qu'ici, camme à Paris, on nous accusiìt d'indifférenc, d'un égoi:sme outré. Nous nous exposerions à notre tour, le jour où nous nous trouverions dans de graves embarras, à ce qu'on nous appliquàt la peine du talion. Chacun devrait se rendre compte que l'Italie, après avoir traversé tant de crises, après avoir fait tant d'étapes, ait besoin de reprendre haleine et de consolider des résultats si laborieusement acquis. Dans ces circonstances la neutralité serait de mise. Il nous répugnerait d'ailleurs de prendre fait et cause contre l'un ou l'autre de nos plus proches amis. Mais tant que le glaive reste dans le fourreau, et pour empècher, si possible, qu'il en sorte pourquoi ne témoignerions-nous pas de notre bonne volonté, de notre bienveillance, en travaillant officieusement à Paris et à Berlin pour émousser les aspérités, pour frayer la vaie à une conciliation à laquelle s'employent déjà activement et officiellement les Cabinets de Londres, de Saint Pétersbourg, et de Vienne? Ce ne serait pas là un ròle d'intrus, de faccendiere, mais un procédé dont la bienveillance et l'à propos sauteraient aux yeux. C'est bien plutòt notre abstention qui serati critiquée. C'est en m'inspirant de ces considérations, que j'avais parlé de bons oftices.

* -Un télégramme de V. E. (l) m'autorisait à me prévaloir de ma situation personelle * (2). Mais c'est là une dose homéopathique; car quelle que soit la bienveillance que je rencontre ici, il y aurait de la fatuité de ma part à croire que mon influence et l'autorité de mon langage fussent telles que je puisse en attendre des chances de succès. * Cependant j'ai déjà profité de cette autorisation. * J'ai meme fait naitre l'occasion que je devais attendre, si je m'étais tenu à la lettre de mes instructions. * -Ayant fait visite à M. de Thiele * pour l'interroger sur de prétendues démarches de la France relatives au Saint-Siège, * j'ai amené la conversation sur le Luxembourg et sur notre désir que la paix ne fùt pas troublée en Europe. J'ai ajouté que j'avais faculté, le cas échéant, de chercher à me rendre personnellement utile ou agréable dans un but de conciliation entre la France et la Prusse. * Je me permettais meme à cet effet de suggérer un moyen. Le Gouvernement Prussien ne pourrait-il pas me mettre à mème de rédiger, à son point de vue,

une dépeche à V. E., dépeche qui serait transmise par Elle au Chevalier Nigra pour son information personnelle, mais dont il donnerait lecture au Marquis de Moustier pour recueillir ses impressions?

* M. de Thiele m'a remercié de cette communication, en me demandant si je ne voudrais pas la répéter au Comte de Bismarck. J'ai répondu affirmativement, mais que j'abandonnais au Secrétaire Général le soin d'en référer lui-meme au Président du Conseil dont je connaissais trop les nombreuses occupations pour l'en distraire un seui instant, * à moins qu'il ne me fixàt une heure d'audience.

Ceci se passait il y a deux jours. Je n'ai pas revu M. de Thiele, étant dès lors retenu au lit par un rhumatisme aigu.

Je crois nè m'etre pas trop avancé. Dans cet entretien j'avais appris que la situation était toujours grave. Le Cabinet des Tuileries n'a fait aucune communication. Le silence de M. Benedetti et les armemens qui se poursuivent en France, sont assez significatifs. Jusqu'ici on n'a connaissance d'aucune proposition de la part des Puissances consultées. Il est inexact nommément que l'idée d'une conférence ait été mise sur le tapis. Si les autres Cabinets sont de cet avis, la Prusse s'y rangera, mais elle n'en prendra pas l'initiative; car, camme

M. de Bismarck le disait à un de mes collègues, on salt bien comment entrer dans une conférence, mais la difficulté est d'en sortir. Bref, pour le moment, il n'y a aucun symptòme rassurant.

D'un autre còté, je savais par l'Ambassade d'Angleterre qu'ici on paraissait se faire l'illusion (sic) de croire que nou~ nous «laisserions entrainer dans le camp Prussien, si on faisait miroiter à nos yeux l'espoir de rentrer en possession de la Savoie et de Nice ». Camme je n'ai aucune indication que nous ayons ces arrière-pensées, que bien loin de là le programme de notre nouveau Ministère, tel qu'il a été développé par devant les Chambres par le Président du Conseil, accentue très nettement que nos efforts restent concentrés dans le règlement de nos affaires intérieures, je n'ai pas voulu tarder de mon còté à émettre des voeux aussi vifs que sincères en faveur d'une politique pacifique dictée par nos intérets aussi bien que par ceux de la grande famille Européenne. C'était en meme temps laisser entendre qu'il ne fallait pas compter sur une coopération armée de l'Italie.

Selon mon opinion, pour donner cependant une preuve de bon vouloir à la Prusse, nous pourrions faire déclarer, en temps voulu, que notre neutralité serait subordonnée à celle de l'Autriche, et cela pour tenir cette Puissance en échec. Notre déclaration à Paris pourrait etre expliquée dans ce sens que, d'après les enseignemens de ces dernières années, l'attitude du Cabinet de Vienne, cet ami si peu sur, ne présenterait aucune garantie, si cette attitude était abandonnée à son propre arbitre. En le paralysant, nous écarterions une complication de plus; car, selon les circonstances, il se jetterait aussi bien du còté de la Prusse, que du còté de la France. Le Cabinet de Berlin pense, il est vrai, que la Russie lui rendra à elle seule le service de la prémunir contre l'Autriche. Par conséquent une diversion de notre part contre la France, nommément vers Nice, serait plus désirable. Ce serait à son point de vue une occasion des plus propices de nous débarrasser d'un protectorat sous lequel on s'obstine, malgré les preuves du contraire, à nous croire engagés. On ne réfléchit pas assez que le sacriflce

36 -Documenti diplomatici -Serie I -Vol. VIII

de la Savoie, quelque douloureux qu'il ait été, est un fait sur lequel il n'y a pas à revenir, méme si l'on consultait de nouveau le voeu des populations. Pour Nice la question est toute autre, et la frontière du Var nous sera indispensable à la longue par des conditions nationales et statégiques. Mais c'est là une question réservée à l'avenir, sourtout quand un jour nous nous trouverons en présence d'un Gouvernement français décidément hostile à l'Italie, lorsque les Napoléon ne seront plus là pour contenir les mauvais instincts de la nation. Précisément dans cette prévision, il convient, dans les limites du possible, de multiplier les témoignages de bon vouloir à la Prusse (qui personnifie l'Allemagne) et par ricochet à la Russie dont le coeur ne bat pas plus pour la France que pour l' Autriche.

Une neutralité ainsi définie et qui aurait été précédée de démarches officieuses ou oftlcielles de notre part pour prévenir l'explosion d'une guerre, nous donnerait une meilleure assiette que si nous nous bornions à conjuguer dans tous ses temps le verbe désirer! L'Italie, malgré ses difficultés passagères est assez forte pour accentuer davantage ses voeux pour la paix. Si les Cabinets de Londres, de Vienne et de Saint Pétersbourg parvenaient à trouver un compromis de nature à sauvegarder l'amour-propre de la Prusse et de la France, pourquoi ne chercherions-nous pas à nous joindre à eux pour en recommander l'acceptation?

Il y a un autre point sur lequel je n'ai pas besoin d'insister. Si la guerre était inévitable, il faudrait, dans le cas où le Gouvernement du Roi se prononcerait pour la neutralité, qu'il en fit la déclaration formelle sans attendre la dernière heure. Il y va de notre dignité et de notre loyauté! Si dix-neuf ans de guerre ou de préparatifs à la guerre, si l'immense travail de réorganisation de l'Italie, nous ont mis dans une certaine détresse financière; si les capitaux que nous avons semés pour répandre le bien-étre dans nos provinces, n'ont pas encore eu le temps de fournir une ample moisson, ce sont là des faits que nous pouvons avouer le front haut et qui justifieraient notre position de recueillement. Mutatis mutandis, la Russie, avec moins de raisons peut-étre, s'est prévalue d'un argument analogue, pendant nombre d'années. Dans le premier moment, notre déclaration produirait quelque mécontentement auprès du Cabinet de Berlin; mais en y réfléchissant bien, il devrait finir par comprendre que nous ne pouvions et ne devions pas agir autrement. Dans tous les cas navigons de manière à sauvegarder nos bons rapports d'amitié avec la Prusse et l'Allemagne. En admettant méme ce qui n'est nullement prouvé que la France soit victorieuse dans ses premières luttes, elle ne réussira pas à la longue à prendre pied sur le sol Germanique. Nous ne sommes plus aux temps des défaillances du Saint Empire. L'avenir, ou tous les indices trompent fort, est pour l'Allemagne. Tournons-nous donc de préférence vers le soleil levant!

Dans mon dernier télégramme (1), j'ai dit que Monseigneur le Prince Humbert n'a plus de temps à perdre s'il veut venir ici en temps utile. Il devrait s'y trouver du 27 (dernier jour des fétes pour le mariage du Comte de Fiandre) au 31 [sic] Avril. Après cette date la Reine, le Prince et la Princesse Royale s'absenteront. V. E. sait en outre que le Prince Gortschakoff ne garantissait que

jusqu'au 15 Mai la présence de l'Empereur et de l'Impératrice de Russie à SaintPétersbourg. L'opportunité de ce voyage est de plus en plus indiquée. On pourrait l'expliquer et l'utiliser dans un sens pacifique.

(l) -Non si pubblica. (2) -Cfr. n. 356. (3) -Cfr. n. 366. Per la risposta di Barra! cfr. n. 453. (4) -Cfr. n. 347. (l) -Cfr. n. 371. (2) -I brani fra asterischi sono editi in LV 11, pp. 28-29. A questo punto sono aggiunte le parole seguenti: «en vue de faciliter les négoclatlons entre Berlin et Parla :t.

(l) Non pubbllcato.

388

IL MINISTRO A BERLINO, DE LAUNAY, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI CAMPELLO

R. CONFIDENZIALE 8. Berlino, 18 aprile 1867 (per. il 24).

D'après ce qui m'a été assuré par M. de Thiele, aucune démarche récente n'a été faite par la France dans le but indiqué par le télégramme chitfré de

V. E. en date du 15 avril (l). Une semblable démarche remante à une époque antérieure, vers le temps où le Général Fleury se trouvait en mission à Florence, si je ne me trompe dans le mais de Décembre dernier. Les ouvertures faites très secrètement à Berlin n'ont pas abouti, et n'ont pas été renouvelées.

Le Gouvernement Français voulait alors induire le Cabinet de Berlin à assumer une garantie morale pour assurer au Pape son territoire actuel. On aurait meme été jusqu'à proposer une convention à cet etfet, du moins la Cour de Rome laissait entrevoir que tel devait etre l'équivalent des améliorations à introduire dans ses Etats. Le Comte de Bismarck se montra bienveillant à notre égard. Il était disposé à procéder par vaie de conseil, dans un sens de modération, signe de conduite qu'il estimait conforme à nos intérets, mais il ne saurait se résoudre à agir contre notre gré, et nommément à prendre des engagements, des garanties au reste insutnsamment expliquées. On comprit à Paris que c'était là une fin de non recevoir et on ne revint pas à la charge.

Il faut d'autant plus savoir gré au Comte de Bismarck de cette attitude, que le Comte de Goltz et M. d'Arnim le sollicitaient d'accéder, dans une certaine mesure, aux vues de la France. M. d'Arnim surtout recommandait une démarche ayant pour objet l'envoi de batiments de guerre Prussiens dans les eaux d'Ancòne. M. de Bismarck l'a rappelé à l'ordre, en lui disant combien il fallait s'appliquer à cultiver l'alliance avec l'Italie, qul constltuait un des premiers éléments de la politique générale de la Prusse. Pour éviter de nouveaux écarts, ce diplomate recevait pour instruction de se mettre en rapports réguliers avec M. d'Usedom et de combiner ses vues avec les siennes. Je savais ces renseignements d'une manière indirecte mais parfaitement sure avant de parler à M. de Thiele. Lesecret m'a été recommandé. M. de Thiele s'est borné aux indications contenues dans le premier article de cette dépeche.

Les observations développées dans mon rapport ci-joint sont peut-etre prématurées, mais en présence des armements en France, on ne saurait nier que la situation devient de plus en plus grave, et j'ai trouvé de mon devoir de m'expliquer camme je l'ai fait. Inutile d'ajouter que le bon droit est du còté de la Prusse. Si elle a un tort, c'est celui de s'etre trop bien battue à

Sadowa. La France voudrait prouver qu'elle saurait se battre mieux encore contre le vainqueur de l'Autriche, et elle a si mal manoeuvré qu'ajourd'hui elle se trouve entre une reculade ou une folie. En attendant le projet de constitution pour la Confédération du Nord a été adopté à une fort majorité par le Reichsrath et par les Gouvernements confédérés, en réservant toutefois l'assentiment des Diètes particulières. Il faut reconnaitre que la situation actuelle en Europe a servi la Prusse à souhaits pour influencer les députés et leur faire comprendre la nécessité d'une étroite union en présence des éventualités qui se préparent. La Chambre fédérale a terminé son oeuvre en sept semaines, tandis qu'en 1848 le parlement Allemand réuni à Francfort avait employé 10 mois pour élaborer une constitution restée à l'état de projet.

(l) Cfr. n. 380.

389

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI CAMPELLO, AL MINISTRO A LONDRA, D'AZEGLIO (Ed. in L V 11, pp. 20-22)

D. 17. Firenze, 19 aprile 1867.

Par la dépeche que Vous m'avez adressée le 1•r Avril, Vous m'avez fait connaitre * l'opinion de lord Stanley au sujet de la question du Luxembourg. Vous m'avez écrit * (l) que S. S. s'était exprimée dans des termes qui ne laissent aucun doute sur le peu de préoccupation (2) qu'Elle paraissait avoir sur un différend qui jusqu'alors ne présentait aucune gravité. Mais, depuis, la question est entrée dans une phase nouvelle dont il serait impossible de méconnaitre l'importance. * L'opinion publique de deux grands nations est engageé et les anciennes rancunes trouvent un écho dans les rivalités des deux peuples militaires.* Ce qui n'était au début qu'un différend à résoudre sur le terrain diplomatique constitue aujourd'hui un danger véritable et une ménace réelle dirigée contre la paix de l'Europe.

Nous sommes loin de vouloir atténuer la valeur des déclarations pacifiques que les Gouvernements de France et de Prusse viennent de faire devant leurs Parlements; nous aimons à voir dans l'intentions exprimée des deux còtés d'en appeler aux puissances signataires du traité de 1839 une garantie sérieuse pour le maintien de la paix; mais nous croyons que l'action diplomatique des Puissances neutres ne peut étre pleinement etncace si, au moment de proposer une solution qui puisse calmer les susceptibilités des deux pays, les Cabinets ne se montrent point avant tout convaincus de la nécessité et de l'urgence d'éviter les dangers et les malheurs qui résulteraient pour toute l'Europe d'une guerre entre la Prusse et la France.

Notre situation intérieure ne nous permet pas de prendre une part directe dans les questions européennes tant que nos intéréts actuels ou ceux de l'avenir de l'Italie ne se trouveront point engagés. Le Ministère aussitòt après son instal

lation a jugé nécessaire de faire à la Chambre des Députés une déclaration explicite de laquelle il ressort que nous sommes préoccupés avant tout des besoins intérieurs du pays, et que notre politique est libre de tout engagement envers les Puissances Etrangères.

Par cette déclaration le Gouvernement du Roi a tracé la ligne de conduite, qu'il se propose de suivre dans sa politique étrangère et nous sommes bien décidés à ne point nous en écarter. Mais pourrions-nous envisages sans une appréhension légitime la situation pleine de dangers qui résulterait pour nous d'une guerre allumée au centre de l'Europe?

Quoique nous n'ayons dans les traités antérieurs aucun titre légal sur lequel nous puissions fonder notre intervention diplomatique dans le conflit engagé entre la Prusse et la France, les devoirs de la plus simple prévoyance nous imposent de ne point rester complètement indifférents devant une situation aussi grave, et la position toute particulière qui nous est faite par nos propres rapports avec les deux puissances, peut méme, jusqu'à un certain point, nous créer une obligation spéciale d'offrir nos bons ofilces pour aplanir les difficultés qui ont surgi dans leurs relations internationales.

Toutefois avant de faire une démarche quelconque soit à Paris, soit à Berlin, nous croyons utile de connaitre les intentions du Gouvernement britannique sur une question au sujet de laquelle il se trouve peut étre déjà engagé à se prononcer.

Si en procédant avec nous à un échange de vues sur la question du Luxembourg lord Stanley jugeait à propos de nous faire connaitre les propositions qui, à son avis, et dans un but de conciliation, pourraient étre faites aux deux parties directement intéressées, nous serions heureux de pouvoir unir nos efforts à ceux de l'Angleterre à fin d'arriver à un résultat aussi satisfaisant.

C'est dans ce sens que je Vous engage, M. le Marquis, à entretenir confidentiellement lord Stanley. Vous devez Vous appliquer à démontrer que notre vif et sincère désir est dans la conservation de la paix et que rien dans nos propres intéréts ne nous sépare de l'Angleterre dans cette question. Vous devez bien faire ressortir que notre politique neutre, indépendante et dégagée de toute vue personnelle ou intéressée deviendrait un élément puissant de paix et de tranquillité en Europe du jour où l'action diplomatique de l'Italie se trouverait unie à celle de la Grande Brétagne et de toute autre Puissance qui, comme elle, voudrait exercer son infiuence dans un but commun de pacification.

En Vous autorisant a donner lecture de cette dépéche à Lord Stanley ...

(l) -I brani fra asterischi sono omessi ln LV 11. (2) -In LV 11 il periodo prosegue cosi «que paralssait lui donner la question du Luxembourg ».
390

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI CAMPELLO, AL MINISTRO A PARIGI, NIGRA

D. 224. Firenze, 19 aprile 1867.

*Nel di Lei dispaccio confidenziale del 16 corrente (l) Ella ba sviluppatQ la base di un componimento che a suo credere potrebbe essere accettato dalla

(l} Cfr. n. 382.

Francia ed avrebbe per iscopo di evitare od almeno allontanare i pericoli ed i danni di un conflitto imminente * (l) ch'Ella giustamente qualifica come una gravissima sventura anche per l'Italia.

*Il signor Conte de Launay mi aveva già scritto da Berlino sovra questo argomento e mi aveva chiesto istruzioni sul contegno che noi vorremmo tenere a fronte di siffatta eventualità. Egli ebbe sino dal 13 corrente (2) istruzione telegrafica di usare della propria influenza personale nel senso di condurre ove fosse possibile, un accordo fra la Prussia e la Francia.

Il Consiglio dei Ministri all'esame del quale venne sottoposta la presente situazione della nostra politica esterna fu d'avviso che mantenendosi pur sempre nella linea di condotta tracciata dalla esposizione fatta in Parlamento da

S. E. il Presidente del Consiglio nella seduta del giorno 11 il Governo del Re non debba omettere cosa alcuna che nelle vie diplomatiche possa agevolare un componimento che toglierebbe di mezzo il pericolo di una guerra vicina.

* Anche il caso in cui i buoni uffici di una Potenza amica più non dovessero bastare ad assicurare la pace, doveva essere da noi preveduto;* epperò, * anche nell'interesse proprio della nostra situazione politica,* pur riconoscendo l'utilità di una officiosa mediazione, abbiamo stimato conveniente esplorare anzitutto gli intendimenti del Governo britannico col quale abbiamo comune il desiderio che la tranquillità dell'Europa non abbia ad essere turbata.

A questo fine ho diretto oggi stesso un mio dispaccio al Marchese d'Azeglio * (3) con istruzione di farne oggetto di confidenziale comunicazione a lord Stanley. Benché quel documento come ogni altra cosa relativa a questo negoziato sia destinato per ora a rimanere segreto, stimo conveniente darne a Lei riservata comunicazione e qui unito Ella ne troverà copia.

* Mi riserbo di darLe più precise e ragguagliate istruzioni sul contegno da tenersi e fors'anche sulle proposte che potremmo essere condotti a fare appena avrò ricevuto una risposta da Londra, ma sin d'ora non è fuor di luogo che brevemente io mi fermi a ragionare sulla proposta tracciata nel di Lei dispaccio sovra ricordato.

Ella mi dice che la Francia accetterebbe volontieri la soluzione seguente; evacuazione della fortezza dalla guarnigione prussiana e susseguente distruzione della fortezza stessa, rimanendo il Granducato indipendente sotto la sovranità del Gran Duca attuale.

Con Lei divido l'opinione che le Potenze segnatarie del Trattato del 1839 non si opporrebbero alla esecuzione di un simile componimento, ma io dubito che questo possa essere presentato a Berlino con speranza di vederlo accolto dalla Prussia se nelle condizioni che si vorrebbero proporre non si troverà una guarentigia sufficiente per l'avvenire. Al punto in cui sono giunte le cose deve importare alla Prussia che le cause del conflitto siano rimosse radicalmente e può sembrare naturale che il Gabinetto di Berlino prima di evacuare il Lussemburgo voglia assicurarsi contro la ripresa del negoziato franco-neerlandese

-o contro qualsiasi altra combinazione che lascerebbe aperta una facile via per

l'annessione del Gran Ducato alla Francia. Le informazioni che noi abbiamo

ci portano a credere che a Berlino si presterebbe l'orecchio a proposizioni pa

cifiche ma a condizione che queste fossero veramente tali da escludere ogni

pericolo di un prossimo ritorno delle difficoltà presenti. Ove Ella credesse di

poter far comprendere * nelle sue conversazioni confidenziali * col Marchese di

Moustier *o con altre persone influenti del Governo Imperiale* la necessità

di piegarsi ad un componimento che possa soddisfare anche alle esigenze

della Germania, io La autorizzo ad esprimersi nel senso sovra indicatoLe.

Sembra a noi che le basi di questo componimento si troverebbero nella

rinunzia per parte della Prussia di mantenere un presidio nella fortezza di

Lussemburgo, nella demolizione di quella fortezza e nella indipendenza e neu

tralizzazione del territorio del Gran Ducato guarentite dalle Potenze*.

Col ritorno del Corriere di Gabinetto che Le recherà questo dispaccio, bramerei ch'Ella mi facesse conoscere gli intendimenti del Governo Imperiale e le di Lei impressioni personali (l) delle quali mi gioverò non poco per bene apprezzare la situazione prima di stabilire la linea politica che ci converrà seguire a fronte delle difficoltà attuali.

(l) -I brani fra asterischi sono editi con qualche variante e con data 20 apr!le in L V 11, pp. 23-24. (2) -Cfr. n. 371. (3) -Cfr. n. 389.
391

IL MINISTRO A VIENNA, DE BARRAL, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI CAMPELLO

R. 23. Vienna, 19 aprile 1867 (per. il 22).

J'ai eu l'honneur de recevoir avec leurs annexes les deux dépèches (S. P. n. 24 et 25) que V. E. a bien voulu m'adresser sous la date du 13 courant (2) et je m'empresse de Lui offrir tous mes remerciments pour les 28 documents qui y étaient joints, se rapportant à la question du Luxembourg et à celle d'Orient, dont j'ai pris connaissance avec le plus vif intérét.

Quoque les dernières nouvelles reçues de Paris relativement à l'affaire du Luxembourg présentent un caractère moins alarmant, l'on n'en est pas moins convaincu ici, dans le monde dlplomatlque aussi bien que dans les régions gouvernementales, que toutes ces fluctuations doivent fatalement aboutir à la guerre. * L'Autriche, consultée par la Prusse et la France sur la valeur qu'elle attachait encore aux Traités de 1839, a répondu que la Confédération germanique ayant cessé d'exister les conventions qui s'y rapportaient avaient dl1 suivre le mème sort, et que comme conséquence naturelle de ce nouvel état de choses, le Roi Grand-Due avait le droit de disposer d'un territoire qui faisait librement retour à sa couronne.

En formulant cette manière de voir le Gouvernement autrichien n'a cependant point caché tout le désir qu'il aurait de voir la paix se maintenir, et a spontanément offert ses bons offices pour atteindre ce but. Il parait que, pour le moment les pourparlers sont engagés sur une neutralisation du Luxembourg * (l) qui, sans accorder à la France la prise de possession qu'elle réclame, lui donnerait cependant la satisfaction de voir la fortesse évacuée par les troupes prussiennes.

Mais, en supposant que l'on puisse arriver à ce résultat ou à toute autre combinaison du meme genre, la question, aux yeux des hommes politiques, n'en reste pas moins avec toutes ses incertitudes et tous ses dangers. En effet, la neutralité n'est point une solution, c'est tout au plus une balte laissant en suspens le fond de la question. Le sentiment public en France qui, après les énormes agrandissements de la Prusse, aurait eu déjà tant de peine à se contenter de ce lambeau de territoire jeté pour ainsi dire en pature à son amour-propre, ne serait certainement nullement satisfait d'une combinaison qui laisserait la France exactement dans les memes frontières. Et si de ces simples considérations, qui ne s'appliquent seulement qu'à l'opinion publique de la France, l'on passe à l'esprit de l'armée, l'on se trouve immédiatement en présence d'une masse compacte de profonds ressentiments et d'ardeurs belliqueuses qui se manifestent de toute part contre les conquetes prussiennes, et n'attendent que le signal de la lutte pour rendre à la France, avec ses frontières naturelles, sa suprématie militaire. Au reste la question du Luxembourg n'est en déftnitive qu'un incident venu fortuitement pour mettre en lumière ce violent état de choses. Si la Hollande ne l'eiì.t pas fait naitre par ses offres intempéstives il se serait produit à la première occasion sur un autre point, et en définitive tout ajournement pour aborder la grande question pendante entre la France et la Prusse ne peut vraisemblablement plus étre que de courte durée et donner le temps à la France de compléter ses armements.

Telles sont en résumé les appréciations qui ont cours ici et paraissent les mieux fondées. En partant donc, je ne dirai pas de la certitude, mais de la probabilité d'une lutte entre la France et la Prusse, il est du plus haut intéret de connaitre quelle sera, au moins dans le commencement, l'attitude des différentes Puissances. Pour commencer par l'Autriche, je ne puis que confirmer à V. E. ce que déjà j'ai eu l'honneur de Lui mander à ce sujet dans mon précédent rapport (2). Après les énormes défaites que lui ont fait subir les armes de la Prusse, il n'y a rien que de très naturel que ses secrètes sympathies soient pour la France, mais d'un autre còté les neuf millions d'Allemands qui font encore partie de son Empire ne lui permettent pas en vue d'une lutte qui trouvera toute l'Allemagne réunie contre la France, de donner à ces sympathies une expression trop accentuée. Le souvenir du passé, comme les considérations du présent, s'accordent donc tous deux pour lui conseiller la neutralité; et la preuve que telle est bien la pensée arretée du Gouvernement autri

chien, c'est que, à part la transformation de ses fusils en d'autres armes se chargeant par la culasse, il ne fait absolument rien, ni en armements, ni en achat de provisions ou de chevaux, qui dépasse les simples mesures de précaution commandées par les circonstances du moment, et de nature à assurer sa neutralité.

Si l'on en croit le langage de l'Ambassadeur anglais, son Gouvernement, tout en désirant le maintien de la paix et faisant tous ses efforts dans ce but, se trouve par sa position complètement désintéressé dans la question et pourvu que la France ne touche pas à l'intégrité de la Belgique, il"ne se mélera d'aucune manière à la lutte et gardera la plus stricte neutralité. L'on croit ici que des assurances dans ce sens ont été déjà données à Londres.

Pour en venir maintenant à l'attitude de la Russie, il faut bien reconnaitre qu'elle se dessine d'une toute autre manière, et parait pencher visiblement du còté de la Prusse. D'après le langage du Comte Stackelberg, la Russie ne peut pas oublier que dans une circonstance où toutes les Puissances s'étaient coalisées contre elle à propos des événements de Pologne, la Prusse seule non seulement ne l'a point abandonnée, mais encore lui a prété son appui; en conséquence, la Russie se croit par reconnaissance obligée à une neutralité bienveillante. En quoi consistera cette bienveillance c'est ce que l'Envoyé russe ne dit point; mais lui aussi croit à la grande probabillté d'une lutte entre la France et la Prusse; et ce sont sans doute les premiers événements de la guerre qui détermineront le Cabinet de Pétersbourg à faire connaitre la nature des marques de bienveillance qu'il se propose de donner à la Prusse.

Quant au Ministre de Prusse qui sans faire de propositions formelles au Cabinet autrichien, n'a pas laissé cependant que de glisser, mais vainement certaines insinuations pour l'engager à s'allier à la Prusse, en vue d'éventualités belliqueuses avec la France, il tient ici un langage très guerrier, et dit qu'avant trois mais, la lutte commencera. J'ai appris que dans l'intimité il se plaint de l'attitude de l'Italie qui selon lui, dans la crise actuelle, ne se montre pas assez prussienne.

Au milieu des appréhensions générales que font naitre des éventualités que chacun aperçoit à l'horizon dans un avenir prochain, il s'est produit ici un incident qui, sans avoir une grande importance, témoigne cependant des vives anxiétudes dans lesquelles vivent les Etats du Sud de l'Allemagne, et du peu de confiance qu'au fond ils ont dans la protection efficace de la Prusse vis-à-vis de la France. Le Cabinet de Munich a envoyé auprès de M. de Beust

M. le Comte de Tauffkirchen, Conseiller intime appartenant au Ministère des Affaires Etrangères pour connaitre les intentions du Gouvernement autrichien, en ajoutant que si la France venait à attaquer l'Allemagne, la Bavière dans l'état de désorganisation où se trouve son armée, ne serait pas en état de fournir plus de vingt mille hommes effectifs. Le Président du Conseil s'est borné à lui répondre que l'Autriche ne faisant plus partie de l'Allemagne, et les récents traités d'alliance offensive et défensive avec la Prusse étant venu donner le dernier coup à cette séparation, elle n'avait plus à se prononcer sur la situation en question.

(l) -Cfr. n. 405. (2) -Non pubblicati. (l) -Il brano fra asterischi è edito in LV 11, p. 28. (2) -Cfr. n. 359.
392

IL MINISTRO A BERLINO, DE LAUNAY, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI CAMPELLO

T. 253. Berlino, 20 aprile 1867, ore 13 (per. ore 15,50).

D'après informations que j'ai lieu de croire exactes, l'ordre a été donné secrètement de mettre sur pied de guerre l'armée active, non comprise encore la réserve. D'après semblable mesure l'armée prussienne serait prète en quatorze jours à se transporter sur un point quelconque du territoire.

393

IL MINISTRO A PARIGI, NIGRA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI CAMPELLO

T. 252. Parigi, 20 aprile 1867, ore 13,45 (per. ore 15).

D'après ce qu'on m'a dit ici l'idée de la neutralisation du Luxembourg n'est pas agréable au Gouvernement français qui préfère la destruction pure et simple de la forteresse.

394

IL DIRETTORE SUPERIORE DEGLI AFFARI POLITICI, ULISSE BARBOLANI, AL MINISTRO A BERLINO, DE LAUNAY

T. 167. Firenze, 20 aprile 1867, ore 17.

Rien n'est changé dans notre politique étrangère, nous désirons garder vis-à-vis de la Cour de Berlin l'attitude bienveillante et sympathique que vous connaissez. Nous attendons de Paris et de Londres des réponses qui nous mettront peut-ètre à mème de vous faire des communications importantes sur la question du jour.

L'époque du départ du prince Humbert et l'itinéraire ne sont pas encore fiixés.

395

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI CAMPELLO, AL MINISTRO A PARIGI, NIGRA

T. 168. Firenze, 20 aprile 1867, ore 18,30.

D'après votre réponse (l) je suis convaincu que notre médiation n'aboutirait à rien. Je vous ai écrit hier soir par courrier de Cabinet (2). Si après la

lecture de ma dépeche vous croyez que l'Empereur des français puisse désirer notre médiation vous pouvez lui dire que le Gouvernement italien serait très disposé à lui etre agréable et il donnerait dans ce sens ses instructions à son ministre à Berlin.

(l) -Cfr. n. 393. (2) -Cfr. n. 390.
396

IL DIRETTORE SUPERIORE DEGLI AFFARI POLITICI, ULISSE BARBOLANI, AL MINISTRO A BERLINO, DE LAUNAY

D. 2. Firenze, 21 aprile 1867.

Mi sono pervenuti i apporti che V. S. mi diresse in data 9, 11 e 14 corrente

N. l, 2, 3, 4, 5 e 6 della Serie Politica (1).

Mi pregio di trasmetterLe 13 documenti diplomatici facenti seguito a quelli che furono precedentemente inviati a codesta R. Legazione. La numerazione che essi portano è generale e comprende tutti i documenti destinati ad essere comunicati a più Legazioni. La S. V. non dovrà pertanto preoccuparsi delle lacune che Ella rileverà nella numerazione progressiva di quelli che Le sono spediti.

Invio a V. S., qui uniti, due annessi in cifra...

ALLEGATO L

ANNESSO CIFRATO (2).

Je Vous ai mandé hier par le télégraphe (3) que nous attendions des réponses de Paris et de Londres avant de Vous donner de nouvelles instructions sur les démarche:; à faire auprès de la Prusse dans le sens du maintien de la paix.

On nous a fait comprendre de Paris que notre médiation aurait été agréable mais on paraissait vouloir qu'elle eut pour bases: l'évacuation de la forteresse de Luxembourg et sa démolition sans porter aucun autre changement à la constitution politique actuelle du Grand Duché.

Dans un but de prévoyance pour l'avenir, car nos bons offices pourraient blen n'aboutir à aucun résultat satisfaisant, nous avions décidé de faire avant tout une démarche à Londres pour tàcher de nous entendre avec l'Angleterre, et aussi afin d'éviter de renouveler des propositions qui ayant déjà formé la base d'une première médiation auraient été repoussées par les puissances.

Nous avons répondu en mème temps à Paris que pour que les bases de la médiation fussent acceptables pour la Prusse il fallait, à notre avis, y ajouter tout au moins la neutralisation du territoire et de la ville de Luxembourg sous la garantie collectiYe des puissances.

* Les nouvelles qui nous arrivent par le télégraphe et les armements qui se font en Prusse et en France, ne nous laissent que fort peu d'espoir dans la réusslte d'une médiation pacifique *, je tiens cependant à Vous informer exactement dès aujourd'hul de la position que nous avons prise, dans ces affaires, afin que Vous puissiez préparer le terrain pour les communications que Vous pourriez ètre appelé à faire sous peu de jours.

ALLEGATO II.

ANNESSO CIFRATO.

Doria me mande de Bruxelles que les démarches faites par la Prusse dans le but de s'assurer, le cas échéant, l'appui de l'Autriche ont été fort mal accueillies à Vienne.

(l) -Cfr. nn. 364, 375 e 376. Gli altri rapporti non sono pubblicati. (2) -Questo annesso è edito in italiano, con alcune varianti e ad eccezione del brano fra asterischi, in L V 11, pp. 25-26. (3) -Cfr. n. 394.
397

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI CAMPELLO, ALL'INCARICATO D'AFFARI A BERNA, R. DE MARTINO (l)

D. 4. Firenze, 21 aprile 1867.

Venne jeri a vedermi il Ministro di Svizzera il quale entrando a discorrere della grave questione che preoccupa in questo momento le varie potenze dell'Europa, mi manifestò il desiderio di conoscere la linea di condotta politica che l'Italia si proponeva di tenere in questa occasione. Egli mi disse che la Svizzera per la posizione in cui si trova e pel timore di poter essere tratta in complicazioni pericolose, si preoccupava giustamente dell'attuale situazione, epperò il Governo federale avrebbe desiderato conoscere i nostri intendimenti a fronte della medesima. Ho risposto al Signor Pioda che la politica del Governo del Re non s'era mutata per il fatto della recente crisi ministeriale; essa si conteneva tutta nel discorso pronunziato da S. E. il Presidente del Consiglio nel presentarsi avanti la Camera dei Deputati. In questo il Governo del Re non esitava a dichiarare che dopo di aver assodato la sua indipendenza nazionale l'Italia doveva ormai rivolgere tutte le sue cure ad un savio ordinamento interno, di cui la parte che tocca alle finanze è principalissima. Due principii regoleranno dunque la nostra politica esteriore. Noi intendiamo, cioè, anzitutto preoccuparci delle condizioni interne del paese e mantenerci liberi da ogni impegno verso l'estero. Il nostro desiderio ed il nostro interesse sono che la pace sia mantenuta epperò noi non siamo alieni dal ricercare il modo per cui si possa impedire che la questione presente s'abbia a risolvere in una guerra fra due Potenze che ci sono amiche e alle quali ci uniscono uguali vincoli di riconoscenza.

È in questo senso signor Cavaliere, che io mi sono espresso col Ministro di Svizzera, ed Ella vorrà anche strettamente attenervisi nelle conversazioni ch'Ella potesse avere col signor Presidente di codesto Consiglio Federale.

P. S. Segno ricevuta del Rapporto N. 16 politico (2).

398

IL MINISTRO A PARIGI, NIGRA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI CAMPELLO

T. 255. Parigi, 22 aprile 1867, ore 21.

Reçu votre dépeche (3), il ne s'agit pas de médiation de l'Italie, il ne s'agit que d'un conseil amicai et bienveillant à donner au Cabinet de Berlin

dans un sens de conciliation et de paix. Je crois que le Gouvernement du Roi pourrait utilement et sans se compromettre conseiller à Berlin une solution qui aurait pour base évacuation del part de la Prusse et la renonciation à la possession du Luxembourg de la part de la France sauf à régler plus tard les autres questions relatives d'accord avec les puissances signataires du traité.

Cette solution qui peut-étre sera aussi recommandée par l'Angleterre me parait avoir quelque chance d'étre acceptée des deux còtés. Je vous écris demain par courrier (1).

(l) -Ed., con qualche variante, in LV 11, pp. 26-27. (2) -Non pubblicato. (3) -Cfr. n. 390.
399

IL DIRETTORE SUPERIORE DEGLI AFFARI POLITICI, ULISSE BARBOLANI, ALL'INCARICATO D'AFFARI A PIETROBURGO, INCONTRI

D. 71. Firenze, 22 aprile 1867.

Mi sono pervenuti i Rapporti ch'Ella mi diresse in data 10 Aprile N. 81-8283-84 e 85 Serie Politica (2).

Le trasmetto qui uniti quindici documenti diplomatici che per la loro natura riservata sono destinati a di Lei personale informazione. Osserverà la S. V. che alcuni di essi portano un numero d'ordine il quale però non è destinato che a mantenere ordinata la corrispondenza generale di questo Ministero. Ella quindi non dovrà far caso delle lacune nei documenti che Le saranno spediti. Bramerei soltanto che nell'accusarmene ricevuta Ella ne indicasse il numero.

Dall'insieme delle comunicazioni che Le sono dirette Ella ha gli elementi per giudicare la vera situazione della questione del giorno. Non posso comunicarLe per ora alcun dispaccio riguardante più particolarmente la politica del Governo del Re a fronte delle eventualità gravissime che presenta la questione del Lussemburgo. Posso dirLe però che nostro sincero desiderio sarebbe che la pace fosse mantenuta; ed il Governo del Re sarebbe lieto che l'occasione gli si presentasse di poter esercitare la propria azione diplomatica per ottenere un simile risultato. Del resto la dichiarazione fatta in Parlamento dal Presidente del Consiglio dei Ministri ha stabilito due principii che sono la norma e la base generale della nostra politica. L'Italia deve anzitutto preoccuparsi delle sue condizioni interne ed affermare la propria situazione politica indipendente da qualsiasi impegno verso l'Estero.

Le invio qui unito un annesso in cifra.

ALLEGATO.

ANNESSO CIFRATO.

Le Comte de Barrai mande de Vienne que le Comte de Stackelberg à son retour dans cette Capitale a fait comprendre ouvertement que l'attitude de la Russie dans la crise imminente sera celle d'une neutralité bienveillante envers la Prusse. En prenant cette attitude la Russie pourra tenir en échec l'Autriche et Elle parviendra peut-étre à empecher que cette dernière ne cherche dans une nouvelle guerre une revanche contre la Prusse.

Si la neutralité bienveillante de la Russie n'a pas d'autre but et ne cache aucune arrière pensée, elle ne peut qu'etre favorable à nos propres intérèts. La paix ne pouvant ètre conservée il faut du moins tàcher de localiser la guerre et nous sommes vivement et directement intéressés à tout ce qui peut empècher la France et l' Autriche de s'engager ensemble dans la lutte. On doit comprendre à Saint Pètersbourg combien notre situation deviendrait difficile dans une pareille hypothèse et on doit par conséquent apprécier les raisons qui nous portent en ce moment à ménager les susceptibilités de l'Angleterre. Il faudrait que rien ne vint les éveiller dans la question orientale. Nous pensons que si l'on veut éviter de plus grandes calamités il faut que rien de nouveau n'arrive en Orient. L'affaire de Crète dans laquelle la Grande Bretagne a déjà déclare ne pas vouloir s'intéresser, devrait ètre soigneusement circonscrite. Il nous parait certain qu'en ce cas l'Autriche ne cherchera pas de son còté à s'étendre dans les provinces ottomanes, ce qu'elle pourrait bien etre tentée de faire si une insurrection sur ses frontières du Sud lui en foumissait le prétexte.

Je Vous fais part de ces appréhensions qui sont bien légitimes afin que Vous cherchiez dans une conversation confidentielle avec le Prince Gortchacoff à obtenir de lui quelques déclarations sur la politique que la Russie se propose de suivre en présence des complications actuelles. Ces déclarations ne seraient que la continuation des rapports suivis et pleins de confiance mutuelle si heuresement entretenus jusqu'ici par le Comte de Launay.

(l) -Cfr. n. 405. (2) -Non pubblicati.
400

IL DIRETTORE SUPEHIORE DEGLI AFFARI POLITICI, ULISSE BARBOLANI, AL MINISTRO A VIENNA, DE BARRAL

D. 27. Firenze, 22 aprile 1867.

Mi è regolarmente pervenuto il suo apporto N. 23 di Serie politica (l). Mi pregio di trasmetterLe 16 documenti diplomatici facenti seguito etc. (Vedi dispaccio N. 13/2 alla R. Legazione in Berlino, in data 21 aprile 1867) (2). Le invio qui unito un annesso in cifra...

ALLEGATO.

ANNESSO CIFRATO.

Je vous remercie des renseignements que vous m'avez donnés dans votre dépèche du 19. n parait en effet qu'il devient de plus en plus difficile d'éviter une guerre entre la France et l'Allemagne. La neutralité bienveillante de la Russie suffira peut-ètre à tenir en échec l'Autriche qui autrement aurait été tentée de chercher une révanche. L'attitude de M. de Stackelberg peut facilement s'expliquer dans ce sens et elle serait alors un moyen sur pour empècher que le conflit ne prit des proportions encore plus graves.

Notre intérèt est dans le maintien de la paix, et si la guerre doit avoir lieu nous désirerions la localiser et en restreindre les limites le plus possible.

Nous n'hésitons point à croire que M. de Beust comprend la nécessité pour l'Autriche de rester neutre, mais l'Empereur et le parti militaire ont-ils abandonné les idées de prendre une revanche? Les nouvelles de Dalmatie portent qu'on y fait des préparatifs qui sans avoir encore rien d'alarmant prouvent que l'Autriche prévoit le cas où elle devrait prendre une part quelconque à la lutte.

La neutralité sera notre conduite; elle est conforme aux besoins impérieux de notre ;;ituation financière. Si l'occasion s'en présentera nous offrirons nos bons offices dans

un but de pacification ou pour faciliter un entente, mais quant à vous gardez la plus grande réserve et surtout ne perdez point de vue les velléités du parti de l'Empereur et continuez à me renseigner comme vous l'avez fait jusqu'ici.

(l) -Cfr. n. 391. (2) -Cfr. n. 396.
401

IL MINISTRO A VIENNA, DE BARRAL, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI CAMPELLO

R. 24. Vienna, 22 aprile 1867.

D'après les dernières conversations qu'il a eues avec quelques membres du Corps diplomatique, le Baron de Beust ne paraissait plus avoir grande espérance d'amener une conciliation entre la Prusse et la France dans la question du Luxembourg qui du reste, par la ténacité que l'on y a apporte de part et d'autre, semble tenir à des motifs bien autrement sérieux que la possession de ce petit territoire. De son còté, le Baron de Werther dit qu'en présence des manifestations de l'opinion publique en Allemagne, la Prusse se trouve d'autant moins en état d'évacuer la forteresse de Luxembourg, qu'elle aurait tout à fait l'air de céder à la pression de la France. Les probabilités d'une lutte prochaine paraissent donc gagner de jour en jour plus de terrain; et l'attitude résolue de la Prusse qui cependant ne peut se dissimuler les dangers d'une aussi grosse partie, donne de plus en plus à penser qu'elle doit avoir certainement reçu la promesse secrète d'un secours armé de la Russie, dans le cas où elle viendrait à ètre attaquée la première, sur le Rhin, par la France. L'on trouve ici que cette situation rappelle beaucoup celle qui a précédé la guerre de l'année dernière entre la Prusse et l'Autriche et où (comme on le croit par analogie dans la circonstance présente) chacune des deux grandes Puissances cherchait à gagner du temps pour compléter ses armements, tout en essayant de rejeter sur l'autre la responsabilité de l'agression.

Dans ma dépèche du 19 courant (l), je signalais à l'attention de V. E. le récent voyage à Vienne du Comte de Tauffkirchen qui en prévision d'une guerre avec la France, était venu essayer d'intéresser l'Autriche à la situation si di.tllcile qui en résulterait pour la Bavière. Je m'empresse d'ajouter aujourd'hui que l'Envoyé bavarois ne se serait pas seulement borné à cette mission, mais qu'il aurait en outre été chargé d'une proposition d'alliance offensive et défensive entre la Prusse et l'Autriche, proposition qui aurait été positivement déclinée par le Gouvernement autrichien.

A ce propos, je ne puis que pleinement confirmer à V. E. ce que déjà j'ai eu l'honneur de Lui mander sur l'intention bien arrètée de l'Autriche de garder la plus stricte neutralité. Suivant le cours que prendront les événements, l'Autriche pourra naturellement plus tard sortir de cette neutralité. mais pour le moment, c'est bien positivement le dernier mot de sa politique éminemment expectante.

Ainsi que j'avais l'honneur d'en informer V. E., l'Autriche, à part la transformation de ses fusils en d'autres armes se chargeant par la culasse, ne fait, il est vrai, aucuns préparatifs de guerre en approvisionnements, achats de chevaux etc.; mais il est essentiel de remarquer que n'ayant plus à se défendre en Venétie et sure désormais, au moins pour quelque temps, de la parfaite tranquillité de la Hongrie, les trois-cent mille hommes dont elle peut à tout instant disposer, sont amplement suffisants pour lui permettre de prendre, à un moment donné, et avec toutes les chances de succès, l'attitude militaire que lui conseilleront ses intérets.

(l) Cfr. n. 391.

402

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI CAMPELLO, AL MINISTRO A BERLINO, DE LAUNAY

T. 170. Firenze, 23 aprile 1867, ore 17,45.

Le ministre du Roi à Paris nous dit qu'il croit que le Gouvernement du Roi pourrait utilement et sans se compromettre conseiller à Berlin une solution qui aurait pour base l'évacuation de la part de la Prusse et la renonciation à la possession du Luxembourg de la part de la France sauf à régler plus tard les questions relatives d'accord avec les Puissances. Nigra croit (l) que l'ambassadeur d'Angleterre fera demain une démarche dans ce sens auprès de Bismarck. Croyez-vous que nos conseils amicaux et bienveillants seraient bien reçus à Berlin? (2)

403

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI CAMPELLO, AL MINISTRO A PARIGI, NIGRA

T. 171. Firenze, 23 aprile 1867, ore 17,45.

Dans ma dépeche écrite du 19 (3) je ne vous ai pas parlé d'une médiation à proposer par l'Itali:e. Je viens de télégraphier à De Launay (4) pour m'assurer que nos conseils dans le sens que vous m'avez indiqué seraient agréés à Berlin; mais toujours faudrait-il connaitre d'une manière officielle si réellement la France serait disposée à renoncer à la possession éventuelle du Luxembourg dans une forme qui présenterait quelque garantie pour la Prusse. Il faut surtout tenir compte qu'en Allemagne on considère la question du Luxembourg camme un prétexte et partant le Cabinet de Berlin est tenu à ne point céder une position stratégique d'une aussi grande importance sans etre assuré contre un retour prochain des difficultés présentes. Nous ne voulons avoir l'air de pencher ni vers les uns, ni vers les autres.

(l) -Cfr. t. 260, pari data, ore 14 (per. ore 15,50). (2) -Per la risposta cfr. n. 407. (3) -Cfr. n. 390. (4) -Cfr. n. 402.
404

IL MINISTRO A LONDRA, D'AZEGLIO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI CAMPELLO

R. CONFIDENZIALE 673/244. Londra, 23 aprile 1867 (per. il 28).

*Appena ricevuto Domenica sera il telegramma di V. E. (l) che annunciava per oggi l'arrivo di dispacci importanti scrissi a lord Stanley. Mi ricevette oggi alle quattro * (2).

Entrai subito in materia dicendogli che l'importanza che s'attribuiva dal Governo del Re a questi dispacci non solo, ma alla risposta che vi si farebbe e che doveva far conoscere immediatamente, mi avevano fatto temere che fossimo alla vigilia di complicazioni in cui tutta Europa deve trovarsi sobbarcata. *Brevemente riassunto l'oggetto del dispaccio del 19 aprile * (3) (Serie Politica N. 17) C4) che ero incaricato di leggergli, feci osservare al Ministro degli Esteri che in noi troverebbe coadiutori tanto più sinceri che per noi più disastrosa sarebbe la guerra che minacciava dappoiché trattavasi di potenze che come nostre alleate già avevano prestato l'opera loro a pro' d'Italia, e con le quali ugualmente eravamo legati per riconoscenza senza che precisamente avesse l'Italia a parteggiare più per l'una, che per l'altra. Occupati come eravamo di questioni interne, e di consolidar ciò che a stento dopo anni e fatiche avevamo messo assieme desideravamo pace fra i nostri amici. E se anche questi amici avessero interpretato i doveri della riconoscenza coll'unire i nostri coi loro destini in guerra, realmente sarebbe la scelta stata difficile. Non occorreva grande argomentare per prova del nostro vivo desiderio di impedire una conflagrazione Europea che tosto o tardi trascinerebbe tutti nel suo vortice. Era dunque mio dovere oggi il comunicargli l'offerta che faceva il Governo di unirsi all'opera del Governo Britannico per arrivare al pacifico comporsi della difiìcoltà Luxemburghese e gli lessi il Dispaccio come ne avevo ordine.

Finita questa lettura * Lord Stanley senza esitare mi disse che la sua risposta sarebbe breve e sperava ci soddisferebbe.

Disse che non potea che sapere con viva soddisfazione che volessimo coadiuvare a quest'opera di pace; che non si potea non riconoscere quanto disinteressati fossero in ciò i motivi che ci facevano agire così. E che non v'era dubbio che la voce d'Italia potrebbe essere un efiìcace ausiliare per condur le cose a buon termine. Egli approvava dunque che unissimo i nostri buoni ufiìcii in questa vertenza * ed in quanto al comunicarci le sue idee a questo riguardo era pronto a farlo.

Mi disse che probabilmente sapevo per parte dell'Imperatore dei Francesi a che punto stessero le cose. Gli replicai che l'ultima volta che avevo avuto il bene di vederlo egli m'avea detto che trovandosi l'Inghilterra fra due prin

37 -Documenti diplomatici -Serle I -Vol. VIII

cipii opposti ed in cui nessuno dei contendenti pareva disposto a cedere il mediatore avrebbe ditllcoltà ad agire. *Lord Stanley mi disse che da quell'epoca le cose avevano cambiato in questo senso che l'Imperatore avea fatto una formale rinuncia a qualunque pretensione di territorio da annettersi alla Francia.

Il Governo Inglese tenendo conto di questo passo aveva pensato che per corrispondere a questo passo avanti fatto dalla Francia per arrivare ad un accomodamento era d'uopo che la Prussia ne facesse uno corrispondente evacuando la fortezza * (1), senza entra,re in discussione sulla questione di diritto. Questo punto era dunque quello che prima era a chiarire e che per conseguenza il Governo Inglese aveva dovuto sottoporre a Berlino. Questo era il nodo della questione, poiché se veniva risposta negativa rimaneva poca speranza di riuscita. Mentre se si perveniva a far rinunciare la Prussia a quest'occupazione era facile delle due o tre soluzioni trovarne una ammessibile. n Governo Inglese non ne patronava nessuna, ma era ugualmente pronto a discuterle tutte.

Chiesi allora cosa intendesse per queste varie soluzioni. Se fosse per esempio quella di cedere il Luxemburgo al Belgio con compensi in territorio alla Francia.

Lord Stanley rispose che questa soluzione era messa avanti dall'Austria e che aveva dovuto essere abbandonata principalmente per un'opposizione formale del Belgio il quale non pareva amasse molto stabilire precedenti per consimili scambii di territorii. Ma nulla ostava che si potesse forse fare col Belgio una vendita per danari o che si neutralizzasse il Luxemburgo !asciandolo all'Olanda. Infine ripeté che quando si fosse una volta deciso il punto principale il resto da regolarsi sarebbe secondario.

Alla mia questione sull'impressione prodotta in lui medesimo per la probabilità di riuscita, rispose che finora non osava sperar molto, e che il Conte Bismarck era partito per la campagna. Altro cattivo segno.

Siccome egli aveva intanto che parlava preso varie note così pensai per maggior precisione di condensar in un telegramma per V. E. quanto di più importante aveva detto e lord Stanley mi disse di farlo con mio comodo e quando poi gliene diedi lettura prima di spedirlo a V. E. trovò che era giusto.

Le conversazioni degli uomini di Stato Inglesi non sono mai oltre al necessario. E così fosse dappertutto. Venutosi così fra noi ad un'intesa su quanto aveva motivato la mia visita mi congedai e lord Stanley ripetendo molte frasi lusinghiere e gentili mi disse che venissi qualunque volta mi convenisse ed avrebbe sempre avuto gran piacere a darmi tutti i schiarimenti che dipendessero da lui.

Mi par d'avere esattamente ricapitolato le idee che fra noi si scambiarono ed adempito ai desiderii di V. E.

Queste cose tutte ho in breve raccolte nel telegramma che oggi stesso ho avuto l'onore di spedire all'E. V. ».

(l) -Non pubbllcato. (2) -I brani fra asterischi sono editi in LV 11, pp. 31-32, con alcune varianti. (3) -In LV 11 qui aggiunto: «ed esposti alcuni concetti generali, diedi lettura di quel documento a Sua Signoria». (4) -Cfr. n. 389.

(l) Il testo edito in LV 11 termina così: « Lord Stanley conchiuse col dire essere questala soluzione che appariva per ora di più probabile riuscita ed alla quale egli ci invitava a cooperare. Ma nel caso in cui una tale soluzione incontrasse ostacoli, il Governo inglese non disperava vederne adottata un'altra qualsiasi, se il Governo prussiano vorrà dare il suo consentimento alìo sgombero della fortezza.

405

IL MINISTRO A PARIGI, NIGRA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI CAMPELLO

R. CONFIDENZIALE 432. Parigi, 23 aprile 1867 (per. il 26).

*Ho ricevuto il dispaccio che l'E. V. mi fece l'onore di dirigermi il 19 corrente (Serie politica n. 224 confidenziale) (l), insieme alla spedizione aftldata al Corriere di Gabinetto che proseguì il suo viaggio per Londra. La ringrazio particolarmente della comunicazione fattami del dispaccio diretto al Marchese d'Azeglio (2).

Non credo di dover attendere il ritorno del Corriere per risponderle, giacché ogni ritardo apportato nella soluzione delle vertenze del Lussemburgo aggiunge nuove diftlcoltà ad un componimento pacifico. È da temersi infatti che se la soluzione si fa aspettare soverchiamente, giunga il tempo in cui non sarà più possibile ai Governi di Francia e di Prussia di dominare la situazione e di frenare le tendenze appassionate delle popolazioni rispettive * (3).

La soluzione consistente nell'annessione al Belgio del Lussemburgo, ed alla Francia dei territori di Philippeville e di Marienbourg, pare non abbia piaciuto né a Berlino né a Parigi. Questa soluzione, immaginata a Londra, (a quanto mi fu detto) dal Barone Brunnow, Rappresentante della Russia in Inghilterra, sarebbe stata messa avanti dal Gabinetto di Vienna.

Il Governo Inglese, fino a quest'ultimo giorno, si era mostrato avverso ad ogni ingerenza diplomatica, anche oftlciosa, nella vertenza. Ma ora, in seguito al desiderio manifestato dallo stesso Imperatore Napoleone, *il Gabinetto di Londra si è * finalmente *deciso a fare presso il Gabinetto di Berlino uftlzii amichevoli per indurre la Prussia ad accettare un componimento * ragionevole.

* Il rappresentante Britannico a Berlino fu quindi incaricato di consigliare al Conte Bismarck una soluzione avente per base l'evacuazione della fortezza di Lussemburgo per parte della guarnigione Prussiana e l'impegno della Francia di rinunziare ad ogni pretesa di possesso del Granducato. Se questa base fosse accettata in massima, le questioni secondarie sarebbero poi risolte più tardi e d'accordo colle Potenze segnatarie delle stipulazioni del 1839. L'assenza da Berlino del Conte Bismarck non permise ancora a lord Loftus di fare al Governo Prussiano la comunicazione di cui fu incaricato. Ma il Conte Bismarck sarà domani a Berlino e credo che nello stesso giorno riceverà le comunicazioni dell'Ambasciatore Britannico. La Francia accetta queste basi. Rinunciando ad ogni pretesa sul Lussemburgo, il Governo francese accorda così quella guarentigia di pacifiche intenzioni per l'avvenire che pare stia principalmente a cuore del Gabinetto di Berlino. Ma v'ha di più. Dal linguaggio che mi si tiene qui, ho tutta ragione di credere che la Francia accetterebbe ogni soluzione

Il) Cfr. n. 390.

che avesse per risultato l'evacuazione della guarmgwne prussiana dal Lussemburgo. Essa accetterebbe quindi anche la neutralizzazione del Granducato* ed anche l'annessione al Belgio del Lussemburgo e la rettifica di frontiera di cui ho parlato di sopra. *Ma quello che la Francia desidera si è che l'evacuazione abbia luogo e non si faccia troppo aspettare*. Io non posso a meno di riconoscere la perfetta legittimità di questa domanda e di questi desiderii della Francia. *Una soluzione avente per base l'evacuazione della fortezza per parte della Prussia e la rinunzia ad ogni titolo di possesso del Lussemburgo per

parte della Francia, è ragionevole ed equa *. Il Gabinetto di Berlino può coscenziosamente accettarla. Essa è onorevole per entrambe le parti. * Mi permetto perciò di insistere presso l'E. V. affinché il Governo del Re, che ha il massimo interesse ad evitare la guerra fra due Nazioni a cui è stretto da vincoli d'amicizia, faccia pervenire a Berlino consigli amichevoli, per indurre la Prussia ad aderire ad un componimento sulle basi suddette *, le quali hanno già ottenuto l'assenso dell'Inghilterra, e otterranno senza fallo quello delle altre Potenze interessate. Non si tratta, ben inteso, d'una mediazione che non ci è chiesta, e che forse non sarebbe accettata, se offerta. *Si tratta unicamente d'usare, in un senso di conciliazione e di pacificazione, del diritto che compete ad una Potenza amica ed interessata al mantenimento della pace, di far pervenire ad un'altra Potenza amica consigli dettati da un sentimento di benevolenza* e d'interessamento. L'Imperatore Napoleone non desidera la guerra. Sono convinto che questo suo desiderio è sincero. Ma se l'evacuazione del Lussemburgo non sarà ottenuta entro un termine ragionevole, il Governo francese sarà irresistibilmente trascinato a tirar la spada. L'eccitazione è grande in tutte le classi della popolazione francese. Dirò di più. In questa questione non c'è divergenza di partiti. Legittimisti, Orleanisti, Repubblicani d'ogni colore, correranno uniti sotto le aquile imperiali al primo grido di guerra contro la Prussia. Gli armamenti in Francia sono in verità ben lungi dall'essere completi. Ma vi si lavora con attività. La classe del 1865 che doveva soltanto essere chiamata sotto le armi nel gennajo prossimo, anticipa il servizio di sei mesi. Le batterie di artiglieria non hanno ancora cavalli che per cinque pezzi; ma la compra de' cavalli si prosegue alacremente. Non v'è dubbio che se la guerra avrà luogo, la lotta sarà intrapresa e sostenuta con entusiasmo e con vigore. La situazione mi pare quasi identica in Prussia. Il Governo Prussiano non cerca la guerra; ma se scoppia, sarà accettata intrepidamente dalle popolazioni e sarà condotta con eguale vigore. Il pericolo è dunque grave ed è imminente. C'è appena il tempo di scongiurarlo con una pronta soluzione. Il Governo francese è disposto ad accettare proposte che parranno ragionevoli ad ogni uomo imparziale. Il Gabinetto di Berlino non può non mostrarsi egualmente moderato e ragionevole.

P. S. Ho l'onore d'accusarle ricevuta del dispaccio del 19 corrente n. 223 serie politica (1). Ringrazio V. E. pei documenti comunicatimi co nquesto e con un biglietto del giorno successivo, 20 aprile.

(2) -Cfr. n. 389. (3) -I brani fra asterischi sono editi In LV 11, pp. 29-31.

(l) Non pubblicato.

406

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI CAMPELLO,

AL MINISTRO A BERLINO, DE LAUNAY

(Ed. in italiano e con qualche variante, in L V 11, p. 29)

T. 174. Firenze, 24 aprile 1867, ore 1,30.

Une démarche que d'Azeglio a été chargé de faire auprès de lord Stanley pour connaitre le manière de voir de l'Angleterre dans la question du Luxembourg a été fort bien accueillie (1). Lord Stanley a dit que l'Empereur des français avait cédé quant à l'annexion du territoire et que le Gouvernement britannique était d'avis que c'était maintenant à la Prusse à se preter à un arrangement en concédant la retraite de ses troupes du Luxembourg. Tel est le sens de la proposition que l'ambassadeur d'Angleterre est chargé de faire à Berlin. Si cette proposition n'était point repoussée par M. de Bismarck deux ou trois solutions possibles pourraient etre discutées avec la probabilité de s'entendre et d'éviter ainsi la guerre. Si vous jugez pouvoir donner un bon conseil pacifique dans le sens de la proposition anglaise qui au fond est la meme que celle que je vous ai télégraphiée, ne manquez pas de le faire le plus tòt possible. Le langage que M. de Bismarck a tenu au comte Puliga nous autorise à croire qu'il déplorerait aussi bien que nous une guerre qu'il a luimeme déflnie un assaut de salle d'armes.

407

IL MINISTRO A BERLINO, DE LAUNAY, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI CAMPELLO

T. 262. Berlino, 24 aprile 1867, ore 15 (per. ore 17,56).

Aucune communication officielle n'a été faite jusqu'à présent à Berlin. Bismarck, absent depuis quelques jours, ne reviendra que ce soir. En attendant j'ai préparé le terrain dans le sens de vos instructions télégraphiques (2). Il y aurait encore quelque chance de conciliation si la France ne créait pas des obstacles sérieux par des armements considérables. Le Gouvernement prussien nie, de son còté, officiellement mise sur pied de guerre ou mobilisation.

408

IL MINISTRO A PARIGI, NIGRA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI CAMPELLO

T. 263. Parigi, 24 aprile 1867, ore 16,15 (per. ore 18).

Dans les sphères officielles de Berlin on dit tout haut que le Gouvernement italien est convaincu que la France désire la guerre. Ce propos arrive de Berlin

à Paris. Je vous en prevHms pour que vous putss1ez démentir à Be·rlin si vous le croyez convenable (1). Ma conviction est que l'Empereur désire la paix, et qu'il est disposé à accepter toute solution, meme la neutralisation pourvu que l'évacuation ait lieu le plus tòt possible.

(l) -Cfr. n. 404 del cui contenuto Azeglio aveva dato notizia col t. 261 del 23 aprile, non pubblicato. (2) -Cfr. n. 402.
409

IL MINISTRO A PARIGI, NIGRA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI CAMPELLO

T. 264. Parigi, 24 aprile 1867, ore 16,45 (per. ore 19,30).

Je crois utile de constater, pour toute bonne fin, que le Gouvernement français ne m'a fait aucune demande officielle d'employer nos bons otllces à Berlin. Ce n'est que dans des conversations privées que l'on m'a laissé comprendre que nos conseils amicaux au Cabinet de Berlin auraient été vus avec plaisir ici.

410

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI CAMPELLO, ALL'INCARICATO D'AFFARI A COSTANTINOPOLI, DELLA CROCE

D. 45. Firenze, 24 aprile 1867.

Il Ministro di Turchia venne d'ordine del suo Governo, a darmi lettura d'un dispaccio, direttogli da S. A. Fuad Pascià, del quale stimo utile far conoscere a V. S. la sostanza.

S. A. il Ministro Ottomano degli Affari Esteri comincia con esporre come

V. S. abbia avuto coll'Altezza Sua, relativamente agli Affari di Candia, un colloquio inteso allo stesso scopo cui aveva mirato, due giorni innanzi, l'Ambasciatore di Francia in una conversazione analoga e soggiunge che avendo risposto negli stessi termini cosi a V. S. come al signor Bourée gli basterà pertanto riferire il colloquio avuto con quest'ultimo per definire la portata degli officii fatti da Lei e per indicare chiaramente il pensiero e la ferma intenzione del Governo Imperiale.

Secondoché è riferito nel dispaccio di S. A. Fuad Pascia, l'Ambasciatore di Francia cominciò il suo discorso collo stabilire che l'interesse generale esigeva che la Turchia si liberasse da tutte le preoccupazioni e le ditllcoltà creategli dalla questione di Candia. Indi soggiunse che la Francia, d'accordo con alcune altre Potenze, era d'avviso che i delegati venuti ultimamente da Candia a Costantinopoli, essendo stati scelti fra la popolazione delle città e distretti i quali subivano l'inftuenza delle Autorità Ottomane non si potevano considerare come i rappresentanti legittimi della popolazione dell'Isola; essere quindi necessario procedere a nuove elezioni sotto la sorveglianza dei Consoli delle

Potenze straniere. Era poi intendimento del Governo dell'Imperatore che un tal plebiscito dovesse essere preceduto dalla cessazione immediata delle ostilità in tutte le parti dell'Isola.

S. A. Fuad Pascià rispose, facendo osservare innanzi tutto che l'insurrezione di Creta propriamente detta era da lungo tempo sedata e che ora trattavasi soltanto di scacciare fuori dell'Isola gli avventurieri stranieri e di cancellare le tracce delle loro mene sovversive. Ricordò poscia come appena gli insorti Candioti sudditi del Sultano ebbero fatto la loro sottomissione, la Sublime Porta accordasse loro un'amnistia larga ed intiera e si applicasse a ricercare i mezzi più adatti per istituire nell'Isola un'amministrazione forte la quale valesse ad impedire nuovi disordini pell'avvenire ed a sviluppare il benessere di tutte le classi della popolazione. Per conseguire questo intento il Governo Imperiale aveva inviato un firmano col quale ordinava che ogni distretto fornisse due o tre delegati Musulmani e Cristiani, i quali darebbero alla Commissione formata per il riordinamento dell'amministrazione dell'Isola quegli schiarimenti che loro sarebbero richiesti nell'interesse dei bisogni del paese. Osservava però espressamente Fuad Pascià che con questo procedere il Governo Imperiale non intendeva punto applicare a Candia il principio del suffragio universale, e tanto meno poi di radunare un'Assemblea Costituente. La Sublime Porta tutto a se riserba il diritto di preparare le leggi destinate a reggere la nuova Amministrazione in Candia, e di ricercare i mezzi atti ad assicurare la tranquillità e la prosperità delle popolazioni a lei soggette. Epperò il mandato dei delegati inviati da Creta deve aversi come puramente consultivo. Le dichiarazioni del Governo Imperiale non ammettono alcun dubbio al riguardo ed il metodo di scelta impiegato risponde allo scopo prefisso; mentre invece nel suggerire nuove elezioni sulla base del suffragio universale, le Potenze sembravano proporsi un tutt'altro intento.

L'Ambasciatore di Francia rispose che lo scopo della proposizione del Governo Imperiale francese quello era di giungere a conoscere le vere aspirazioni della popolazione di Candia se questa cioè desiderasse istituzioni analoghe a quelle di Samos, oppure se volesse erigersi in un Principato semi-indipendente quali sono la Moldo-Valacchia e la Serbia od infine se preferisse invece la sua annessione diretta al Regno Ellenico. Il Gabinetto delle Tuileries era d'avviso, soggiungeva il signor Bourée, che il Governo Ottomano, prendendo per base della sua politica le aspirazioni delle popolazioni manterrebbe la propria dignità e rimuoverebbe ogni causa di conflitto ponendo se stesso in grado di spiegare maggior energia in quelle altre parti della Turchia d'Europa ove per avventura scoppiassero altri disordini, quindi conchiudeva col dire che anzi tutto le Potenze desideravano il mantenimento dell'Impero Ottomano e che il consiglio stesso di cedere Candia ne era una prova.

Stando sempre alla Nota della quale Rustem Bey mi diede lettura S. A. Fuad Pascià avrebbe replicato che qualunque sia l'interesse che le Potenze prendono per la conservazione dell'Impero Ottomano, Esse debbono pure ammettere che la Sublime Porta può meglio d'ogni altro Governo conoscere ed apprezzare i proprii bisogni e vedere i pericoli che la minacciano, che la proposizione che Le veniva fatta sarebbe stata altrettanto funesta nei risultati quanto lo era nella forma, e che se a lui non ispettava discutere sul valore pratico del suffragio universale come mezzo per conoscere le aspirazioni dei popoli né sulle conseguenze ch'esso aveva già prodotto in Europa, incombevagli però di dichiarare che il diritto di Sovranità dell'Impero Ottomano era fondato sopra altri principii. Soggiungeva quindi Fuad Pascià essere affatto impossibile pel Governo del Sultano lasciarsi spogliare de' suoi diritti coll'applicare a Candia un plebiscito che potrebbe domani essere esteso a tutto l'Impero. Il Ministro Imperiale non sapeva pertanto comprendere come quelle stesse Potenze le quali considerano il mantenimento della Turchia come indispensabile all'equilibrio europeo, gli facessero una proposta che ove fosse accettata condurrebbe alla distruzione dell'Impero. L'Isola di Candia non può essere assimilata né a Samos né ai principati Danubiani, perché quei paesi sono abitati da una popolazione omogenea, mentre invece tutte le altre parti dello Impero si trovano in condizioni affatto diverse.

In Candia contansi circa 120.000 mussulmani e 200.000 Cristiani ed una buona metà del suolo appartiene ai primi. Riesce pertanto impossibile di impiantarvi un'amministrazione cristiana. La Sublime Porta proclamò in favore dei suoi sudditi cristiani il principio di uguaglianza che viene sinceramente applicato, ma sebbene sia disposta ad estenderne ancora più l'applicazione non intende però eliminare dall'amministrazione del paese l'elemento musulmano. Sviluppando ampiamente quest'argomento, S. A. Fuad Pascià mise in rilievo la gravità della scossa che una tale proposizione porterebbe alle condizioni stesse d'esistenza dell'Impero e dichiarò che la Sublime Porta non poteva accettarla senza sottoscrivere la sua propria rovina. Per ciò che riguarda l'annessione di Candia alla Grecia, Fuad Pascià avrebbe dichiarato esplicitamente all'Ambasciatore di Francia che per ottenere una siffatta cessione era mestieri di un nuovo N avarino.

Nessuna potenza soggiunse egli è abbastanza forte oggidì per resistere agli sforzi riuniti delle maggiori Potenze; non è quindi una umiliazione pel Governo Imperiale Ottomano lo ammettere che non può far fronte con successo ad una coalizione armata dell'Europa; ma se contro tutti i principii di equità e di umanità una coalizione di tal fatta dovesse aver luogo, questa dovrebbe non solo distruggere la ftotta e l'esercito Ottomano, ma discacciare colla forza i 120 mila Mussulmani di Candia, esponendosi anche ad incontrare le conseguenze di ciò che la disperazione potrebbe suggerire a quest'ultimi.

Il signor Bourée dopo aver prestato molta attenzione alle parole pronunziate da Fuad Pascià avrebbe procurato di far penetrare nell'animo di lui la convinzione che la proposta suggerita dalle Potenze era motivata dal desiderio sincero di liberare la Turchia dalle sue dimcoltà presenti e di favorire lo sviluppo de' suoi veri interessi. Siccome poi per una parte le Potenze non intendevano di dare ad ogni costo Candia alla Grecia e per altra parte non potevasi con giustizia escludere a priori nel programma d'un plebiscito il voto per una tale annessione, così al Governo Ottomano rimaneva pur sempre la speranza che nella votazione fatta da una popolazione di cui il terzo è musulmano, il partito dell'annessione potrebbe facilmente riuscire soccombente.

S. A. Fuad Pascià avrebbe quindi posto fine alla sua conversazione col signor Bourée ripetendo le osservazioni precedentemente esposte circa l'inammissibilità del principio del suffragio nell'Impero Ottomano e le conseguenze che deriverebbero dall'applicazione di un tale principio.

Il dispaccio del quale Rustem Bey venne a darmi lettura termina coll'autorizzazione fatta da Fuad Pascià all'Inviato del Sultano di darmene lettura affinché il Governo del Re conosca i veri motivi che vietano alla Sublime Porta di aderire alle proposte fattele. Nel compiere l'incarico affidatogli Rustem Bey mi espresse la fiducia che noi sapremo apprezzare con giustizia ed imparzialità le ragioni che impongono alla Porta una simile condotta.

Non credo sia mestieri ch'io qui rinnovi alla S. V. le istruzioni generali che Le furono date da questo Ministero. In esse, e sovratutto nel dispaccio del 20 Marzo scorso (l) sono svolte le ragioni per le quali noi abbiamo stimato dover unire i nostri sforzi a quelli delle altre Potenze per ottenere che col togliere di mezzo le difficoltà presenti il Governo Ottomano provvedesse all'avvenire.

Come già ebbi ad informarla col telegrafo (2) i Governi di Francia e di Russia si sono messi d'accordo per rinnovare le proposte fatte alla Porta in una forma identica e collettiva. Ella è stata autorizzata a prendere parte agli atti diplomatici che in questo senso saranno fatti dai Rappresentanti delle Potenze. Importa che la questione di Creta sia prontamente definita per escludere ogni pericolo di maggiori complicazioni.

(l) Per la risposta cfr. n. 416.

411

IL MINISTRO A BERLINO, DE LAUNAY, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI CAMPELLO

R. CONFIDENZIALE 10. Berlino, 24 aprile 1867 (per. il 30).

* Quoique je fusse malade depuis plusieurs jours, je ne cherchais pas moins à me tenir au courant de la situation. Or il me résultait que durant l'absence du Comte de Bismarck, qui ne reviendra que ce soir, aucune détermination ne serait prise.

Je me proposais précisément de me rendre aujourd'hui au Ministère des Affaires Etrangères pour sonder mieux encore le terrain, quand j'ai reçu durant la nuit, à peu d'heures d'intervalle, les deux derniers télégrammes de V. E. * (3). Les instructions se rapprochaient de la manière de voir que j'avais exprimée dans mon rapport confidentiel n. 7 ( 4). C'était un motif de plus pour tacher de m'y conformer de mon mieux.

* Dans l'entretien que je viens d'avoir avec M. de Thiele, j'ai parlé dans les termes suivants.

«Nous ne voulons ni préjuger vas décision, ni donner des avis qui ne répondraient pas entièrement à ce que pourraient exiger vas intérèts et votre dignité. Les plus grands ménagements nous sont d'ailleurs indiqués vis-à-vis d'une nation liée à la nòtre par des souvenirs si récents. Nous ne voudrions nous associer, méme indirectement, à une démarche quelconque, tant que nous n'aurions pas préalablement la conviction morale que nos bons offices rencontreraient l'assentiment de la Prusse. Mais camme nous deplorerions autant que le Comte de Bismarck une guerre que, selon ses propres expressions, nous définlrions un assaut de maitre d'armes, et que de part et d'autre nous avons de puissants motifs pour travailler à la conservation de la paix, nous nous estimerions heureux de contribuer, par notre attitude et notre langage pacifiques, à aplanir un différend qui prend des proportions si menaçantes. D'après un télégramme, que je viens de recevoir de Florence, le Marquis d'Azeglio ayant fait une démarche, fort bien accueillie, pour connaitre les dispositions de l'Angleterre dans la question du Luxembourg, lord Stanley lui a dit que l'Empereur des français avait cédé quant à l'annexion du territoire et que le Gouvernement britannique était d'avis que c'était maintenant à la Prusse à se préter à un arrangement en concedant la retraite de ses troupes du Luxembourg. Si cette proposition n'etait point repoussée par Monsieur de Bismarck deux ou tl.'ois solutions possibles pourraient ètre discutées avec la probabilité de s'entendre ».

Il s'agirait maintenant de savoir quel accueil aurait reçu ou recevrait ici la proposition Anglaise. Dans le cas * où vous la jugeriez acceptable, et * où vous désireriez voir s'ajouter au nombre des voix amies celle déjà si sympathique et si bienveillante de l'Italie, nous serions prèts à nous ranger à ce désir s'il nous était manifesté par le Cabinet de Berlin *. Ce serait peut-étre une occasion propice d'accentuer aujourd'hui une fois de plus nos excellents rapports sur le terrain pacifique, camme ils l'ont été sur les champs de bataille.

* Quoi qu'il advienne, nous tenons à vous montrer que l'indifférence pour tout ce qui vous concerne, ne saurait ètre de mise; car nous vous avons toujours compté parmi nos amis naturales (1). Notre nouveau Ministère vous avait déjà donné une preuve de san bon vouloir, en m'autorisant, le cas échéant, à me prévaloir de ma position personnelle en vue de faciliter les négociations entre Berlin et Paris. M. le Comte de Campello vient de me donner des instructions plus précises encore. * Ai-je besoin d'ajouter, en présence d'une semblable attitude, combien certains journaux sont mal inspirés quand ils croyent ou veulent faire croire que * notre politique étrangère * vient de subir des modifications? Elle * reste ce qu'elle n'a pas cessé d'ètre, à savoir des plus bienveillantes vis-à-vis de la Prusse. *

Le but de ma visite est de demander sans détours, sans m'étre concerté à l'avance avec aucun de mes collègues, à M. de Thiele, si un langage dans le sens que je viens d'exposer trouverait un bon accueil, et s'il jugeait à propos qu'il fiìt officiellement ou officieusement rapporté au Comte de Bismarck?>>.

*M. de Thiele m'a remercié d'un langage dont il savait apprécier toute la mesure. Il s'empresserait de se rendre mon organe auprès du Comte de Bismarck, dès ce soir à san arrivée. Le Président du Conseil tiendrait probablement à

conférer directement avec moi. Le sous secrétaire d'Etat apprenait avec une vive satisfaction ce que je lui disais relativement à notre nouveau Ministère. * Il se plaisait méme à ajouter que le Gouvernement Prussien avait vu avec regret les commentaires extravagants auxquels se livraient certains journaux de ce pays, et que, d'ordre du Roi, il avait été chargé, pour autant que l'administration pourrait exercer quelque influence sur la presse, de la mettre en garde contre des suppositions aussi injustes que gratuites. En effet les honorables membres de notre Cabinet n'avaient point encore eu le temps, du moins vis-à-vis de l'opinion publique, de procéder à des actes propres à donner, dans un sens ou dans un autre, un caractère fixe à leur politique.

* Quant à la question méme du Luxembourg, M. de Thiele ne pouvait encore rien me dire de précis, puisque jusqu'à cette heure il n'y avait eu aucune communication formelle de la part d'une Puissance quelconque. * Il avait, il est vrai, entendu émettre des idées sur des combinaisons de provenance Anglaise et Autrichienne. La première nous était connue. La seconde aurait en vue ou l'autonomie du Grand-Duché, ou sa neutralisation moyennant son incorporation à la Belgique. Celle-ci devrait alors céder à la France quelques portions de son territoire, Marienburg, etc.

Mais rien de détl.nitif n'avait été énoncé. Il y aurait peut-étre encore quelques chances d'arrangement, si la France n'y mettait pas de sérieux obstacles par des armements considérables. Si ces armements continuaient la Prusse devrait aviser à son tour. A cet égard également on ne saurait lui imputer un ròle de provocation. Jusqu'ici elle n'a fait aucun préparatif belliqueux. Le Ministre de la Guerre démentait officiellement toute nouvelle mobilisation, Mobilmarhung ou Kriegsbereitschatt.

En quittant le sous-secrétaire d'Etat, j'ai rencontré dans le salon d'attente mes collègues d'Autriche et de Russie qui venaient peut étre faire une démarche. Ne voulant pas les mettre au courant de la mienne, je ne les ai pas interpellés sur la leur.

* -Quels qu'aient été mes ménagements, comme s'il ne s'était agi que de préparer le terrain à une démarche p1us marquée, je ne me suis pas moins énoncé en temps utile, selon les instructions de V. E. Que M. de Bismarck désire ou non d'entendre répéter par moi les mémes choses, nous n'avons pas moins pris position avec franchise, cordialité, je dirai plus avec honnéteté. * P. -S. Ci-joint une lettre particulière à l'adresse de V. E.
(l) -Cfr. n. 284. (2) -Con t. 172 del 23 aprile, non pubblicato. (3) -Cfr. nn. 402 e 406. I brani fra asterischi sono editi in LV 11, pp. 34-36. (4) -Cfr. n. 387.

(l) In LV 11 « nos meilleurs amis >>.

412

IL MINISTRO A BRUXELLES, DORIA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI CAMPELLO

R. CIFRATO 16. Bruxelles, 24 aprile 1867 (per. il 28).

On ne croit pas ici à une solution pacifique de la question du Luxembourg, et dans la prévision d'une guerre entre la France et la Prusse on se demande s'il serait possible à la Belgique de conserver sa neutralité et de la faire respecter par la Prusse surtout. La solution proposée par le premier Ministre d'Autriche consistant à donner le Luxembourg à la Belgique en échange d'une rectification de frontière favorable à la France a été peu agréée ici, où malgré tout l'on ne désespère pas d'acquérir tout le Luxembourg à de meilleures conditions. J'ignore sur quoi cet espoir est fondé. Ce que la presse étrangère en a dit n'est, sans doute, qu'un mot d'ondre envoyé de Bruxelles. Espoir ou illusion, j'en prends acte en meme temps que je constate les avances que l'on fait à l'Angleterre. Quant au fond de la question on me parait donner raison à la France, et au point de vue Beige cela se comprend puisqu'après tout Bruxelles est plus près de Paris que de Berlin.

413

L'INCARICATO D'AFFARI A COSTANTINOPOLI, DELLA CROCE, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI CAMPELLO

R. 141. Costantinopoli, 24 aprile 1867 (per. il 3 maggio).

Contrariamente alle speranze ed alle assicurazioni di questo Ambasciatore di Francia le riforme che devono inaugurare l'era novella della Turchia sono sempre allo stato d'incubazione. Le vacanze del Courbam Bairam e più di tutto le tradizionali lentezze di questo Governo sono le cagioni principali di questo ritardo. La legge stessa che accorda il diritto di proprietà ai forestieri non è ancora stata sanzionata. Il progetto, come già ebbi l'onore d'informare il R. Ministero, venne elaborato col concorso del signor Bourée e specialmente del signor Outrey, Primo Dragomanno Francese, ne fu data più tardi comunicazione a lord Lyons e al Generale Ignatiew e fu promessa anche al Conte Brassier ed al Barone di Prokesck. Io aveva pochi giorni prima fatto chiedere questo documento e Fuad Pacha l'aveva con varii pretesti rifiutato.

Ieri però essendomi recato personalmente dal Ministro per gli Affari Esteri ne ebbi parola che a me sarebbe pure comunicato. In questa occasione ho creduto di dichiarare a Fuad Pacha che non trattandosi di quistioni di grado di dignità o di etichetta io sebbene solamente Incaricato d'Affari credeva d'aver gli stessi diritti e gli stessi favori di tutti gli altri Rappresentanti delle Potenze Garanti, che era penoso per me il constatare bene spesso una tendenza marcata delle Autorità Ottomane a volerei contestare i diritti che ci appartengono, che recentemente ancora il Console d'Italia a Beirut non aveva ricevuto una comunicazione che il Governatore della Siria aveva diretto a tutti i Rappresentanti delle Grandi Potenze, che simili fatti accadevano assai sovente nelle Provincie e davano luogo ad interpretazione di poca simpatia del Governo Ottomano verso l'Italiano, che noi credevamo d'aver dato sufficienti prove d'amicizia alla Sublime Porta in questi ultimi tempi per esigere da parte sua maggior arrendevolezza e minore malevoglienza.

Fuad Pacha deplorando l'operato del Governatore di Damasco lo scusava dicendo essere l'Italia Potenza nuova, poco conosciuta nella sua nuova qualità, che non si possono d'un tratto far sparire le antiche tradizioni e l'abitudine del passato ma che dal lato suo e della Sublime Porta il Governo Italiano sarebbe sempre considerato al pari degli altri Governi.

Io non ho potuto a meno di tenere questo linguaggio a Fuad Pacha, rispondendo esso pienamente alle condizioni della situazione, ma mancherei al mio dovere, se non esponessi all'E. V. quali ne sono le cause. Queste possono ridursi a tre:

1° L'essere realmente l'Italia paese nuovo in Levante. Qui infatti mentre sono vivissime sempre le tradizioni di Genova e di Venezia, si ignora da molti Turchi persino il nome d'Italia.

2° Le gelosie, i timori, i sospetti di questi governanti ai quali non si è mai potuto togliere di capo che l'Italia ha voluto un tempo e vuole forse oggi stesso porre a soqquadro la Turchia offrendo aH'Austria il campo di compensarsi a danno del Sultano delle perdite fatte o che potrebbe fare in Italia.

3° Infine, il sistema adottato dal Governo Italiano di lasciare senza titolare il posto di Costantinopoli, abbandonando la direzione della Legazione ad un Incaricato d'Affari provvisorio al quale mancano l'autorità morale necessaria e tutti quei mezzi indispensabili per acquistare influenza sulla Sublime Porta, sugli altri Rappresentanti che sono Ambasciatori e Ministri e sulla numerosa Colonia Italiana.

Non mancherò di trasmettere immediatamente a V. E. il progetto di legge relativo alla proprietà appena lo avrò fra le mani aggiungendovi quelle considerazioni che mi parranno più opportune, ma non avendolo sott'occhio mi sarebbe impossibile il ragionarne con cognizione di causa.

Il Generale Ignatiew lo dice opera d'insigne malafede destinata ad illudere ancora una volta l'Europa.

Il signor Bourée invece mostra di farne gran conto.

Precipua disposizione della nuova legge si è la rinunzia alla propria giurisdizione che dovrebbero fare i forestieri in tutto quello che riguarda le proprietà da loro possedute, assoggettandosi per queste ai Tribunali locali dell'Evkaf.

Non è perciò a stupire se conoscendosi il modo con cui si amministra la giustizia nei Tribunali Ottomani si possa da taluno dubitare che le contrarietà e gli ostacoli che incontrerebbero i proprietarii Europei saranno tali da far loro rifiutare le concessioni fatte dalla nuova legge.

P.S. -Ho ricevuto il telegramma dell'E. V., in data di jeri (l) e mi conformerò alle istruzioni in esso contenute.

(l) Non pubblicato ma cfr. n. 410.

414

L'INCARICATO D'AFFARI A PIETROBURGO, INCONTRI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI CAMPELLO

R. 89. Pietroburgo, 24 aprile 1867 (per. il 2 maggio).

La fase relativamente pacifica nella quale, col mio rapporto n. 86 (l) accennavo essere entrata la questione del Lussemburgo, continua a mantenersi tale.

Il Principe Gortchacow, che ebbi l'onore di vedere ieri mi diceva che le speranze di una soluzione pacifica esistono sempre, e che le tre Potenze, Russia, Inghilterra ed Austria fanno e faranno ogni sforzo onde possibilmente la pace non venga turbata.

«Si sta cercando, mi diceva il Principe, un compromesso tale da non urtare le suscettività nazionali né della Francia né della Germania, ed abbiamo la speranza di riuscire: nulla vi è di deciso ancora: la sola idea che io ho suggerito si è quella di riunire una conferenza delle potenze segnatarie del trattato del 1839 a Londra, ed ho in questo senso scritto ai vari Gabinetti, la risposta dei quali sto attendendo: parmi Londra il luogo più conveniente per una tale riunione, perché terreno in certo modo neutro, ed ugualmente ben disposto sia per la Francia sia per la Prussia sia anche per il Belgio, al quale una parte è riservata, probabilmente, negli accomodamenti che si discuteranno l).

Interrogato da me se il compromesso che stava cercandosi fosse quelio proposto dall'Austria, la cessione cioè del Lussemburgo al Belgio, il quale cederebbe alla Francia la parte da essa posseduta nel 1814, il Vice Cancelliere mi disse che non poteva pel momento precisarmi quali fossero i progetti di soluzione. Da quanto ho potuto rilevare da persone bene informate questa risposta fattami dal Principe è stata motivata dal fermo desiderio della Russia di non emettere in proposito alcuna idea che non sia preventivamente accettata dalla Prussia; in una parola, il Gabinetto di Pietroburgo vuole, è vero, cooperare ad una soluzione pacifica ma solo facendosi presso le altre potenze il patrocinatore delle proposizioni che il Conte di Bismarck crederà poter fare onde sciogliere all'amichevole la vertenza che preoccupa adesso l'Europa. In nessun modo la Russia vuol forzare la mano alla Prussia, si ripete da tutti al Ministero degli Affari Esteri. Quindi nessun progetto fu formulato dal Governo di qui, e ciò che esso fece si limitò fino qui a suggerire la riunione di una conferenza ed a fare pratiche onde cercare di rendere l'Inghilterra disposta a tenere una linea di condotta analoga alla sua. Se la Francia accettò la mediazione Austriaca colle basi da me accennate già nel mio rapporto n. 86, se la Prussia non la declinò assolutamente dicendo che le era necessario di conformarsi alla opinione pubblica in Germania, propendo a credere che il progetto Austriaco, il quale quasi contemporaneamente che a Vienna fu ideato a Londra del Barone di Brunnow e dal Principe di Latour d'Auvergne, possa servire

di base ai lavori della futura conferenza che si crede verrà accettata da tutte le Potenze.

Rischiato sarebbe il dire se, riunita l::J. conferenza, essa riuscirà a risolvere pacificamente la questione oppure se dalle sue deliberazioni uscirà la guerra. È indubitato che le tre potenze, non direttamente interessate, faranno ogni sforzo onde la pace non sia rotta; è probabile che la Francia accetterà quale soluzione definitiva la proposta austriaca poiché l'Ambasciatore di Francia mi diceva ieri l'altro: « per noi la questione principale è che la Prussia non tenga più guarnigioni a Lussemburgo, e le Potenze devono trovare modo di fargli abbandonare questa posizione che ci minaccia se non vogliono che ce ne incarichiamo noi stessi». Ma a tutto ciò, ammettendo anche che la Francia di buona fede accetti quanto il Gabinetto di Vienna propose, e non faccia ciò solamente per guadagnare tempo, a tutto ciò è da temere che faccia ostacolo il sentimento nazionale tedesco già tanto eccitato, e che può forzare il Governo di Berlino a non dare la sua sanzione ad un progetto che in definitiva risolve in un senso sfavorevole alla Germania la questione se il Lussemburgo debba

o no essere conservato alla Confederazione del Nord, le impone l'abbandono di una posizione fortificata mentre che quale compenso non le accorda che la neutralità del Granducato sotto la garanzia delle potenze che crearono il regno del Belgio, ed invece offre un vantaggio reale alla Francia coll'annessione di alcuni territori. È quindi giusto quello che fino dal sorgere di tale questione veniva sempre ripetuto qui: essere la Prussia quella che tiene in sua mano la chiave della situazione, ed assai fondati mi sembrano i timori di coloro che vedono l'avvenire più o meno prossimo sotto un aspetto poco rassicurante.

Concludendo infine non posso che ripetere che tutti gli sforzi della Russia sono più che mai diretti in senso pacifico, a ciò spinta in gran parte per certo delle sue condizioni amministrative e finanziarie che le fanno considerare come una calamità una guerra a cui sarebbe difficile non fosse costretta a prendere parte.

(l) Non pubblicato.

415

IL MINISTRO A VIENNA, DE BARRAL, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI CAMPELLO

T. 266. Vienna, 25 aprile 1867, ore 14,25 (per. ore 14,50).

Hier à son retour de Paris, Gramont m'a dit que France ne demandait plus possession du Luxembourg, mais seulement évacuation par les prussiens et destruction de la forteresse. Il a ajouté que si Prusse refusait conditions si modérées, ce serait immédiatement la guerre et la guerre acharnée. Envoyé prussien continue à déclarér évacuation impossible. Beust trouve que Russie n'exerce pas pression assez forte à Berlin dans le sens de la paix. D'après ce qu'il m'a dit hier soir la dernière tentative de conciliation, ménageant amour propre de chacun, serait que, sur conseil des Puissances, le Roi des Pays Bas adressàt lui mème, isolément demande d'évacuation à la Prusse.

416

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI CAMPELLO, AL MINISTRO A PARIGI, NIGRA

T. 175. Firenze, 25 aprile 1867, ore 15,15.

Nous n'avons jamais exprimé la conviction que la France désire la guerre à tout prix (l); nous récusons donc la responsabilité des bruits qu'on fait courir à ce sujet.

De Launay nous mande que Bismarck était attendu hier au soir à Berlin et qu'il aurait agi, * de concert avec le ministre anglais,* (2) dans le sens des instructions que je lui ai donné par télégraphe (3).

417

IL MINISTRO A LONDRA, D'AZEGLIO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI CAMPELLO

T. 267. Londra, 25 april,, 1867 ore ... (per. ore 18,35).

A midi lord Stanley n'avait encore reçu aucune réponse de Berlin. Ambassadeur de France m'a parlé comme jugeant la situation très-menaçante.

418

IL MINISTRO A PARIGI, NIGRA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI CAMPELLO

T. 268. Parigi, 25 aprile 1867, ore 21,20 (per. ore 23,25).

Je demanderai de nouveau arrestation des brigands (4), mais je crains que Ieur embarquement ait eu lieu d"accord avec Gouvernement impérial. Dans le temps il y a eu à ce sujet entre le chevalier Visconti Venosta et le baron Malaret des pourparlers dont j'ignore la conclusion. Je ne crois pas qu'il y ait eu aucun engagement pris, mais il serait convenable peut ètre d'interroger le chevalier Visconti Venosta.

419

L'INCARICATO D'AFFARI A BERNA, R. DE MARTINO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI CAMPELLO

R. CONFIDENZIALE 20. Ber"la, 25 aprile 1867 (per. il 30).

* Mi sono recato quest'oggi dal Presidente della Confederazione * (5) per fargli sapere che il giorno dell'arrivo del Commendatore Cerruti era incerto

(-3) Cfr. n. 402.

ancora. Il signor Fornerod desiderava di esserne informato per un pranzo ch'egli intende dare al Corpo Diplomatico.

*Il Presidente è poi entrato a discorrere lungamente delle attuali contingenze politiche*. Egli mi disse che quella parte della stampa la quale palesa un esagerato timore, quasi fosse già violata la neutralità della Confederazione fa opera poco patriottica.

<<Noi non dobbiamo, -aggiunse, -mostrarci così timorosi e sfiduciati; ma noi avremmo pure un gran torto di farci delle illusioni: la nostra attitudine debb'essere di osservazione e di vigilanza. Non abbiamo alleati, né possiamo fare assegnamento che su di noi per proteggere la nostra neutralità. Invece di un soperchio timore, alcuni si fecero una illusione la quale non ha durato, sperando che la guerra si terrebbe lontana dalla nostre frontiere. Tutto il passato insegna che sarà combattuta anche questa volta sull'Alto Reno, e le operazioni francesi saranno rivolte contro d'Ulm ».

Il Presidente mi parlò della sua speranza (l) * che l'Italia rimarrebbe neutrale*, ma in modo da lasciar comparire che ne dubitava. Mi annunziò subito dopo che il Principe Napoleone era a Prangins, e che persona autorevole gli aveva scritto la Francia abbandonarci Roma e retrocederei Nizza per ottenere la nostra alleanza.

*Ho strettamente conformata la mia risposta alle istruzioni che V. E. si compiacque darmi col pregiato dispaccio Politico delli 21 corrente (2).

Il signor Fornerod soggiunse che il signor Pioda ricevette or sono due o tre settimane le medesime assicurazioni da V. E.; e allora quando lo assicurava della nostra intenzione di «mantenere! liberi da ogni impegno verso l'estero», m'interruppe col dirmi ch'egli prendeva nota con sommo soddisfacimento di queste parole*.

A Basilea, pertanto, regna molta agitazione; i rumori di grandi concentramenti di truppe a Strasburgo ne sono causa, e la situazione del Cantone stretto com'è dalla Francia e dal Gran Ducato di Baden.

Al primo annunzio dello scoppio della guerra cento mila uomini saranno messi di picchetto, vale a dire riceveranno l'ordine di allestirsi e di non dipartirsi dalle loro dimore; potranno quindi essere rapidamente « échelonnés » da Ginevra al lago di Costanza. (Non posso affermare l'esattezza della cifra, e mi prenderò la libertà di confermarla nel mio prossimo rapporto).

Un imprestito di cinquanta milioni sarà contratto in pari tempo.

(l) -Cfr. n. 408. (2) -Le parole fra asterischi sono cancellate a matita nel registro dei telegrammi in partenza. (4) -Non si è rinvenuto il telegramma in partenza cui Nigra risponde sulla questione cfr. nn. 464 e 487. (5) -I brani fra asterischi sono editi in LV 11, pp. 36-37.
420

IL MINISTRO A MONACO DI BAVIERA, OLDOINI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI CAMPELLO

R. 56. Monaco, 25 aprile 1867 (per. il 30).

Il Conte di Tauffkirchen personaggio ufficiale e di tutta confidenza politica e personale del Principe di Hohenlohe lo stesso che fu il precursore con recente

38 -Documenti diplomatici -Serle I -Vol. VIII

m1ss10ne di tutti gli Stati Germanici Meridionali, dell'accordo sancito a Stuttgart mediante la convenzione militare del 5 Febbraio, fu non ha guari inviato a Berlino poscia a Vienna con missioni confidenziali, l'esito delle quali per quanto segreto ha sufficientemente traspirato per crederlo negativo.

Fu arduo per tutti indigeni ed esteri potere accertare lo scopo esatto della doppia missione Tauffkirchen; perfino diplomatici Germanici interessati più specialmente mi ripeterono non aver potuto dare ai rispettivi Governi che indizii più o meno fondati sulla portata e sull'esito assoluto di tali missioni, specialmente quella a Berlino. Qualcuno dei miei colleghi non direttamente interessati ne parlò anche prima di me al Principe di Hohenlohe il quale più che alle questioni dirette rispose a quelle negative, tra le altre assolutamente no alla supposizione di tentativi per la immediata partecipazione della Baviera alla Confederazione del Nord. A me pure dette oggi stesso eguale assicurazione ripetendomi quanto già altre volte dissemi, che il momento non era per anche giunto di negoziare il modo e la misura della partecipazione della Germania Meridionale a quella del Nord, negoziati che doveano essere necessariamente preceduti da un accordo preliminare dei rispettivi Stati Meridionali tra loro e dalla ricostituzione sanzionata legalmente e definitivamente della Confederazione del Nord. Venendomi supposto che la Prussia abbia invitato gli Stati Meridionali nominalmente la Baviera a deputar delegati al Parlamento Nazionale

o per lo meno al potere centrale della Confederazione, offerta che fu declinata, ne chiesi al principe Ministro il quale mi confermò il fatto non come proposta formale ma come pourparlers avortés.

In presenza di diverse, si officiali che particolari opinioni e supposizioni contraditorie in parte, uniformi in altra, ma assai vaghe tutte, non credei utile dovermene render l'organo prima di meglio constatarne la verità.

Senza troppo indagare il fatto delìa missione politica Tauffkirchen onde togliere ostacoli nell'attuali contingenze per un maggior vincolo fra la Germania Meridionale e la Settentrionale, è ben naturale che in presenza dei pericoli eventuali ed imminenti di una guerra Franco-Prussiana, la Baviera abbia voluto assicurarsi a Berlino su quale solidarietà Prussiana può contare in caso di conflitto per garantire eventualmente il suo territorio da una prima invasione, confessando che le sue forze militari e l'attuale loro organizzazione per nulla avanzata, erano insufficienti per proteggere efficacemente il paese.

Quanto alla parte politica della missione, se pure fu posta innanzi direttamente, la negativa fatta a priori a Baden dev'essere stata rinnovata alla Baviera. Quanto alla parte militare assicurasi che la prima osservazione fatta al mandatario Bavarese fosse la seguente: «può la Baviera porre in linea almeno 75 mila uomini?» la risposta negativa, poichè attualmente il contingente valido di 30 mila uomini circa sarebbe massimo, provocò non poco malcontento a Berlino, né quindi accordi speciali politici-militari, per certo qui desiderati, furono ulteriormente posti in campo eccettuati forse dettagli militari dipendenti dal trattato del 22 agosto.

Relativamente alla successiva missione del Conte Tauffkirchen a Vienna l'insuccesso assicurasi essere stato completo, e i tentativi di entente AustroPrussiana mercé l'intermediario della Baviera non riesciti. Il Principe di Hohenlohe me lo ha testé confermato, ed il Ministro d'Austria mi disse jeri non esservi possibilità per l'Austria, nel momento che è potenza co-mediatrice prendere impegni in favore di uno degli avversari, e tanto meno colle idee preconcette di neutralità in caso di conflitto, neutralità della quale il Ministro degli Affari Esteri Bavaresi sembrò ora essere stato maggiormente assicurato. Il mio collega però soggiunse che dal lato della attualità e da quello della deferenza mostrata dalla Baviera verso l'Austria in questa occasione la missione Taufikirchen avea prodotto a Vienna buon effetto.

Finalmente e questo non è più fatto supposto ma accertato, le voci di mobilizzazione dell'armata Bavarese sono false, anzi conosciuto il nome dell'umciale che le ha sparse il Principe Hohenlohe ne ha fatto dei lamenti al Ministero della Guerra.

È pur anco accertato anzi notorio che la Baviera quanto tutta la Germania Meridionale è ben lungi dall'esser preparata per una guerra, e tanto più grossa guerra, sopra tutto militarmente parlando; la riorganizzazione militare stabilita e ratificata a Stuttgart, «né per anche sancita dai rispettivi Parlamenti» per nulla fu iniziata fin qui utilmente neppure cogli elementi dell'armata attuale, quindi sembra non possa contarsi nei primordi di una guerra, nell'efiicacità immediata sia numerica sia ben organizzata delle forze militari degli Stati di qua dal Meno.

Qualunque sia il grado di verità di tutti i dettagli che precedono, ho motivo eU crederne il fondo esatto, come ho la convinzione morale che nella missione Tauffkirchen quanto nel pensiero del Principe di Hohenlohe le idee pacifiche furono e sono predominanti, e predominanti pur anche lo sono attualmente quelle della parte intelligente del paese.

Qui unito un dispaccio cifrato ed uno S. N. egualmente in data d'oggi.

P. S. Ricevo testé il pregiato Dispaccio di V. E. n. 6 Serie politica (1), unitamente agli interessanti 14 Documenti ivi uniti.

ALLEGATO l.

ANNESSO CIFRATO.

25 aprile 1867.

Sources dignes de foi, connaissant actuellement très-bien politique et affaires à Berlin m'assuraient confidentiellement ces jours derniers que jamais Bismarck commettra à propos du Luxembourg faute de l'Autriche au sujet de Vénétie, pourvu qu'il puisse ètre sur en cas d'arrangement qu'à Paris la guerre franco-prussienne n'est pas un parti pris, un tòt ou tard, quand meme. Une grosse difficulté, dit-on, pour Bismarck c'est Roi de Prusse avec son mysticisme et son militarisme, et meme la surexcitation nationale. Cependant sources dignes de foi croient que la guerre ne sortira pas de la question Luxembourg, si la France veut sincèrement la paix.

ALLEGATO II.

D. S. N.

Prince Hohenlohe vient de me dire que nouvelles personnelles très récentes assurent qu'à Berlin on est plutòt pacifiques, mais très-inquiets des armements de la France; et en réponse à ma demande d'instinct particulier, il m'a dit que ses désirs

etaient très à la paix, mais que la superstition (sic) était à. la guerre. Il a ajouté qu'en ce cas Bavière fera son devoir d'allié Prussien avec tous ses moyens et la plus grande énergie.

(l) -In L V 11, prima di questo brano fra asterischi: << mi espresse la flducla ». (2) -Cfr. n. 397.

(l) Non pubblicato.

421

IL MINISTRO A PARIGI, NIGRA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI CAMPELLO

R. CONFIDENZIALE 434. Parigi, 25 aprile 1867 (per. il 27).

*Il corriere di Gabinetto giunto jeri sera da Londra parte oggi per Firenze colla risposta del Marchese d'Azeglio (l) ai dispacci speditigli dall'E. V. (2). So da lord Cowley che il Governo Inglese ha accolto con molta soddisfazione la comunicazione fattagli dal Governo Italiano ed approva che l'Italia unisca la sua azione benevola a quella dell'Inghilterra* (3) per indurre il Gabinetto di Berlino ad accettare le basi consentite dalla Francia, che ebbi l'onore d'indicarLe nel mio precedente dispaccio confidenziale (4). Ignoro quale sia l'attitudine presente del Gabinetto di Pietroburgo intorno alla questione del Lussemburgo. In sul primo momento pare che il Principe Gortchakofi si mostrasse più propenso alla Prussia, ma poi la sua attitudine si fece più riservata. L'Austria, per quanto posso giudicarne dal linguaggio dell'Ambasciata Austriaca a Parigi, osserva pure molta riserva. Ma è evidente che essa è forse la sola Potenza in Europa che non vedrebbe con dispiacere impegnarsi una lotta tra la Francia e la Prussia, perché è la sola Potenza che potrebbe trovarsi un profitto. Quanto all'Italia, vedo con grande soddisfazione che il Governo del Re considera una guerra tra la Francia e la Prussia come un evento sfortunato e pericoloso. Io sono convinto difiatti che sebbene l'Italia serbasse una stretta neutralità e non si mescolasse menomamente nel conflitto, il solo fatto di una guerra combattuta in Europa porterebbe un colpo fatale al nostro credito. I fondi italiani scenderebbero immediatamente a 30 franchi. L'esito poi della lotta, qualunque esso si fosse, sarebbe nocivo agli interessi del nostro paese.

Ho saputo qui che a Berlino nelle sfere ufficiali s'andava dicendo: che il Governo Italiano aveva la convinzione che la Francia desiderava la guerra; che il Governo Francese aveva domandato l'intervento diplomatico dell'Italia a Berlino; e che il Gabinetto di Firenze aveva risposto domandando alla Francia guarentigie pacifiche per l'avvenire. Ho segnalato per telegrafo all'E. V. (5) la prima di queste dicerie, afiinché Ella fosse nel caso di smentirla a Berlino, ove lo giudicasse conveniente. Quanto alle altre mi afiretto a constatare che il Governo Francese non m'ha fatto nessuna domanda ufficiale di buoni utnzii a Berlino, e che quindi non era il caso di domandare alla Francia promesse di guarentigie. * Il Marchese di Moustier si limitò a !asciarmi capire, parecchi giorni fa, che se il Governo del Re avesse dato consigli amichevoli di modera

(-4) Cfr. n. 382.

zione e di pacificazione a Berlino, ciò sarebbe stato veduto qui con piacere. Del resto, come l'E. V. ben nota nel suo dispaccio, l'Italia ha un interesse abbastanza grave perché si eviti la guerra, ed è in tali rapporti colle due Potenze fra cui s'impegnerebbe il conflitto, perché sia in diritto di dar consigli di pacificazione, anche non richiesta.

Io ho la convinzione che l'Imperatore Napoleone non desidera la guerra; e sono del pari convinto che se si riesce ad appianare la complicazione presente, sarà, non dico impossibile, ma molto improbabile che per un tempo considerevole si presenti un altro incidente d'egual natura o si provochi un'altra causa prossima di conflitto. Il signor Rouher con cui ho parlato oggi a lungo, tiene un linguaggio pacifico e moderatissimo. E tale è pure il linguaggio dell'Imperatore.

Gli armamenti proseguono tuttavia. Ma essi sono giustificati pienamente dall'incertezza e dal pericolo della situazione. Sono una necessità, un atto di precauzione e di previdenza, non una prova certa d'una risoluzione fissa di voler la guerra ad ogni costo.

* -Non ho bisogno, del resto, d'assicurare l'E. V. che il linguaggio ch'io tengo qui è intieramente misurato sulle istruzioni contenute nei di Lei dispacci e sul programma esposto al Parlamento dall'onorevole Presidente del Consiglio*. P. -S. Unisco al presente un dispaccio del Marchese d'Azeglio all'indirizzo dell'E. V.
(l) -Cfr. n. 404. (2) -Cfr. n. 389. (3) -I brani fra asterischi sono editi ln LV 11, pp. 32-33. (5) -Cfr. n. 408.
422

IL MINISTRO A VIENNA, DE BARRAL, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI CAMPELLO

R. 27. Vienna, 25 aprile 1867.

Hier soir au cercle diplomatique qui a précédé un concert donné à la Cour, l'Empereur, après m'avoir demandé avec intérét des nouvelles du Roi, m'a exprimé la satisfaction que Lui avait fait éprouver la conclusion du traité de commerce entre l'Italie et l'Autriche (1). J'ai répondu à Sa Majesté que le Gouvernement du Roi n'était pas moins satisfait d'une convention qui devait procurer de si grands avantages aux deux Pays. Dans cette meme circonstance j'ai eu l'honneur de présenter à l'Empereur et à l'Impératrice le personnel de cette Légation envers lequel Leur Majestés se sont montrées trés gracieuses.

Le Ministre des Affaires Etrangères vient d'adresser à tout le Corps diplomatique une circulaire dans laquelle il l'informe que l'Empereur ayant résolu de se rendre vers la fin du mois prochain à Bude, pour s'y faire couronner comme Roi de Hongrie, Sa Majesté verrait avec plaisir que le Corps diplomatique assistàt à cette cérémonie.

Je serai trés obligé à V. E. de vouloir bien me donner le plus òt possible ses instructions à cet égard, car il faut retenir à l'avance des logements, et prende toutes les autres dispositions nécessaires en pareille circostance.

En ayant l'honneur d'accuser réception à V. E. et de La remercier de sa dépeche du 2 courant, S. P. n. 27 (1), ainsi que des 16 documents diplomatiques et de la pièce chiffrée qui y étaient jointes...

(l) Il trattato di commercio e navigazione fra Italla ed Austria stipulato l1 23 aprlle è edito in Trattati e convenzioni de! Regno d'Italia, vol. II, pp. 298·317.

423

IL MINISTRO A PARIGI, NIGRA, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, RATTAZZI (ACR, ed. in Luzro, Da Aspromonte a Mentana, pp. 395-397)

L. P. Parigi, 25 aprile 1867.

Approfitto dell'occasione sicura di un corriere di Gabinetto per dirle alcune cose che non vorrei confidare alla posta.

L'Imperatore Napoleone decisamente non desidera la guerra. Non è preparato a farla. Non è sicuro dell'esito; e teme a ragione il risultato fatale per lui e per la sua dinastia che sarebbe la conseguenza d'una campagna infelice. Quindi, quantunque l'opinione in Francia sia molto eccitata, quantunque l'esercito domandi la guerra, sono convinto che si adatterà ad ogni transazione onorevole. Esso accetterà ogni soluzione, anche la neutralizzazione del Lussemburgo, purché inchiuda l'evacuazione della fortezza per parte della Prussia. Si fu lo stesso Imperatore che cinque giorni fa fece venire alle Tuileries lord Cowley e lo pregò d'insistere a Londra perché l'Inghilterra consigliasse alla Prussia una transazione su queste basi. Lord Cowley gli domandò se poteva dare al suo Governo l'assicurazione che superato quell'incidente, non se ne solleverebbe un altro. L'Imperatore gli rispose che era sua convinzione che se la questione del Lussemburgo fosse risolta su queste basi, nessun altro intervento bellicoso sarebbe sollevato dopo, almeno per quanto lo riguardava. Di fronte a queste assicurazioni mi pare che oramai la Prussia non debba esitare ad accettare una transazione che non ha nulla di disonorevole né per lei né per la Francia. Io ho insistito molto ne' miei dispacci ufficiali perché il Governo del Re faccia uffìzii amichevoli a Berlino nel senso delle basi soprandicate. Sono lieto che il Governo inglese approvi vivamente una tale attitudine per parte dell'Italia. Non ho bisogno di dire a Lei quanto sarebbe pericolosa per noi una guerra tra la Prussia e la Francia. Nel programma ch'Ella espose al Parlamento il Governo del Re prese un'attitudine eccellente. Non dubito che sarebbe osservata con molta fermezza. Ma anche conservando una stretta neutralità, noi avremmo molto a soffrire dalla guerra. I nostri fondi subirebbero un ribasso spaventoso e le sorgenti d'ogni credito, d'ogni operazione finanziaria ci rimarrebbero chiuse. Ma v'ha di più. L'Imperatore non ci domanderebbe la nostra alleanza al cominciare della guerra. Ma per poco che la lotta rimanesse

indecisa, io credo che si finirebbe per domandarci un concorso attivo. Il Principe Napoleone, prima di partire per Prangins, me lo fece comprendere chiaramente. Ben inteso io risposi col di Lei programma alla mano, e non diedi seguito al discorso. Non voglio dare soverchia importanza a queste idee del Principe. Ma credo mio dovere di segnalargliele fin d'ora, per provarle quanto grande sia il nostro interesse nell'evitare la guerra. L'Austria sola ci guadagnerebbe. Noi non abbiamo interesse a che la Prussia sia disfatta; come non abbiamo interesse a che la Francia sia vinta. Se per sventura l'Imperatore facesse una campagna infelice, ciò potrebbe avere per risultato anche la caduta della dinastia imperiale, il che sarebbe una sventura per noi, giacché in nessun altro Governo francese noi potremmo trovare le simpatie e l'amicizia che abbiamo sempre trovato nell'Imperatore Napoleone.

Il Conte Usedom ha telegrafato a Berlino che il Gabinetto di Firenze aveva la convinzione che la Francia voleva la guerra tosto o tardi colla Prussia. Non so su che si sia appoggiato Usedom per mandare una tale affermazione, della quale Bismarck s'affrettò a valersi qui. Io segnalai per telegrafo questa diceria al Ministro (l) perché si facesse smentire a Berlino ove si credesse conveniente. Però non accennai le sorgenti per evitare inutili recriminazioni. Gliel'accenno a Lei per ogni buon fine; ma la prego di tenere la cosa per sé.

Aspetto istruzioni del Governo per eseguire il pagamento degli interessi del debito pubblico pontificio, che deve farsi il lo maggio prossimo. La prego di farne sollecitare all'uopo la spedizione.

(l) Cfr. n. 400.

424

IL MINISTRO A LONDRA, D'AZEGLIO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI CAMPELLO

T. 269. Londra, 26 aprile 1867, ore 17,13 (per. ore 19,28).

Lord Stanley m'a dit ne pas avoir encore reçu de réponse de Berlin. Il m'a promis de télégraphier aux ambassadeurs d'Angleterre à Berlin et à Paris de se tenir en communication avec les notres quant aux démarches pacifiques (2).

425

IL MINISTRO A VIENNA, DE BARRAL, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI CAMPELLO

T. 271. Vienna, 26 aprile 1867, ore 21 (per. ore 22,40).

Beust et Gramont me disent chacun séparément que leurs nouvelles de Berlin et de Paris out des nuances un peu moins alarmantes. Angleterre et

Russie exercent forte presslon sur Prusse pour que sur demande de la Hollande, elle évacue Luxembourg. Ministre de Prusse tient langage un peu moins belliqueux. Cependant Gramont m'a dit qu'il a reçu ordre de continuer achat de chevaux en Hongrie.

(l) -Cfr. n. 408. (2) -Il cont~nuto di queRto telegramma fu comunicato da Ullsse Barbolani a Parigi e Berlino con t. 176, pari data, ore 21,30.
426

IL MINISTRO A BERLINO, DE LAUNAY, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI CAMPELLO

R. 11. Berlino, 26 aprile 1867 (per. il 1° maggio).

J'ai eu hier la visite de l'Ambassadeur de France.

Il croyait savoir que les vues manifestées par l'Angleterre, la Russie et l'Autriche ne différaient pas sensiblement. Elles seraient entre autres d'accord pour conseiller à la Prusse de retirer sa garnison du Luxembourg, afin de prévenir un conflit. Mais dans la phase actuelle des négociations, ce diplomate observait une extreme réserve vis-à-vis du Cabinet de Berlin, et il s'était abstenu de le pressentir sur ses dispositions.

Il avait eu dans la matinée un entretien avec le Roi des Belges arrivé ici pour assister au mariage du Comte de Fiandre. Sa Majesté s'était montrée parfaitement instruite des armemens considérables qui se font en France. Il est vrai que l'Empereur Napoléon ne lui en avait pas fait mystère, et d'ailleurs la diplomatie Beige est vigilante pour etre bien renseignée à cet égard.

Sa Majesté Impériale a dit combien Elle désirait le maintien de la paix, et qu'Elle ne se refuserait à aucune combinaison de nature à faciliter au Gouvernement Prussien le moyen de calmer Ies susceptibilités nationales si imprudemment excitées par l'interpellation Benningsen et par la réponse du ComtPde Bismarck. Mais ce qu'Elle ne saurait admettre, ce serait que la forteresse du Grand-Duché restat occupée par des troupes Prussiennes.

M. Benedetti s'était permis d'engager respectueusement le Roi Léopold à rapporter à la Cour de Prusse ses impressions de Paris.

« N'importe, me disait encore ce diplomate, quelle sera plus tard la constitution politique du Grand-Duché; mais la condition sine qua non d'un arrangement c'est la retraite de la garnison Prussienne dans le Luxembourg, autrement la guerre est inévitable. S'il devait en couter à l'amour-propre du Cabinet de Berlin de céder ou de paraitre céder devant une pression Française, pourquoi a-t-il laissé arriver les choses au point où toute autre issue resterait fermée? Il veut toujours qu'on respecte ses convenances. Il ne se fait aucun scrupule d'occuper Mayence, de travailler à la fusion du Sud avec le Nord de l'Allemagne, d'ajourner indéfiniment le tracé de la frontière du Schleswig vers la Danemark. Mais si une autre Puissance évoque aussi ses propres intérets, il crie alors au scandale. Il ne se rend peut-etre pas un compte exact des forces de la France, de son unanimité à combattre, le cas échéant, la plus impopulaire des Puissances depuis les guerres du premier Empire».

Discutant ensuite les chances de victoire, ce meme diplomate les établissait, comme de 2 à l en faveur de la France. En un mois elle peut concentrer une armée d'élite de 400.000 combattants. La Prusse pouvait-elle en faire autant? Au reste sous ce rapport on était parfaitement édifié à Paris, en suite des relevés soigneusement faits sur la base des opérations de l'été dernier. En attendant il avouait ne pas comprendre l'Autriche. Jamais occasion pareille ne se présenterait pour réparer ses derniers échecs. «Elle méconnait les exigences de sa situation. Elle manque le coche. Elle pourrait, au besoin, nous seconder avec 300.000 hommes, qui viendraient nous tendre la main par la Bavière. Avec ce chiffre de troupes vraiment sérieuses, la victoire serait presque assurée. Et tout cela indépendamment des escadres d'une supériorité écrasante, et d'une diversion qu'il serait peut-etre facile de provoquer et de soutenir vers le Danemark. Le Sud de l'Allemagne n'offrirait pas d'ailleurs une grande résistance.

Qui salt meme, ajoutait M. Benedetti, une guerre, quelque peu désirable qu'elle soit -et certes je travaille consciencieusement à la prévenir -aurait certains bons résultats sur l'esprit public en France, notamment sur l'armée. La campagne du Mexique a laissé des traces regrettables; pour former et maintenir le chiffre norma! de l'expédition, on a pris un peu partout dans les régiments. Il y a des Iacunes à remplir, des réformes à opérer. Un bon coup de touet viendrait à propos ».

J'ai laissé entrevoir mon regret de n'avoir, d'après ce langage, que bien peu d'espoir pour une entente. Pour notre compte notre mission était parfaitement indiquée, à savoir celle de travailler, dans la mesure de notre bonne volonté, si non de notre compétence, dans un but de conciliation entre Berlin et Paris. En attendant tout en rendant justice à la valeur des troupes Françaises, je n'ai pu m'empecher d'exprimer des doutes si à Paris on se faisait une idée bien juste des forces et des ressources de l'armée Prussienne électrisée d'ailleurs et avec raison par ses derniers exploits, et soutenue par l'opinion publique en Allemagne tout aussi chatouilleuse sur le point d'honneur et la dignité, que la France. Vouloir la guerre dans ces conditions ce serait aller au-devant d'une lutte de géans, de race contre race. Nous le déplorerions amèrement.

M. Benedetti, malgré les dangers de la situation, se disait encore pret à faire un pari de proportion pour la paix, non pas que ses chances fussent égales à celles de la guerre; mais enfin tout espoir n'était pas perdu.

J'ai répondu que chacun serait heureux de le partager. Le Comte de Bismarck presque seui contre tous avait engagé son pays dans une guerre contre l'Autriche; peut-etre qu'aujourd'hui, seui contre tous il réussirait à détourner l'orage qui gronde à l'horizon. On l'a comparé, dans je ne sais quel journal, à une boite à surprises. Mais cette fois la surprise serait plus grande encore, car il faut bien l'avouer la France ne lui facilite guère ce ròle pacificateur. C'est en quelque sorte le pistolet sur la gorge qu'elle lui demande l'évacuation du Luxembourg.

P. S. C'est entre aujourd'hui et demain que s'exerce ici l'action des Puissances consultées sur les Traités de 1839. Aussitòt que je connaitrai un résultat, je le télégraphierai à V. E.

427

IL MINISTRO A BRUXELLES, DORIA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI CAMPELLO

R. CIFRATO 38. Bruxelles, 26 aprile 1867 (per. il 30).

Résumé d'un entretien avec mon Collègue d'Angleterre.

Si le Gouvernement Anglais était formellement requis d'émettre un avis sur la question du Luxembourg il se pronocerait dans le sens de la démolition de la Forteresse et de la neutralisation du Grand Duché. Le langage de mon collègue m'autorise à supposer que si les événements devenaient menaçant pour la Belgique, l'Angleterre n'userait pas à son égard de la politique passive qui a été si funeste au Danemark.

Si la guerre éclatait entre la France et la Prusse, celle-là respecterait, croit-on, la neutralité de la Belgique, on ne l'espère pas de l'autre. On croit aussi que si la Prusse se décide à évacuer la forteresse de Luxembourg la France tenant sa propre dignité pour satisfaite renoncera à l'union projétée.

428

IL CONTE VIMERCATI AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DELL'INTERNO, RATTAZZI

(ACR)

L. P. Parigi, 26 aprile 1867.

Quantunque giunto da poche ore sono in grado di mandarvi alcune indicazioni. Ebbi una lunga conversazione con R[ouher] sembrami creda la guerra molto più probabile che un accomodamento. Si attende l'esito della missione di Lord Loftus, alcuni vi fanno assegnamento nella speranza che Bismarck indietreggi d'avanti all'enorme responsabilità di una guerra contro la Francia. R[ouherJ però abbenché a capo del corrente pacifico di qui si preoccupa anzitutto delle alleanze, l'Italiana, parlando meco, venne la prima sul tappeto e parmi vedere che si conti sopra di noi, per averci si faranno grandi sagrijici. Non posso per lettera dirvi di più. Osservai, come è naturale, la più grande riserva attenendomi strettamente alle nostre conversazioni. So che dall'Austria fino ad ora Gramont non poté ottenere che una esplicita dichiarazione di neutralità benevoia per la Francia. Coll'Inghilterra un'allenza sarebbe convenuta nel caso che la Russia profittasse del momento per far sorgere la questione Orientale, ciò non posso dirvi positivamente come le antecedenti indicazioni.

Qui si tiene molto a che Voi possiate rimanere alla testa degli affari, si comprende come molto ciò dipende dal Ministero delle Finanze, anche su questo terreno molto vi sarebbe da fare contando sulle buone disposizioni del Governo Francese per facilitarci i mezzi a quella qualunque combinazione che atta fosse a darci tre anni di vita finanziarii.

Comunicate Vi prego a Sua Maestà il contenuto...

429

IL DIRETTORE SUPERIORE DEGLI AFFARI POLITICI, ULISSE BARBOLANI,

AL MINISTRO A BERLINO, DE LAUNAY

T. 177. Firenze, 27 aprile 1867, ore 10,30.

Vous ne nous dites rien des démarches que vous étiez autorisé à faire par ma dépéche télégraphique du 24 (l). Avez-vous eu des raisons pour vous en abstenir? (2).

430

IL MINISTRO A BERLINO, DE LAUNAY, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI CAMPELLO

T. 275. Berlino, 27 aprile 1867, ore 16,40 (per. ore 1 del 28).

Dès le 24 avril matin en l'absence du comte Bismarck j'ai fait démarche bien accueillie par M. de Thile qui m'avait promis d'en rèférer à son chef, qui me recevrait dès son retour, ou le Jendemain après avis préalable de sa part. J'ai attendu vainement. J'ai écrit hier à M. de Thile, il était malade et son chef invisible. Aujourd'hui comte de Bismarck, sur nouvelle instance de ma part, m'a fait dire qu'il ne pourrait me voir que demain. En attendant il y a positivement détente dans la situation. Prusse est disposée à traiter sur base neutralisation Luxembourg sauf à régler question modalité et garantie. Russie demande réunion conférence à Constantinople pour question de Candie. Prusse ne s'est pas encore prononcée.

431

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI CAMPELLO, AL MINISTRO A PARIGI, NIGRA (3)

D. 226. Firenze, 27 aprile 1867.

La Chambre des Députés a approuvé dans la séance d'hier le projet de loi par lequel notre Gouvernement est autorisé à donner pleine et entière exécution à la Convention du 7 Décembre 1866, conclue entre l'Italie et la France, et contenant l'arrangement financier qui a pour effet de mettre à notre charge la portion de la dette afférente aux anciennes provinces pontificales.

Le Ministère actuel tout en assumant la responsabilité de la Convention, n'a pas eu à intervenir directement dans !es débats auxquels cet acte internatiana! a donné lieu dans la Chambre des Représentants. Les hommes politiques qui composaient le Cabinet précédent et qui avaient négocié et stipulé la Con-

Il) Cfr. n. 406.

vention, étaient d'ailleurs tout naturellement appelés à la défendre. Aux discours de quelques membres de l'opposition, M. le Chevalier Visconti Venosta a répondu de nobles paroles qui expriment les vues que nous partageons avec lui sur cette question.

* Il y a cependant un point sur lequel je ne saurais me dispenser d'attirer votre attention. Les déclarations faites par M. Rouher au Corps Législatif sur le dépòt des 20 millions et sur l'anticipation des 12 millions au Gouvernement Pontificai, ne pouvaient que soulever contre nous des difficultés, d'autant plus que nous avons toujours soutenu, ainsi qu'il était de notre devoir de le faire, que nous ne pouvions pas disposer d'une telle somme sans l'autorisation préalable du Parlement *.

Le Gouvernement Impérial a été constamment informé par votre entremise de la marche des négociations que M. le Commandeur Tonello avait été chargé de poursuivre à Rome, et il a certainement eu l'occasion de constater que le Gouvernement du Roi n'a point négligé, de son còté, d'amener par tous les moyens possibles un arrangement avec le Saint-Siège afin d'établir entre les deux territoires un modus vivendi dont les bases principales ont été tracées dans la circulaire de mon prédécesseur au Ministère des Affaires Etrangères du mois de... (1).

En comparant le programme que le Gouvernement Italien s'était lui-méme proposé avec ce que tous les efforts du négociateur du Roi à Rome ont pu obtenir jusqu'ici, on ne saurait certainement pas se soustraire à un sentiment de pénible surprise. Nous ne voulons cependant point abandonner ce programme et nous nous proposons méme pour ce qui concerne les arrangements à établir entre les deux territoires, de reprendre les négociations directes qui ne sont que momentanément suspendues.

C'est là une tàche qui présente des difficultés que nous ne saurions méconnaitre. Ces difficultés nous viennent non seulement de la résistance qui nous est faite par la Cour de Rome, mais aussi de certaines répugnances que ces négociations soulèvent encore dans notre pays.

S'il est juste de remarquer que l'esprit public en Italie envisage généralement avec beaucoup plus de calme la situation anormale existante entre la Papauté et le nouveau Royaume, on ne saurait cependant perdre de vue la nécessité dans laquelle le Gouvernement Italien se trouve de se prémunir contre tout ce qui pourrait aggraver les difficultés actuelles. Ce qui a été dit dans les Chambres Espagnoles et les commentaires qu'on y a faits des paroles prononcées au Corps Législatif français au sujet d'une garantie collective du pouvoir temporel du Saint-Père a produit en Italie une pénible impression.

Si cette garantie venait jamais à se réaliser, elle aurait pour effet immédiat de nous créer une nouvelle position que nous ne voulons point nous arréter à discuter en ce moment, mais dont personne ne saurait raisonnablement se dissimuler la gravité.

L'apaisement complet des esprits, indispensable pour arriver à des arrangements qui nous permettent de vivre dans des conditions de bon voisinage avec le Saint-Siège, est l'oeuvre délicate à laquelle nous nous proposons d'appli

quer tous nos efforts; mais toujours faut-il que rien ne vienne entraver notre marche dans cette voie si ditncile, et nous sommes fondés à croire que le Gouvernement Impérial qui nous a déjà donné tant de preuves de son amitié sincère voudra par la modération et la sagesse de sa politique en faciliter la réussite.

En vous autorisant à vous exprimer dans le sens de cette dépèche dans une conversation que vous aurez avec M. le Marquis de Moustier sur les affalres de Rome ...

(2) -Per la risposta cfr. n. 430. (3) -Ed., ad eccezione del brano trr. e<oterischi, in LV JJ, pp. 11-13 e in BASTEGEN, vol. Il, pp. 532-534.

(l) Manca.

432

IL PRESIDENTE DELLA COMMISSIONE ITALIANA PER LA DELIMITAZIONE

DELLA FRONTIERA FRA IL REGNO E L'IMPERO AUSTRIACO, DI ROBI

LANT AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI CAMPELLO

R. 55/21. Venezia, 27 aprile 1867.

Come la E. V. avrà potuto rilevare dai miei antecedenti rapporti, i Commissari austriaci avendo con speciale dichiarazione riconfermato l'intendimento del loro Governo di strettamente attenersi nella delimitazione dei due Stati al confine amministrativo esistente all'epoca della conclusione del Trattato di pace, poca, o a dir poco meglio, niuna speranza rimane alla Commissione R. di ottenere quelle rettifiche di confine richieste dagli interessi delle popolazioni: e quindi esternavo all'E. V. il mio intendimento di rinunciare a domande di tal genere, un tale sistema sembrandomi più decoroso pel R. Governo e forse anche più vantaggioso per l'avvenire. Nel suo dispaccio del 18 volgente mese (l) l'E. V. mi notificava di approvar una tale linea di condotta.

Prima però di sancire definitivamente la linea di confine, quale attualmente fu riconosciuto esistere, sarebbe mio desiderio di tentare un'ultima prova onde ottenere, se possibile, l'aggregazione al Regno di un tratto di territorio in prossimità alla fortezza di Palmanova, limitato dal raggio difensivo di quella Piazza calcolato su basi analoghe a quelle stabilite nella Convenzione del 1860 per la fortezza di Peschiera. Onde evitarmi però un'utllciale ripulsa, non che per presentire le condizioni alle quali il Governo Imperiale sarebbe disposto ad aderire a tale nostra domanda, ove non intendesse respingerla in modo assoluto, avrei divisato farne prima oggetto di privata conferenza col Generale Kirchsberg, ripromettendomi di conoscere in tal modo le intenzioni del suo Governo ed averne norma per gli ulteriori passi utnciali o meno.

Senonché prima ancora di avanzare parola qualsiasi su di una tale questione, anche in linea affatto particolare, sarebbemi indispensabile di conoscere se le trattative relative alla nota maggiore rettifica del confine sino alla foce dell'Isonzo, che la E. V. m'informava di aver dato incarico al Conte Barrai di proseguire a Vienna, abbiano o no qualche probabilità di riuscita; giacché nel primo caso non converrebbe parmi che la R. Commissione in Venezia mostrasse il Governo italiano essere disposto ad accerte anche una rettifica di molto minor rilievo: la quale pur soddisfacendo in parte ad un interesse mili

tare, lascierebbe sussistere i gravi inconvenienti d'altra natura esistenti in quel tratto di territorio. Una proposta di tal genere da me fatta qui, potrebbe dunque a mio modo di vedere. recare incaglio alle trattative condotte a Vienna, nel caso porgessero speranza di favorevole esito: e solo quindi vorrei avanzarla quando l'insuccesso di quelle fosse ben accertato.

Siccome però, come dissi, fra pochissimi giorni tutte le questioni insorte si da una parte che dall'altra, saranno definitivamente risolute e quindi più non avrei ragionevole motivo per ritardare da parte nostra il riconoscimento del confine quale risulta, sarebbemi urgente aver contezza del risultato probabile delle trattative condotte a Vienna dal prefato Conte de Barrai (1). Se dunque l'E. V. ben vorrà porgermi tale ragguaglio colla maggiore possibile prontezza, ed anche telegraficamente, farebbemi cosa gratissima non solo, ma pure di somma importanza pel risultato di quest'ultimo tentativo che io mi propongo; tentativo che, ove venisse coronato da successo, non soddisfarebbe certamente ai desideri della nazione, ripetutamente confermati in questi ultimi giorni anche in Parlamento: ma pur rimarrebbe a maggior conferma che per parte del R. Governo nulla assolutamente si è tralasciato per validamente propugnare gli interessi dello Stato.

(l) Non pubblicato.

433

L'AGENTE E CONSOLE GENERALE IN EGITTO, G. DE MARTINO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI CAMPELLO

R. 1225. Alessandria, 27 aprile 1867 (per. il 3 maggio).

Ho l'onore di accusare ricevuta all'E. V. della Circolare del 21 scorso Marzo sulla Politica generale d'Italia (2), e del dispaccio, Serie Politica, N. 3, del 3 corrente Aprile (3).

La copia della seconda Nota comunicata da Nubar Pascià alla Sublime Porta mi spiega le malevoli insinuazioni del partito contrario a quel Ministro sulla poca energia e fermezza mostrata nelle trattative.

È mia opinione che Nubar Pascià abbia un po' piegate le vele perché purtroppo conosce la poca fermezza ed energia del Viceré, che difficilmente oserebbe agire da sé, a seguito di un rifiuto, e tenterà perciò di salvarlo dalle conseguenze di un completo insuccesso.

Le nuove dimande del Ministro Egiziano tendono ora unicamente ad uno scopo, quello cioè di pervenire a distruggere le giurisdizioni straniere in Egitto sui proprii nazionali, e sostituirvi quella sola del Governo locale.

Infatti diecisette giurisdizioni estere senza limiti, ché dieciRette rappresentanti esteri siano in Egitto, creano forzatamente un caos che è permanente ed insormontabile ostaco:o allo sviluppo della civilizzazione e del progresso in Egitto. Finché le antiche capitolazioni non siena almeno modificate, le Provincie Ottomane sono chiuse in una cerchia di ferro che impedisce ogni espan· sione a nuova vita.

Le capitolazioni, nelle epoche che furono stipulate, furono una necessità perché dovevano garentire i nostri interessi e le nostre persone dai capricci del più nefando dispotismo. Possiamo ora aver più fede nei Governi Turchi? Ecco qual è il gran problema da sciogliersi.

Partigiano dichiarato dell'opinione che dobbiamo far rinascere, e non uccidere, l'elemento nazionale egiziano, io ho sempre consigliato il Vicerè ad istituire innovazioni consentanee all'epoca, a poco a poco, a farle bene, a farne risentire gli effetti; e nata la fiducia e la sicurezza saremmo noi i primi a chiedere l'abolizione di tutti quegli abusi che uccidono la vita di un paese; ma che giammai potremmo alla cieca rinunziare a tutti i nostri diritti, anche abusivi, e concedergli in una volta, quanto egli dimanda.

Richiesto dall'E. V. ad esprimere un'opinione, dirò altrettanto: che sarebbe ben imprudente di esser molto generosi. Dobbiamo secondario, ma con prudenza. I sentimenti di mala fede, di corruzione, di negazione di quanto havvi di onore e di morale, sono innati in questa gente da tanti anni, che il credere ad una rigenerazione immediata, sarebbe un'utopia. Non si può negare che l'Egitto non sia di molto avanzato sulle altre contrade musulmane, ma giornalmente abbiamo tratti di mala fede, di corruzioni, d'intrighi, che non si comprendono in Europa.

Ma dobbiamo, ripeto, esser loro guida e maestri, ed essere anche i primi ad accettare quelle innovazioni che possono condurli a nuova vita. Questa missione incominciata in Egitto si estenderebbe forse subito in tutto l'Oriente.

Gli abusi che segnala il Ministro Nubar sono i seguenti:

Il rifiuto costante degli europei di accettare i tribunali locali -il rifiuto di accettar leggi municipali -il rifiuto di pagare le tasse e imposte sulle proprietà territoriali.

1° Il Viceré ed il suo Governo sono convinti, e lo confessano confidenzialmente, che l'Europeo non può accettare i tribunali locali perché sicuramente lo condannano perché europeo, specialmente poi, quando la causa è contro il Viceré stesso o il suo Governo. Il Viceré intende di stabilire nuovi tribunali con elemento cristiano, od almeno, misto. Le leggi sono buone, ed intenderebbe di assicurarne l'applicazione. Ma egli aspira a che, stabiliti questi Tribunali, si rinunci alla propria giurisdizione giudiziaria; infine che si abolissero i Tribunali Consolari. Dobbiamo accettare i nuovi tribunali, ma per adesso non rinunciare ai nostri, ed accettare obbligatoriamente la massima che l'attore seguiti il foro del reo convenuto, e dico obbligatoriamente perché ora noi attori rifiutiamo i suoi tribunali. Sarebbe questo un primo passo di concessione, e quando il tempo, la pratica, e l'esperienza ci assicureranno di garanzia di giustizia imparziale ed onorata, non saprei perché l'Egitto non potrebbe aspirare a quel diritto che hanno tutte le nazioni civilizzate. Ma ciò col tempo. Ora non vi è giustizia: che comincino a provare che sono capaci di amministrarla, e da se stessi cadranno quei, ch'essi dicono, diecisette Governi in un Governo, che son purtroppo abusi, ma abusi necessarii.

2° Il non accettare una legge municipale, più che abuso, lo qualifico di prepotenza. In Alessandria particolarmente, ove una colonia europea di oltre BO mila anime la rende quasi una città cristiana, è una di quelle anomalie che definiscono la vera decadenza di questi paesi. Tutti i quartieri nuovi sono proprietà europee, tutte le industrie, tutti i pubblici stabilimenti, tutta la vita di questa città è tutta in mano degli europei che neppure un centesimo pagano a qualunque titolo. Ed il Governo spende milioni per illuminazione, per mantenimento di strade, ecc. ecc. L'indigeno è aggravato da enormi tasse, il forestiero di niente. Questo abuso è riconosciuto da tutti; ma finora, quando il Governo Egiziano ha presentato qualche progetto di legge non ha saputo escluderne interamente l'impronta dell'arbitrario e capriccioso e ciò è stato un pretesto di rifiuto per le rappresentanze estere, già così difficili a mettersi d'accordo.

3° Nell'impero Ottomano non è ammesso ai cristiani il diritto di possedere proprietà territoriali. Questa immensa concessione è stata fatta dai Viceré d'Egitto i quali però non hanno mai inteso che gli stranieri fossero più favoriti degli indigeni, ed infatti in tutti i titoli di proprietà che il Governo ha concessi e concede, è esplicitamente dichiarato e convenuto che il proprietario si sottopone a pagar tutte le tasse stabilite dal Governo. Ma gli Europei hanno preso e prendono i titoli, ma quando si viene al pagamento delle tasse ed imposte si risponde con un rifiuto. È nel nostro interesse generale che questo abuso cessi. Questa, a parer mio, non è una concussione, ma un diritto del Governo Egiziano. Dobbiamo però vigilare ed assicurarci che nell'esecuzione di questo diritto non si cada nell'arbitrio e nel capriccio, e ciò si può ottenere stabilendo preventivamente regole e norme fisse e sicure. In compenso alla rinunzia di questi abusi il Governo Egiziano offrirebbe dei vantaggi commerciali. Questi vantaggi, a quanto prevedo, consisterebbero in una modificazione delle tariffe doganali. Il Viceré penserebbe diminuire i diritti sull'importazione che quasi solo sopporta il peso delle contribuzioni, ed aumentare quelli sull'esportazione.

Nessuno certo si opporrebbe alla prima misura, ma non so se riuscirebbe la seconda. Un aumento sui diritti attuali di esportazione non sarebbe un vantaggio pel commercio inglese che per sé esporta quasi tutto, e non importa quasi nulla. Il compenso dunque della diminuzione sull'importazione non· lo risentirebbero gli inglesi, ma i francesi, noi, i greci ecc. Vi sarebbe poi, come dirò in appresso, a vincere la difficoltà messa innanzi dalla Sublime Porta nel concedere al Viceré la facoltà di stipulare con le potenze estere delle convenzioni commerciali; cioè che queste convenzioni non potrebbero invalidare i trattati commerciali esistenti tra la Porta e le stesse Potenze Europee. Rispetto a noi, credo che una modificazione delle tariffe doganali sarebbe vantaggiosa; ma questa questione non potrà studiarsi e decidersi se non quando il Governo Egiziano venisse a trattative di pratica sulle intenzioni di quanto si proporrebbe di fare.

L'E. V. sarà certamente informata dalla R. Legazione in Costantinopoli dello stato delle trattative di Nubar Pascià.

A quel che mi ha detto il Console Generale di Russia pare che la Sublime Porta abbia concesso al Viceré: il diritto di regolare l'amministrazione interna del paese attenendosi però strettamente all'Hatti-Scerif di Gul-Hané del 1839: il diritto di stipulare convenzioni puramente commerciali con Potenze Europee, le quali però per nulla potrebbero invalidare i trattati esistenti tra la Porta

e le stesse Potenze: ed infine un titolo quasi equivalente all'Aziz, ma puramente personale tra il Sultano ed il Viceré, e non al Viceré per l'Egitto.

Queste concessioni, in questi sensi, sarebbero puramente illusorie.

Il Viceré non ha dato ordine a Nubar di ritornare ma lo ha lasciato giudice della posizione. Si ritiene, e me lo ha detto anche Raghib Pascià, che sarà qui nel corso della settimana entrante.

Da alcuni si crede che il Viceré getterà la maschera e farà da sé.

Dubito che abbia tanta arditezza, e solo potremo formare un criterio all'arrivo di Nubar.

Lo stesso Console Generale di Russia mi disse che il Viceré sembra far unico conto dei consigli dell'Inghilterra, e ch'Egli lo spinge ad azioni risolute, consigliandolo di appoggiarsi alla Russia ed all'Italia, soli Governi liberi di agire nelle attuali complicazioni politiche europee. Se realmente però H Vicerè dà ascolto ai consigli dell'Inghilterra, non credo che questi tenderebbero ad intaccare l'integrità territoriale dell'Impero Ottomano.

In questi ultimi giorni io non ho avuta nessuna conversazione politica col Viceré, poiché siamo in scambievole freddura per alcuni affari amministrativi, segnatamente quello del signor Biaiini come ho rapportato nei miei dispacci

N. 105 e 107 Serie Affari Privati e Contenziosi (1). Il diniego di giustizia è cosi potente ed offensivo per la nostra dignità nazionale che io non ho potuto a meno di usare un linguaggio severo, e tenere un'attitudine assai riservata.

Su questo soggetto solleciterei la seria attenzione di V.E.

L'inqualificabile malafede del Governo Egiziano nell'affare Biagini nel mo

mento che le mie relazioni col Viceré per le vicende politiche dell'epoca erano

divenute così cordiali ed intime, è frutto del più infame intrigo dei signori Pini

Bey e Cavaliere Lattes che vedono di mal occhio la posizione che io ho presa,

che rende impossibili i loro fini perversi. Sono troppo vecchio nella carriera

e nei paesi turchi per non conoscere quanto un rappresentante può ritrarre

d'utilità da quelle persone che avvicinano questi principi capricciosi, serven

dosene però come !strumenti, ma non diventando loro !strumento. Ma ecco

quello a cui tendevano, e tendono a volere i signori Pini Bey e Lattes: che io

mi piegassi a servirli nelle loro vedute private. Sento però troppo la dignità

nazionale e la mia personale, per piegarmi giammai a tanta bassezza.

Mi hanno sempre contrastato con intrighi nascosti, ma ora hanno gettata

la maschera ed hanno incominciata una lotta aperta, credendosi forti dell'ap

poggio di alti personaggi in Firenze. Essi hanno persuaso il Viceré che io non

ho nessuna infiuenza presso l'E. V. che non deve far nessun caso ne' delle mie

parole né delle mie minaccie -che ne ha avuta la prova ottenendo tutte le

onorificenze reali che ha "oluto, malgrado la mia opposizione -ch'essi valgono

con amici possenti a fare in Firenze quello che vogliono, ed anche a farmi

traslocare, se potessi essere ostacolo a che la politica italiana si spieghi aperta.

mente a suo vantaggio.

Queste cose ,non solo le pubblicano essi stessi, ma le so da persona devotissima al Viceré, la quale vede con dolore il male che costoro gli fanno.

39 -Documenti diplomatici -Serle I -Vol. VIII

Il Signor Lattes parte oggi per Firenze, dicendo a tutti d'essere incaricato d'alta missione da parte del Viceré. Lo credo, perché Sua Altezza sente, e molto, di aver bisogno della simpatia e dell'appoggio dell'Italia, ma, fuorviato da questi signori, si appiglia a mezzi, se non altro così inusitati.

Io metto la questione mia personale tutta da parte, ché per me scomparisce affatto innanzi alla questione degli interessi generali e di dignità del mio paese, ne parlo con astio contro il Viceré il quale forse dovrebbe far peggio di quello che fa, quando vede italiani stessi intrigare contro la loro autorità ed i loro stessi connazionali, ma non esito a dichiarare all'E. V. che dalle sue risoluzioni dipende il nostro avvenire in Egitto. Se i signori Pini Bey e Lattes la vincono, non solo questa Rappresentanza diviene inutile, ma diverrà umiliante. Se il Viceré si avvede che può non farne caso, gl'italiani faranno bene di lasciare il paese.

Il Viceré è stato fuorviato; è urgente di rimetterlo sulla buona via. ed io credo che per il momento basterebbe di fargli sentire recisamente che il R. Governo non ha altro interprete della propria volontà che il suo Rappresentante, e che dal solo suo Rappresentante riceve comunicazioni per parte del Governo Egiziano. Questa significazione fatta al Viceré nel modo che l'E. V. giudicherà più opportuno, ed una risposta in questo senso data al signor Lattes, se da chiunque siasi, venisse introdotto presso l'E. V. per parlarle in nome di Sua Altezza, basterebbe per far ricredere il Viceré dall'inganno in cui è trascinato da perversi individui che profittano della debolezza del suo carattere.

Io sono persuaso che queste nuvole passeggiere passeranno perché il Viceré conosce di aver bisogno di noi, ma non è men necessario per questo che si finisca con questi intrighi, e cne s1 apprenda una volta per sempre a trattarci con rispetto.

(l) -Cfr. n. 453, nota 2. (2) -Cfr. n. 292. (3) -Non pubblicato.

(l) Non pubblicati.

434

IL CONTE VIMERCATI AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DELL'INTERNO, RATTAZZI

(A C R)

L. P. Parigi, 27 aprile 1867.

Se avessi avuta la cifra vi avrei telegrafato ieri a sera la notizia che vi ha mandata oggi Nigra (l).

La Prussia, dietro le istanze dell'Inghilterra, acconsente alla neutralizzazione del Luxembourg, il che implicitamente fa credere essere disposta anche all'evacuazione, condizione sine qua non, la questione entra in una nuova fase, avremo une pacification rimandando all'avvenire lo scioglimento della questione che dipenderà soprattutto dallo stato in cui questo accomodamento lascerà le suscettibilità francesi, poiché è indubitato che la Francia ha ricevuto uno smacco, la questione della cessione del Luxembourg fu suscitata da Benedetti dietro accordi presi, diceva egli, con Bismarck. Da quanto voleva la Francia

a quanto ora ottiene v'è enorme differenza e questa è generalmente sentita. L'imperatore non desiderava la guerra, l'avrebbe fatta vigorosamente perché la Francia tutta rispondeva all'appello ma giudicando dal contesto degli uomini che stanno al potere che famigliarmente vedo, debbo credere che il desiderio di allontanare la lotta era nelle idee del Governo Imperiale. Questo incidente mi chiama a serie e lusinghiere riflessioni, il partito che potevasi tirare dalla nostra cooperazione era immenso e tale da rispondere in gran parte ai nostri bisogni finanziarli, non solo, ma anche le cose condotte abilmente, soddisfare alle aspirazioni nazionali.

Benedetti non può più rimanere a Berlino, credo che gli amici che ha al potere desiderino mandarlo Ambasciatore in Italia, passando anche probabilmente sulla questione che l'Italia, viste le sue condizioni attuali, abbia a Parigi un semplice Ministro Plenipotenziario -penso che a questa combinazione anche Nigra si presterebbe volentieri, il resto vi dirò a voce.

Nigra m'ha detto quanto v'ha scritto, Egli era nel vero quando vi comunicava che sarebbe stato all'Italia impossibile il conservare a lungo la sua neutralità, lo è meno a senso mio quando asserisce che meglio avrebbe corrisposto ai nostri interessi lo attendere che la Francia avesse materialmente sentito il bisogno della nostra cooperazione, vincitrice il suo orgoglio l'avrebbe resa indipendente, battuta, la nostra armata sarebbe entrata a soccorso dopo una sconfitta e quindi in condizioni meno favorevoli. Pel momento il pericolo sembra allontanato e queste osservazioni diventando retrospettive perdono della loro importanza.

Non so a che punto ne sia il nostro Ministro delle Finanze coi suoi progetti, ma ho la profonda convinzione che non si riuscirà utilmente ad avere i 600 milioni che occorrono per tre anni, senza che il Governo di qui venga indirettamente a facilitare la combinazione, condotte con saggezza le cose si potrebbe ottenere un appoggio che ci permettesse di fare un contratto a condizioni molto migliori di quello che facendolo indipendentemente dalla sopra citata coadjuazione.

Quanto vi scrivo è non all'azzardo, tenetene conto perché è il seguito di conversazione tenuta con R[ouherJ.

Verrò a raggiungervi appena sarà definitivamente sciolto l'incidente del Luxembourg. Anche Nigra tiene che al mio ritorno io vi renda minutamente conto dello stato delle cose pel trascorso poiché questo sarà norma dell'avvenire.

(l) Con t. 273, non pubblicato.

435

IL MINISTRO A PARIGI, NIGRA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI CAMPELLO

T. 277. Parigi, 28 aprile 1867, ore 7,20 (per. ore 9,45).

La Prusse accepte une conférence sur la question du Luxembourg. Si la conférence le demande la Prusse renoncera au droit de garnison à la condition de neutraliser le Luxembourg sous la garantie de l'Europe et à condition que la forteresse serait démantelée.

436

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI CAMPELLO, AI MINISTRI A BERLINO, DE LAUNAY, A LONDRA, D'AZEGLIO, A PARIGI, NIGRA, E ALL'INCARICATO D'AFFARI A PIETROBURGO, INCONTRI

T. 178. Firenze, 28 aprile 1867, ore 16,45.

Croyez-vous que si une conférence a lieu à Londres sur les affaires du Luxembourg notre présence serait réclamée surtout si la conférence devait se transformer en congrès? N'étant pas slgnataires des traltés de 1839 nous ne le demanderons pas; mais il serait peut-étre d'une bonne politique de nous y admettre. Les Puissances devraient désirer de voir l'Italie entrer dans le concert européen, comme un élément de plus d'ordre et de paix, et ne pas la laisser en dehors des arrangements importants qui se feront en Europe (1).

437

IL MINISTRO A VIENNA, DE BARRAL, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI CAMPELLO

R. 28. Vienna, 28 aprile 1867 (per. il 2 maggio).

Le brusque revirement pacifìque que vient d'opérer dans l'affaire du Luxembourg l'acceptation par la France et la Prusse de Conférences à Londres sur la base d'une neutralisation demandée par le Roi de Hollande et garantie par les grandes Puissances, fait le plus grand honneur à l'initiative comme à l'habilité de M. de Beust qui ont en grande partie amené ce résultat.

Le Due de Gramont est le premier à le proclamer et dit ouvertement que, à l'estime qu'avait le Gouvernement français pour le Ministre des Affaires Etrangères autrichien, il doit maintenant ajouter un sentiment de reconnaissance pour la loyauté avec laquelle il a nettement repoussé l'offre d'alliance offensive et défensive, dont le Comte Tauffkirchen s'était fait le maladroit intermédiaire pour le compte de la Prusse et du reste de l'Allemagne.

Dans l'opinion de l'Ambassadeur français comme dans celle de tout le Corps diplomatique, la démarche de l'Envoyé bavarois était tout simplement une tentative de coalition contre la France, et si elle eftt réussi, la Prusse se serait péremptoirement refusée à toute concHiation sur l'évacuation du Luxembourg. La Baviére pourra peut-etre plus tard payer fort cher cette petite pertìdie, et le mécontement qu'en a témoigné le Cabinet des Tuileries a été si fortement accentué que le Wiirtemberg a crft devoir fa:ire déclarer offdciellement à Paris qu'en agissant comme il l'a fait dans cette circonstance, le Cabinet de

Munich n'avait aucunement reçu l'autorisation de parler au nom et pour le compte de celui de Stuttgart. D'après ce que m'a dit confidentiellement le Due de Gramont, il n'est pas

douteux que dans tout le cours des négociations relatives a Luxembourg, M. Benedetti a été complètement joué par le Comte de Bismarck qui, tandis qu'il lui faisait des promesses formelles pour l'annexion de ce territoire, et l'engageait mème à agir promptement, mettait en secret des batons dans les roues, et organisait dans le Parlement du Nord la Comédie Bennigsen. La correspondance de M. Benedetti (1), dont pour plus de s1lreté il donnait lecture au

Comte Bismarck avant de l'envoyer à Paris, établira pleinement m'a dit M. de Gramont, la fourberie et la duplicité du Ministre prussien, qui maintenant est connu de l'Empereur et ne pourra plus le tromper.

Au reste l'Ambassadeur français a la conviction que si la conciliation s'opère à Londres, ce ne pourra ètre qu'une conciliation malsaine, et qu'en réalité la partie n'est que remise.

La Cour Impériale commence à éprouver les plus vives inquiétudes sur le sort de l'Empereur Maximilien. Elle a fait demander au Cabinet de Washington d'obtenir la promesse formelle des chefs de l'armée Juariste, que si l'Empereur venait à tomber entre leurs mains, Sa Majesté f1lt considérée et traitée comme prisonnier de guerre. L'Envoyé américain ici a été chargé de donner otnciellement cette assurance, à laquelle l'Empereur a immédiament fait répondre par l'expression de ses remerciements.

P.S. Le Ministre de Hollande qui n'était pas sans inquiétude sur le sort de son Pays, se montre très satisfait de la perspective de le voir tout à la fois délivré de l'occupation prussienne et des dangers inhérents à une forteresse qui sera démolie.

(l) Per le risposte cfr. nn. 438, 439, 440, 441 e 447.

438

IL MINISTRO A LONDRA, D'AZEGLIO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI CAMPELLO

T. 283. Londra, 29 aprile 1867, ore 11,27 (per. ore 17,35).

Soyez bien persuadé que je ferai de mon mieux pour notre admission, mais je crois qu'il faut se bomer à sonder terrain surtout éviter par démarche directe de provoquer réfus préjudiciable pour la dignité du pays. Dans ces dernières années on a mal interprété pareilles insistances de notre part qui pourtant alors avaient un but plus positif que dans cas actuel. Au reste tout dépend des dispositions de Paris et Berlin et lord Stanley y accédera. Je sonderai d'abord leurs ambassadeurs.

(l) Cfr. Les origines diploma.tiques de la. guerre 1870·71, vol. 15 e 16.

439

IL MINISTRO A PARIGI, NIGRA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI CAMPELLO

T. 281. Parigi, 29 aprile 1867, ore 12 (per. ore 13,50).

Moustier m'a dit que la France ne serait pas contraire à la participation de l'Italie à la conférence, mais il ne voit pas de titre sur !eque! on pourrait appuyer la demande. En tout cas la France, étant en quelque sorte passive, ne pourrait prendre aucune initiative à ce sujet. Pour ma part je n'ai fait aucune demande au Marquis de Moustier, qui est entré lui-meme dans ce discours, et j'approuve hautement votre intention de ne pas en !aire.

440

IL MINISTRO A LONDRA, D'AZEGLIO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI CAMPELLO

T. 284. Londra, 29 aprile 1867, ore 14,40 (per. ore 18,05).

J'ai vu lord Stanley et j'ai pu l'amener à me dire lui meme le premier qu'il comprenait ce que je voulais lui faire entendre, et il a déclaré que quant à lui il ne mettrait pas d'obstacles à notre admission à la conférence. Ce langage bienveillant m'a décidé à lui parler sans réserve et il m'a parfaitement compris et il a admis !es motifs qui nous font agir. On n'a pas encore tout-à-fait décidé si c'est à Londres que conférence se concertera, ce que c'est probable. Lord Stanley après déclaration de Prusse qu'elle acceptera décisions des puissances, la considère comme une pure formalité.

441

IL MINISTRO A BERLINO, DE LAUNAY, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI CAMPELLO

T. 285. Berlino, 29 aprile 1867, ore 15,40 (per. ore 18,15).

Je ne crois pas que de propre mouvement puissances nous invitent conférence de Londres aujourd'hui pas plus qu'à celle pour affaire Danemark, quoique l'objet en litige ait tout autre importance; titre légal celui au moins des traités manque, mais si conférence devait étendre programme devenir congrès ce que Prusse ne prouve le désirer puisqu'elle risquerait fort de fermer ses horizons, il est évident que notre droit de participation serait alors justifié. Nous aurions méme à le réclamer. En attendant si la paix sort des conférences ce ne serait qu'un répit. Irritation subsisterait des deux còtés du Rhin. Dans cette conférence nous aurions peut etre sans profit réel à opter pour Prusse ou France. Il vaut mieux peut etre réserver intacte influence à utiliser dans des prévisions probables et plus sérieuses encore. Je n'ai pas encore pu voir Bismarck. Il m'a remis à demain.

442

IL MINISTRO A LONDRA, D'AZEGLIO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI CAMPELLO

T. 288. Londra, 30 aprile 1867, ore 15,50 (per. ore 18).

Ambassadeur de France tout en paraissant persuadé des intentions favorables de son Gouvernement m'a fait observer que réellement ce qu'on appelle conférence ne serait qu'apposer une signature à un protocole pour un arrangement concerté ailleurs. V. E. verra d'après cela s'il ne serait pas à propos de prendre simplement acte des réponses favorables reçues des différents Cabinets pour s'en servir de précédent sans insister davantage à prendre part à ce qu'on est convenu d'appeler une simple formalité.

443

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI CAMPELLO, AL MINISTRO A PARIGI, NIGRA

T. 181. Firenze, 30 aprile 1867, ore 15,55.

Vous etes autorisé à faire demain le paiement de la dette pontificale. Vous recevrez demain matin instructions détaillées par poste. Le sénat n'ayant jamais pu etre en nombre légal pour voter, il faut que vous retiriez un reçu provisoire. En attendant nous penserons dans quelle forme on pourra régulariser cet acte.

444

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI CAMPELLO, AL MINISTRO A BERLINO, DE LAUNAY (Ed. in italiano in L V 11, pp. 38-42)

D. 4. Firenze, 30 aprile 1867.

Au moment où toutes les nouvelles que nous recevons portent que la situation s'est beaucoup détendue et qu'un arrangement sur la question du Luxembourg est devenu possible entre la France et la Prusse, il me parait utile de Vous entretenir sans hésitations et sans réserves sur la conduite que le Gouvernement du Roi a tenue en présence d'un conflit aussi sérieux que regrettable (1). Vous trouverez, je n'en doute point, dans les premiers actes du Cabinet dont je fais partie, la meilleure preuve de notre ferme intention de ne pas nous écarter du programme que nous nous sommes tracés. Vous y verrez en outre la conflrmation par les faits de ce que je Vous ai déjà mandé par le télégraphe, c'est-à-dire que rien n'est changé dans notre politique extérieure et que nous entendons de garder vis-à-vis de la Cour de Berlin l'attitude bienveillante et sympathique que Vous connaissez.

C'est pourquoi je dois avant tout Vous féliciter d'etre parfaitement entré dans les vues du Gouvernement du Roi, lorsque dans votre premier entretien avec M. le Comte de Bismarck Vous vous etes appliqués à faire connaitre à S. E. combien nous déplorerions toute complication qui pourrait compromettre la paix dont le besoin se fait si généralement sentir, et tout le regret que nous éprouvions en voyant surgir des hostilités entre deux pays qui l'un et l'autre ont été nos frères d'armes dans l'oeuvre de notre affranchissement.

Vous avez bien interprété les voeux et les sentiments de l'Italie en démon

trant par votre langage que nous ne sommes pas de ceux qui se refusent à

reconnaltre la solidarité, qui résulte pour les nations d'une lutte soutenue en

commun pour le triomphe des memes principes. Mais si de cette situation, que

Vous comprenez si bien et que Vous avez déjà retracée dans votre conversa

tion avec le premier Ministre du Roi Guillaume il ressort que la politlque de

l'Italie dans le cas regrettable d'une guerre entre la Prusse et la France, ne

saurait etre autre que celle d'une neutralité impartiale, nous ne pourrions

sans manquer aux devoirs de la prévoyance la plus élémentaire ne pas envi

sager, dès à présent, tous les dangers de la situation qui nous serait faite du

jour où les hostilités éclateraient entre nos deux anciens alliés.

Ce n'est donc pas seulement pour obéir à un sentiment profondément

enraciné dans le coeur des Italiens, mais aussi pour satisfaire à une exigence

réelle de notre situation politique que nous avons cru nécessaire de nous adres

ser tout d'abord à l'Angleterre pour unir nos efforts aux siens dans un but de

conciliation.

Afln que Vous soyez à meme de connaitre la nature et la portée de la

démarche que nous avons faite à Londres je m'empresse de Vous envoyer

ci-joint une copie de la dé~che que j'ai adressée à M. le Marquis d'Azeglio

en date du 19 de ce mois (2). En nous adressant à un Cabinet qui partageait

notre désir et notre intéret pour la conservation de la paix en Europe, nous

étions persuadés d'avance qu'une communauté de vues ne tarderait point à

s'établir entre l'Angleterre et l'Italie en présence d'une éventualité qu'il im

porte également aux deux pays d'éloigner. Lord Stanley a fait le meilleur

accueil à nos communications et S. S. a hautement approuvé le point de vue

désintéressé auquel nous nous placions dans une question aussi grave.

Dans l'intervalle le Ministre du Roi à Paris nous avait fait connaitre les

bases sur Iesquelles, à san avis, une conciliation aurait pu etre proposée à Ber

Un avec une chance assurée d'ètre agrée par la France. La Marquis de Moustier

s'était borné, il est vrai, à faire comprendre à M. Nigra que nos conseils amicaux

et bienveillants au Cabinet de Berlin dans un sens de pacification auraient été vus avec plaisir par le Gouvernement de l'Empereur; toutefois, comme les bases que l'on proposait ne nous para,issaient point suffisantes pour donner à la Prusse la garantie qu'elle aurait certainement demandée, nous n'avons point hésité à faire connaitre au Chevalier Nigra, qu'à notre point de vue on ne pouvait espérer de conserver la paix si dans les bases memes que l'on proposait pour devoir servir à un arrangement entre la France et la Prusse, on ne se décidait point à insérer une condition capable d'éloigner pour longtemps le danger d'un retour des dimcultés présentes. Je pense qu'il est utile que Vous connaissiez le langage que le Ministre du Roi à Paris a été chargé de tenir dans cette occasion, et à cet effet je Vous envoie une copie d'une dépeche que je lui ai adressée demièrement (1).

En attendant comme des bruits différents couraient sur l'attitude que l'Italie prendrait en cas de guerre entre les Puissances engagées directement dans le conflit, pour ne laisser subsister aucun doute à cet égard, nos Représentants auprès des Cours d'Allemagne, aussi bien que les Représentants italiens à la Haye et à Bruxelles (2) ont reçu des instructions qui leur enjoignaient de tenir un langage mesuré et entièrement pacifique. * A l'Envoyé du Roi à Vienne et au Chargé d'Affaires à Saint Pétersbourg qui nous avaient signalé l'attitude de la Russie comme étant destinée à tenir en échec l'Autriche, nous n'avons point hésité à faire connattre que nous ne trouvions rien dans cette attitude du Gouvemement Russe de contraire à notre intéret. Si on ne pouvait pas éviter la guerre, on devait du moins chercher par tous les moyens possibles à restreindre ce grandmalheur dans les limites les plus étroites * (3).

La lecture des pièces diplomatiques, que je joins à mon expédition d'aujourd'hui, sumra, j'en suis persuadé, pour Vous faire comprendre l'intention qui les a dictées.

Maintenant les affaires du Luxembourg sont entres dans une nouveUe phase dans laquelle la question, tout en n'ayant pas encore perdu de sa gravité réelle ne présente plus au meme dégré un péril imminent.

La proposition d'une conférence à Londres, que la France et la Prusse auraient également acceptée, témoigne de l'esprit de conciliation qui anime les deux parties principalement intéressées, et nous nous flattons de l'espoir qu'un arrangement pourra devenir facile du moment où les deux Gouvernements se montrent disposés à rechercher dans une réunion des Puissances les conditions d'une paclfication durable.

Comme Vous le dites très bien dans vos dépeches, si nous ne sommes pas signataires des Traités de 1839 * nous avons un intéret personnel et général au maintien de la paix.* Si nous n'avons pas un droit légal d'immixtion dans le règlement d'une question où nous n'avons pas figuré comme partie contractante, nous n'en avons pas moins un intéret réel à tout ce qui peut amener la paix et la tranquillité en Europe.

Il y a en effet deux points de vue auxquels on peut se piacer pour consi· dérer la position de l'Italle dans la phase actuelle de la question Européenne.

Nous n'avons point signé les Traités antérieurs qui ont régi jusqu'ici le droit public de l'Europe, nous ne sommes donc nullement engagés par la signature placée au bas de ces actes diplomatiques; mais est-ce à ce point de vue exclusif et restreint que les questions qui peuvent créer des conflits sérieux entre les Puissances devront etre désormais examinées? Ou bien si meme on prenait pour point de départ de la discussion les traités antérieurs, l'oeuvre d'une conférence appelée à chercher les conditions d'une paix durable ne devrait-elle pas plutòt avoir pour but d'amener à une reconnaissance générale de l'état actuel des choses, en un mot à une espèce de validation par l'Europe des changements considérables qui s'y sont faits dans les derniers temps? *La signification que l'on attachera à la réunion d'une Conférence appelée à chercher les termes d'un compromis entre la France et la Prusse ne saurait, à notre avis, etre autre, et nous osons meme affirmer que l'oeuvre des Puissances ne puiserait que dans cette conviction de l'opinion générale la force de vaincre les difficultés que présente la recherche d'un arrangement acceptable dans une question où les sentiments et les instincts des nations sont en jeu.

A notre point de vue * nous croyons que si méme la Conférence de Londre::. devait se borner à examiner uniquement la question du Luxembourg, son influence morale dépasserait de beaucoup les bornes de la question que l'on y poserai t.

En nous plaçant à ce point de vue plus général et plus vrai, Vous com· prenez bien, M. le Comte, que notre droit de prendre part à une réunion des Puissances trouverait de bons et solides arguments. Il n'est cependant pas dans mon intention de m'arreter ici à les développer; il faut avant tout que l'Europe se rende compte elle-meme de la position qui nous appartient et du ròle que l'Italie est appelée à jouer pour qu'elle puisse comprendre combien il serait de son propre intérét de nous admettre dans ses conseils. L'Italie porte dans le concert Européen un puissant élément d'ordre et de paix. Intéressé plus que tout autre à éviter des perturbations qui pourraient compromettre ou retarder l'accomplissement de l'oeuvre intérieure à laquelle il doit vouer tous ses efforts, le Gouvernement Italien ne peut se proposer qu'un seui but (1),

* pour sa politique, la consécration du principe sur lequel se fonde notre reconstitution nationale et qu'il est dans l'intéret de toutes les nations de faire prévaloir en Europe. Sa présence dans la réunion des Puissances serait un gage assuré de paix. Ne serait-il donc pas sage, ne serait-il donc pas de bonne politique que les Puissances elles-mémes pensassent à nous associer à leur oeuvre collective de pacification?

Vous trouverez, M. le Ministre, dans ces quelques idées tracées sous la première impression produite par une situation nouvelle et inattendue, les éléments d'un entretien tout confidentiel avec M. le Comte de Bismarck.

Connaissant Vous-méme à fond la position politique de l'Italie vis-à-vis des autres Puissances, Vous pourrez donner à ma pensée le développement dont elle est susceptible. * Nous sommes convaincus que la Prusse serait particulièrement intéressée à désirer notre présence dans les Conférences de Londres,

car elle ne pourrait y trouver qu'une garantie de plus pour la consolidation de la paix sur des bases capables d'augmenter la force et d'assurer la prépondérance du principe au nom duquel elle a combattu avec l'Italie *.

(1) -Lo stesso 30 aprile furono inviati anche a Barrai e Incontri dispacci sull'atteggiamento dell'ltal!a nella questione del Lussemburgo (vedi LV 11, pp. 37-38). (2) -Cfr. n. 389. (l) -Cfr. n. 390. (2) -In LV 11 qui aggiunto «a Berna e presso le varie corti germaniche». (3) -I brani fra asterischi sono omessi in LV 11.

(l) In LV 11 qui aggiunto: <<quello di contribuire alla conciliazione dei grandi interessi europei sulle più larghe e solide basi. Le potenze che ora ci invitassero ad associare la nostra azione alle loro opera collettiva di pacificazione farebbero atto di politica savia ed accorta».

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IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI CAMPELLO, ALL'INCARICATO D'AFFARI A PIETROBURGO, INCONTRI

D. 75. Firenze, 30 aprile 1867.

M. de Kisseleff m'a communiqué hier un mémorandum de son Gouvernement au sujet de la condition actuelle des populations chrétiennes de l'Orient et il m'a en méme temps entretenu de l'urgence de faire sortir cette question du vague des phrases générales.

D'après l'opinion du Cabinet de Saint Pétersbourg les Puissances devraient s'entendre tout d'abord sur les bases des réformes à introduire dans l'Empire Ottoman et confier ensuite à leurs Représentants à Constantinople la discussion des détails.

L'Envoyé de Russie avait l'ordre de nous convier à un échange d'idées à ce sujet et il a beucoup insistè pour que le Représentant du Roi à Constantinople fut autorisé à prendre part aux délibérations et aux démarches qui pourraient y avoir lieu.

J'ai remercié M. de Kisseleff de cette communication et je l'ai assuré de notre empressement à concourir aux délibérations qu'il s'agira de prendre pour chercher un remède ellì.cace à la situation actuelle de l'Empire Ottoman.

J'ai dit confidentiellement à M. de Kisseleff que S. M. le Roi ayant décidé l'envoi d'un nouveau Ministre à Constantinople, ce dernier recevrait avant son départ toutes les instructions nécessaires pour agir de concert avec ses collègues auprès de la Sublime Porte afin d'obtenir le resultat désiré.

L'examen rapide que j'ai fait du Mémorandum que M. de Kisseleff m'a communiqué ne me permet point d'entrer dans une discussion approfondie sur ce document important. Je me plais cependant à reconnaitre que les vues larges qui l'ont dicté, méritent notre plus sérieuse considération.

D'ailleurs ce qui a été dit dans des pièces récentes émanées des Cabinets de Tuileries et de Saint Pétersbourg s'accorde parfaitement avec les rapports que nous avons reçus de nos agents du Lévant et nous avons pu également constater que les mesures successivement introduites dans l'Empire Ottoman sont loin d'avoir atteint le but que l'Europe s'était proposé.

Est-ce que ces mesures ne répondent point à l'état de civilisation du pays et aux besoins des populations dont l'avenir intéresse à un si haut degré l'Europe?

Il y a là un problème sur lequel je ne voudrais point me prononcer ici, mais il me parait qu'un travail pratique de réforme en Orient ne peut étre entrepris avec chance de succès qu'après un examen de la situation actuelle des différentes provinces de l'Empire Ottoman et des conditions respectives des races qui l'habitent.

C'est à ce point de vue que nous nous appliquerons à étudier avec la plus grande sollicitude les questions dont on réclame la solution, et Vous pouvez dire dès-à présent à S. E. le Prince Gortchacoff que nous serons heureux si par notre concours à une oeuvre aussi importante, nous aurons pu contribuer à écarter les dangers qui semblent menacer le répos de l'Orient.

Vous etes autorisé à donner lecture de cette dépeche au Prince Vice Chancelier lorsque Vous Vous rendrez chez lui pour le remercier de la communication que M. de Kisselew a été chargé de me faire.

ALLEGATO.

MEMORANDUM

Les efforts de la diplomatie Européenne tendent depuis plus d'un demi siècle à l'apaisement de l'Orient et à la conciliation du maintien de l'Empire Ottoman avec le bien-etre et la sécurité des populations chrétiennes qui en font partie. Depuis la seconde moitié du règne du Sultan Mahmoud les souverains et les hommes d'Etat Tures ont poursuivi le mème but, avec plus ou moins de sincérité ou de persévérance, mais avec un incontestable désir de prévenir !es perturbations qui leur créent des difficultés sans cesse renaissantes.

Les réformes du Tanzimat, la charte de Gulhané et le Hatt-Houmayoun de 1856, ont été !es manifestations réitérées, malheuresement toujours stériles, de ces tendances.

Tous !es Cabinets Européens sont d'accord pour reconnaitre que ces réformes, dont le Hatt-Houmayoun de 1856 résume le programme, n'ont pas été sincèrement appliquées.

Quelques uns d'entre eux supposent néanmoins qu'elles pourraient l'ètre et que pour assurer la prospérité des populations chrétiennes de l'Orient ainsi que la vitalité du Gouvernement Turc, il suffirait d'insister sur la stricte exécution de ces réformes en y ajoutant quelques développements d'une importance secondaire.

Le Cabinet Impérial en juge autrement. Il est d'avis que l'expérience a surabondamment démontré l'insuffisance de ces réformes, leur impossibilité pratique ainsi que les funestes conséquences des demi-mesures adoptées jusqu'à présent.

Le désinteressement absolu de la politique de l'Empereur, le sincère désir de Sa Majesté de concilier le bien-ètre de ses corréligionnaires avec le maintien de l'autorité du Sultan afin de satisfaire aux exigences de l'équilibre Européen, ont été constatés par des faits trop notoirs, des assurances trop positives, pour qu'il soit nécessaire, ou meme digne, de repousser des allégations que des défiances obstinées persistent à reproduire.

Le but unique que cette politique poursuit en Orient c'est la création d'un ordre de choses stable et rationnel qui mette un terme aux calamités dont souffrent des populattons auxquelles toute la chrétienneté ne saurait ètre indifférente.

Le Cabinet Impérial croit avoir démontré dans un travail qu'il n'a pas manqué de communiquer aux Grandes Puissances intéréssées dans la question, les causes radicales de l'insuffisance et de l'impossibilité pratique des réformes inscrites dans le Hatt Houmayoun de 1856.

Ce travail aboutissait aux conclusions suivantes:

« L'expérience a prouvé que des réformes émanant de l'initiative du Gouvernement Turc et abandonnées à son exécution irrésponsable sont insuffisantes et inefficaces. Il en résulte pour !es Puissances sincèrement désireuses d'apaiser et de régénérer l'Orient en y maintenant l'autorité du Sultan, l'obligation morale d'aviser à des moyens plm. pratiques, non seulement pour !es recommander ou "en constater la valeur", mais pour Jes définir nettement et veiller d'un commun accord à lt>ur stricte et loyale application ».

C'est pour s'acquitter de cette obligation que le Cabinet Impérial a consigné ses idées dans l'aperçu actuel. On ne peut qu'esquisser à traits généraux l'ensemble des mesures réclamées par la multiplicté et la complexité des intérèts qu'il s'agit de concilier. C'est à des délibé

rations communes et spéciales où chacune des grandes puissances apporterait son contingent de lumières, qu'il convient d'en réserver les détaUs.

Le Cabinet Impérial se bome à indiquer les principes qui pourraient servir de bases à l'oeuvre si désirable d'apaisement, que Ics grande.o; puissances ne sauraient abandonner après l'expérience acquise à l'initiative et aux soins exclusifs du Gouvernement Turc.

Les considérations qui le portent à s'abstenir de toute immixtion dans les affaires exclusivement Musulmanes ont déjà été exprimées et il ne saurait perdre de vue que « en sa qualité de successeur des Califes le Sultan réunit des pouvoirs spirituels et temporels que les puissances chrétiennes ne sont ni aptes ni compétentes à controler ».

Aucune des réformes entreprises en Turquie n'a été mise à complète exécution. La plupart d'entre elles ont eu des résultats diamétralement opposés à ceux qu'on avait eu en vue en les promulguant. Tous les sujets du Sultan sans distinction de culte et d'origine, Tures, Grecs, Slaves et Albanais, ne s'accordent que pour déplorer ces réformes et entraver leur application.

On est par conséquent autorisé a déduire de ce fait que ces réformes ont une défectuosité radicale qui en paralyse le développement.

L'analyse raisonnée des mesures contenues dans les différentes chartes promulguées par les Sultans dans le vain espoir de contribuer au bien-etre de leurs sujets, amène aux conclusions suivantes: chacune de ces mesures prise isolément ne laisse pas beaucoup à désirer au point de vue de la civilisation du progrès et de l'équité; mais ce qui leur enlève toute portée réelle, c'est que dans leur ensemble, elles reposent sur une base essentiellement défectueuse, c'est à dire sur la fusion d'élémens, qui se repoussent entre eux.

Les doctrines religieuses et sociales des Musulmans, sont en contradiction avec toutes les doctrines et tous les principes des Chrétiens. Il résulte de cette divergence de principes et de croyance l'impossibilité radicale d'appliquer le meme régime aux Musu!mans et aux Chrétiens.

Toutes les précédentes réformes ont méconnu cette nécessité. Dès lors qu'on est sincèrement animé du désir d'apaiser l'Orient et de mettre un terme à ses perturbations, il faut tout d'abord renoncer à cet espoir de fusion entre éléments qui ne peuvent pas s'amalgamer; il !aut adopter d'autres bases, choisir un autre point de départ.

Le problème que les grandes Puissances sont appelées à résoudre dans l'intéret de l'équilibre général, comme dans celui des populations de l'Orient et des Tures eux memes, pourrait etre posé dans les termes suivans:

« Créer un ordre de choses sociales, politiques et administratives approprié aux exigences respectives des Chrétiens et des Musulmans de l'Empire Ottoman organiser leur coexistence parallèle sans les sacrifier les uns aux autres et en assurant leur sécurité et leur développement sous l'autorité commune du Sultan ».

En se mettant à l'oeuvre d'un commun et loyal accord, en écartant les défiances réciproques et les vues d'influence exclusive qui ont neutralisé tous les efforts et les essais précédens, il serait d'autant plus facile de résoudre ce problème, qu'on retrouve dans les traditions historiques et les moeurs Musulmanes les élémens d'une pareille solution.

Ce n'est que depuis quarante ans au plus que les Tures ont entrepris l'assimilation des nationalités chrétiennes qu'ils ont soumises. Croyant faire acte de civilisation Européenne en adoptant les théories d'absorption et de centralisation, ils ont systématiquement dépouillé depuis lors les populations chrétiennes des droits d'autonomie provinciale et communale qu'elles exerçaient dans des conditions plus ou moins satisfaisantes jusqu'au commencement de ce siède. Il est de fait que c'est présisément à dater de cette époque que les troubles intérieurs et les perturbations sont devenues pour ainsi

dire, chroniques en Turquie. Il est également positif que les provinces où ce changement de système s'est manifesté le plus rigoureusement (à Candie et en Epire, par exemple, en Bugarie et en Bosnie), sont justement celles où les troubles sont le plus fréquents, où l'autorité du Sultan est le plus ébranlée et où les souffrances des populations ont atteintes les plus fortes proportions.

Une démonstration en sens invers est acquise à l'appui de cette thèse.

L'Ile de Chio est non seulement une de plus florissantes de l'Archipel, mais on peut dire que de tous les domaines de l'Empire Ott.oman, il n'en est pas de plus prospère, de plus tranquille, et où Musulmans et Chrétiens vivent en meilleure intelligence.

Quoique ravagée de fond en comble lors de la guerre insurrectionnelle de 1821, la population de Chio, s'élève à 75.000 àmes. Elle possède 686 Eglises, 48 écoles communales, une école de haut enseignement, un gymnase et une bibliothèque publique composée de 18.000 volumes, 450 navires de commerce montés par 5.000 matelots, un télégraphe sous-marin, 29 millions d'exportation et 42 millions d'importation annuelle, diverses autres industries locales et une agriculture florissante; telles sont les conditions exceptionnelles dans lesquelles se trouve cette Ile, tandis que toutes les autres possessions insulaires du Sultan, sauf l'Ile de Samos, sont dans une situation dont les calamités crétoises constatent la triste réalité.

Or, il se trouve que l'Ile de Chio a conservé par un concours de circonstances accidentelles, l'autonomie administrative dont les autres populations chrétiennes ont été frustrées gràce aux réformes, que tout en ayant un Gouverneur Musulman, le gouvernement de l'Ile s'exerce en réalité par une Démogerontie ou Conseil municipal, annuellement élu par les Chrétiens et dont relèvent les Démogéronties communales, que la justice s'exerce par des magistrats élus, enfin que la police intérieure est confiée à une milice locale entretenue par les habitans, et choisie parmi eux.

L'Ile de Samos qui jouit en vertu des stipulations internationales consignée dans !es protocoles des Conférences de Londres de 1829 et 1830 (stipulations dont les bénéfices ont été arbitrairement refusés aux Crétois) d'une autonomie administrative avec un gouverneur chrétien, se trouve aussi dans des conditions de prospérité relative.

Il en est de mème d'une localité de la Thessalie, connue sous le nom de Sarandar Charia (quarante villages) ainsi que de certains districts de l'Herzégovine, qui ont conservé leurs immunités, qui s'administrent eux memes et où les autorités turques ne pénètrent que pour recevoir le total des impòts perçus et répartis par des chefs électifs.

L'Ile de Chio est représentée à Constantinople de meme que l'était jadis le Pachalixsus du Peloponèse, par un fondé de pouvoir spécial, ou Kapou-Kétaya qui traite directement avec la Porte des intérets de ses mandataires.

Pendant plus de deux siècles enfin toutes les iles de la mer Egée s'administraient elles-memes en déhors de toute ingérence Musulmane. Une fois par an le CapoudanPacha fesait la tournée de ces Iles pour recueillir le tribut qui leur était imposé. C'est à ces conditions que les Cyclades ont été redevables de leur prospérité et ce n'est que lorsque la Porte a voulu y introduire son système de centralisation et qu'elle a fait decapiter leur Représentant (Nicolas Mouronsi, dernier dragoman des Iles de la mer Egée, titre que portait ce Représentant) à bord du navire de Capoudan-Pacha que les Cyclades sesont détachées de l'Empire.

Les faits précités témoignent qu'il n'est pas impossible de concilier l'autonomie administrative des popul::Ltions chrétiennes de l'Orient, avec le maintien de l'autorité du Sultan. Pour y parvenir, il n'est pas besoin de se lancer à l'aventure dans le domaine de l'inconnu. Il ne faut ni renverser, ni bouleverser l'édifice Ottoman sous prétexte de le reconstruire à neuf. Il suffit de le débarrasser des dangereuses superfétations qui compromettent sa solidité et de l'étager par des combinaisons adaptées à ses éléments constitutifs ainsi qu'à sa formation originaire.

Le Cabinet Imperia! propose en conséquence l'examen d'un ensemble de mesures dont les traits généraux peuvent se résumer ainsi qu'il suit:

l o Délimitations géographiques, groupement des populations.

Les anciennes délimitations géographiques de l'Empire Ottoman répondaient aux groupes divers formés par les nationalités conquises. A mesure que les Sultans soumettaient un peuple, ils le rattachaient à l'Empire par un lien de vasselage, lui imposaient un tribut souvent meme y placaient un chef Musulman mais ils maintenaient ses limites et son organisation nationale. La création récente des Vilayet a porté quelques atteintes à l'ancien ordre de choses. Il importerait d'y revenir en constituant autant de provinces qu'il y a de principaux groupes de nationalités réunies sous le sceptre du Sultan.

Ainsi, la population mixte de la Roumélie avec une partie de la Macédoine, formerait une province, la Bulgarie une autre, la Bosnie l'Herzégovine, l'Albanie et !es

Pachaliks adjacents ae la vieille Serbie une troisième, l'Epire, les parties méridionales de l'Albanie, la Thessalie et une partie de la Macédoine une quatrième, enfin toutes les Sporades, avec Chio pour chef lieu, constitueraient une cinquième province insulaire.

Chacun de ces groupes dont la délimitation précise devrait faire l'objet d'une étude spéciale, semble avoir de seriéuses raisons d'étre géograplliques, ethnographiques et religieuses. Il n'y aurait que peu de choses à modifier pour y adapter les délimitations actuelles.

2° Organisation administrative des provinces, des cantons et des communes. Le principe d'autonomie devrait servir de base fondamentale à l'organisation administrative de toutes les provinces de la Turquie d'Europe. Chaque province, comme chaque canton et chaque commun serait administrée par des chefs indigènes librement élus à la majorité des votes de la population. Le chef de la commune serait assisté d'un conseil communal, élu parmi tous les habitans de la commune sans distinction d'origine, de culte et de nationalité. Ce conseil communal répartirait et percevrait les imp6ts votés par le Conseils généraux des provinces. Il serait appelé à veiller par l'organe de préposés nommés par lui à la sécurité publique, au maintien des routes communales, des écoles primaires et autres établissemens d'éducation et de bienfaisance publique. Il voterait les taxes et les charges locales. Il disposerait de la milice communale recrutée parmi les habitans et chargée de maintenir l'ordre et la sécurité. Les conseils des Sandjaks ou districts seraient organisés sur les mémes bases, composés de délégués des Conseils Communaux et placées sous la présidence d'un fonctionnaire de l'Etat appartenant à la nationalité prédominante du canton. Des délégués de ces Conseils de Sand]ak seraient appélés à constituer le Conseil général de la Province placé sous la présidence du Gouverneur Genéral. Ce fonctionnaire serait nommé par le Sultan. Il dirill:erait les affaires de la province avec l'assistance du Conseil Général au vote duauel il aurait à se conformer tout en ayant la faculté d'en appeler dans les cas d'imoortance maieure à la décision de la Porte. Les Evéques Orthodoxes et Catlloliques-Romains ainsi que Jes Rabbins et les Muphtis siègeront de droit dans les Conseils généraux pour défendre les intéréts religieux de leurs cultes resoectifs.

3" Organisation 1udiciaire. L'organisation judiciaire des nooulations chrétlennes de l'Empire Ottoman serait également constituée sur les bases du principe électif. Chaaue commune élirait un .iu2e de palx appartenant à la nationalité prédominante de la commune et appelé à connaìtre des causes correctionnelles et des causes civiles d'une certaine valeur entre Chrétiens. Un tribuna! de première instance, dont les membres seraient élus par les conseils du Sandjak, serait créé pour plusieurs cantons et jugerait en appel des causes civiles et criminelles entre chrétiens, ou bien entre chrétiens et musulmans si la partie musulmane accepte volontairement sa compétence. Au besoin il y aurait des cours d'appel pour une ou deux provinces. Pour les causes mixtes, c'est à dire entre chrétiens et musulmans, il y aurait dans chaque province quelques tribunaux mixtes où siègeraient un nombre égale de chrétiens et de musulmans. La Présidence serait alternativement dévolue à un chrétien et à un musulman. Tout Chrétien jugé par un tribuna! mixte aurait le droit de réclamer la présence d'un Consul ou d'un Agent Consulaire étranger qui veillerait à ce que JU:Stice impartiale soit rendue. Cette garantie, dont l'expérience a démontré l'indispensable nécessité, pourrait étre supprimée avec le tems lorsque les principes de justice et de légalité auront pris racine dans le pays. Dans les communes et les cantons dont la population est principalement musulmane, les causes entre chrétiens seront du ressort judiciaire du trib:mal chrétien le plus proche. La compétence des cours ecclésiastiques présidées par les chefs des Communautés religieuses sera nettement définie. Les causes spéciales entre personnes du méme rite pourront y étre seulement jugées.

Les tribunaux de commerce seront maintenus dans les grandes villes de l'Empire sous leur forme actuelle, mais sur les bases du principe électif.

Les codes des lois civiles, criminelles et de procédure seront révisés avec l'assistance de jurisconultes étrangers et publiés en langues Turque, Grecque, Slave et Arménienne.

4" Organisation militaire. Les sujets chrétiens et israélites du Sultan seront affranchis de la servitude militaire moyennant un impòt d'exonération dont la quantité sera équitablement fixée, et qui n'atteindra que les personnes valides de 18 à 35 ans. Cet impòt sera reparti et perçu par les Chefs des communes. Ceux des chrétiens et des israélites qui voudraient s'enròler dans l'armée y seront admis au meme titre que les musulmans; ils seront exemptés alors de l'impòt d'exonération. Tous les sujets valides du Sultan sans distinction de culte ou d'origine devront servir dans les rangs des milices locales pour contribuer au maintien de l'ordre publi. que. C'est par ces milices que l'onoxercera la police sous la direction des chefs des communes, et le commandement du Gouverneur de la province. En aucun cas les milices ne seront appelées à franchir les limites de leur cantons respectifs.

5" Finances. La totalité des impòts et des contributions de chaque province sera fixée en bloc par la Porte, chaque trois ans, en convoquant à cet effet une commission spéciale de délégués des conseils provinciaux ayant voix consultative. Ces délégués pourront se rendre les interprètes des demandes et des représentations des provinces dont ils seront les Kapou-Kéhaias ou fondés de pouvoir. En fixant le chiffre des impòts et des contributions des différentes provinces, la Porte prendra en considération le chiffre de leur population, de leurs ressources agricoles, industrielles et commerciales. Les impòts seront répartis et perçus par les conseils provinciaux, cantonnaux et communaux. Chaque commune répondra du paiement exact des impòts qui lui sont assignés. Les redevances ecclésiastiques seront fixées par les conseils provinciaux, réparties et perçues par les communes qui en seront responsables vis-à-vis des chefs des communautés religieuses. Tous les autres impòts, de quelque nature qu'ils soient, seront abolis à l'exception des droits de douane sur les produits désignés dans le tarif commerciai de l'Empire. Ces droits seront prélevés aux frontières par les autorités douanières qui ne relèveront que du fisc.

6• Instruction publique.

Dans toutes les communes de l'Empire, dont la majorité est chrétienne ou israélite, la liberté d'enseignement ne sera limitée que par les restrictions légales réclamées par la morale publique.

La création, l'entretien et la direction des écoles primaires et secondaires appartiendra aux conseils communaux et à ceux des Sandjaks.

Les écoles spéciales et d'enseignement supérieur entretenues par l'Etat seront accessibles aux Chrétiens camme aux Musulmans et aux Israélites. Toutefois les conseils Généraux des provinces pourront fonder à leurs frais des établissements d'instruction de cette catégorie exclusivement destinés aux élèves du culte et de la nationalité prédominante dans la province ou le canton.

Il ne sera mis aucun obstacle à la faculté d'aUer étudier dans les écoles ou les universités étrangères pour les personnes qui se préparent à l'enseignement public, et à leur retour ces personnes seront libres d'exercer le professorat dans les communes et les districts de leurs provinces.

7• Dispositions générales.

Tous les sujets du Sultan, sans distinction de culte, d'origine et de nationallté, seront égaux devant la loi, et aptes à remplir les fonctions publiques.

Les étrangers qui résident en Turquie jouiront encore du droit d'extra-territorialité pendant quelque temps, c'est à dire jusqu'à ce que les nouvelles institutions administratives et judiciaires n'alent pris racine et ne soient entrées dans les moeurs et les usages du pays.

A l'espiration de ce terme, et après avoir constaté par une commission Européenne ad hoe, les résultats acquis, les Puissances étrangères renonceront à l'exercice des droits exceptionnels acquis à leur nationaux en vertu des capltulations et des anciens traltés.

Les Chefs des communautés religieuses chrétlennes conserveront les privilèges et les immunltés dont ils jouissent ab antiquo, mais ils devront se soumettre aux lois, et régler leurs différends par devant les tribunaux compétents, sans recourir à l'intervention ou à la protection étrangère.

L'adminlstration des douanes, les postes, les télégraphes, les chemins de fer, le grandes voies de communication seront de la compétence de l'autorité centrale, qui en confiera le soin à des fonctionnaires choisis indistinctement parmi tous les sujets du Sultan.

L'application de ces mesures ne saurait etre abandonnée, comme on l'a déjà fait observer et comme l'expérience ne l'a que trop démontré, aux soins exclusifs du Gouvernement Turc.

Dans l'intéret meme de ce Gouvernement, comme dans celui des populations de la Turquie d'Europe, il faut éviter les écueils contre lesquels sont venues échouer les précédentes tent.atives. Il importe d'offrir des garanties sérieuses de la sincérité et de la portée pratique de l'ceuvre qui doit etre entreprise et accomplie en Orient, si l'on veut prévenir les calamités et les perturbations à venir. A défaut de ces garanties, qui ne sauraient etre offertes que par la coopération des Cabinets Européens, on peut etre sllr de voir se briser tous les efforts contre l'opposition inerte, il est vrai, mais opiniatre et insurmontable, des populations chrétiennes elles-memes qui ont subì de trop cruelles et de trop fréquentes déceptions pour se fier au bon vouloir ou au savoir faire des autorités musulmanes.

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IL MINISTRO A BERLINO, DE LAUNAY, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI CAMPELLO

R. 13. Berlino, 30 aprile 1867 (per. il 6 maggio).

*J'ai eu ce matin la visite de M. de Thile. Il venait me faire les excuses du Comte de Bismarck qui, empéché par les travaux de la Chambre, ne pouvait à son grand regret conférer dans ce moment avec moi.

Dans cet entretien, j'ai dit au Sous-Secrétaire d'Etat qu'il (l) était deux manières de chercher à rendre service. L'une par un zèle indiscret en s'imposant en quelque sorte; l'autre par des démarches tendantes à deviner, à pressentir les convenances d'un ami, en tàchant de connaitre le maximum et le minimum des Umites jusqu'où pourrait aUer sa condescendance. Avec un tact parfait, mon Gouvernement avait choisi le second mode de procéder.

Ainsi j'ai d'abord été autorisé à me prévaloir de ma position personnelle dans un but de conciliation entre Berlin et Paris. Puis j'avais reçu des instructions plus accentuées et dont je m'étais acquitté dès le 24 de ce mois. Je demandais méme à M. de Thile de lui lire le rapport n. 10 que j'avais adressé à V. E. à ce sujet (2).

40 -Documenti diplomatici -Serle I -Vol. VIII

* Lors meme que le Comte de Bismarck ne se fut pas encore prononcé sur cette double démarche, j'espérais qu'elle avait été accueillie favorablement. C'était l'oeuvre d'une politique franchement amicale et honnete. En tout cas, nous avions en temps utile rempli un devoir sans qu'il nous coutàt cependant aucun effort *, car nous n'avions eu qu'à consulter nos sympathies réelles. Nous n'eussions voulu, sans etre instruits d'avance des intentions de la Prusse nous preter à une combinaison quelconque tendante à un amoindrissement meme minime du territoire Germanique, et cela surtout après que, gràce aux heureux effets de notre alliance de l'année dernière, le Cabinet de Berlin avait contribué à enrichir notre patrimoine national. Mais *s'il avait pensé que nos bons omces eussent pu etre de quelque valeur pour le maintien d'une paix si désirable pour les deux pays, nous eussions été prets à nous y employer. Nous avions meme cherché et réussi à pressentlr adroitement les intentions de l'Angleterre et de la France, pour mieux nous diriger le cas échéant *. Nous vous eussions meme offert notre médiation sur des bases que vous nous auriez indiquées camme compatibles avec votre honneur et vos intérets. Quand on nous parlait de l'évacuation de la forteresse du Luxembourg et de sa démolition, sans apporter aucun autre changement à la constitution politique actuelle du Grand-Duché, nous répondions que, si la Prusse adhérait à cet arrangement, il faudrait tout au moins y ajouter la neutralisation du territoire et de la ville de Luxembourg sous la garantie collective des Puissances.

«Si dans la phase que nous venons de traverser, ai-je ajouté, vous ne vous etes pas prévalu des bonnes dispositions que je vous ai signalées en temps opportun, nous ne les maintenons pas moins pour les phases ultérieures. En attendant, je le constate nouvellement, nous avions pris position de la manière la plus bienveillante. Il n'avait tenu qu'à vous d'en profiter >>.

*M. de Thile a répondu qu'il venait précisément, au nom du Gomte de Bismarck, pour me témoigner combien le Gouvernement Prussien avait été sensible au sentiment qui avait dicté nos démarches, et à la forme que nous avions choisie avec tant de mesure et de délicatesse. J'étais chargé de remercier vivement le Cabinet de Florence. Nous avions agi en amis véritables. Ici on n'avait jamais douté de nos dispositions amicales dans le présent et dans l'avenir, camme par le passé. Elles sont au reste réciproques *. Si on ne s'en est pas prévalu, c'est que la Prusse était dans la position d'observer une stricte réserve, et d'attendre que les Puissances consultées, en vertu des Traités de 1839, eussent fait connaitre leur opinion.

* Me parlant ensuite de l'état actuel des choses, il me confirma ce que j'ai télégraphié à V. E.: à savoir que la Prusse a vai t accepté la réunion d'une conférence (à Londres probablement) sur la base de la neutralisation du GrandDuché de Luxembourg sous la garantie collective des Puissances et de l'évacuat!on de la forteresse *. L'Angleterre eut voulu, parait-il, un engagement préalable de la part de la Prusse de se soumettre aux décisions de la conférence, demande assez étrange, mais qui semble avoir été écartée. Mon interlocuteur croyait que l'o n parviendrait à s'entendre sur ce t te affaire du Luxembourg; mais il était assez d'avis que la confiance à long terme dans la paix générale ne serait pas moins fortement ébranlée. On ne réglerait qu'un incident. La grosse question de la prépondérance entre la France et la Prusse resterait intacte. Il y a eu des froissements d'amour-propre national ensuite de l'attitude de la France, lesquels subsisteront après, comme avant, et il faudra toute la sagesse de la dilplomatie pour prévenir es nouvelles et plus sérieuses complications. Dans tous les cas l'Allemagne ne jouera pas un ròle agressif.

Je partage entièrement l'opinion du Sous-Secrétaire d'Etat. Je vais mème plus loin. Je pense que si la guerre a été ajournée, c'est surtout parce que jusqu'ici la France n'a pas réussi à entrainer l'Autriche.

Celle-ci d'un còté désirerait une revanche; mais d'un autre còté elle se résoudrait dUiìcilement à attaquer la Prusse et partant l'Allemagne, au risque de s'exposer à s'aliéner ses propres populations de la meme race. Elle voudrait, et à la fois elle ne voudrait pas: en conséquence de quoi, elle ne salt prendre un parti. D'ailleurs elle n'a pas ses coudées franches du còté de la Russie, et il est douteux, après les désastres de la dernière campagne, qu'elle soit dèjà en mesure de disposer de ressources suflìsantes pour une guerre aux proportions plus menaçants encore. L'inaction de l'Austriche est donc una garantie de paix, et c'est une des raisons pour lesquelles je me permettrais de conseiller de subordonner notre neutralité à celle de cette Puissance. Il y aurait une autre raison. Si elle dégainait de concert avec la France, il serait à prévoir qu'elle se ferait payer son concours, non seulement en Allemagne, mais aussi aux dépens de la Turquie, dans la Bosnie et l'Herzégovine, provinces qu'elle convoite pour fortifier ses frontières nommément vers l'Adriatique. Ce serait contre nos intérets. Il nous convient donc de toute manière de lui couper les ailes, de la paralyser aussi longtemps du moins que l'Italie n'aura pas acquis tout son degré de puissance par le développement de ses ressources intérieures. Alors les mouvements de nos voisins n'auront plus le meme degré de gravité, car nous serons mieux à meme de les faire tourner à notre profit.

* -Dans l'entretien que je viens d'avoir avec M. de Thile, j'ai de mon propre mouvement touché à un autre sujet. Je lui ai dit que le Comte de Bismarck aimait les hommes d'initiative, et que je lui soumettais les considérations suivantes tout à fait personnelles et sur lesquelles je réservais l'avis de mon Gouvernement. Je ne savais si les Puissances réclameraient notre présence à la conférence de Londres. Nous ne le demanderons pas, puisque nous n'avons pas signé le Traité de 1839. Mais puisqu'il s'agit d'un intérét Européen, je ne vois pas trop celui qu'on aurait à nous laisser en dehors, tandis que je sais bien plutòt que ce serait d'une bonne politique de s'adjoindre un élément de plus d'ordre et de paix. Je ne voulais pas préjuger les convenances de l'Italie; mais je serais bien aise de savoir académiquement la manière de voir du Président du Conseil sur notre participation éventuelle *, surtout si la conférence se transformait en Congrès. Déjà dans les affaires d'Orient, la Prusse comme les autres Puissances ont fini par reconnaitre qu'en ce qui concernait la Turquie, on ne pouvait scinder la question et définir notre compétence d'après tel ou tel Traité. Il en est de mème dans le concert Européen, toute question qui surgit sur le continent ne saurait nous rester étrangère, et on serait mal venu plus tard si on recourait à nous, sans que nous eussions discuté en commun et au méme titre, selon le dicton allemand mitrathen mitthaten. * -Sur ce point M. de Thile s'est réservé d'en référer au Comte de Bismarck.

J'espère que V. E. m'excusera d'avoir provoqué cette question de mon propre chef. Je n'aliène en rien sa propre décision *. En ceci, comme en toute chose, il y a le pour et le contre. J'opinerais presque contre; car la position d'une grande Puissance ne se confère point par décret d'aréopage; elle s'affi.rme d'ellememe; et que les événements nous accordent seulement quelques années de paix pour piacer l'Italie à la hauteur que lui marquent ses destinées, et alors nous prendrons de plein pied la position qui nous est due.

Quoi qu'il en soit, il ne sera pas moins intéressant de savoir dans ce cas spécial la manière de voir du Gouvernement Prussien. Son intéret est, évidemment contrairement à celui de la France et de l'Austriche, de conserver à la conférence son caractére ad hoc. Austrement il risquerait fort de voir les autres Puissances se concerter autour du tapis vert à l'effet d'arréter le mouvement national en Allemagne vers l'unité. Le Mein ne saurait devenir une muraille de la Chine.

En accusant réception et en remerciant V. E. des dossiers de documents diplomatiques transmis en date des 2, 13 et 21 avril et de la dépeche Série politique n. 2 (l) ...

P. S. Lord Loftus ne m'a encore fait aucune allusion relative aux instruction qu'il aurait reçues de lord Stanley de se mettre en communication avec moi. (Télégramme de V. E. du 27 Avril) (2).

(l) -I brani fra asterischi sono editi ln LV 11, pp. 48-49. (2) -Cfr. p. 411.
447

L'INCARICATO D'AFFARI A PIETROBURGO, INCONTRI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI CAMPELLO

R. 93. Pietroburgo, 30 aprile 1867 (per. il 10 maggio).

Accettata dalla Prussia la proposta di una conferenza da tenersi a Londra, come ebbi l'onore di annunziarlo all'E. V. col mio precedente rapporto politico

n. 92 (3), sembrava che gli inviti ad una tale riunione dovessero essere diretti dalle tre potenze Austria, Inghilterra e Russia, sia collettivamente sia in forma identica, quando lord Stanley emise il parere che siccome la questione del Lussemburgo erasi, officialmente almeno, sollevata dal Re d'Olanda, dovesse questi come Granduca di Lussemburgo, dirigere invito alle potenze segnatarie dei trattati del 1839, di riunirsi affine di decidere la questione che preoccupa l'Europa. Una tale proposta veniva fatta dal Gabinetto di Londra affine anche di togliere alla vertenza attuale qualcosa di quel carattere, per così dire, europeo che avrebbe preso qualora tre fra le maggiori potenze avessero officialmente presa l'iniziativa della riunione della conferenza, anzi che la parte più interessata, come quella che possiede ciò che forma l'oggetto del litigio.

Il Principe Gortchacok accettò di buon grado la proposta inglese vedendo in ciò anche modo di evitare la perdita di tempo che sarebbe pure occorsa perché

le tre potenze potessero essere d'accordo sui termini dell'invito, e pregò il Ministro d'Olanda a telegrafare tosto al suo Sovrano affine di sollecitarlo a spedire le lettere di convocazione. Giunse stamane dall'Aja la risposta che la spedizione sarà fatta immediatamente e si crede qui che la conferenza potrà tenere la sua prima seduta il 12 o 13 maggio.

Le basi delle trattative essendo state in principio accettate da tutte le potenze è opinione del Governo russo che la pace può considerarsi come assicurata, ed il Principe Gortchacow si espresse ripetutamente in questo senso aggiungendo che a consolidarla sempre più contribuirà per certo la visita che l'Imperatore Alessandro, ed, a quanto sembra, anche il Re di Prussia, hanno intenzione di fare all'Imperatore Napoleone.

Quello che può far ombra al quadro pacifico che si va facendo dell'avvenire, almeno del più prossimo, si è il dubbio che pur rimane se l'Imperatore dei Francesi sarà in grado di contenere lo spirito pubblico divenuto assai bellicoso in Francia e che tuttora si mantiene tale a causa in ispecie dei poderosi armamenti che è oramai costatato si fanno in tutto l'Impero. Sarà la Francia contenta della demolizione della fortezza e della neutralità sotto la garanzia delle potenze europee del Lussemburgo? Avrà il Governo francese abbastanza forza da costringere la nazione ad accettare questa soluzione qualora essa di ciò non si accontentasse, oppure non sarà egli piuttosto trascinato dalla corrente bellicosa a suscitare nuove pretenzioni? Smantellata Lussemburgo vedremo noi risorgere la stessa quistione per Magonza? Sono queste tutte questioni che ognuno si pone in questo momento ed alle quali difficile è il rispondere. Per quelle che concerne il linguaggio tenuto in proposito dagli organi officiali debbo dire che di null'altro si occupano se non del più urgente e questo, come dicevo, non dubitano avrà soluzione pacifica.

La Prussia nel comunicare al Governo Russo il suo consenso alla riunione della Conferenza ha fatto suonare alto il sacrificio che faceva alle amichevoli istanze direttegli da tre potenze, sacrifizio che sarebbegli stato impossibile di fare alle esigenze della Francia, ed emette la speranza che riuscirà a fare accettare alla opinione pubblica in Germania quel che ha creduto suo dovere di fare a vantaggio della pace, contando che le potenze mediatrici le agevoleranno questo compito ottenendo la cessazione degli armamenti in Francia i quali eccitano sempre più gli spiriti in Germania e potrebbero costringere il Gabinetto di Berlino a prendere misure analoghe affine di non essere preso all'improvvista.

* Come già ebbi l'onore di telegrafare ieri all'E. V. da tutte le informazioni che ho potuto avere qui mi risulta che il programma della conferenza di Londra è nettamente circoscritto alla questione del Lussemburgo e che nessun altro soggetto verrà posto in discussione * (1). Come rileverà da quanto dissi sopra si è voluto, colla proposizione fatta da lord Stanley togliere pretesto a qualunque altra potenza di porre in campo altre questioni profittando che i plenipotenziari delle grandi potenze si trovavano riuniti, e non credo ingannarmi vedendo in tale proposta una precauzione che l'Inghilterra ha voluto prendere contro l'eventualità che la questione d'Oriente fosse posta sul tappeto dal plenipotenziario di Russia. Una volta che il Granduca di Lussemburgo convoca le potenze segna

tarie dei trattati del 1839 per uno scopo così ben determinato, è scartata ogni possibilità di vedere la conferenza discutere altre questioni e trasformarsi in congresso europeo.

Non mancherò di tener conto e di valermi all'occorrenza delle giustissime riflessioni contenute nel telegramma di V. E. del 28 cadente (l} sull'opportunità che vi sarebbe di chiamare l'Italia a prendere parte agli accomodamenti che possono intervenire, ed introdurre così un nuovo elemento dì ordine e di pace nel consenso europeo, ma parmi che, pe,r il caso presente dobbiamo rassegnare! a non essere convocati poiché non fummo fra i segnatari dei trattati che voglionsi modificare, ed a quello solo si limiterà il compito della conferenza.

(l) -Cfr. n. 396. (2) -Cfr. n. 424. nota 2. (3) -Non pubblicato.

(l) Il brano fra asterischi è edito in LV 11, p. 57.

448

IL MINISTRO A LONDRA, D'AZEGLIO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI CAMPELLO

T. 295. Londra, l" maggio 1867, ore 13,10 (per. ore 19,45).

Le Gouvernement britannique a reçu du Gouvernement grand-ducal l'invitation de prendre part à une conférence pour la révision du traité de 1839. La réponse a été que cette démarche n'avait fait que précéder celle par laqllelle le Gouvernement britannique allait proposer de se réunir en conférence le 7 courant. Cette conférence ne parait pas devoir comprendre la Belgique.

449

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI CAMPELLO, AL MINISTRO A LONDRA, D'AZEGLIO

T. 182. Firenze, 1° maggio 1867, ore 13,50.

Bismarck a assuré De Launay que la Prusse ver,rait volontiers notre participation à la conférence, mais, camme partie intéressée, ne peut pas prendre l'initiative de cette propositìon (2). Moustier a donné les mèmes assurances à Nigra (3). Nous sommes silrs que la Russie ne ferait pas d'oppositìon. Si l'Angleterre nous donnant une nouvelle preuve d'amitié, prenait cette initiative en la justifiant par les bons omces que nous venons de rendre, elle serait sure de réussir. La Russie propose la réunion d'une conférence à Constantinople pour discuter les affaires générales de l'Orient avec les ministres du Sultan. Nous désirerions savoir si l'Angleterre a été interrogée et ce qu'elle en pense (4).

(-4) Cfr. n. 456.
(l) -Cfr. n. 436. (2) -Cfr. n. 451: De Launay aveva trasmesso il sunto della sua conversazione con Bismarck con 11 t. 291 del 30 aprile, non pubblicato. (3) -Cfr. n. 439.
450

IL MINIS'IIRO A PARIGI, NIGRA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI CAMPELLO

T. 292. Parigi, 1° maggio 1867, ore 14,50 (per. ore 16,20).

Conférence se réunit à Londres le 7 courant. J'ai fait aujourd'hui paiement de la dette pontifìcale. Moustier m'a délivré un reçu régulier; il est disposé à délivrer un autre avec date postérieure si vous le jugez opportun. Détails par courrier.

451

IL MINISTRO A BERLINO, DE LAUNAY, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI CAMPELLO

R. 14. Berlino, 1° maggio 1867 (per. il 5).

*J'avais donné cours à ma dépéche d'hier (1), lorsque le Comte de Bismarck se fit annoncer chez moi.

Je lui tins à peu près le meme langage qu'à M. de Thile * (2). Je lui donnai aussi lecture de mon rapport n. 10 du 24 courant (3). *A son tour il m'exprima de vive voix ses remerciements pour l'attitude de V. E.*. Certains journaux de notre pays, l'Italie entre autres, avalent cherché, il est vrai, à faire croire que nous étions à la veille de prendre fait et cause contre la Prusse. Il n'avait ajouté aucun crédit à ces insinuations. S'il se rendait parfaitement compte que nous n'irions pas jusqu'à tirer des coups de fusils à la France gouvernée par un Souverain qui nous avait rendu des services, il était assez bien instruit sur nos dispositions et sur celles de l'opinion pubUque pour ne pas admettre un seui instant que nous voulussions faire la guerre à la Prusse. Nos intéréts, sans méme parler de nos sympathies bien connues, nous en détourneraient. Aussi lorsque la Bavière paraissait s'inquiéter des bruits d'une alliance prétendue entre l'Italie, la France et l'Autriche, il n'avait pas hésité à rassurer le Cabinet de Munich, et à lui représenter notamment qu'il n'existait aucun mot:f pour songer à prendre des précautions vers ses frontières du midi.

* -Une éclaircie s'était maintenant faite dans l'horizon. Le Président du Conseil ne pouvait que me confirmer les nouveUes pacifiques *. «Au reste, ajoutait S. -E., toute cette question n'a été qu'un poisson d'Avril. Le 1er du mois a eu lieu l'interpellation Benningsen, à laqueUe jai répondu comme vous savez, et le 30 le Moniteur annonce que !es achats de chevaux et l'appel des réserves sont suspendus. C'est là un indice des plus satisfaisants. La phase que nous avons traversée et durant laquelle nous n'avons cessé de faire preuve de calme et de modération, m'a cependant été d'un puissante auxiliaire pour mener à bon terme dans le sein du Reichstag l'oeuv,re importante de la constitution fédérale. Maintenant * en présence du désistement de la France à l'incorporation du Luxembourg, de la pro

chaine adhésion des Puissances à garantir la neutralisation de ce pays, et de notre assentiment * sous ces conditions * a évacuer la forteresse *, il n'est pas à supposer que le Cahinet de Paris montre une raideur ,qui puisse tout remettre en question *. Il ne saurait donc y avoir de doutes sur l'aplanissement des difficultés parla conférence appelée à régler définitivement l'affaire du Luxembourg *. Si elle a été grandie outre mesure, ce n'est certes pas par notre faute. Il est en attendant curieux de contrater que l'Angleterre aprés avoir sué sang et eau pour prévenir un conflit, montre tout à coup molns d'empressement. Regretterait-elle aujourd'hui d'avoir contribué par ses démarches à rapprocher les esprits, et éloigner les chances d'une guerre dont le résultat eùt été de ralentir à son profit l'essor de l'industrie et du commerce sur le continent? Ou bien lui .répugnerait-11 d'assumerà la dernlère heure une garantie contraire à ses nouvelles doctrines? Quol qu'il en soit, je le répète, je ne mets pas en doute que la conférence remplira sa tàche conclliatri'ce d'une manière satisfaisante >>.

J'ai demandé au Comte de Bismarck s'il avait également confiance dans le maintien ultérieur de la paix, lorsqu'il y avait tant d'incertitude dans la situation générale de l'Europe. Pour ne parler que de la question du Luxembourg, lors meme que je ne voyais sur le terrain ni vainqueurs ni vaincus, le sentiment national des deux còtés du Rhin était à un tel point surexcité qu'il ne rentrerait peutetre pas dans le calme aux courps d'une baguette magique.

* S. E. se montrait rassurée sur l'a venir et ne préyoyait aucune complication prochaine. « Chacun a besoin de veiller à la conservation de la tranquillité genérale ». L'Empereur Napoléon est plus pacifique qu'on ne le pense. La Prusse et l'Allemagne ne visent à aucun ròle agressif. Le repos leur est necessaire pour accompir l'oeuvre nationale. Ce n'est que dans le cas où on les attaquerait qu'elles sauraient se défendre et se battre mieux encore peut-etre qu'à la journée de Sadowa. L'Italie se trouve dans une situation analogue. L'Autriche, pour une pèriode de plusieurs années, est reléguée dans ses affaires intérieures. Voudrait-elle courir les aventures, elle s'exposerait à se heurter contre la Russie qui quelque soit son désir de ne pas sortir de son recueillement, ne saurait voir de bon oeil qu'on cherchat à affaiblir la Prusse. Elle a besoin de nous, disait s. E., nous couvrons une grande étendue de ses frontières nommément vers la Pologne. Nous sommes la seule Puissance désintéressée sur le terrain Orientai où elle est si intéressée. Quant à l'Angleterre il est inutile de relever, chacun le sait, qu'elle ne se soucie de tirer l'épée pour aucun démelé entre les Puissances continentales. Dans ces circonstances la France voudrait-elle seule se lancer de propos délibéré contre le courant pacifique en Europe? Je n'ai aucune raison pour le croire, du moment surtout, où le différend pour le Luxembourg va etre apaisé )).

Le langage du Président du Conseil m'a paru un peu optimiste, si je le compare aux confidences qu'il m'a faites au début de ma mission. Il est vrai que depuis les choses ont pris une meilleure tournure, et que d'ailleurs un homme d'Etat Prussien ne peut et ne doit pas s'exprimer autrement dans les circonstances actuelles.

* J'ai parlé ensuite au Comte de Bismarck, à un point de vue purement individuel et dans le meme sens qu'à M. de Thiele, relativement à notre participation éventuelle à la conférence *, surtout si elle devait se transformer en congrès (Rapport Sér~e politi-que n. 13) * «Il ne sierait pas à la Prusse, m'a-t-il répondu, de prendre une initiative à cet égard, d'en faire une question sine qua non *. On en prendrait peut-etre prétexte pour nous reprocher de chercher à entraver un accord sur la question principale. * Mais si les autres Puissances ne s'opposaient pas à votre admission, non seulement nous y donnerions notre assentiment, ma:s nous verrions avec plaisir cette adjonction de l'Italie » *.

Je l'ai remercié de cette réponse que je communiquerais à V. E., dont j'ignorais entièrement la manière de voir à ce sujet.

D'après les détails qui me sont communiqués sur l'action de la Russie, il résulte que le Prince Gortschakoff se montre très fier d'avoir été si bien écouté. On lui sait gré à Paris d'avoir preché la sagesse (sic) et on serait pret à lui délivrer un satisfecit.

Les circonstances et Ies tendances étant données, il s'est montré aussi bien qu'on pouvait le désirer et peut-etre mieux encore qu'on ne devait s'y attendre. Le voyage du Tsar à Paris serait chose décidée, et on s'en promet d'heureux résultats. Il est assez probable que le Roi de Prusse s'y rendra de son còté. Pour peu que les autres Souverains suivent cet exemple, les chances d'un accord pour un Congrès prendraient alors quelque consistance.

(l) -Cfr. n. 446. (2) -I brani fra asterischi sono editi !n L V 11, pp. 50-51. (3) -Cfr. n. 411.
452

L'INCARICATO D'AFFARI A PIETROBURGO, INCONTRI, IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI CAMPELLO

R. 95. Pietroburgo, 1° maggio 1867 (per. il 10).

* Ho avuto questa mattina occasione di vedere il Principe Gortchacow col quale parlai nel senso delle istruzioni datemi col dispaccio politico n. 71 * (l) e coll'annesso in cifra che lo accompagnava (2).

Appena ebbi incominciato a mostrare al Vice Cancelliere quale vivo desiderio avesse il Governo del Re di fare ogni sforzo onde la pace fosse mantenuta in Europa, fui interrotto dal Principe che mi disse non esservi per lui più dubbio alcuno a tale riguardo.

* «La conferenza, aggiunse, avrà da discutere su basi ormai consentite in principio da tutte le potenze. e quindi sono certo che finiremo per trovarci tutti d'accordo: i suoi lavori cominceranno, ne ho ricevuto la notizia in questo momento, il 7 Maggio *, e, se pure qualche nuvola rimanesse sull'orizzonte dopo le sedute dei plenipotenziari, il viaggio a Parigi dei Sovrani di Russia e di Prussia servirà a dissiparlo. e questo abboccamento sarà di cemento alla pace».

Trovando nel Principe tanta fiducia nell'avvenire quanta appunto, come lo accennavo nel mio dispaccio di ieri (3), m'aspettavo di trovarne, mi limitai

a rispondere che ero lieto dell'aspetto pacifico che sembravano aver preso le cose nel Nord di Europa perché questo non avrebbe potuto che riuscire di grande utilità per l'opera umanitaria intrapresa dall'Europa in Oriente, la quale rischiava di seriamente complicarsi ove la guerra fra la Germania e la Francia fosse scoppiata e che quindi, rimosso un tale pericolo, speravo che di nuovo l'Europa avrebbe riportato ogni sua attenzione sugli affM'i d'Oriente riguardo ai quali era desiderio del Governo del ·Re di continuare con quello dell'Imperatore quei rapporti reciprocamente pieni di fiducia che finora avevano esistito, e che quindi speravo che l'Italia sarebbe sempre tenuta al corrente del punto di vista sotto cui la Russia considerava la situazione. Il Principe mi rispose: «Dica al suo Governo che io sono lietissimo di mantenere con lui uno scambio di idee giacché annetto una grandissima importanza al concorso dell'Italia alla quale pel primo mi sono indirizzato come ad una grande potenza: non ho mancato né mancherò in avvenire di comunicare a Firenze tutto quanto può servire a tenere il Governo del Re al corrente dello stato delle cose; spero che a questa ora il Signor di Kisselew avrà rimesso il memorandum da noi redatto (l) sulle misure che vorremmo fossero prese dalla Turchia, e spero che il Gabinetto di Firenze, esaminatolo, mi farà presto conoscere il suo pare,re in proposito, insieme alle modificazioni che potrebbe credere utile d'introdurvi. Come ripeto riuscimmo a mantenere la pace fra la Francia e la Prussia, così, voglio sperare i nostri sforzi saranno pure coronati di successo in Turchia».

Non credetti momento opportuno di discutere col Principe le eventualità contemplate dall'E. V. nella sua comunicazione in cifra, poiché, avendone toccato di volo nella mia conversazione. Egli mi disse: «adesso nulla di ciò è più a temere giacché tutto è finito». Credo che avendo insistito non sarei giunto a rendere più esplicito il mio interlocutore, il quale tanto sicuro si mostra del mantenimento della pace da non volere nemmeno seriamente portare la sua attenzione sulle complicazioni dall'E. V. prese in considerazione come quelle che erano la esatta espressione della situazione alla data del suo dispaccio.

Qualora gli avvenimenti non volgessero così pacifici quali il Principe Gortchakow li indica, ed in ispecie li spera, non mancherò di tenermi al giorno delle disposizioni che potrà dimostrare la Russia nelle fasi che possono sorgere, e provocare al caso quelle dichiarazioni che l'E. V. desidera conoscere.

Debbo però fin d'ora dire che non tutti qui vedono l'avvenire sotto il medesimo aspetto pacifico con cui lo considera il Vice Cancelliere, e costoro, dei quali spesse volte ebbi a riconoscere la esattezza del colpo d'occhio, si esprimono francamente sull'attitudine che conservar dovrebbe la Russia ove una guerra si accendesse fra la GermS~nia e la Francia nel senso già da me riferito nel mio dispaccio politico n. 85 (2) e che persisto a credere essere la condotta più probabile del Gabinetto di Pietroburgo in tali circostanze.

Più volte anche nei giorni scorsi, quando li sintomi si facevano sempre più bellicosi, mi veniva ripetuto dalle persone che avvicinano il Principe, che la Russia non può permettere all'Austria di prendere parte al conflitto, né di profittare dell'occasione per estendersi a carico della Turchia: si dichiarerebbe

nettamente a Vienna che ove si rimanesse là neutrali, lo si rimarrebbe anche qui; si cercherebbe per quanto è possibile che i cristiani delle provincie Ottomanne, limitrofe all'Austria, si tenessero tranquilli onde non dare occasione di intervenire, ma quando fosse impossibile di ottenere ciò, il Governo russo si vedrebbe costretto a prendere quelle misure che sarebbero necessarie onde impedire l'entrata delle truppe austriache neHa Bosnia e nell'Erzegovina, determinazione a cui, è opinione, l'Austria esiterebbe ad appigliarsi conoscendo i rischi ai quali andrebbe incontro.

Il prossimo riunirsi della conferenza di Londra, la partenza dell'Imperatore, che ha luogo domani, per Mosca, lascieranno entrare la politica in una fase probabilmente più calma: non cesserò dal canto mio di seguire attentamente tutti gli incidenti che possono avvenire, e renderne conto all'E. V., la quale, spero, vorrà approvare il mio ope,rato nelle circostanze presenti.

(l) -I brani fra asterischi sono editi In LV 11. p. 56. (2) -Cfr. n. 399. (3) -Cfr. n. 447. (l) -Cfr. n. 445. (2) -Non pubblicato.
453

IL MINISTRO A VIENNA, DE BARRAL, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI CAMPELLO

R. 29. Vienna, 1° maggio 1867.

Aussitòt après la rèception de la dépéche que V. E. m'a fait l'honneur de m'adresser en date du 18 Avril (Série Politique n. 26) (l) je me suis empressé de me rendre chez le Baron de Beust pour lui exprimer le regret qu'avait fait éprouver au Gouvemement du Roi la déclaration formelle par laquelle les Commissaires Autrichiens avaient amené la rupture de toutes négociations rélatives à une rectification de frontière. J'ai ajouté combien il serait à désirer que le Gouvernement Autrichien, en revenant sur cette première décision, vouliìt bien munir son Commissaire à Venise d'instructions plus conciliantes.

M. de Beust m'a répondu qu'il était tout disposé à faire examiner de nouveau la question, mais que la décision ayant été prise, par des spécialités militaires, il croyait extrèmement difficile de pouvoir la faire modifier; qu'au surplus il me ferait bientòt connaitre le résultat de ses démarches.

Ayant rencontré quelques jours après le Baron de Beust, je lui rappelai~> l'affaire, mais il était encore sans réponse . .Je le reverrai demain, et je pense qu'il pourra me dire quelque chose de positif. Mais, si je dois en juger par l'hésitation de ses paroles. je eroi que ce sont là des question qui échappent à la compétence, et peut-etre bien aussi à l'intéret du Président du Conseil, tout entier absorbé par les grandes questions politiques du moment (2).

454

IL MINISTRO A LONDRA, D'AZEGLIO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI CAMPELLO

T. 299. Londra, 2 maggio 1867, ore 5,40 (per. ore 7,40).

J'ai mieux réussi que je n'aurais osé l'espérer. Lord Stanley s'est enfin décidé à prendre l'initiative de la demande et il me revient de bonne source qu'il

vient d'expédier des dépèches télégraphiques aux représentants anglais auprés des Cours signataires pour leur proposer notre admission mais avec la réserve que ce soit aprés la première réunion. Je pense que ceci doit ètre tenu trés-secret.

(l) -Cfr. n. 386. (2) -Copta di questo rapporto fu comunicata in data 6 maggio a Robilant.
455

IL MINISTRO A PARIGI, NIGRA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI CAMPELLO

T. 297. Parigi, 2 maggio 1867, ore 12;15 (per. ore 14,50).

Moustier vient de m'annoncer par une note officielle que le Gouvernement français ne peut pas remettre au Gouvernement du Roi les trois brigands dont j'ai demandé arrestation. Détails par courrier.

456

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI CAMPELLO, AL MINISTRO A LONDRA, D'AZEGLIO

T. 183. Firenze, 2 maggio 1867, ore 14,25.

M. Elliot vient de me dire que l'Angleterre a décidé de ne pas prendre part à la conférence de Constantinople proposée par la Russie. Dans ce cas nous exprimerons l'avis qu'il n'y aurait pas lieu à réunir une teUe conférence.

* M. Elliot m'a dit que lord Stanley ferait la proposition formelle de notre admission à la conférence de Londres à la première séance * (1). C'est tout ce que nous désirons; veuillez le remercier.

457

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI CAMPELLO, ALL'INCARICATO D'AFFARI A PIETROBURGO, INCONTRI

T. 185. Firenze, 2 maggio 1867, ore 14,25.

Nous croyons que l'Angleterre fera à la première séance la proposition formelle de notre admission à la conférence de Londres pour les affaires du Luxembourg. Veuillez dire au prince Gortschakoff que nous comptons sur le consentement de la Russie dont la bienveillance nous est bien connue. Les Cabinets de Paris et de Berlin nous ont fait savoir que ne pouvant pas prendre d'initiative, dans leur qualité de parties intéressées ils appuyeraient la proposition qu'une autre Puissance se chargerait de faire (2).

(l) -Il brano fra asterischi è edito !n italiano !n L V 11, p. 43. (2) -Analoghi telegrammi vennero inviati !n pari data a Vienna e l'Aja. A Berlino e Parigi fu Inviato 11 t. 186 che dà notizia della proposta inglese di ammissione dell'italia· ·alla conferenza di Londra e prosegue così: « D'après ce que vous m'avez mandé, nous ne doutons pas de l'appul blenvelllant de Prusse (France)».
458

L'INCARICATO D'AFFARI A L'AJA, FAVA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI CAMPELLO

T. 300. L'Aja, 2 maggio 1867, ore 22,23 (per. ore 23,30).

Le comte de Zuylen vient de me dire que les Pays-Bas verront avec plalsir l'Italie prendre part à la conférence de Londres qui aura lieu le sept (1).

459

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI CAMPELLO, ALL'INCARICATO D'AFFARI, A COSTANTINOPOLI, DELLA CROCE

D. 47. Firenze, 2 maggio 1867.

Dopo la comunicazione ·fattami da Rustem Bey in nome del suo Governo, comunicazione che formò l'oggetto del mio dispaccio del 25 aprile, n. 45) (2) il Gove,rno del Re ha ricevuto per mezzo dell'Inviato Russo presso questa Real Corte un " Memorandum " del Gabinetto di Pietroburgo sulla questione delle riforme da proporsi alla Sublime Porta.

Riservandomi di trasmettevLe a suo tempo copia di questo documento, stimo utile indlcarLe sin d'ora la base dalla quale il Governo Russo sembra vorrebbe si prendessero le mosse per !stabilire il piano delle riforme che formerebbero argomento d'una proposta collettiva delle Potenze.

Secondo l'opinione del Governo Imperiale nello stato anteriore delle provincie turche, quale era cioè prima delle leggi che costituirono per gli stati del Sultano l'accentramento ora esistente, si troverebbero gli elementi di pratiche riforme le quali darebbero soddisfazione ai bisogni ed alle aspirazioni dei varii popoli soggetti al dominio ottomano. Il Gabinetto Russo ci invita ad uno scambio di idee al riguardo e propone che concertato che sia il piano delle riforme da chiedersi alla Porta, le Potenze abbiano a rimettere la discussione della parte concernente l'applicazione ad una conferenza che si riunirebbe a Costantinopoli. Senza prendere alcun impegno positivo al riguardo mi affrettai a rispondere alla comunicazione russa con un dispaccio diretto all'Incaricato d'Affari di Sua Maestà in Pietroburgo ed Ella troverà nella spedizione d'oggi copia di questo documento diplomatico (3).

«Da diverse sorgenti fu! assicurato che. 11 Governo Neerlandese coglierebbe l'occasione per d!mandare che l'Olanda venisse dichiarata potenza neutra al pari del Belgio e della Svizzera. Il Conte d! Zuylen m! ha detto a t!'-1 proposito che egll non entra punto !n queste vedute, 1" perché l'Olanda essendo una potenza marittima e coloniale non potrebbe sempredipendere dal beneplacito delle potenze europee per far rispettare la sua bandiera, e 2• perché i Paesi Bassi, per la loro postura, sono abbastanza coverti dalla neutralltà del Belgio. Soltanto nella ipotesi d! una guerra fra la Francia e la Prussia, così ha finito U Ministro degll Affar! Ester!, no! dovremmo dichiararci neutri e far garantire la nostra neutralltà dalle grandi potenze ».

Dovendo le Potenze anzi tutto concertarsi sulle dimande da presentare alla Sublime Porta perché provveda in quel modo che sembrerà necessario ad assicurare la tranquillità degli stati Ottomani, non credo si presenterà per ora alcun caso al quale le precedenti istruzioni ch'Ella ha ricevuto non possano bastare. Se dovessimo argomentare dalle cose sin qui occorse dovremmo purtroppo prevedere che tutti gli sforzi dell ePotenze per togliere la Turchia di mezzo al pericoli d'una situazione che non potrebbe protrarsi a lungo, non riusciranno a smovere la resistenza della Sublime Porta.

Ma queste sono previsioni sulle quali non è ancor tempo d'entrare in discussione; basta accennarle, perché talvolta il prevedere le difficoltà giova non poco a rischiara,re la situazione.

(1) Si pubblica qui un brano del r. 27 di Fava del 4 maggio:

(2) -Non pubbllcato. (3) -Cfr. n. 445.
460

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI CAMPELLO, AL MINISTRO A LONDRA, D'AZEGLIO (Ed. in L V 11, pp. 45-46)

D. 21. Firenze, 2 maggio 1867.

Il signor Elliot è venuto questa matt:na a farmi conoscere che lord Stanley avrebbe proposto nella prima seduta la partecipazione dell'Italia ai lavori della Conferenza. Ho ringraziato l'Inviato Inglese di questa comunicazione e mi sono affrettato di far conoscere ai Rappresentanti del Re presso le principali Corti nonché all'Incaricato d'Affari di Sua Maestà all'Aja la decisione presa dal Governo della Regina.

Dappoiché dunque diviene cosa probabile che S. V. sia chiamata a rappresentare il Governo Italiano nella Conferenza che sta per aprirsi in Londra, è bene che io sin d'ora Le dia quelle generali istruzioni che Le possono essere necessarie.

Stando alle informazioni ch'Ella mi ha favorito e che da molte parti mi vengono confermate la Conferenza avrà per iscopo di firmare un protocollo, le condizioni ed i termini del quale sarebbero a quest'ora intesi fra le Potenze che assunsero l'opera della conciliazione. * Tutto ci porta a credere che * (2) il componimento che verrà proposto sarà quello medesimo che noi abbiamo appoggiato col nostri buoni ufficiali a Berlino.

* Sembra infatti che * le basi del componimento saranno la neutralizzazione del Lussemburgo, l'evacuazione del presidio prussiano dalla fortezza e la dichiarazione della Francia di rinunziare all'annessione del Gran Ducato ed a ogni qualsiasi acquisto di territorio.

È adunque probabile che Ella non avrà che ad associarsi ai Rappresentanti delle altre Potenze neutrali le quali come noi interessate a mantenere la pace in Europa, saranno concordi nel proporre un componimento che la F,rancia e la Prussia saranno liete di accettare.

Il di Lei contegno nella Conferenza è tracciato dalla posizione stessa che ci è fatta dall'essere noi invitati per la prima volta a prendere parte ad una deliberazione Europea a titolo di Potenza direttamente interessata a tutto ciò che risguarda la tranquillità generale.

Ma appunto * perché questo nostro contegno è indicato naturalmente dalla nostra stessa posizione * converrà che Ella con ogni studio eviti tutto ciò che potrebbe sembrare farci propendere più verso l'una che verso l'altra delle Potenze impegnate nel conflitto che si tratta di appianare (1). A tenersi in questa via di stretta imparzialità le gioverà probabilmente seguire l'Inghilterra la quale

*fra le Potenze neutrali * sembra essere quella che ha interessi più conformi ai nostri. Che se per avventura a Lei accorressero più ragguagliate istruzioni io mi affretterò di inviaglierle in tempo.

(2) Le parole fra asterischi sono omesse In LV 11.

461

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI CAMPELLO, AL MINISTRO A PARIGI, NIGRA

T. 190. Firenze, 3 maggio 1867, ore 14.

Il est bon que vous sachiez que le Ministère actuel était dans la plus complète ignorance des pourparlers qui avaient eu lieu entre M. de Malaret et M. Visconti Venosta au sujet du transport des malfaiteurs de Rome à Alger. Il est clair que s'il en avait eu connaissance, il aurait procédé autrement. Certes nous ne voulons pas compromettre l'amitié de la France pour les trois brigands arretés à Marseille; nous ferons appel seulement à so n esprit d'équité et de justice. Nous laisserons le Gouvernement impérial lui-meme juge de l'impression que son refus produirait en Italie et en Europe.

462

L'INCARICATO D'AFFARI A PIETROBURGO, INCONTRI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI CAMPELLO

T. 303. Pietroburgo, 3 maggio 1867, ore 16,10 (per. ore 21).

Angleterre a fait à la Russie propositlon de nous admettre à la conférence. Le prince Gortchakov auquel j'ai communiqué votre dépeche télégraphique (2) m'a dit avoir ·répondu à la Grande Bretagne que Russie n'a pas d'objection. Il m'a ajouté au contraire voir avec plaisir Italie prendre sa place. Il insiste afin que notre plénipotentiaire soit muni promptement de ses instructions pour que la réunion puisse avoir Ueu le 7.

Les instructions du baron Brunnow (l) sont pour que le Luxembourg tout en restant vis-à-vis de Hollande dans la situation actuelle d'union pe.rsonnelle soit neutralisé sous la garantie européenne et la forteresse soit évacuée et rasée. Proposition analogue a été faite pour Belgique. Russie n'objecte rien non plus.

(l) -In L V 11: «nella vertenza che si tratta di sciogliere ». (2) -Cfr. n. 457.
463

IL MINISTRO .DEGLI ESTERI, DI CAMPELLO, AL MlNISTRO A LONDRA, D'AZEGLIO (Ed. in L V 11, pp. 46-47)

D. 23. Firenze, 3 maggio 1867.

In aggiunta al mio dispaccio di ieri (2) mi affretto a farle conoscere che il Gabinetto Olandese ci ha fatto sapere ch'egli vedrebbe con piacere la nostra partecipazione alle prossime conferenze di Londra e che le stesse assicurazioni ci vennero rinnovate dal Governo Russo (3).

Il Principe Gortchakoff ci h ainformati (4) del senso generale delle istruzioni date al Barone Brunnow. La Russia desidera che il Lussemburgo, pur rimanendo verso l'Olanda nella situazione attuale di unione personale, sia neutralizzato sotto la garanzia dell'Europa e che la fortezza sia sgombrata e demolita.

Ho fatto conoscere al Principe Gortchakof! che le istruzioni date alla S. V. sono appunto in questo senso.

Le notizie che riceviamo ci confermano sempre più nell'opinione che nella conferenza non si produrranno divergenze di vedute fra le Potenze convocate. Se però avvenisse che l'accordo non fosse completo, e che l'opera pacificatrice dovesse soffrire qualche opposizione, io ritengo che la S. V. non sarà per prendere impegno alcuno prima di aver consultato il R. Governo.

* -RingraziandoLa del Dispaccio n. 250 di Serie Politica (5) ... P. -S. Il Barone Kubeck Inviato d'Austria venne testé a comunicarmi che il suo Governo non faceva abbiezione a trovarsi con noi in una conferenza * (6).
464

L'ONOREVOLE VISCONTI VENOSTA AL MINISTRO A PARIGI, NIGRA

<AVV>

L.P. Firenze, 3 maggio 1867.

Volevo scrivervi in questi giorni per ricordarmi alla vostra buona amicizia e per inaugurare, se me lo permettete, l'abitudine, che a me sarebbe carissima, di ciarlare un pochino insieme delle cose di questo mondo anche quando gli

(-4) Cfr. n. 462. (-6) Il brano fra asterischi è omesso In L V 11.

obblighi della professione non ce lo impongono e come amici che non vogliono aggiungere alla lontananza che è il silenzio. Ma oggi mi pone la penna in mano un affare che temo diventi spiacevole e possa sollevare qualche disgustoso incidente alla ·Camera, l'affare, voglio dLre, della cattura di alcuni briganti che erano a Roma, trasportati in Algeria. Degli antecedenti di questi affari non vi è traccia al Ministero degli Esteri e come esso impegna la mia responsabilità e non sono disposto, quando l'incidente acquistasse pubblicità, ad ammettere che il Governo francese comprometta questa mia responsabilità oltre. i limiti ch'io stesso assegnai, non credo inutile il dirvi che cosa avvenne in proposito.

Nei primi giorni di dicembre dell'anno scorso, e precisamente quando voi eravate a Firenze, Malaret mi fece da parte del suo Governo, una comunicazione verbale. Il Governo pontificio, egli diceva, si trova avere rifugiati sul suo territorio degli individui sospetti o compromessi nelle reazioni napoletane che volsero poi al brigantaggio de grand chemin, individui dei quali esso rifiuta la estradizione all'Italia e de' quali vorrebbe al tempo stesso, sbarazzarsi come di gente pericolosa alla tranquillità del territorio romano e del territorio italiano. Esso ha fatto pratiche presso il Governo Francese perché questi voglia trasportarli nei posti avanzati delle colonizzazioni africane. II Governo Francese è disposto a farlo ma, siccome questi individui sono regnicoli italiani, vorrebbe dall'Italia la dichiarazione formale che essi non saranno poi reclamati. Dissi a Malaret che avrei dovuto parlare col Ministro dell'Interno e gli risposi qualche giorno dopo. Gli risposi che riconoscevo col Governo francese l'utilità pratica dell'allontanamento di questi individui, allontanamento al quale non volevamo sollevare ostacoli, ma che, per quanto fossimo in fatto disposti a non andare in traccia, il Governo italiano non poteva prendere una parte ufllciale in questa pratica, poteva ignorare, ma che non mi era possibile di fare alcuna dichiarazione che costituisse una deroga ai trattati che esistevano e che sottraesse di diritto questi individui alla giustizia del loro paese. Mi rammento con precisione di avere constatato che noi non potevamo prendere un impegno qualunque pel quale il Governo italiano rinunciasse ai diritti che gli conferisce il trattato di estradizione, mi rammento poi particolarmente di aver constatato che un fatto d'ignoranza o, per dir meglio, di tolleranza tacita, per parte nostra, non poteva creare un impegno permanente pel Governo e legare in un modo qualunque un'amministrazione che fosse succeduta alla nostra.

Aggiungerò poi che è questa una questione di buona fede, che se in quell'epoca, poco prima della partenza delle truppe francesi un allontanamento di quegli individui su cui avevano ragione di credere che la reazione contasse per sollevare dei disordini, poteva avere un'utilità evidente per no·i, non si parlò mai né di Croceo, né di Pilone, scellerati contro i di cui complici, caduti nelle mani della giustizia, continuano i processi dinanzi ai tribunali napoletano, e tanto meno poi poté intendersi che per tal modo dovesse per cinque mesi stabilirsi una esportazione di briganti da Civitavecchia a Marsiglia.

Ieri l'altro quando un comunicato dell'Osservatore Romano mi fece temere che qualche questione potesse sorgere andai da Malaret il quale in modo

41 -Documenti cliplomatici -Serle I -Vol. VIII

affatto confidenziale, mi lesse due dispacci suoi nei quali rendeva conto della conversazione che aveva avuta allora con me e con Ricasoli.

Per quanto Malaret, rin questi dispacci, avesse un po' carkato le tinte dicendo che noi eravamo disposti di fatto a non sollevare delle questioni d'estradizione una volta allontanati questi individui, mentre noi abbiamo piuttosto detto -!asciateci ignorare -pure nei dispacci di Malaret è chiaramente constatato il mio rifiuto a prendere un ·impegno e a fare una dichiarazione nel senso che sopra indicai; questa medesima riserva espressa in modo ancora

più esplicito per qualunque amministra:Mone futura la quale, non esistendo impegno di Governo, non avrebbe potuto credersi in alcun modo obbligata. È attualmente desiderabile che questo affare non faccia chiasso, desidera

bile per tutti.

Il meglio sarebbe senza dubbio che il Governo Francese accordasse l'estradizione. Esso avrebbe il diritto di dire al Governo pontificio che non poteva supporre che in questo numero innominato di profughi vi fossero degli individui del genere d Croceo e di Pilone, che questi sono malandrini i quali non possono essere coperti dalla protezione di alcun Governo che si rispetti e non appartengono che ai tribunali. Il Governo francese non si rende conto del deplorabile effetto che si produce in Italia l'udire di tratto in tratto il suo nome mescolato a quello di tale scellerata canaglia. Se il Governo francese non vuoi fare la consegna potrebbe trattare questa come qualunque altra questione di estradizione e trovare qualche pretesto di diritto per sostenere che le disposizioni del trattato non sono applicabili al caso. Non sarebbe forse difficile e credo che il Governo italiano non insisterebbe di molto. Ma se il Governo francese sostiene che il trattato non è applicabile perché noi vi abbiamo derogato e l'amministrazione attuale è legata dagli impegni presi dalla precedente, il Governo e voi avete il dir~tto di chiedere la comunicazione dei documenti da cui risultano questi impegni, non essendovene traccia a Firenze. Questi impegni non possono essere constatati che da dispacci nei quali il barone di Malaret ha rife·rito le conversazioni che ebbe con me e col Barone Ricasoli, e noi non dubitiamo dell'esattezza colla quale il Ministro di Francia le avrà riprodotte. Malaret avendomi mostrato affatto confidenzialmente i suoi dispacci, voi non potete far le viste di conoscerli. Ma essi sono due, del mese di dicembre, uno antecedente e l'altro posteriore al Natale. Questi dispacci tolgono al Governo francese la possibilità di sostenere che il Governo è impegnato in modo costante e formale. Del resto, se la questione venisse alla Camera e fosse posta su questo terreno d'una nostra rinuncia, d'un impegno antecedente e obbligatorio, io stesso dovrei pubblicamente fare appello alla lealtà del Governo francese perché comunichi al mio successore i dispacci del Barone di Malaret.

Il Governo Francese si troverebbe in una cattiva situazione e, per questo, parmi che a tutti convenga di trovar modo perché quest'incidente abbia termine in un modo onorevole e senza pubblicità.

(l) -Il barone Filip Ivanovic Brunnov era ambasciatore di Russia a Lonùra. (2) -Cfr. n. 460. (3) -In LV 11: <<dal Governi imperlali di Russia e d'Austria. (5) -Non pubblicato.
465

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI CAMPELLO, ALL'INCARICATO D'AFFARI A PIETROBURGO, INCONTRI

T. 192. Firenze, 4 maggio 1867, ore 13,30.

Veuillez remercier de la part du Gouvernement le prince Gortchakoff de l'empressement bienveillant qu'il a mis à répondre à la proposition de l'Angleterre à notre égard (1). Nous venons de donner au ministre du Roi à Londres des instructions conformes à celles données au baron de Brunnow.

466

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI CAMPELLO, AL MINISTRO A LONDRA, D'AZEGLIO

T. 193. Firenze, 4 maggio 1867, ore 13,30.

Vous aurez vos instructions par poste parties hier au soir (2) qui vous autorisent à prendre part à la conférence et appuyer solution proposée par Angleterre et Russie, ayant pour base neutralisation du Granduché sous union personnelle à Hollande et sous garantie européenne et forteresse évacuée et rasée. Le chevalier Blanc, conseiller de légation, vous apportera instructions plus détaillées; il a ordre de se mettre à votre disposition pour le temps que vous jugerez utile. Veuillez nous télégraphier aussitòt que vous recevrez invitation formelle.

467

IL MINISTRO A WNDRA, D'AZEGLIO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI CAMPELLO

T. 308. Londra, 4 maggio 1867, ore 15 (per. ore 23).

Au ministère des affaires étrangères on vient de m'assurer qu'ici on n'a encore reçu que l'adhésion de Prusse et de Russie à notre égard et qu'on a expédié hier au soir à Florence les bases proposées par l'Angleterre pour l'arrangement dont l'abrégé doit y avoir été télégraphié (3).

468

IL MINISTRO A VIENNA, DE BARRAL, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI CAMPELW

T. 306. Vienna, 4 maggio 1867, ore 15,40 (per. ore 18,15).

Baron de Beust me dit à l'instant que l'Empereur a immédiatement donné son consentement à notre admission à la conférence de Londres et qu'instruc

tions dans ce sens avaient déjà été adressées au comte Appony. J'ai remercté au nom du Gouvernement de Sa Majesté. Beust me dit que Belgique serait é.galement admise.

(l) -Cfr. n. 462. (2) -Cfr. n. 460. (3) -Tali basi erano «evacuazione, atterrarsi della fortezza, neutrallzzazlone del Ducato lasciato In mano del Re del Paesi Bassi che non lo potrà allenare, e adesione del due Governi contendenti » (r. 688/254 di D'Azeglio, pari data).
469

l'L MINISTRO A PARIGI, NIGRA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI CAMPELLO

T. 310. Parigi, 5 maggio 1867, ore 8,50 (per. ore 10,10).

Marquis de Moustier m'annonce otnciellement que le Gouvernement franoa,is donne son entier assentiment à notre participation à la conférence (1).

470

IL MINISTRO A BERLINO, DE LAUNAY, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI CAMPELLO

T. 314. Berlino, 5 maggio 1867, ore ... (per. ore 16,45).

En reponse à démarche de l'Angleterre pour participation de l'Italie et de la Belglque à la conférence, le Gouvernement prussien a répondu n'avoir aucune objection, si les autres Puissances neutres concourrent à les invfte,r. Thile demande seulement que cette admission ne cause pas délai, et que la conférence puisse se réunir mardi. V. E. salt que la Russie se montre également favorable. Les pleins-pouvoirs transmis à Bernstorff (2) sont limités à la question du Luxembourg. Courrier de Cabinet repart ce soir via Vienne.

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IL DIRETTORE SUPERIORE DEGLI AFFARI POLITICI, ULISSE BARBOLANI, AL MINISTRO A LONDRA, D'AZEGLIO

T. 194. Firenze, 5 maggio 1867, ore 17,30.

Vous aurez déjà reçu par poste autorisation et instructions pour assister à la conférence (3). Les pleins pouvoirs ne pourront ètre signés par Sa Majesté que ce soir et vous seront expédiés demain matin, ils seront à Londres mercredi soir. VeuiHez nous télégraphier si vous serez invité à la première sé ance (4).

Belglque ».

(l) In Les origines diplomatiques de la guerre de 1870-71, vol. XVI, pp. 287-288, è edita la lettera dl Nigra a Moustler con la richiesta d! ammissione dell'Italla alla conferenza su cul Napoleone III annotò: «LI faut accepter la propositlon anglalse et admettre l'Italia et la

(2) -Il conte Albrecht von Bernstorff, ambasciatore dl Prussia a Londra. (3) -Cfr. n. 460. (4) -Per la risposta cfr. n. 480.
472

IL DffiE'ITORE SUPERIORE DEGLI AFFARI POLITICI, ULISSE BARBOLANI,

AI MINISTRI A BERLINO, DE LAUNAY, A PARIGI, NIGRA, E A VIENNA, DE BARRAL

T. 195. Firenze, 5 maggio 1867, ore 22,45.

Toutes les Puissances admettent présence de l'Italie dans les confé·rences. Veuillez remercier de notre part Gouvernement royal (impérial). Nous avons envoyé instruct:ons (l) et pleins pouvoirs au marquis d'Azeglio.

473

IL MINISTRO A BERLINO, DE LAUNAY, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI CAMPELLO

R. 15. Berlino, 5 maggio 1867 (per. tl 9).

*Le Courrier Armillet m'a remis avant-hier au sotr l'expédition que lui avait été remise par le Ministère en date du 30 avril.

La dépèche n. 4 série politique (2) et ses annexes contenaient les explications les plus détaillées des télégrammes que V. E. avait bien voulu me transmettre durant la chaude alerte qui a mis tous les Cabinets en émol. J'ai pu mieux me rendre compte encore de ses efforts pour seconder un travail favorable à la conservation de la paix * (3). Permettez-moi, M. le Comte, de vous féliciter d'avoir si bien inauguré vos fonctions dans des circonstances aussi délicates. *Le Gouvemement prussien, par l'organe de M. de Bismarck, nous a déjà remercié de notre attitude.

J'espère que V. E. aura approuvé le ~angage que j'ai tenu ici dans ces derniers temps, et dont j'ai rendu compte dans des rapports qui lui sont parvenus après le départ du courrier de Cabinet. Dès mon arrivée à Berlin, je m'étais expliqué dans un sens pacifique; pilus tard j'avais offert mes bons omces personnels, et en demier lieu, toujours d'après les instructions de V. E., j'avais accentué davantage mes démarches *. J'avais gradué la dose selon la gravité de la situation. Si je n'ai pas un seui instant perdu de vue les egard dlls à notre alliée de l'année 1866; si j'ai choisi la forme la plus propre à ménager ses justes susceptibilités, je n'ai pas moins fait résonner notre note et pris position en temps utile.

*Ce matin encore, je me suis rendu au Ministère des Affaires Etrangères •. Le Comte de Bismarck ne pouvant me recevoir ni aujourd'hui ni demain à cause d'un conseil edraordinaire, et de travaux urgents pour la réunion de la conférence à Londres, * j'ai dll me borner à m'entretenir avec le Sous-Secrétaire d'Etat. J'ai développé les idées tracées dans la dépéche précitée de V. E.

Sur bien d es points, elles étaient conformes à celles que j'avais déjà énoncées; mais en les exprimant au nom de mon Gouvernement c'était leur ajouter une autorité et une valeur dont M. de Thile a su apprécier d'importance. Il les rapporterait fìdèlement au Président du Conseil. En attendant il ne pouvait que nous renouveler les remerciemens du Cabinet de Berlin pour notre attitude si correcte, si bienveillante et si pleine de mesure.

Quant à notre participation éventuelle à la conférence, il me répétait ce qui m'avait été dit le 30 avril par le Comte de Bismarck: à savoir que si la Prusse ne prenait pas l'initiative, les objections ne viendraient certainement pas de son còté dans le cas où les autres Puissances se prononceraient pour notre admission *. Pour l'encourager dans ces bonnes dispositions, j'ai laissé entrevoir que l'Angleterre ferait une proposition à cet effet. * M. de Thile m'a répondu que Lord Loftus avait déjà reçu des ordres dans ce but, et que la ·réponse qui lui serait donnée aujourd'hui mème serait conçue dans des termes analogues à celle qui m'avait été faite par M. de Bismarck. Les Légations Prussiennes seraient instruites dans le mème sens *.

V. E. saura sans doute que la Russie s'est également montrée favorable à notre admission, pour autant qu'elle n'amènerait aucune perte d'un temps si précieux.

* Relativement à la situation, M. de Thile croyait qu'on était en droit d'attendre d'excellens résultats de la conférence *. Ce qui pourrait encore donner lieu à quelques appréhensions, ce serait si la France continuait ses armemens. Telle serait la véritable pierre de touche de ses intentions. « L'Angleterre presse la réunion des délégués des Puissances auxquelles on adjoindraU l'Italie * et la Belgique. Les lettres de convocation sont expédiées par le Grand-Due de Luxembourg. Elles fìxent la date du 7 courant. * Chacun semble assez d'avis de restreindre le programme des délibérations à la seule question du Luxembourg. Les pleins pouvoirs entre autres destinés au Plénipotentiaire Prussien sont explicites à ce t égard *.

J'ai également eu un entretien avec l'Ambassadeur d'Angleterre. Son Gouvernement l'avait en effet chargé de parler ici en faveur de l'admission de la Belgique à la conférence, en sa qualité de signataire du traité de 1839 et de l'Italie qu'il conviendrait de convoquer dans toutes les questions d'ordre Européen. Il se réservait de me faire connaitre ·l'accueil que cette demande aurait reçu du Comte de Bismarck qui s'était réservé de prendre les ordres du Roi. Lord Loftus vient maintenant de m'informer qu'il lui avait été répondu que le Gouvemement Prussien n'avait aucune object!on à la participation de ces deux Etats, si les autres Puissances, nommément les neutres, concouraient à leur invitation. La Prusse elle-mème n'était qu'un invité les invitations ne dérivent pas d'elle. La seule demande du Cabinet de Berlin était que l'admission de ces deux Puissances n'entrainàt pas de délai, et que la conférence s'assemblàt au jour convenu, c'est-à-dire après-demain Mardi.

* Ou peut donc considérer notre admission comme assurée en ce qui concerne la Prusse *. Le Comte de Bismarck m'a tenu parole. Tout porte donc à croire que les plénipotentiaires se réuniront effectivement à la date précitée. Chacun dit hautement qu'ils aboutiront bientòt au résultat désiré. Mais il me

résulte que jusqu'à ce jour du moins, on n'est pas tombé d'accord sur des bases définitives. Il y a meme eu un instant des tiraillemens qui menaçaient de compromettre l'oeuvre de la médiation. Au lieu de se contenter de poser la condition de la neutralisation, sans faire mention expresse de l'évacuation de la forteresse, lord Stanley avait proposé, camme articlle premier de l'accord, cette meme évacuation. Pour le Cabinet de Berlin ce ne devait étre qu'une conséquence, et non une prémisse; et franchement on aurait du ménager d'avantage son amour-propre. On me dit qu'il n'a pas voulu démordre de son point de vue, ce qui a produit quelque mécontentement à Londres, peut-etre meme a Paris. Tout n'est dane pas encore couleur de rose.

(l) -Cfr. n. 460. (2) -Cfr. n. 444. (3) -I brani fra asterischi sono editi In LV 11, pp. 56-57.
474

IL MINISTRO A BERLINO, DE LAUNAY, AL ML.'!Iii'ISTRO DEGLI ESTERI, DI CAMPELLO

R. 16. Berlino, 5 maggio 1867 (per. il 9).

Plusieurs journaux de ce pays ont tiré à boulets rouges sur notre nouveau Ministère qu'ils représentaient camme exclusivement dévoué corps et àme à la France. L'Indépendance Belge est venue faire chorus de la manière la plus maladroite, en amrmant plus d'une fols que nous avions contracté des engagements avec l'Empereur Napoléon en prévision d'une guerre. Notre concours lui était assuré etc. etc.

J'avais déjà eu l'occasion de démentir ces bruits de publicistes aux abols, bruits qui avaient trouvé accès auprès de bon nombre de personnes, meme parmi celles jusqu'ici sympathiques à notre cause.

En me basant sur les déclarations faites à la Chambre par notre honorable Président du Conseil, et sur le langage tout aussi catégorique de V. E., j'ai nouvellement donné l'assurance que nous étions libres d'engagemens, et que entendions garder une attitude bienveillante et sympathique vis-à-vis de [a Prusse. C'était meme faire injure au caractère des membres de notre Gouvernement que de supposer qu'ils puissent ètre animés d'intentions quelconques qui ne répondissent pas avant tout et entièrement aux intérèts du pays. Qu'ils ayent ou non fait partie d'une précédente administration, chacun d'eux est très au courant de notre politique dans ces dernières années. Il faudrait que, durant cette période, ils eussent vécu dans un reve profond, pour sauter ainsi à pieds joints sur les différentes et récentes phases de notre histoire. Or la légende des sept dormeurs n'appartient qu'au roman des mille et une nuit! Chacun de nos hommes d'Etat ne saurait oublier, quels que soyent les services qui nous ont été rendus par l'Empereur Napoléon, que l'Itali:e et :Ja Prusse ont aussi associé pour les mèmes principes leurs drapeaux dans une guerre contre l'Autriche. Ce sont là des llens de solidarité dont ils savent tenir compte. Aux yeux de toute personne de bon sens, il est donc évidemment faux d'alléguer que l'Italie ne peut marcher qu'avec la France. Certainement nous cherchons, et nous venons de le prouver, à concilier les vues divergentes entre deux nations

qui nous ont témoigné de leur amitié, camme nous leur avons marqué la nòtre.

Certainement nous nous appliquerons à prévenir entre elles un conftit si dangereux pour la tranquillité générale de l'Europe; mais en présence de ces manifestations de bon vouloir, il serait assez illogique de conclure que notre appui serait acquis au Cabinet des Tuileries en tout état de cause. Si une guerre aussi sérieuse que regrettable eut éclaté, notre ròle n'eut été autre que de saislr le premier point favorable pour rétablir la concorde entre nos anciens frères d'armes.

Je résume ici ce que j'ai développé dans quelques-uns de mes entretiens soit avec le Comte de Bismarck, soit avec M. de Thile. Le Ministère n'avait pas besoin de trouver en moi un champion. Il se défend parfaitement par ses actes, par ses sages instructions auxquelles je me conforme consciencieusement. Mais il m'avait semblé qu'il ne serait pas hors de mise de fournir iC'i à qui de droit de argumens pour réfuter les imputations mensongères d'une partie de la presse, et cela surtout lorsque je savais que le Roi Guillaume luimème avait donné l'ordre de la ramener sur une meilleure voie. Au reste je dols ajouter que le Président du Conseil et le Sous-Secrétaire d'Etat n'ont jamais eu l'air de douter de la sincérité de nos assurances. De son còté, je le sais, le Comte d'Usedom n'a rien écrit qui v,int contrecarrer mon langage dans ce sens, ni donner l'idée que nous nous écartions de la ligne de conduite qui nous est indiquée par nos intérèts les plus évidens.

475

IL MINISTRO A BERLINO, DE LAUNAY, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI CAMPELLO

R. 17. Berlino, 5 maggio 1867 (per. il 9).

Malgré la perspective d'un arrangement prochain du différend luxembourgeois, l'opinion publique en Prusse est toujours sous une impression de pénible incertitude, et qui plus est de défiance. Chacun sent bien que la situation actuelle n'a pas dit son dernier mot, et que les choses sont loin d'étre dans une assiette déftnitive.

L'affaire du Luxembourg n'a été en eft'et qu'une première immixtion de la

France dans les rapports de l'Allemagne du Nord avec les Etats du Sud. Le

Cabinet des Tuileries a renoncé, il est vrai, à mettre la main sur ce territoire.

De son còté la Prusse consentira, sous certaines garanties, à retirer sa garnison

de la forteresse. Le fin mot de ce désistement mutue! a été, ou je me trompe

fort, qu'aucune des Puissances directement en jeu ne se sentait encore assez

de force pour aft'ronter la lutte.

La France n'avait pu s'assurer un concours immédiat de l'Autriche trop

occupée de ses aft'aires intérieures et trop aft'aiblie par la dernière campagne,

pour s'engager déjà à prendre une revanche. La Hongrle qui est appelée depuis

l'établissement du dualisme, à y jouer un ròle important, ne se croit pas encore

assez sure de son pacte avec la dynastie pour exercer une inftuence qui suftise à déterminer la marche de la politique extérieure. D'un autre còté le Cabinet des Tuileries avait besoin de tems pour compléter ses armements et cela surtout dans la prévision de son isolement.

Quant à la Prusse, malgré sa ferme volonté de repousser énergiquement toute agression de son voisin d'outre-Rhin, elle ne se faisait aucune illusion sur la gravité des circonstances, et sur la valeur de ses adversaires. Elle se rendait parfaitement compte du défaut de sa cuirasse. Les populations du Hanovre, et de la Saxe montrent toujours des tendances qui ne sont rien moins que favorables à la suprématie du Cabinet de Berlin. Si le Ministère à Munich présidé par le Prince de Hohenlohe lui est plutòt sympathi:que, on ne saurait oublier que la Bavière, au moins dans une partie notable de ses provinces, conserve des attaches traditìonnelles à l'Autriche. Ces sentimens sont soigneusement entretenus par le clergé Cathollque. Au reste une conduite équivoque a presque toujours dominé dans l'histoire de ce pays. Le Wtirtemberg est encore moins sur. Le Grand-Duché de Bade seui témo,1gne des meilleures dispositions. Mais, si je suis bien informé, il aurait fait savoir confidentiellement ici, que pas plus que la Bavière et le Wiirtemberg, il ne serait prét à entreprendre une grande guerre. Dans ces conditions, la Prusse devrait diviser ses forces pour protéger ses alliés du Sud, et diminuer d'autant son armée d'opération vers la ligne du Rhin. L'insuccès de la mission du Comte de Tauffkirchen à Vienne, laissait aussi planer des doutes sur les vues de l'Autriche gardant aujourd'hui une position expectante mais sur laquelle il fallait cependant avoir un oeil attenti! dans le cas où les passions de l'entourage militaire de l'Empereur François-Joseph l'emporteraient sur les calculs de prudence de son premier Ministre. La Russie, disait-on, saurait bien, le cas échéant, prononcer un quos ego, mais à cet effet elle ne pourrait guère employer au delà de 200.000 hommes. Or, avec le reste de son armée, l'Autriche serait toujours en mesure, si elle le voulait, de menacer les ftancs de la Prusse. D'ailleurs si la Russie entrait en lice, ne serait-il pas à cra!indre que l'Angleterre ne secouàt sa torpeur pour se rapproccher de la France, surtout si les affaires orientales s'aggravaient? A tort ou à raison, le Cabinet de St. James soupçonnerait alors le Gouvernement Russe d'attiser le feu dans des vues ambitieuses, et l'alliance avec la France se reconstituerait immanquablement. Relativement à l'Italie, on s'attendait à notre neutralité. Ainsi la France se serait trouvée isolée, ou l'appui éventuel de la Russle eut rejeté l'Angleterre du còté de la France.

Le Comte de Bismarck est trop perspicace pour ne pas avoir compris, malgré qu'il n'alt laissé transpirer aucune appréhension vis-à-vis de mes collègues, que les chances de succès n'étaient rien moins qu'assurées dans de semblables conditions, et qu'il serait de bonne politique de ne pas jouer sur une seule carte les brillants résultats obtenus pi:tr sa vigoureuse initiative de l'année dernière. Il fallait seulement trouver un cbmpromis qui put lui permettre de sortir la téte haute d'une impasse où il avait été acculé, par les allures, je veux l'admettre, maladroites de l'Empereur Napoléon ou plutòt de ses conseillers trop zélés.

Ce compromis a été trouvé, et c'est l'Europe elle-méme qui, par la voix de son aréopage, se chargera de lever la consigne donnée en 1815 à cette sentinelle avancée placée par sa vigilance, exagérée peut-ètre, vers les frontières françaises.

Mais le sentiment nat:onal allemand n'en sera pas moins froissé d'avoir été déçu dans son attente, quand on lui a laissé croire pendant plusieurs semaines que la garnison actuelle de la forteresse du Grand-Duché ne relèverait pas sa garde.

La France, à son tour, suppose qu'elle a été jouée par le Comte de Bismarck. Lors de sa dernière course à Paris, M. Benedetti, en s'avançant trop peut-ètre, avait annoncé à Son Souverain qu'il lui apportait la clef du Luxembourg. La conftance a été détruite à Par.is à l'endroit du premier Ministre Prussien et du Roi Guillaume. Les griefs se sont mème accumulés depuis la publication des traités d'alliance offensive et défensive avec la Bavière, Bade, le Wtirtemberg et tout récemment encore avec la Hesse-Darmstadt. La ligne du Mein est franchie. L'unité militaire germanique existe déjà de fait, et de droit. C'est le signe précurseur de l'unité politique à laquelle au reste l'Allemagne est entrainée par la force des choses.

La question du Luxembourg, camme je l'ai dit plus haut, n'était qu'un prétexte pour opposer une première digue à cette marée montante. D'autres prétextes se présenteront d'eux-mèmes, et en temps opportun on s'en prévaudra à Paris, et, je serais tenté de le croire, dans un avenir peu éloigné. Sans doute la France ne peut se montrer plus autrkhienne que l'Autriche elle-mème signataire du traité de Prague. Mais cette seconde puissance, à moins qu'elle ne veuille abdiquer son influence sur ses provinces Allemandes qui graviteraient nécessairement vers une Allemagne unitaire, se verra forcée, aussitòt qu'elle aura repris haleine, de demander à Berlin l'exécution des clauses moyennant lesquelles elle a consenti à se piacer en dehors de l'ancienne Confédération Germanique. Les excitations ne lui manqueront pas à cet effet de la part du médiateur, de l'auteur des préliminaires de Nikolsbourg.

Si l'Autriche cédait à ces excitations, et elle y cèdera un jour, l'explosion serait immanquable.

C'est pour prévenir cette éventualité, autant qu'il peut dépendre de nous, que je me suis permis d'émettre l'idée que, tout en déclarant d'avance notre neutralité entre la France et la Prusse nous devrions cependant la subordonner à celle de l'Autriche. Si la Russie agissait de mème, le Cabinet de Vienne se trouverait pris dans des tenailles et condamné à l'immobilité. L'adhésion de l'Angleterre à cette ligne d·e conduite, maintiendrait de plus en plus l'Autriche dans cette attitude, et ainsi l'on parviendrait peut-ètre à écarter pour longtemps de graves complications; car je le répète, il y a lieu de supposer que la France

ne s'aventurerait pas sans alliés à attaquer la Prusse, et celle-ci, pas plus que l'Allemagne, pourvu qu'on ne les trouble pas dans leur phase de transformation, ne songeront ni pendant, ni mème après, à chercher querelle à la France.

Je dirai mème sans réserve ma manière de voir. Nous ne pouvons que nous féliciter que la France, moins heureuse dans la question du Luxembourg que pour la Savoie et Nice, ait été déboutée de ses prétentlons envahissantes en Allemagne. Espérons que désormais l'Europe serrera ses rangs pour l'arrèter sur cette voie dont il n'est pas besoin de signaler tous les dangers, quand ses

enjants terribles laissent assez clairement entendre qu'il lui faut des acccroissements ultérieurs, nommément sur les còtes de la Méditerranée, ne fiì.t-ce que pour mettre ses inscriptions maritimes au niveau des e:x;~gences de sa flotte.

En outre, nous avons un intéret manifeste à écarter adroitement les obstacles qui s'opposent encore à la formation d'une Allemagne forte et indépendante qui nous servira d'un contrepoids des plus utiles le jour où la France, ensuite d'un changement de règne, serait rendue à elle-meme et ne se ferait pas faute de reprendre ses anciens errements vis-à-vis de la Péninsule. N'est-ce pas, pour ainsi dire, à Ieur corps défendant que nos voisins ont suivi le mouvement généreux de l'Empereur quand il est venu nous preter son secours contre l'Autriche? Ne sommes-nous pas la béte noire de presque tous les partis en France: des Orléanistes, des légitimistes, des cléricaux, des républicains; et meme dans le camp Bonapartiste nos amis ne sont-ils pas très clair-semés?

Ainsi, tout en gardant les plus grands ménagemens pour l'Empereur Napoléon, nous ne saurions trop faire acte de prévoyance pour l'avenir. Si j'avais voix au Conseil des Ministres, je ne saur!llis trop recommander de ne rien négliger pour nous rapprocher de nos alliés naturels: l'Angleterre, la Prusse et la Russie. C'est de ce còté que sont nos intérets permanents.

Quant à l' Autriche, j'oserai rappeler l es mots de Napolèon premier à Sai n te Hélène « J'ai cru etre tenu à des égards pour l'Autriche, et cette seule faiblesse a perdu mes affaires ».

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IL MINISTRO A VIENNA, DE BARRAL, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI CAMPELLO (Ed. in L V 11, pp. 53-54)

R. 31. Vienna, 5 maggio 1867 (per. l'B).

En me faisant part hier du consentement donné avec empressement par l'Empereur d'Autriche à notre admission à la prochaine Conférence de Londres,

M. de Beust a bien voulu en meme temps me donner lecture des instructions générales qu'il envoyait au Comte Apponyi pour le règlement définif de la question du Luxembourg.

Ces instructions qui commencent par établir que la solution la plus agréable à l'Autriche, complètement désintéréssée dans la question, sera celle qui établira sur les bases les plus solides le maintien de la paix, ne sont en substance qu'une ampliat:on de ce que m'avait déjà dit précédemment à ce sujet le Présl:dent du Conseil *, et que j'ai eu l'honneur de mander à V. E. dans mon rapport du 3 courant * (1).

C'est-à-dire: l'inltiative du Roi de Hollande pour demander une neutralisation du Duché semblable à celle de la Belgique motivée par le changement radica! apporté à la situation politique par la cessat'on d'existence de la Con

fédération germanique et entrainant comme conséquence naturelle l'évacuation de la forteresse par !es troupes prussiennes. A cette demande, qui serait accompagnée de l'expression de la reconnaissance de Sa Majesté pour la sollicitude avec laquelle la Prusse a veillé jusqu'ici à la siìreté de la frontière allemande, l'Envoyé prussien répondrait par le consentement de son Gouvernement à l'évacuation demandée, et successivement la neutralité du Grand-Duché serait placée sous la garantie des grandes Puissances.

Un point sur !eque! !es instructions insistent d'une manière particulière, c'est que la Conférence n'aborde aucune autre question, et qu'elle se borne exclusivement à discuter et régler celle de Luxembourg.

Enfin !es tnstructions se terminent en disant que l'Autriche n'a pas de préférence pour la forme à donner aux nouvelles conventions * à intervenir* qui pourront se traduire soit par un simple protocole, soit par un traité forme!, suivant !es convenances des Puissances.

P. S. M. de Beust m'a de nouveau répété que d'après son opinion tout pourrait se terminer en deux séances et que plus on agirait promptement plus an serait siìr du succès.

(l) Non pubblicato. Le parole fra ester!schi sono omesse in L V 11.

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IL CONTE VIMERCATI AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DELL'INTERNO, RATTAZZI

(ACR)

L.P. Parigi, 5 maggio 1867.

Ricevo la vostra del 2. Oggi solo posso inviarvi la lettera confidenziale che vi annunciai. Non potrei meglio descrivervi lo stato delle cose che collocando Les Tuileries in mezzo a due correnti, pacifico l'uno alla cui testa è Rouher col grande sviluppo degli interessi materiali e della libertà di commercio, bellicoso l'altro, capitanato dai Napoleonisti puri, dal Mi1itare, e da repubblicani ralliés. Pei primi prevale il ragionamento, pei secondi il sentimento e la suscettibilità nazionale.

L'Imperatore che pur troppo va sempre più perdendo della sua energia, diffida di sé in seguito alle ultime sventurate combinazioni e proponendo per la pace, non sa ancora mostrar d'aver preso un partito deciso che valga a spegnere lo stato di eccitamento suscitato dalla questione del Luxembourg, la quale essendo posata nettamente sul ritiro delle truppe Prussiane, consigliava prevedere anche un rifiuto preparando i mezzi alla resistenza colla forza materiale valendosi anche del sentimento Nazionale.

I nemici del Governo profittando degli errori passati e della non possessione del Luxembourg dopo la fattane domanda, gridano alla pace vergognosa, proclamando l'incapacità del Sovrano e la debolezza dei suoi Ministri.

L'Imperatrice è triste assai per la malattia del Principe Imperiale che senza presentare momentanea gravità, lascia poco di bene a sperare per l'avvenire. Essa ha modificato alquanto le .sue .idee. ebbe molta diffidenza del Governo Ita

liano dubitando si pronunciasse contro, negli ultimi giorni si tranquillizzò il) merito e per il quarto d'ora è italianissima. Il salone della Principessa Mathilde si può dire un campo di guerra, i letterati e gli artisti che lo frequentano si fecero all'atmosfera marziale.

Il Principe Napoleone è, mi diçono, pacifico coi guerrieri, guerriero coi pacifici, intelligente sempre, più di rado inclina·to a pratiche conclusioni, trovasi poco bene colle Tuileries malissimo col Governo, è tuttora assente e non si parla del suo arrivo.

Rouher è riconosciuto unanimamente come somma capacità, ma gli si rimprovera insufllcienza politica. A La Valette s'accordano le visite politiche negandogli la perizia amministrativa. Moustier, si giudica non all'altezza del suo mandato. Egli propendeva per la guerra.

All'attuale Ministro della Guerra si concede capac.ità ed attività.

Il Ministro della Marina è considerato come quello che nel Governo meglio desiderasse e si preparasse agli eventi con infaticabile energia alla quale non si è ancora riuscito ·a mettere un freno.

Degli altri Ministri non si parla essendo specialità senza influenza.

Persigny fa sentire il suo disgusto e va fino al punto di predire la caduta dell'Impero. Fleury è pure fra i malcontenti, contrario agli uomini che governano. Walewsky, d'accordo con Émile Olivier e tacitamente anche col Principe

Napoleone, partì disgustato perché l'opinione pubblica gli rifuta quell'alta considerazione che egli ha di se stesso.

La comunicazione pacifica fatta dal Ministro di Stato al Corpo Legislativo fu accolta con molta freddezza a causa che ane dichiarazioni governative poca fede si presta, le rag:oni dell'incredulità hanno fonte nelle indecisioni accennate più sopra. Nel pubblico non si crede ancom totalmente al componimento, molto meno alla durata della pace, tutti sono incertissimi nessuno osa lanciarsi nei nuovi affari che si appoggiano sul credito pubblico.

Al Ministero della guerra, come vi scrissi, si continuano i preparativi difensivi, non solo, ma ho anche dovuto accertarmi che continua la compera dei cavalli, non già in seguito ai contratti stabiliti, ma parzialmente ne furono comperati ancora ieri -si chiamano pure le due pr.ime classi di riserva ed i soldati di queste che facevano parte dei reggimenti di grossa cavalleria passano alcuni nell'artiglieria, la maggior parte nel Treno. Questi fatti eccetto le misure di difesa, emergono da due fonti, la prima il nuovo armamento che necessita grande attività in tutti gli arsenali. La seconda nello sta·to di decadimento e di sprovvigione in cui sotto l'amministrazione Randon si era lasciato cadere l'armata, facendosi cont1nui virements sui fondi del Ministero della Guerra per sopperire alle ingentissime e rovinose spese del Messico che di molto depassarono i fondi accordati dalle Camere, sarebbe quindi erroneo tirare. come si fa alla Legazione di Prussia, un ind:zio totalmente bellicoso.

Il Conte di Golz fu ieri da M. Rouher a reclamare contro la continuazione degli armamenti. Il Ministro di Stato a nome dell'Imperatore diede le assicu

razioni le p:ù pacifiche, spiegando quanto si passa presso a poco nel modo che vi ho accennato.

L'Addetto militare di Prussia, Conte di Loe, mi disse questa mane che non è tranquillo e che scrisse al suo Governo ed al Re Guglielmo richiamando l'attenzione. Queste diffidenze meritano di essere segnalate potendo esse causare nel'le conferenze l'incidente che si volle evitare, proclamando preventivamente la cessazione dei preparativi Militari.

Nelle mie lettere inviatevi per la posta vi sono cose alle quale non potei accennare che in modo superficiale, approfondendoie ora posso aggiungere che dalla mia prima conferenza con M. Rouher m'accorsi regnare nelle sfere governative se non diffidenza almeno incertezza sulla condotta e che avrebbe tenuto il Governo Italiano nel caso di conflitto che in quel momento si credeva inevitabile. Sentita la necessità e l'utilità di far ·tranquillizzare Sua Maestà Imperiale in proposito, traendone occasione dalla mia venuta, dissi che in nessuna emergenza il Governo del Re avrebbe parteg~iato per la Prussia, che si sarebbe limitato nei primi tempii ad osservare gli eventi con simpatia verso la Francia e che poi molto probabilmente avrebbe parteggiato per Lei anche materialmente. Vedendo l'importanza che si attaccava alla nostra amicizia, e compartectpazione, credetti utile di esaminare quali compensi avessimo potuto conseguire dal nostro attivo intervento. Sono in grado di assicurarvi che se le negoziazioni si fossero intavolate avressimo potuto ottenere 1o una garanzia materiale della Francia per quell'imprestito od accomodamento Finanziario sui beni del clero che fosse stato in grado di assicurare per tre anni il serv.izio del tesoro. 2° Tutte le spese della guerra per 160 mila uomini sarebbero state pagate dal Governo Francese. 3o In seguito al successo delle nostre armi coalizzate ed ai remaniements di territorio che ne sarebbero stata la conseguenza il Governo Imper·iale avrebbe procurato possibilmente di soddisfare le nostre aspirazioni Nazionali nel Tirolo, più il nostro intervento alla guerra ci avrebbe naturalmente procacciata una tacita condiscendenza per gli eventi che fossero sorti nella questione Romana. Due conversazioni nello stesso giorno l'una prima che Rouher vedesse l'Imperatore e l'altra dopo mi hanno data la certezza di quanto vi scrivo. La sera giunse la notizia che le cose si conciliavano a Berlino.

Le dimostrazioni di amicizia per parte del Re arrivarono alle Tuileries in tempo opportuno, a queste ed ai passi fatti fare a Berlino in ·appoggio alla mozione Inglese si deve in gran parte l'intervento dell'Italia nelle conferenze di Londra per il quale Nigra ed io ci siamo adoperati moltissimo comprendendo l'importanza per l'Italia, divenuta grande nazione, di non rimanere esclusa.

La neutralità dell'Italia nella grande lotta che si preparava sarebbe stato un sogno d'impossibile realizzazione, lo spirito francese si sarebbe r.ivoltato tutto contro di noi ed in compenso non avressimo neppure avute le simpatie germaniche. Per quanto poco possa valere la mia opinione non esito a dichiararvi che più utile sarebbe stato all'Italia il prendere una parte pronta e decisiva, il nostro intervento avrebbe abbreviata la lotta, col mezzo della nostra diplomazia si sarebbero potute ottenere dalla Francia dichiarazioni che limitando le sue pretese ad una rettificazione di frontiera allontanasse la questione del terreno delle nazionalità, conservandole sul semplice terreno delle

difese naturali necessarie alla sicurezza di uno Stato. Benedetti che ha con1 ro di Lui l'opinione del momento, non potrà rimanere a Berlino i suoi amici insistono perché sia mandato in Italia. Questo ritarda ,n cambiamento di Malaret che Sua Maestà Imperiale è deciso a non lasciare più lungamente a Firenze. Vi sarebbe la questione dell'Ambasciatore ma questa non verrà sollevata tanto più che Nigra ha già espresso abilmente il suo desiderio di rimanere nella situazione attuale in vista delle condizioni finanziarie dell'Italia che non gli permetterebbero di dare uno stipendio equivalente agli impegni di rappresentanza per un Ambasciatore a Parigi tutto questo è d'accordo e preciso.

La salute di mia moglie permettendolo io rimarrò qui fino alla conclusione definitiva della conferenza di Londra, dopo verrò in Italia, se il Re lo crederà ritornerò ,qui per la venuta del Principe, ben inteso che persona che mi appartiene da vicino, non lo segua, non volendo io per nessun conto compromettere la mia dignità facendo lo zio della bella nipote.

Vi prego di mettermi ai piedi di Sua Maestà dicendo al Re che se non gli faccio pervenire notizie più dirette egli è perché so da Voi che avete la compiacenza di comunicargli quanto vi scrivo.

Sono contento che l'incidente del libro a cui accennate, sia volto a bene, alieno per natura dalle personalità mi addolorano ancora più quelle dirette a persone affezionate.

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IL MLNISTRO A LONDRA, D'AZEGLIO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI CAMPELLO

R. 689/255. Londra, 6 maggio 1867 (per. l'11).

I futuri plenipotenziari alla Conferenza pa.ion credere che non vi sarà gran difficoltà da sormontare per arrivare a una pronta intesa. Mi diceva anco stamane il Conte Apponyi che in generale era un affare da terminarsi in mezz'ora. Egli si dichiarò partigiano di una pronta conclusione onde evitare che quistioni s'intromettano a esacerbare gli animi inaspettatamente. Tutto pare ora stare nella soluzione a darsi all'incidente della garanzia dell'Inghilterra.

Ma siccome in fondo questa potenza ammette che esiste una garanzia dietro al disposto del trattato del 39 e che non vuol asserire di nuovo quel che esiste onde non rischiare un impiccio nel Parlamento, sembra che la Prussia dal canto suo ottenuto il principale dovrebbe cedere sulla forma. Havvi anzi una memoria presentata dalla Prussia all'Inghilterra se non erro in principio d'Aprile in cui esiste una frase in proposito con cui mentre voleva resistere alle pretensioni francesi invocavasi la garanzia che esisteva per parte dell'Inghilterra.

D'altra parte i Prussiani che jeri me ne parlarono a lungo mi parvero disposti a accusar il Governo Inglese di faux fuyants e di codardia politica e mi diceva il Conte Bernstorff che se sempre cosi vuol l'Inghilterra annullarsi in quistioni continentali da aver paura di simili garanzie allora val meglio trasportar la conferenza altrove e segnar la Convenzione senza l'Inghilterra. Del resto egli mantiene che la garanzia fa parte essenziale delle condizioni proposte dalla Prussia e accettate dall'Inghilterra, e che è mancar alla promessa il contestarle. Onde se si annienta la Conferenza sarà colpa d'Inghilterra.

Ma siccome mi par lo ripeto che il punto principale non vien contestato dall'Inghilterra, non vedo perché quest'incidente sarebbe ìnsormontabile. Così ne parlaron pure il Principe Latour d'Auvergne stamane e lord Stanley medesimo che vidi al Foreìgn Office. Del resto uno dei dìplomat'cì gli spiegò che per garanzia s'intendeva piuttosto garanzia morale europea. Non impedendo questo al caso che ogni stato giudicasse secondo le circostanze il caso occorrendo il da farsi. Questa dottrina venne appogg.iata da un discorso dì lord Palmerston (epoca dell'affar Pacifico) anticamente che oggi dovevano cercare e fargli vedere.

In quanto al progetto inglese era questi esposto a varie obbiezioni. Era scritto in inglese e non secondo s'usa in francese. Poi era redatto con una certa brutalità che disp:aceva agli interessati. Il primo articolo intimava scortesemente lo sfratto alla Prussia. Onde il Barone Brunnow esperto redattore e veterano dei Congressi fece una nuova redazione in cui principia il primo articolo col stabilire essersi mutate le condizioni dei singoli stati mutandosi la Confederazione Germanica e s'adunava la Conferenza per stabilire il principio del rìspettarsì dai sìgnatarj la neutralità del Ducato sotto garanzia europea.

Quindi il secondo articolo dice che essendo anormale e inutile in paese neutro una guarnigione forestiera è inteso lo sgombro per parte della Prussia. ·La redazione del Barone Brunnow adotta per la garanzia la parola mantenere come potendo adattarsi alle reciproche pretensioni della Prussia e dell'Inghilterra.

S'ebbe qualche punto a decidere per obbiezioni Olandesi contro l'ammessione del Belgio. Ma senza gravità.

* Fui dopo avergliene scritto particolarmente a annunz:are a lord Stanley che a v rei l'onore di rappresentare l'Italia alla Conferenza e nell'istesso tempo mi dichiarai riconoscente per quanto aveva S. S. fatto riguardo alla nostra ammessione confidando in lui pel modo con cui questa ammess:one si farebbe. Anzi suggerii che stante il piccolo numero delle sedute sarebbe stato meglio ammettermi alla prima adunanza appena finiti i preliminari degli altri plenipotenziarj. Ei non sembrò far difficoltà. Del resto gli spiegai non potergli scrivere ufficialmente non essendo ancora invitato. Nel preambolo parlasi dell'ammessione dell'Italia da quanto mi disse il Barone Brunnow stesso motivandola nell'essere desiderabHe il suo concorso in quest'opera di pacificazione.

Ne parlai poi stamane con il Conte Bernstorff e coll'Ambasciatore dì Francia i quali ambedue mi dissero dì contar su loro per appoggiare la mia domanda. All'ìstesso tempo dissi a tutti questi signori che avendo deciso in modo cosi cortese il punto principale, fidavo in loro per che in modo dignitoso si facesse questo mio entrar in· Conferenza.

Ma havv.ì un incidente che può produrre inaspettate conseguenze ed è che stassera da quanto pare il Ministero corre rischio di una disfatta su qualche emendamento sulla riforma che non è disposta ad accettare. E se la disfatta fosse madornale lord Stanley confessò che il Ministero sì sarebbe ritirato e

quindi dubitava che un Mtnistero dimissionario potesse assumere in conferenza impegni a nome della Nazione.

Non si può dunque a questo riguardo prevedere cosa stia per accadere. Da ambedue le parti si fan grandi preparativi di battaglia. Ma sembra che molti dei Ministeriali trovino a ridire per essersi mostrato il Governo irreso·luto nella questione del Meeting di Hyde Park stassera e che così per tutti questi guaj corrasi il rischio di una disfatta.

Del resto le intenzioni del Governo a questo riguardo sono molto poco conosciute. Ad ogni modo traversando ora il parco ho trovato un inatteso movimento non solo di numerosi policemen, ma quel che è più raro qua di truppe regolari.

(l) * Mi pare che questo progetto abbia l'assenza della Francia, dell'Austria e della Prussia e che anche lord Stanley sia disposto a considerare il suo piano primitivo come dovendo abbandonarsi *.

(l) I brani fra asterischi sono editi in L V 11, p. 60 preceduti dalla frase seguente: «Al progetto inglese che era stato proposto come base delle deliberazioni venne sostituite. una nuova redazione ».

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IL MINISTRO A VIENNA, DE BARRAL, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI CAMPELLO

R. 32. Vienna, 6 maggio 1867 (per. il 9).

Je regrette de devoir annoncer à V. E. que malgré toute la bonne volonté qu'a pù y mettre le Baron de Beust, il est impossible de revenir, au moins pour le moment, sur la décision pr..se dernièrement par la Commission militaire autrichienne relativement à la question de rectification de frontière dont faisait mention la dépéche ministérielle du 18 avril dernier (1). Le Secrétaire général, M. de Meysenburg, qui a été chargé de me faire cette réponse, m'a dit que d'après les informations qui lui avaient été transmises à ce sujet, les demandes de rectificat~on que nous avions présentées portaient sur des territoires trop considérables sans une compens·ation suffisante pour l'Autriche, et avaient été d'autre part jugées incompat.bles avec les principes militaires établis en pareille matière. Le Baron de Meysenburg a bien ajouté il est vrai que plus tard, peut-étre, et dans de nouvelles circonstances, l'on pourrait reprendre la question, mais je crois que ce sont là de ces phrases banales sur lesquelles l'on ne peut guère compter (2).

480

IL MINISTRO A LONDRA, D'AZEGLIO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI CAMPELLO

T. 319. Londra, 7 maggio 1867, ore 9,40 (per. ore 11,43).

Je viens de recevoir invitation confidentielle de la part de lord Stanley de me trouver aujourd'hui mardi dans le voisinage du local de la conférence afin d'étre a mème d'entrer en séance à peine première formalité réglée pour les autres et mon admission proposée. Rédaction ambassadeur de Russie adoptée. Instructions (3) arrivées hier au soir.

42 -Documenti diplomatici -Serle I -Vol. VIII

(l) -Cfr. n. 386. (2) -Copia di questo rapporto fu trasmessa 11 9 maggio a Robilant. (3) -Cfr. n. 460.
481

IL MINISTRO A PARIGI, NIGRA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI CAMPELLO

T. 320. Parigi, 7 maggio 1867, ore 16,45 (per. ore 18,20).

Gouvernement prussien s'est alarmé ces jours derniers de la continuation des armements en France. Explications ont été données hier officiellement à l'ambassadeur de Prusse à l'effet de démontrer qu'il n'y a rien d'exagéré dans les mesures de précaution prises par le Gouvernement impérial. Pr,ince Napoléon ira en Italie avec princesse Clothilde pour assister au mariage du prince Amédée.

482

l'L MINISTRO A PARIGI, NIGRA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI CAMPELLO

T. 321. Parigi, 7 maggio 1867, ore 16,48 (per. ore 18,22).

Gouvernement français ne nous donnera pas les trois brigands; peut-étre pourrait-on essayer d'obtenir qu'ils soien renvoyés à Rome. Croyez-vous utile que je fasse des ouvertures dans ce sens?

483

IL MINIS'l\RO A LONDRA, D'AZEGLIO, AL MINISffiO DEGLI ESTERI, DI CAMPELLO

T. 322. Londra, 7 maggio 1867, ore 18,05 (per. ore 21,20).

J'ai assisté à la première réunion de la conférence. On a procédé à une discussion générale. Le point grave est la garantie. Vos instructions n'en parlant pas cela m'a servi de motif pour ne pas me prononcer. Mais l'assentiment est unanime et lord Stanley ne serait pas faché, je crois, de se voir la main forcée. Veuillez dane m'autoriser en ce sens pour la prochaine réunion aprèsdemain.

484

L'INCARICATO D'AFFARI A COSTANTINOPOLI, DELLA CROCE, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI CAMPELLO

R. 150. Costantinopoli, 7 maggio 1867 (per. il 17).

Sabato scorso il Signor Outrey, già primo Interprete, ed ora Consigliere dell'Ambasciata Francese, si è presentato da me in nome dell'Ambasciatore, e mi ha dato comunicazione di alcuni telegrammi scambiatisi fra il signor di Bourée ed il Ministro degli Affari Esteri Marchese di Moustier.

Il primo di questi telegrammi diretto all'Ambasciatore era concepito a un di presso nei termini seguenti: << Faites tous vas efforts pour que Omer Pacha n'entreprenne aucune opération militaire. Toute nouvelle effusion de sang à Crète ne pourrait qu'aggraver la situation ».

Il secondo telegramma era la risposta del signor Bourée, il quale diceva in somma che la Sublime Porta rifiutava recisamente di sospendere le ostilità, perché questa misura darebbe agio ai Greci di mandare nuovi rinforzi nell'Isola e di consolidarvisi; che Fuad Pacha aveva aggiunto che l'amnistia accordata ai Cretesi sarebbe stata mantenuta; e che quanto ai forestieri, il Governo Ottomano era disposto a facilitare loro il rimpatrio, permettendo alle navi da guerra estere di raccoglierli. Nulla potersi fare di più.

Il terzo dispaccio era la contro-risposta del Marchese di Moustier, la quale diceva che, secondo il pensiero del Ministero Imperiale francese, le nuove istanze fatte dall'Ambasciatore isolatamente per una sospensione d'ostilità avrebbero dovuto essere concertate cogli altri Rappresentanti delle Potenze Garanti, e che quindi il signor Bourée era invitato a rivolgersi a noi, pregandoci di fare presso Fuad Pacha quelli stessi uffizii da lui già compiuti.

Il signor Outrey mi dichiarava che l'Ambasciatore aveva voluto comunicarmi i dispacci autentici onde non gli si volesse da noi attribuire a colpa d'aver nuovamente agito isolatamente, mentre invece il primo telegramma del Marchese di Moustier non lasciava neppur supporre che il Rappresentante Francese dovesse pigliare preventivi accordi coi suoi colleghi. Il signor Outrey mi chiedeva poscia, se io era disposto ad appoggiare le istanze fatte dall'Ambasciatore ,istanze del resto che sarebbero appoggiate dalla Prussia e dalla Russia. Gli risposi che le mie istruzioni mi permettevano di farlo, ma non mi dichiarai sul modo col quale avrei posto ad esecuzione la mia risoluzione.

Nella giornata stessa viddi il Generale Ignatiew, il Conte Brassier di Saint Simon, e l'Internunzio. I due primi quantunque meravigliati della condotta della Francia, mi dicevano che avrebbero mandato i loro Dragomanni presso Fuad Pacha per fargli sapere che le proposte fatte dall'Ambasciatore di Francia rispondendo pienamente alle idee dei loro Governi, essi credevano doverle appoggiare. Mi aggiungevano però che dopo questo secondo equivoco essi giudicavano conveniente di limitarsi all'invio dei Dragomanni senza portarsi personalmente alla Porta. L'Internunzio, allegando la mancanza d'istruz:oni, dichiarava di astenersi da qualsiasi atto.

Io credetti d'imitare l'esempio dei due primi, e mandai il Cavaliere Vernoni da Fuad Pacha, il quale diede a lui l'identica risposta data all'Ambasciatore di Francia, e che io credo quindi inutile il ripetere.

La più gran confusione regna fra di noi. Il Generale Ignatiew parla d'un documento scritto, la cui redaz,:one è stata combinata a Parigi, e che ci verrà mandato fra poco per essere rimesso alla Porta. L'internunzio dice che, secondo quanto gli viene riferito da Vienna, nessun accordo è ancora stato preso a questo riguardo. Il Ministro di Prussia allega una totale ignoranza; ed il signor Bourée si avvolge in un'aria di mistero che mi pare tradisca un po' troppo chia

ramente che egli pure è al buio d'ogni cosa. Esso ritorna sempre sul favorito suo tema delle riforme, che l'Europa stessa, a suo dire, s'è incaricata d'intralciare chiedendo alla Porta la cessione di Creta.

Agli accaduti equivoci intanto, ai dubbi ed ai sospetti che essi hanno ingenerato negli animi di alcuni fra i varii Rappresentanti, all'ignoranza in cui si è generalmente di quanto accade in Europa, è dovuto se l'azione della Diplomazia a Costantinopoli è fiacca, inerte ed impotente ad ottenere qualsiasi utile risultato.

485

IL MINISTRO A LONDRA, D'AZEGLIO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI CAMPELLO

R. 695/258. Londra, 7 maggio 1867 (per. l'11).

*Torno in questo momento dalla prima riunione della Conferenza* sul Luxemburgo.

*Ho voluto differire f.:n dopo la prima seduta * della conferenza onde esister più non possa un dubbio sulla nostra partecipazione *per afferire a V. E. e per essa al Governo del Re le mie sincere felicitazioni sopra questo importantissimo fatto.

Importante davvero perché consacra l'ammessione d'Italia* non già alla Conferenza soltanto, ma *nel consesso europeo ed a prender rango fra le grandi potenze *.

Egli è dunque un gran risultato attenutosi e di cui può sicuramente il Gabinetto railegrarsi e venir complimentato.

Uomini formano questo Gabinetto che vita rischiarono ed impiegarono a formar questa Itai:a, che così vediamo oggi salita al rango che le appartiene ed onorata. SLa dunque la data d'oggi fra le memorande della nostra storia così feconda in gran ricordi.

P.S. Qui unito il progetto di convenzione colle correz.:oni adottate nella prima seduta (2).

486

IL MINISTRO A STOCCARDA, GREPPI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI CAMPELLO

R. 6. Stoccarda, 7 maggio 1867 (per. l'11).

Ringrazio l'E. V. del dispaccio trasmessomi in data delli 2 corrente, serie politica n. 3 (l), assieme a n. 7 annessi.

Il contenuto del suaccennato ct:spaccio, e specialmente dell'annesso n. 20 segnalato alla mia attenzione, m'induce ad estendermi con maggiori particolari sull'atteggiamento politico del Barone di Varnbiiler acciò viemmeglio confermare quanto su questo argomento ebbi l'onore di riferire in precedenti rapporti a V. E.

È fuor di dubbio che il Signor di Varnbliler ebbe nei primordij del suo Ministero ben altre tendenze di quelle che egli di presente dimostra, e basti l'accennare essere esso stato quegli che in piena seduta della Camera dichiarò che giammai, mentre sederebbe sul banco ministeriale, il Wiirttemberg avrebbe riconosciuto il Regno d'ItaMa; eppure non gran tempo dopo il Governo Wiirttemberghese riconosceva il Regno d'Italia, ed il Signor Varnbiiler si faceva esecutore di questo atto, mandando a risiedere a Firenze un rappresentante del Wiirttemberg. Ma il Signor Varnbiiler se non può offrirsi a modello di costanza nei propositi politici, è uomo di molta intelligenza, è destro ed assai previdente; e siccome egli è convinto, e niuno v'è che noi sia, che giammai il Wiirttemberg avrà forze sufficienti per reggersi da solo, cioè senza un appoggio d'altra potenza principale germanica, cosi tolto che gli fu quello tradizionale dell'Austria, afferrò l'appoggio della Prussia, e vi rimarrà fedele, a meno che altri eventi impreveduti per ora, vengano a cagionare nuovo squilibrio nell'assetto Germanico.

Si potrebbe naturalmente chiedere perché mai gli Stati del mezzogiorno della Germania non si sieno prevalsi della facoltà loro lasciata dal Trattato di Nikolsburg, per stringere fra essi un patto, che loro valesse a diminuire lo squilibrio esistente fra le forze disperse del Mezzogiorno e quelle compatte del Settentn:one della Germania. La spiegazione è facile e consiste in ciò che v'ha fra i Governi di Baviera, del Wiirttemberg e di Baden maggior spirito di diffidenza e di rivalità che tra questi Stati e la Prussia. Perciò non fu nemmeno tentato l'accordo, ma ogni singolo Stato con maggiore o minore entusiasmo brigò od accettò l'appoggio e la direzione prussiana.

Checché ne sia, il Signor di Varnbiiler se non è ligio alla politica Prussiana quanto taluno fra i Ministri del Gran Duca di Baden, egli si palesa fedele agli accordi contratti e cerca, senza produrre scosse, e senza troppo urtare le suscettibilità che dominano nelle aule di Corte, d'imprimere al Governo un movimento che gradatamente lo riavvicini alla Prussia.

Ebbi già l'onore di segnalare alla E. V. nel mio rapporto serie pol1tica

n. 5 (l) l'importanza dei recenti cambiamenti nel Gabinetto Wiirttemberghese. Il nuovo Ministro della guerra diede già prova della sua simpatia per il sistema militare prussiano, adottando definitivamente il fucile prussiano per l'armata. Anzi una data quantità di tali fucili veTrà subito somministrata dalla Prussia. Di più il Governo Prussiano avendo chiesto al Wiirttemberg qual tempo sarebbe necessario per aver le sue truppe ordinate in guerra, gli fu da qui risposto che lo sarebbero sei settimane dopo la compiuta mobilitazione prussiana. Il Governo Prussiano insisterebbe però perché tale indugio venga limitato a sole tre settimane. Altre disposizioni militari furono prese relative alla difesa di Ulma, ed un generale Bavarese trovasi qui per concre,tare questi accordi. Nelle casse dello Stato esistono i fondi necessari per far fronte agli armamenti senza aver bisogno di ricorrere ad ulteriori misure da esigere il concorso del Parlamento.

Il Barone di Rosemberg Ministro di Prussia, il più competente fra tutti per giudicare ed apprezzare la condotta e le inclinazioni del Signor di Varnbiiler non più tardi di jeri me ne faceva caldi elogj, dimostrandosi app:eno soddisfatto del suo contegno, ed aggiunse che lo stesso apprezzamento era formolato a Berlino.

Debbo far palese all'E. V. che le prevenzioni contro il Barone di Varnbiiler partono specialmente da un gruppo di persone al certo le più intelligenti del paese, le quali però si dimostrano insofferenti di qualsiasi indugio al compimento dell'Unità Germanica sotto gli auspicj del Governo Prussiano. La presenza quindi al potere di un uomo come il Signor di Varnbtiler che in altri tempi professò contrarie dottrine, scema la loro confidenza nel presente indiri~zo del Wiirttemberg. Essi avrebbero desiderato che almeno dal loro seno, nella occasione del recente rimpasto ministeriale fosse stato preso il successore del Signor di Neurath. Quantunque il Ministro di Prussia nutra ugual desiderio, crede giustamente che non v'ha urgenza, abbisognando anzitutto famigliarizzare il Re e la Regina con uno stato di cose che se fosse troppo rapidamente iniziato potrebbe condurre a gravi sconcerti.

(l) -I brani fra asterischi sono editi in L V 11, p. 61. (2) -Non si pubblica. (3) -Non pubblicato.

(l) Non pubbl!cato.

487

IL MINISTRO A PARIGI, NIGRA, ALL'ONOREVOLE VISCONTI VENOSTA (AVV)

L. P. Parigi, 7 maggio 1867.

Nulla può giungermi di più caro che le vostre lettere, tranne la vostra pres2nza che spero non mi mancherà prima che l'esposizione finisca. Rispondo ora subito a quanto mi scrivete (l) intorno allo sciagurato affare dei tre briganti. Ecco come la cosa si passò. Sul fine dello scorso mese il Ministero mi mandò due telegrammi a tre giorni di distanza l'uno dall'altro (2), coi quali mi si segnalava l'hnbarco a Civitavecchia per Mars;glia e Algeri di Croceo, Pilone e Villa e mi si dava ordtne di domandare l'arresto provvisorio con riserva di domandar poi l'estradizione regolare. Risposi al Ministero (3) che avrei domandato senza ritardo l'arresto provvisorio, ma l'avvertii in pari tempo che a voi erano state fatte in proposito alcune aperture da Malaret, delle quali io ignorava la conclusione, c che perc:ò sarebbe stato utile che v'avessero interpellato. Intanto io scriveva d'ufficio per domandar l'arresto provvisorio, pensando che prima che la mia lettera fosse pervenuta in via gerarchica all'Autorità che doveva operare l'arresto, sarebbe corso abbastanza tempo perché il Ministero potesse interpellarvi e mandarmi nuove istruzioni. Se non che, mentre il Ministero telegrafò a me, scrisse pure per telegrafo a Strambio a Marsiglia, e questi, collo zelo che anima il nostro Corpo Consolare, andò dal prefetto ed ottenne l'arresto al giungere del bastimento.

Esso diede notizie dell'avvenuto arresto, per telegrafo al Ministero. La cosa si seppe subito, e i nostri gioi'Inali, al solito, ne menarono gran chiasso. Venne quindi l'articolo dell'Osservatore Romano.

Frattanto il Governo francese, cioè il Marchese di Moust:er, r~spondeva alla mia domanda con un dispaccio che porta la data del 30 apriie scorso, Moustier comincia per dire che è a presumersi che la mia domanda sia il risultato d'un errore. Poi segue dicendo: (cito testualmente).

«Che alla fine dell'anno scorso Malaret fu incaricato di far conoscere al Governo Italiano che in seguito al desiderio p:ù volte espresso dal Papa, 11 Governo francese aveva consentito a prestare il suo concorso al Governo Pontificio per far trasportare in Algeria un certo numero d1 individui orig,inari napoletani, i quali dopo aver fatto parte di bande di briganti s'erano arresi alla Gendarmeria Pontificia.

Che questa comunicazione, la quale non era del resto che una nuova prova del desiderio del Governo Francese d'allontanare dal territorio italiano ogni elemento di disordine, aveva anche per oggetto di prevenire un ma<linteso, rispetto ad individui la cui estradizione non poteva essere reclamata alla Francia in ragione delle circostanze particolari che li avrebbero condotti sul suolo francese. Imperciocché sia principio che i trattati d'estradizione s'applichino soltanto ai rifugiati, cioè a quelli che si trovano sul suolo forestiero in seguito ad un atto volontario per parte loro, H che non è nel caso presente, poiché il trasporto di detti individui sul suolo francese si effettuerebbe in seguito ad una combinazione che costituisce, a loro riguardo, un fatto di forza maggiore. Il Governo Italiano (segue a dire Moustier) potrebbe tanto meno contestare questo principio in quanto che egli stesso ne riconobbe la legittimità in un caso anteriore. Basterà ricordare in proposito la corrispondenza scambiata tra la Legazione d'Italia a Parigi e il Ministero Imperiale degli Affari Esteri al mese di ottobre 1864 e nel corso del 1865, relativamente ai briganti Crosta, Stramenga e Longa, di cui il Governo Italiano chiedeva l'estradizione, allo spirar della pena ch'essi subivano in Francia in seguito a condanne incorse nanti i Consigli francesi di guerra in Italia. Non è dunque possibile al Governo francese di dare seguito alla domanda inoltrata dal Governo Italiano».

V'ho trascritto testualmente il dispaccio, affinché conosciate in modo preciso i termini in cui il Governo Francese pone la questione. Però vi prego di tenere per voi questa comunicazione.

Come vedete, l'imbarazzo è grave dalle due parti. Il Governo francese non darà i briganti a nui. Ciò è fuor d'ogni dubbio. Forse tutt'al più potrebbe restituire le cose in pristinum rinviando i briganti a Roma. Ma questa soluzione è dessa preferibile all'internamento in Africa? Ne scrivo oggi per telegrafo al Ministero (1). Il mio avviso sarebbe che si lasci cader la cosa e non se ne parli più.

Del resto, per quanto vi concerne personalmente il dispaccio di Moustier non parla d',impegni né di promesse. Esso non contiene altro che quello che v'ho trascritto testualmente.

(l) Cfr. n. 464.

(2) Non rinvenuti.

(3) Cfr. n. 418.

(l) Cfr. n. 482.

488

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI CAMPELW, AL MINISTRO A WNDRA, D'AZEGLIO

T. 197. Firenze, 8 maggio 1867, ore 12.

Par dépéche que vous aurez reçue par M. Blanc Cl) j,e vous ai autorisé à accepter la rédaction russe qui implique garantie des Puissances. Nous comprenons les hésitations de l'Angleterre; nous serions contents aussi si on pouvait s'en passer, mais nous sommes persuadés que la Prusse en fera une ·,onditiion sine qua non. Dans ce cas vous étes autorisé à vous associer à la garant~e collective car nous ne voulons pas compromettre par notre refus l'oeuvre de la paix.

489

IL MINISTRO A WNDRA, D'AZEGLIO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI CAMPELW

T. 323. Londra, 8 maggio 1867, ore 15,25 (per. ore 16,55).

On propose un leger changement dans ,la rédaction du préambule au lieu de « en conséquence LL.M.M. ainsi que le Roi de ... voulant conclure etc.» on propose de mettre «de conert av,ec Sa Majesté etc.». Objectez vous à ce changement entre les mòts de concert et ainsi que? Chevalier Blanc est arrivé hier au soir porteur des dépéches du 3 et du 4 (2).

490

IL MINISTRO A VIENNA, DE BARRAL, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI CAMPELLO

T. 324. Vienna, 8 maggio 1867, ore 16,40 (per. ore 17,25).

Ministre de Prusse ayant déclaré h>ier au baron de Beust qu'en présence de continuatlon des armements en France, Prusse ne pourrait différer longtemps d'ordonner préparatifs militaires Beust a immédiatement télégraphié à Londres de hàter autant que possible les travaux de la conférence afin d'éviter cette nouvelle complication.

(l) -Del 4 maggio, non pubbl!cata. (2) -Cfr. n. 464. Non si pubblica una memoria In data 4 maggio che riassume tutto l'atteggiamento tenuto dall'Ital!a nella questione del Lussemburgo !l quale già risulta da altri documenti pubbl!cati nel presente volume.
491

IL DIRETTORE SUPERIORE DEGLI AFFARI POLITICI, ULISSE BARBOLANI,

AL MINISTRO A LONDRA, D'AZEGLIO

T. 198. Firenze, 8 maggio 1867, ore 22.

Nous n'avons rien à objecter au changement de rédaction dont vous parlez dans votre télégramme d'aujourd'hui (l) si les autres y adhérent.

492

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI CAMPELLO, AI RAPPRESENTANTI DIPLOMATICI ALL'ESTERO

CIRCOLARE 42. Firenze, 8 maggio 1867.

La S. V. Illustrissima fu a suo tempo informata della rlapertura delle Camere legislative, e ricevette parimente il discorso della Corona, pronunziato da

S. M. il Re in quella solenne occorrenza.

Il nuovo parlamento aveva da poch1 giorni cominciato i suoi 1lavori, allorché il Gabinetto cui presiedeva il Barone Ricasoli, credette dover rassegnare nelle mani del Re le proprie dimissioni. Costituitosi il nuovo Ministero sotto la presidenza del Commendatore Urbano RattazZ'i., questi pronunziò nell'occasione in cui si presentò alla Camera de' Deputati, un breve discorso ove svolse, per sommi capi, il pmgramma del Ministero.

Accennando arlla nostra politica, dichiarò che l'Italia dovea anzi tutto attendere al suo riordinamento ·interno; opera questa che gli era resa più agevole non avendo essa contratto impegni di sorta con straniere Potenze. Ottima fu l'impressione di .questa dichiarazione, la quale veniva fatta appunto quando molti in Italia vivev·ano in grande apprensione per lo stato delle cose in Europa, e si temevano anche pel nostro paese serie complicazioni.

Seguendo ·questo concetto direttivo della nostra politica nelle apposite istruzioni date agli Agenti diplomatJici chiamati a spiegare il nostro contegno, abbiamo ottenuto che l'Italia prendesse a fronte di eventualità pericolose, il posto che conviene ai veri suoi interessi.

Alcuni importantJi progetti di legge riguardanti le nostre relazioni esterne, vennero dal nuovo Ministero presentati per approvarsi dal Parlamento, e fra i primi quello che recava l'approvazione del Trattato di pace conchiuso tra l'Italia e l'Austria. Il quale fu dopo breve discussione, votato a grande maggioranza dal Senato e dalla Camera elettiva.

In una delle susseguenti tornate, *avendo il deputato Ferrari mosso interpellanze al Ministero sulle cause che avevano generato l'ultima crisi ministeriale, il Presidente del Consiglio trovò opportuno dichiarare che il Governo del Re, per ciò che riguarda la questione Romana, avrebbe rispettata e scrupo

{l) Cfr. n. 489.

losamente eseguita la Convenzione del 15 Settembre 1864. Il Governo del Re

infatti non intende menomamente scostarsi in questa parte dal programma finora seguito e che è ben noto alla S. V. per le comunicazioni che successivamente vennero fatte dal mio predecessore.

Venuto quindi in discussione lo schema di legge relativo alla Convenzione stipulata con la Francia pel riparto del debito pontificio, il Ministero attuale non ebbe motivo di prendervi parte diretta e poté lasciare ad altri la cura di difendere la politica di cui la Convenzione stessa non era se non una conseguenza ed un'applicazione * (l).

Ho stimato opportuno intrattenere brevemente la S. V. sovra questi primi atti della politica esterna del nuovo Gabinetto, perché essi contengono già la dimostrazione pratica del fermo proponimento in cui siamo, di non recar mutazione nei rapporti esistenti fra l'Italia e le altre nazioni.

A questo proposito non sarà fuor di luogo ch'io metta la S. V. in avvertenza contro certe voci che si fecero andare attorno in questi ultimi giorni circa un nuovo indirizzo politico del Governo Italiano.

Alcuni giornali stranieri vollero vedere una conferma di quelle voci negli articoli pubblicati in un giornale italiano, cui a torto si attribuisce il carattere di officioso. Ella sa che il R. Governo non ha alcun organo officioso della propria politica, e però la invito a dichiarare formalmente quando le verrà offerto il destro, che il Governo del Re respinge qualsiasi responsabilità di pubblicazioni periodiche, le quali facendo le viste di assumere la difesa della nostra politica esterna, 'la presentano al contrario sotto il più falso aspetto.

Le difficoltà sorte tra la Francia e la Prussia per la condizione anormale in cui era rimasto il Gran Ducato di Lussemburgo dopo la dissoluzione dell'antica Confederazione germanica, sono già in via di un pacifico componimento. Una conferenza si è già adunata il giorno 7 Maggio a Londra. Essa ha per iscopo di trovare un partito il quale muovendo dalla rinunzia della Prussia di continuare ad occupare la fortezza del Lussemburgo giungesse ad un componimento che importi la rinunzia implicita della Francia ad ogni idea di annessione di quel Granducato.

Nelle diverse fasi che hanno preceduto una tale proposta, l'Italia, deside

rosa di pace ed egualmente benevola verso le due parti contendenti, si è adope

rata, insieme col Governo della Gran Bretagna, di far prevalere sì a Parigi

come a Berlino, consigli di moderazione e di prudenza. Una simile condotta

da parte della Italia ha riscosso l'approvazione generale dell'Europa, ed è stata

cagione che fossimo invitati a prender parte alle deliberazioni della Conferenza

ora riunita a Londra.

Questo fatto è di per sé la più bella prova che l'Italia ha preso ormai il

posto che le compete nel consesso delle grandi Nazioni. Benché l'attenzione

pubblica in Europa fosse quasi esclusivamente rivolta verso la controversia

franco-prussiana, le Potenze non si ristettero per questo dal continuare quelle

pratiche che dovranno condurre puranco (almeno ci giova sperarlo) ad un

accordo reso tanto necessario nelle gravi questioni che si agitano in Oriente.

Noi abbiamo avuto ed abbiamo tuttavia nei negoziati ancora in corso, la parte

che conviene alla nostra posizione ed al vi v o interesse che debbono ispirarci le cose del Levante.

Il Governo Messicano con un suo Decreto del l a Febbrajo ultimo, impose una nuova contribuzione straordinaria dell'uno per 100, cui vanno anche soggetti tutti i forestieri, 'la quale colpisce le proprietà rustiche ed urbane, e gli stabilimenti d'industria e di credito che hanno un capitale superiore alle 1000 piastre. Contro questa grave e dannosa misura il nostro Rappresentante credette suo debito dover protestare insieme con tutto il Corpo Diplomatico a Messico, invitando in pari tempo quel Governo a dare le opportune disposizioni affinché fossero da tale contribuzione esentati tutti gli stranieri residenti nell'Impero (1).

Noi vogliamo sperare che il Governo Messicano, fatto persuaso delle ragioni messe innanzi nella protesta collettiva. vorrà far giustizia alla nostra domanda.

Il Conte Fé, Ministro del Re a Rio, fece presente al Governo Brasiliano che a ve va ricevuto parecchi reclami di nostri concittadini, residenti al Brasile, per danni che erano stati loro cagionati dalle soldatesche del Paraguay, quando queste 'invasero alcune provincie dell'Impero. Chiese quindi che il Governo brasiliano si assumesse il carico di far valere quei reclami in tempo opportuno. Il Gabinetto di Rio Janeiro ha dichiarato che è disposto a riguardare le domande dei cittadini nostri come proprie, e che saranno queste prese in considerazione allorché si verrà a trattare di pace col Paraguay.

Il Colonnello Prado, Capo temporaneo della Repubblica del Perù, raccomandò ultimamente nel suo Messaggio al Congresso, le domande di risarcimento dei danneggiati stranieri nel saccheggio che ebbe :luogo al Callao nel 1864. Noi da C'iò ci auguriamo che mercé questa raccomandazione, sarà fatto diritto alle reclamazioni presentate dalla Legazione d'Italia al Governo peruviano, a nome di diversi nostri connazionali. Abbiamo parimente veduto con soddisfazione che furono rimosse tutte le difficoltà che finora si erano opposte dal Perù alla conclusione del contratto della consegna del guano per l'ItaHa, per modo che noi consideriamo questo negoziato come del tutto ultimato.

Il R. Agente a Caracas presentò ultimamente al Governo venezuelano un progetto di Convenzione, la quale deve regolare il modo di pagamento dei crediti italiani già riconosciutli e liquidati nella precedente Convenzione stipulata il 25 aprile del passato anno. Ora si spera che quel Governo, non frapponendo nuovi indugi, farà approvare dalle Camere legislative questa seconda Convenzione, affinché possa essa cominciare a ricevere H pieno suo effetto.

Il Consigliere di Legazione, Conte Joannini, è stato inviato a Buenos Ayres coll'incarico di reggere temporaneamente quella R. Legazione. Egli ha ricevuto istruzioni di ottenere da quel Governo una pronta soluzione delle varie controversie che sono tuttavia pendenti tra il nostro Governo e la Repubblica Argentina.

Anche al R. Console Generale in Montevideo, nominato testé ad Incaricato d'Affari ad interim presso quella Repubblica, furono impartite precise istruzioni affinché rappresentasse al Governo orientale che noi non intendiamo sia ulteriormente differita la risoluzione del pagamento degli antichi crediti italiani.

La R. Missione destinata in Ci:na ed al Giappone è già partita dal:l'Ital·ia, e travasi in viaggio per recarsi a Yokohama, dove dovrà risiedere. Il Conte della Torre reca con sé i pieni poteri per !scambiare le ratifiche dei due trattati di commercio che furono ultimamente stipulati con quei due Paesi.

Quanto prima partirà alla volta di Yokohama il Cavaliere Robecchi che va come R. Console al Giappone per occuparsi di tutto ciò che ha più specialmente relazione alle cose commercia:li.

(l) Il brano fra asterischi è edito in L V 13, p. 13.

(l) Queste notizie erano state comunicate da Curtopassi con r. cifrato 4 del 10 febbraio.

493

]jL MINISTRO A LONDRA, D'AZEGLIO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI CAMPElLO

R. 696/259. Londra, 8 maggio 1867 (per. l'11).

Ho avuto l'onore ieri di ragguagliare brevemente V. E. su quanto avvenne al mio prender posto alla Conferenza come Plenipotenziario Italiano.

Quando scesi di carrozza dall'amico mio trovai venendomi incontro un impiegato degli Esteri che m'invitò a venire ad unirmi agli altri Plenipotenziaril che trovai adunati (1). Lord Stanley nel ricevermi mi •lesse un breve complimento per festeggiare questo mio prender parte ai lavori della Conferenza ed io nell'istessa guisa risposi chiedendo mi si permettesse pronunziare qualche parola di riconoscenza pel modo con cui il Ministro degli Esteri aveva trattata questa quistione come pure per l'aver egli preso l'iniziativa presso alle altre potenze. Apprezzare il Governo del Re al suo giusto valore questo modo d'agire non meno che la sollecitudine con cui le altre potenze avevano aderito a questa proposizione. Dissi parermi questa chiara prova sia delle buone ·relazioni che l'Italia aveva saputo stabilire in Europa, sia che credevasi da loro, che in quistion:i europee fosse desiderevole che l'Italia facesse sentire la sua voce. Non avevamo in questa circostanza da far valere diritti anteriori come gli altri per aver sottoscritti trattati; ma lo dovevamo ad una marca di confidenza dei nostri alleati e questo titolo lo preferivo a tutti gli altri. Ero felice in vedermi fra colleghi coi quali da tanti anni avevo relazioni affettuose e speravo che da una comune collaborazione fosse per riescire un esito equo e soddisfacente per tutti.

Quindi preSi posto e cominciò la deliberazione presieduta da lord Stanfey e presenti gli Ambasciatori di Francia, Russia, Austria e Prussia, i Ministri del Belgio e d'Olanda, più due invitati Luxemburges'i giunti H giorno prima. Inoltre un protocollista il Signor Julian Gane.

Si lessero i varii articoli e si diffusero ma semplicemente senza nulla fissare stabilmente, poiché gl'i Inviati Luxemburgesi parevano esitare molto stante l'as

«Ho trovato jer! tornando a casa un biglietto del Sotto-Segretario Hammond per !nformarml confidenzialmente che non potendosl ufficialmente prendere ancora a mio riguardo 1 medesimi passi come per le potenze già ammesse alla Conferenza egli doveva lnformarml che sl radunerebbe oggi alle tre, e che sarebbe opportuno che m! trovassi nel vicinato onde essere ammesso quando ne fosse !l tempo.

Convenni Invece d! parer aspettare !n anticamera. che avrei fatto visita ad un amico mio che è Impiegato !n un vlclnlsslmo Ministero, e lì m! s! sarebbe trovato al momento opportuno ».

senza d'istruzioni ed il breve tempo, che eragli stato concesso per esaminare il progetto di convenzione. Essi sono evidentemente molto perplessi, p<Yi.ché gli abitanti del Gran Ducato vedono, con la stipulazione dell'abolirsi la fortezza a scomparire molti vantaggi per le popolazioni. Anzi temo venissero con molte illusioni, che dovettero smettere.

Il punto più grave fu la diiDcoltà riguardo alle garanzie, poiché la Prussia fece una ri·serva decisa proponendo un emendamento per mtrodurre ques.ta gara·nzia formalmente; anzi pareva che s'avessero istruzioni dal Conte di Bismarck di non procedere più oltre nelle deliberazioni ove questo punto non fosse stato concesso. Ma si riservò il Presidente di deliberarne coi suoi colle.gh'i e raccomandandosi ai Luxemburgesi di affrettare la venuta d'istruzioni la seduta seconda fu fissata per domani.

Siccome le istruzioni che avevo ricevuto non parlavano precisamente di garanzia credetti conformarmi alle intenzioni del Governo riservandomi di consultarlo in proposito. Ma capti, da quanto lord Stanley mi disse, che quasi era meglìo per lui il poter presentare la quistione come avendo l'assenso unanime delle potenze per finalmente unirvisi anche lui; onde telegrafai a V. E. in quel senso (1).

Te•legrafai pure (2) riguardo al cambiamento del preambolo in cui vuol mettersi «... En conséquence Leurs Majestés de concert avec S. M. le Roi d'ltalie voulent conclure ... invece di ... En conséquence Leurs Majestés ainsi que Sa Majesté le Roi d'Italie ... 1> non mi è parso che fosse il caso di insistere pella prima redazione, ma siccome tutto era «ad referendum», credetti più opportuno e sicuro consultare V. E., come lo feci col telegramma di questa mattina.

P. S. Tornando dalla Conferenza ieri trovai arrivato nel frattempo il Commendatore Blanc il quale mi ha rimesso i dispacci del 3 e 4 magg1io (3) e lettere di cui era latore. Queste istruzioni fan diffatti menzione della garanzia che era omessa nel dispaccio anteriore. Del resto in un caso d'urgenza avrei finito per aderire interpretando l'opinione del Governo.

Mando annesso un rapido sunto delle note che presi nella Conferenza di ieri e che temo son imperfette (4). Ma servivanno a dar un'idea anticipatamente dell'accaduto.

(l) Cfr. 11 seguente brano del r. 693/257 d! D'Azeglio del 7 maggio:

494

IL MINISTRO DI PRUSSIA A FffiENZE, USEDOM, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI CAMPELLO

L.P. -CONFIDENZIALE. Roma, 8 maggio 1867. M. -Le Comte de Bismarck, fort satisfait de la bonne attitude que l'Italie a prise jusqu'ici dans la question du Luxembourg, me charge de communiquer conftdentiellement à V. E., que la première idée de Lord Stanley a été de proposer l'évacua1Ji.on de la forteresse par les troupes prussiennes et puis de faire (-3) Cfr. n. 463,. il dispaccio del 4 non è pubblicato.

promettre au Roi Grand-Due de ne pas aliéner le Grand-Duché sans le consentement des autres Puissances. Ceci. comme on voit, n'étant pas suffisant pour l'Allemagne, le Comte de Bernstorff a été autorisé à proposer à Lord Stanley d'abord la neutralisation du Grand-Duché sous garantie des Puissances, puis évacuation, enfin démolition des fortifications.

En attendant, les armements de la France continuent sans relache et il est de toute urgence pour la Prusse d'etre assurée si la Conférence, comme nous le souhaitons peut conserver la paix, ou si le Gouvernement du Roi doit chercher, par des armements analogues, à regagner le temps perdu. C'est toujours en partant de la première alternative pacifique, que le Comte de Bismarck me charge d'inviter le Gouvernement Royal Italien de bien vouloir faire à Paris de.<; représentations sérieuses contre les armements en question durant la Conférence. V. E. voit trop bien, combien ces mesures militaires servent à aggraver la situation, surtout lorsqu'on serait forcé d'y répondre de l'autre còté. Je ne doute pas, M. le Ministre, que V. E. jugera opportune une démarche semblable et je La prie de vouloir bien m'informer de ce que dans l'intéret commun de la p a ix européenne, Elle a trouvé bo n d'aviser (l).

(l) -Cfr. n. 483. (2) -Cfr. n. 489. (4) -Non si pubblica.
495

L'INCARICATO D'AFFARI A PIETROBURGO, INCONTRI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI CAMPELLO

R. 100. Pietroburgo, 8 maggio 1867 (per. il 15).

Appena ricevuto il telegramma dell'E. V. del 4 Maggio (2) mi recai al Ministero degli Affari Esteri affine di disbrigare le incombenze che in esso mi venivano affidate. Non avendo potuto parlare col Principe Gortchakow incaricai il Segretario Generale, Signor Westmann, di ringraziare a nome del Governo del Re il Vice Cancelliere per la benevola accoglienza che la proposta inglese, relativa alla nostra ammissione alla Conferenza di Londra, aveva incontrato presso il Governo russo, ed annunziargli in pari tempo che al Marchese d'Azeglio erano state inviate istruzioni conformi a quelle date al Barone Brunnow.

* Avuta occasione questa mattina di essere ricevuto dal Principe, gli rinnovai i ringraziamenti per l'attitudine tenuta a nostro riguardo dalla Russia *, ed (3) insistei ancora una volta sul vantaggio che ne sarebbe venuto per la pace di Europa dalla nostra partecipazione alla Conferenza di Londra. Il Governo del Re, io diceva al Vice Cancelliere, ha intenzione essenzialmente pacifica: la partenza dal suolo italiano di ogni soldato straniero, ragioni di politica interna, ed il sentimento nazionale, che si manfestò favorevole ad una politica diretta in questo senso, gliene fanno un dovere; quindi nell'Italia l'Europa troverà sempre un elemento di ordine la cui influenza potrà essere impiegata utilmente a favore della conservazione della quiete. Il non essere il Governo del Re segna

tario di molte delle stipulazioni che tuttora regolano lo stato delle cose in Europa, non deve essere una ragione perché le potenze escludano l'Italia dai loro convegni, ché anzi ciò le lascia una certa libertà di azione che può essere utilmente impiegata a vantaggio del bene comune, e quindi è, sotto ogni punto di vista desiderabile che la voce di una nazione forte ed indipendente come l'Italia, si faccia sentire nelle r~unioni delle maggiori potenze di Europa. Di questa ferma intenz,ione di agire a pro della pace europea il Governo del Re ha già dato prova: infatti, se egli è completamente libero da qualsiasi impegno verso l'estero, i vincoli di alleanza che hanno esistito colla Francia e colla Prussia gli creavano una posizione speciale nella crisi attuale, e l'azione sua poteva efficacemente farsi sentire a Parigi ed a Berlino, il che fu fatto in modo benevolo e conciliatore, e questo contegno da parte nostra ha per certo avuto influenza sulle disposizioni dei due Gabinetti, le quali sono divenute tali da permettere la riunione della conferenza. Vedevo quindi con piacere che le varie potenze persuadendosi dell'utilità del concorso dell'Italia, le avevano aperte le porte della conferenza, e speravo che, avuto così campo di sempre più convincersi di quanto utile è la nostra presenza nei convegni europei, il fatto attuale avrebbe servito di precedente nell'avvenire.

*Il Principe mi rispose: «conoscevo già dai rapporti dei rappresentanti russi l'azione conciliatrice esercitata dal Governo Italiano a Berl'ino ed a Parigi, e ne sono lieto *: è tempo per l'Italia di fare economie, * e quindi sono certo che la vostra politica sarà diretta in senso eminentemente pacifico, perciò in ogni questione daremo grande importanza al concorso dell'Italia: la nostra condotta, appena ci fu nota la proposta dell'InghHterra, ve ne deve essere una prova*. Sono ben contento che le istruzioni inviate al plenipotenziario Italiano a Londra siena concepite nel senso di quelle del Barone Brunnow; ciò renderà più spedito il disbrigo degli affari. Non ho notizia se l'Italia abbia preso parte alla prima seduta tenutasi ieri quantunque un telegramma di Londra mi abbia annunziato che il risultato ne fu soddisfacente, ed il Barone di Brunnow aggiunga che concepisse le migliori speranze per l'esito della conferenza, molto più che l'Inghilterra ha consentito, dietro le nostre osservazioni a modificare il piano della discussione, la quale, secondo lei, doveva portare prima di tutto sulla evacuazione della fortezza di Lussemburgo, mentre a noi sembra che questa, non essendo che la conseguenza della neutralizzazione del Granducato, debba venire in secondo luogo, evitandosi altresì in tal modo di urtare le giuste suscettività della Germania».

Il Principe terminò dicendomi che la Spagna aveva pure domandato di prendere parte alla conferenza, al che Egli aveva risposto non avere nulla in contrario se le altre potenze vi consentono, credendo che una maggiore quantità di firme sarà una garanzia di più per la pace.

Spero che l'E. V. approverà il linguaggio da me tenuto al Principe Gortchakow che ho cercato di rendere il più possibile conforme allo spirito del dispaccio ministeriale N. 74 (Serie politica) in data del 30 aprile (1), giacché gli avvenimenti succedutisi da quell'epoca in poi non mi permettevano più di attenermi strettamente alla lettera di esso.

(l) -Per la risposta cfr. n. 506. (2) -Cfr. n. 465. (3) -I brani fra asterischi sono editi in LV 11, pp. 62-63.

(l) Cfr. n. 444, nota l, p. 562.

496

IL PRESIDENTE DELLA COMMISSIONE ITALIANA PER LA DELIMITAZIONE DELLA FRONTIERA F'RA IL REGNO E L'IMPERO AUSTRIACO, DI ROBILANT, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI CAMPELLO

R. 58/22. Venezia, 9 maggio 1867.

Il rapporto del Conte di Barrai in data l o Maggio (l) che l'E. V., si compiacque trasmettermi per copia col suo pregiato dispaccio del 6 corTente, avendomi persuaso della nessuna ulteriore probabilità di riescita dei negoz:iati relativi all'abbastanza rilevante rettifica del confine Orientale ch'io iniziava in Venezia, e che poscia il R. Inviato a Vienna continuava in quella Capitale, credetti per le considerazioni svolte all'E. V. nel mio dispaccio del 27 Aprile scorso

N. 55/21 (2) gi:unto il momento di tentare un'ultima prova onde ottenere in difetto di meglio una parziale rettifica del confme nella bassa di Palmanova, che assicurasse a·lmeno a quella piazza una zona difensiva, la cui estensione credetti tacitamente determinare appoggiandomi per avvalorare la mia domanda all'antecedente di Peschiera nel trattato di Zurigo. A tal effetto rimisi ieri al Generale Kirchsberg la nota verbale che per copia mi onoro trasmettere all'E. V. riservandomi di farle in seguito conoscere la ·risposta che mi sarà fatta, nonché le conseguenti fasi di tal nuovo negoziato (3).

497

IL MINISTRO A LONDRA, D'AZEGLIO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI CAMPELLO

R. 697/260. Londra, 9 maggio 1867 (per il 13).

Nella seduta della Conferenza oggi dopo essersi letto il protocollo della prima seduta ·e fattegli quelle correzioni che vennero suggerite dai Plenipotenzlarii, io consegnai al Presidente i miei pieni poteri giunti ieri sera.

Quindi feci una dichiarazione, che, avendo presi gli ordini del Governo, ero stato autorizzato ad aderire al principio della garanzia collettiva della neutralità del Luxemburgo.

Allora lord Stanley annunziò che consultati i suoi colleghi del Gabinetto era debito suo d'annunziare che visto .l'unanime consenso dei plenipotenz:arii l'Inghilterra aveva deciso d'aderire alla garanzia collettiva e che non aveva motivo di respingere l'emendamento del Conte Bemstorff.

Quest'annunzio venne accolto, con universale gradimento più che sorpresa essendosi da jeri sera saputo che le cose prendevano quella p~ega. Si lessero quindi uno ad uno gli articoli de·l trattato. E vennero accolti generalmente e quindi più tardi parafati da noi, eccetto .l'articolo IV che parla

dell'atterrarsi della fortezza, poiché 11 Plenipotenziario Prussiano dichiarò che non avrebbe ricevuto che più tardi la risposta da Berlino relativa al periodo da fiss!lirsi.

I Luxemburgesi vollero introdurre un emendamento, onde i:l Gran Ducato ess,endo neutro non dovesse restare 1solato commercialmente. Ma in generale si ammise che la neutralità non concerneva che lo stato guerresco e non 11 commerciale. E non far questo per conseguenza parte di quanto veniva sotto alla considerazione della Conferenza. Lasciando piena libertà commerciale. Ammesso questo principio i Luxemburgesi ritirarono il loro emendamento.

Provarono più tardi di far adottare in massima che le spese di atterramento sarebbero sopportate dalle potenze contraenti. Anche li non incontrarono e dovette,ro ritirare la proposta.

Ma invece sulla proposta dell'Ambasciatore di Russia venne inserita una clausola per dichiarare che l'atterramento si farebbe con tuttA. i riguardi per gli interessi degli abitanti, e si confidò la Conferenza nei sentimenti del Re Gran Duca per sopperire alle spese d'atterramento.

Si riservò per dichiarazioni speciali ed a parte: l o Una per l'ordine di successione del Gran Ducato agli agnati di Casa Orange-Nassau.

2° Per dichiarare che cessata la Confederazione cessavano i legami fra certe parti del Limburgo Olandese ed il Luxemburgo.

Si fissavano 4 settimane per le ratifl.che, e si disse di radunarsi domani, probabilmente per avanzare nei preliminari e quindi, se si può, firmare sabbato. La Spagna ha fatto un riclamo per non essere stata invitata alla Conferenza, dicendo non capire come ci fosse l'Italia e non essa che aveva segnato

trattati del 15. Ma questa pretensione non fu accolta.

Nell'unirle il protocollo della prima seduta (1), ...

(l) -Cfr. n. 453. (2) -Cfr. n. 432. (3) -Con n. 126 del 18 maggio il Ministro della Guerra sottollneò l'estrema importanza di ottenere una zona di difesa intorno alla fortezza di Palmanova.
498

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI CAMPELLO, ALL'INCARICATO D'AFFARI A COSTANTINOPOLI, DELLA CROCE

D. 50. Firenze, 10 magg:o 1867.

Venne jeru il Ministro di Francia a leggermi un dispaccio del suo Governo per propormi d'indirizzare al Rappresentante Italiano in Turchia una nota che in termini identici sarebbe scritta da' Gabinetti di Parigi, Berlino, Plietroburgo e Vienna a' loro Rappresentanti rispettivi. Ho risposto all'Inviato di Francia che il Governo Italiano sarebbe ben lieto di associare la propria azione a quella delle altre Potenze, interessate a trovare un componimento che valga a ristabilire la tranquillità lin Candia; ed assicurai il Barone di Malaret che il Rappresentante d'Italia verrebbe autorizzato a valersi dell'identico dispaccio che

43 -Documenti diplomatici -Serle I -Vol. VIII

io gli avrei indir-izzato, nel modo stesso che se ne varranno gli Inviati ed Ambasc,iatori delle altre potenze.

A questo scopo Ella riceverà col corriere d'oggi una nota (l) da Jeggersi a Fuad Pacha, tosto che i suoi colleghi di Francia, Austria, Prussia e Russia saranno stati autorizzati da' loro Governi a fare identico passo presso la Porta.

(l) Non si pubblica.

499

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI CAMPELLO, ALL'INCARICATO D'AFFARI A COSTANTINOPOLI, DELLA CROCE

D. 51. Firenze, 10 maggio 1867.

Ler rapports que Vous m'avez adressés sur l'accueil fait par Fuad Pacha à votre démarche au sujet de la Crète m'ont prouvé que la Porte n'avait pas bien compris le véritable objet des conseils que Vous etiez chargé de lui donner de concert avec !es Représentants de l'Autriche, de la France, de la Prusse et de la Russie. En effet le Ministre des Affaires Etrangères du Sultan, au lieu d'examiner si la mesure qui lui était suggérée ne présentait pas un caractère évident d'opportunité et meme d'urgence, s'est engagé dans le champs des conjectures sur l es conséquences éventuelles qu'elle pouvait a voir, il a porté ainsi le débat sur des questions qui n'étaient pas posées en éludant celle qui était seule en discussion. Les Puissances sont trop pénétrées de la justesse et de la force des considérations qui ont dicté leur langage dans cette circonstance pour se laisser détourner du but de leurs efforts. Après bientòt 8 mois d'une lutte qui a fait couler tant de sang et qui n'est pas terminée, en présence d'une résistance qui témoigne certainement d'un mal profond dans la condition des populations, il est une nécessité qui s'impose avant toute autre, c'est de s'éclairer sur l'état des choses en Crète et de se rendre un compte exact des besoins du pays. La Porte serait dans une complète illusion si elle supposait qu'aucun des moyens qu'elle a employés jusqu'ici puisse etre considéré par les Puissances camme conduisant à un dégré quelconque au but q'elles se proposent. En faisant connaltre toute leur pensée à cet égard au Gouvernement Ottoman et en lui apportant un avis sincère, elles n'excèdent assurément ni leurs traditions ni leurs droits et !es Ministres Ottomans ne s'étonneront pas qu'elles mettent aujourd'hui plus d'insistance dans leurs démarches. Le moment nous semble venu, en effet, de rechercher sérieusement l'origine du mal et les remèdes qu'il comporte.

Les populations seules librement et sincèrement consultées, pourraient l'indiquer. Cette consultation devrait avoir lieu sur piace, et il serait important que !es Puissances fussent mises à meme de s'éclairer directement sur l'état réel des choses. Elles ne sauraient voir d'ailleurs qu'avec un profond regret continuer l'effusion du sang, et elles ont assez de conflance, aussi bien dans les sentiments d'humanité et de modération du Gouvernement Ottoman que dans

la juste appréciation des intéréts bien entendus de la Turquie, pour étre persuadées que, sur tous ces points, il tiendra le compte le plus sérieux des conseils désintéressés et amicaux qui lui sont donnés.

Vous étes autorisé à laisser copie de cette dépéche au Ministre des Affaires Etrangères.

(l) Cfr. n. 499.

500

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI CAMPELLO, AL MINISTRO A LONDRA, D'AZEGLIO (Ed. in L V 11, p. 59)

D. 27. Firenze, 10 maggio 1867.

*La notizia di essere stato invitato il Governo del Re a prendere parte alla Conferenza di Londra ha prodotto in Italia, come era da aspettarsi* (1), la più viva soddisfazione. È questo un fatto che eserciterà certamente la P'iù salutare influenza non solo nelle nostre relazioni estere, ma ancora nelle nostre condizioni interne, e noi siamo lieti di doverlo in massima parte alla iniziativa del Governo di S. M. Britannica. Io debbo quindi pregarla, signor Marchese, a voler esprimere in nome del Governo del Re la nostra più sentita riconoscenza a lord Stanley per la porte eminente da lui presa in un avvenimento sé importante per noi e che ci permette di sempre meglio augurare pelle nostre relazioni politiche colla Gran Bretagna (2).

501

IL MLNIS'l'RO A LONDRA, D'AZEGLIO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI CAMPELLO

R. 698/261. Londra, 10 maggio 1867 (per. il 13).

Radunatasi la Conferenza all'una questa mattina il Plenipotenziar,io Russo presentò i suoi pieni poteri e si fece qualche osservazione su quelli del Plenipotenziario Olandese che non contenevano la parola signer. Ma si convenne di !asciargliene la responsabilità.

Quindi si firmò da tutti i plenipotenziari dopo uditane lettura il protocollo della prima seduta.

E qui devo fare osservare che seguendo i segni di deferenza che mi si usarono fin dal primo momento il protocollista mi disse che non vedeva perché benché non presente al primissimo principio non si metterebbe il nome del Plenipotenziario Italiano in un cogli altri prima adunatisi. Risposi che non

avrei fatto per parte mia una pretesa su questo, ma poiché e.gli me lo proponeva pensavo che non sarebbe che una prova di cortesia di più da aggiungere alle altre ed accettavo tanto più che antecedenti ne esistevano nell'ammettere la Prussia al Congresso di Parigi.

Diffatti il Signor Gane ne fece menzione alla Conferenza e la cosa venne adottata. V. E. troverà dunque questo cambiamento nel protocollo finale della prima seduta non ancora fattosi stampare.

L'Ambasciatore di Prussia e l'Ambasciatore di Francia convennero che non essendosi ancora fissata una redazione pe·r l'art. IV conveniva differire fino a domani ed in questo frattempo avrebbero essi potuto avere dai rispettivi. Governi una redazione adottata.

Pare che bramerebbe la Prussia lasciare una certa latitudine per lo spazio di tempo in cUJi. sgombrare. Ma suppongo che in Francci.a, avutosi riguardo alla poca disposizione in .generale a sgombrare in altri paesi del Conte Bismarck, vuolsi un qualche periodo di tempo determinato. Ad ogni modo dice la Prussia che il materd.a·le raccolto nella fortezza è talmente immenso che prenderà molte settimane per sgombrarlo e vorrebbesi lasc1ar intanto un qualche pres1dio nella fortezza per proteggerlo. Anzi v'ha chi afferma che i Prussianl. non sieno poi così f·rettolosi di veder distrutta la fortezza.

Il Plenipotenziario Olandese, che aveva proposto ieri una dichiarazione separata definendo che cessata la Confederaz.one cessavano pure i rapporti che legavano certe parti del Limburgo al Luxemburgo, chiede ora che se ne faccia un articolo addizionale anche fuori di numerazione. Dopo un esame della proposta per parte della Conferenza si risolve d'andar più in là, non essendovi inconveniente, e di far di questa dich.arazione un articolo del trattato, che prenderà il N. 6, e l'antico N. 6 diventerà N. 7. Si firmano le iniziali a questo articolo, di cui V. E. troverà il tenore in esteso annesso al dispaccio.

Naturalmente a questo artlColo ho creduto poter aderire anche senza istruzioni speciali, avendone gli altri Plenipotenziari fatto altrettanto.

Quindi il Plenipotenziario Olandese esprime il desiderio di far una dichiarazione a nome del Re d'Olanda onde si collochi nel protocollo della seduta. Questa dichiarazione porta, che intende il Re d'Olanda, che le obbligaz.oni che egli assume in questo trattato come Gran Duca non si riferiscano all'esser Re d'Olanda e che il Regno resti estraneo a quanto concerne il Gran Ducato.

Il Plenipotenziario Prussiano muove qualche difficoltà, dicendo stab11ire questo una posizione nuova, né poterlo accettare senza istruzioni. Ma quindi dopo discussione essendosi accertato, che non trattasi che di una dichiaraz.one di cui non hanno i Plenipotenziarii che a prender atto senza che si esigano le loro adesioni, si accetta la cosa anche dal Plenipotenziario Prussiano.

Anche questa dichiarazione V. E. troverà urnta a questo rapporto.

Parendo impossibile, che tante copie del trattato si trovino terminate per domani alle cinque, si muove dubbio se il trattato si possa firmare. Ma siccome si decide che tutti possano firmare una copia sola bastando questa a render valido il trattato, si risolve, che la Conferenza si radunerà domani alle cinque per quest'oggetto e quindi lunedì o martedì potranno esser pronte le copie destinate ad ogni Plenipotenziario.

Pare dunque impossibile stante la persuasione mostrata dai principali interessati d'essere al caso di firmare domani, che vi possano nascere ostacoli ad impedire un risultato conforme al desiderio di finirla. E così proverà la diplomazia di non essere a' giorni nostri meno spiccia della gente di guerra.

P. S. Unisco un articolo d'oggi del Times e traduzione della parte che ci concerne (l).

(l) -In L V 11, Invece del brano fra asterischi: <<S. E. Il presidente del Cons!gl!o annunciò alla Camera dei deputati, nella tornata dell'8 corrente, che il Regno d'Italia fu ammesso alla conferenza di Londra. S!ffatta notizia ha prodotto». (2) -In pari data vennero Inviati dispacci ai rappresentanti a Berlino, Parigi, Vienna e L'Aja per Invitarli a ringraziare quel Governi dell'adesione data all'ammissione dell'Italia alla conferenza di Londra.
502

IL MINISTRO A WNDRA, D'AZEGLIO, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DELL'INTERNO, RATTAZZI

(ACR)

L.P. Londra, 10 maggio 1867.

Spero domani di firmare il trattato. Lord Stanley mi chdedeva stamane come andassero le cose da noi e gli risposi che tra il prog·redir della quistione finanziaria secondo i telegrammi d'oggi, lo scomparire del pericolo d'una guerra al quale lavoravamo e l'entrar l'Italia al rango di gran potenza iniziante l'Inghilterra mi sembrava che vedevo un orizzonte più rassicurante.

Con tante preoccupazioni che Ella deve avere, egli è almeno confortante l'idea di poter vedere a prender buona piega a questi grandi interessi dello Stato che si concatenano assieme.

Adesso però penso che Ella penserà con me che sia essenziale per ottenere tuttd i legitt~mi risultati della nostra attività di far pe,r parte nostra gran chiasso di quanto per noi si fece in questi ultimi tempi. Conviene far mousser la nostra posizione di gran potenza e gridarlo dovunque. Poiché se non lo facciamo noi medesimi nissuno lo farà per noi. An2li egli è evidente che le altre gran potenze malgrado i complimenti non amino nuove altre potenze. Ed in quanto alle potenze di second'ordine essendo invidiose ci grideran contro. Inoltre Ella riconoscerà con me che occorre cantar le lodi del Governo Inglese e specialmente di lord Stanley in quest'occasione poiché a lui personalmente dobbiamo molto dell'operato benché varj Pari importanti come Walpole e Hardy Parkington Carry siensi sempre mostrati con me simpatizzare molto di cuore coll'Italia.

In InghHterra non accettandosi dagl'Inglesi decorazioni e trattandosi del figlio del Conte di Derby con un paio di milioni di reddito non possiam pagar con onori o regali. Forse potrebbesi scrivermi un dispaccio con espressioni lusinghiere per lui e ringraziamenti pel Governo Britannico.

Quindi il Governo del Re darà mezzo di far cantar queste lodi dalla stampa nostra. Poiché vorrei che si provasse vero quanto asserii che l'effetto m Italia sarebbe eccellente.

Del resto quando mi parlò a quattr'occhi lord Stanley mi lasciò capire che per universal consenso la garanzia collettiva della neutralità era un impegno tanto più accettabile che il caso occorrendo lasciava libero ognuno del partito

da prendersi. Ma si aveva piuttosto in vista l'effetto morale di una misura collettiva che non l'applicazione materiale.

Mi sembrò molto divertirsi d'aver mandato a spasso la Spagna. Del resto prevedevo che se parlavo troppo presto avressimo avute pretese di molte potenze e certe altre avrebbero fatto sottomano opposi<?ione. Apponyi fu dunque stupefatto di veder accettata a Vienna la nostra ammissione a Londra di cui non a vea idea.

(1) Non sl pubblica.

503

L'AGENTE E CONSOLE GENERALE A BUCAREST, SUSINNO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI CAMPELLO

T. 330. Bucarest, 11 maggio 1867, ore 10,50 (per. ore 21,10).

Gouvernement reçu avis mouvement en faveur prince Couza préparé par Russie est imminent à Jassy. Ministre de l'Intérieur parti le 8 pour Jassy. Gouvernement croit que si mouvement éclate sera peu important et dompté en 24 heures. Cependant parti prince Couza nombreux principalement en Moldavie.

504

IL MINISTRO A LONDRA, D'AZEGLIO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI CAMPELLO

T. 331. Londra, 11 maggio 1867, ore 19,40 (per. ore 22,33).

Le traité vient d'ètre signé. Prusse promet évacuation immédiatement après échange des ratifications. On ne laissera que le nombre de troupes nécessaires pour veiller à transport munitions de guerre qui s'achèvera le plus tòt possible.

505

IL MINISTRO A LONDRA, D'AZEGLIO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI CAMPELLO

T. 332. Londra, 11 maggio 1867, ore 20,40 (per. ore 23,32).

Plénipotentiaire beige a demandé à temps déclaration séparée signée par la conférence portant que la doctrine de la démolition forteresse Luxembourg neutralisé ne portera pas atteìnte aux droits et aux devoirs des autres Etats neutres de conserver et d'amélìorer leurs forte,resses comme moyen de défense. En général cela a paru admìssible mais le plénipotentiaire français croit ditncile que son Gouvernement y accède. Je désire instructions avant lundi (l).

(l) Cfr. n. 509.

506

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI CAMPELLO, AL MINISTRO DI PRUSSIA A FIRENZE, USEDOM

D. S.N. Firenze, 11 maggio 1867.

Je viens de recevoir la lettre confidentielle que V. E. m'a fait l'honneur de m'adresser de Rome (l) et je m'empresse d'y répondre.

J'ai appris avec plaisir que le Gouvernement de S. M. le Roi de Prusse a été fort satisfait de l'attitude que l'Italie a prise dans la question du Luxembourg. Notre ligne de conduite était toute tracée dans cette circonstance, non seulement par nos plus chers intérèts qui nous faisaient souhaiter le maintien de la paix en Europe, mais aussi par notre postion impartiale et bienveillant.e vis-à-vis de deux Puissances amies et alliées de l'Italie. Nous ne pouvions en effet nous associer qu'à une solution qui fùt également satisfaisante et honorable pour les deux parties.

Nous sommes heureux de voir que nos efforts sont bien près de réussir. Nous savons par les télégrammes du représentant du Roi à la Conférence de Londres que toutes les questions de quelque gravité ont été résolues dans la réunion de hier et que ce soir à 5 heures on esprérait signar le traité.

Dans ces circonstances, je pense que la question des armements qui continueraient à avoir lieu en France ne peut avoir désormais qu'un intérèt rétrospectif. Il nous répugnerait à croire qu'après un traité solennel et après toutes les assurances et les protestations pacifiques qui ont été échangées à Londres, on puisse songer à mettre de nouveau en péril la tranquillité de l'Europe.

Dans tous les cas, pour répondre au désir manifesté par M. le Comte de Bismarck, nous ne manquerons pas de donner les instructions nécessaires au Ministre de Sa Majesté à Paris, afin que si la conférence venait malheureusement à se prolonger, il agisse auprès du Cabinet des Tuileries dans le sens de la conservation de la paix (2).

507

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI CAMPELLO, AL MINISTRO A PARIGI, NIGRA

D. 232. Firenze, 11 maggio 1867.

Il Ministro di Prussia mi ha diretto una lettera confidenziale richiamando l'attenzione del R. Governo sopra la prosecuzione degli armamenti in Francta. Benché siffatto documento si riferisca ad una sUuazione di cose che oggi stesso, speriamo, sarà radicalmente mutata grazie alla firma del Trattato che sta per conchiudersi nella Conferenza di Londra, credo utile di trasmetteme copia a V. S. unendovi altresì copia della risposta da me fatta (3), pel caso

in cui non si verificasse la previsione della pronta conclusione di un accordo. La S. V. potrà cosi in tale ipotesi pronunciarsi senza ri·tardo nel senso che è indicato nella risposta da me diretta al Conte Usedom.

Debbo a tal riguardo far conoscere a V. S. che le informazioni da più lati pervenute al Governo del Re confermerebbero la notizia della sollecita continuazione degli armamenti francesi. Il R. Console in Tolone riferisce segnatamente che la più grande attività regna così in quei cantieri come in quelli vicini della Seyne; che vi si lavora senza interruzione di giorno e di notte; che furono egualmente affrettati i lavori di raddobbo della R. Pkofregata «San Martino) per poter introdurre in suo luogo nel bacino di carenaggio un altro legno francese; che Infine le officine del Creusot ricevettero ordini urgenti per la fabbricazione di molte altre cannoniere smontabili, oltre a quelle che già esistevano e che già furono allestite ed armate.

(l) -Cfr. n. 494. (2) -Cfr. n. 507. (3) -Cfr. nn. 494 c 506.
508

L'AGENTE E CONSOLE GENERALE A BUCAREST, SUSINNO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI CAMPELLO

ANNESSO CIFRATO (l) Bucarest, 11 maggio 1867 (per. il 17).

Agent russe travaille activement pour soulever Bulgarie guerre générale. Gouvernement Roumain y a envoyé à son tour agent secret pour déjouer intrigue russe et déterminer Bulgares à s'entendre avec Roumanie et attendre occasion propice. Vive crainte de désordre règne non seulement à Jassy, mais aussi à Bucarest. Parti Prince Couza, s'agite presque ouvertement. Les partisans sons nombreux dans amministration, armée et paysans. Des mesures sont prises pour maintenir sécurité publique.

509

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI CAMPELLO, AL MINISTRO A LONDRA, D'AZEGLIO

T. 202. Firenze, 12 maggio 1867, ore 15,30.

Nous sommes d'avis que la demande de la Belgique (2) est superflue la démolition de la fortesse du Luxembourg n'étant pas une conséquence directe de la neutralisation du Grand-Duché, mais un expédient de clrconstance qui est justifié par sa positìon. Il est clair que la neutralisation n'òte pas aux Etats qui sont l'objet le droit de conserver et d'améliorer leurs moyens de défense.

Toutefois si la majorité des représentants des grandes Puissances est acquise à la déclaration demandée par la Belgique, vous étes autorisé à la signer aussi. Vous pouvez nous envoyer le traité par M. Blanc lorsque tout sera fini (1).

(l) -Al r. 14, non pubbllcato. (2) -Cfr. n. 505.
510

IL MINISTRO A BERLLNO, DE LAUNAY, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI CAMPELLO

R. 22. Berlino, 12 maggio 1867 (per. il 17).

Le Sous-Secrétaire d'Etat aux Affaires Etrangères m'a annoncé que la Conférence de Londres avait heureusement abouti par suite des arrangements acceptés par tous 1es intéressés. La question du Luxembourg est donc vidée. Il faut s'attendre cependant à ce que quelque mécontentement se produise en Allemagne de la part de ceux qui précisément se seraient bien gardés d'exposer leur vie, si la gue·rre était devenue 1névitable. Mais certains partis sont partout les mémes. Ils font flèche de tout bois dans une opposition systhématLque. En effet leurs efforts notoires tendent à bouleverser la situation politique actuelle en Europe. Ce sont les pa·rtis radieaux, ceux des dynasties déchues et les factions ultramontaines. Quoiqu'il en soit. l'Europe la reconnaitra, la Prusse par sa polri.tique modérée et conciliante a voulu porter quelque sacrifice en aveu du maintien de la paix dont le besoin se fait aussi généralement sentir. Il n'y a plus qu'un nuage qui obscurcisse <l'horizon. Ce sont les armaments de la France. Sous ce rapport on établit ici una distinction. Que la France fournisse de nouveaux fusils à ses soldats; qu'elle complète le nombre nécessaire de ses chevaux, qu'elle exerce méme un plus grand nombre de recrues; qu'elle donne une plus forte organl:sation à son armée, il n'y aurait là rien qui put porter ombrage au Gouvernement Prussien. Ce serait méme flatteur pour lui. Mais qu'on continue à prendre outre-Rhin de ces mesures qui, en Prusse du moins, ne sont adoptées qu'à la veiUe d'une guerre, surtout pour le service des places fortes, c'est un fait moins explicable. On pourrait en induire que l'armée Française est mise sur un pied qui, dépassant les besoins du temps de paix, semble préte à prendre l'offensive. Un parell fait forme le centraste le plus marqué avec l'attitude de la Prusse. Toutefois M. de Thile espérait que la prompte et pacifique solution amenée par la conférence de Londres, mettrait aussi un terme à ces prépa

«Per noi possiamo congratularci davvero del risultato che abbiamo ottenuto In varli

rispetti.

Oltre al metter fine a pericoli di guerra, che per noi poteva comprometter tanti graviInteressi, abbiamo preso una posizione nei Consigli Europei decorosa ed elevata. La mia dichiarazione quando entrai In Conferenza: "che oramai era ammesso dalle Grandi Potenze che nelle questioni Europee era vantaggioso che la nostra voce si facesse sentire", venne Ietta e riletta davanti a tutti i plenipotenziaril e firmata da tutti. Al Congresso di Parigi si iniziò mercé il Conte di Cavour la considerazione data alle cose d'Italia dalle potenze riunite in congresso. Ma trovo che la Conferenza di Londra non fu per noi meno importante, poiché in questa si consacrarono quei gran risultati ottenuti dagli Italiani guidati dalla Casa di Savoja e vennero riconosciuti ed accolti fra i gran poteri!

Possa questa marca di deferenza riuscir gradita al Re, che tanto fece per condurci a questo risultato. Possa questo giudizio dell'estero contribuire alla combinazione della nostra unione all'interno. Possa finalmente ricompensare le cure di tanti uomini di Stato che condussero le cose a questo punto, e possa far benedire la memoria di quelli fra di essi che, consacratavi la vita, la terminarono prima d'averle viste portate a compimento ».

ratifs belliqueux et dispenserait le Cabinet de Berlin d'adopter à son tour des mesures de prévoyance dont sa sécurité lui ferait un devoir.

Il serait de bonne politique, si la France veut réellement rétablir de bons rapports avec ce Gouvernement, qu'il ne lui rendit pas la tàche trop difficile. Ce ne serait méme que justice. S'il n'y a eu ni vainqueurs ni vaincus dans cette affaire du Luxembourg, s'il y a eu des concessions de part et d'autre, il n'est pas moins vrai, camme le relevait un journal officieux de cette capitale, que la France renonce à un droit qu'elle prétendait acquérir; tandis que la Prusse en sacrifie un qu'elle possède et exerce depuis un demi siècle.

Au reste s'il se manifeste encore quelque méfiance, elle se calmera peu à peu ensuite de la prochaine entrevue à Paris du Roi Guillaume et de l'Empereur Napoléon. Il est presque certain qu'elle aura lieu dans les premiers jours du mois prochaine, et qu'en attendant le Prince Royal ira remplir ses fonctions de président de la commission Prussienne à l'exposition universelle. Les optimistes triomphent en présence de ces indices rassurans. Je maintiens l'opinion que j'ai maintes fois émis dans ces derniers tems. Si le conflit a été écartÉ' aujourd'hui pour le Luxembourg, les motifs ou prétextes de désaccord ne continuent pas moins à subsister. La France se flatte qu'elle parviendra à faire remonter en Allemagne le courant qui entraine cette nation vers l'unité. C'est là une illusion. On pourra l'entraver, le retarder, mais de gré ou de force il finira par l'emporter. Au reste admettons méme contre toute vraisemblance qu'une fois encore le Cabinet de Paris réussisse à morceler ce pays, à en rouvrir les portes pour longtems à l'Autriche, et du méme coup aux réactionnaires, le nouvel ordre de chose lui serait alors tout aussi peu sympathique qu'il l'était lors de la paix de Villafranca. Et quant à son organisation militaire, elle ne tarderait pas à devenir tout aussi puissante, méme plus puissante qu'elle ne l'est aujourd'hui. Les Princes devraient se garder à la fois contre les tentatives de la grande majorité libérale et contre les dangers réels ou imaginaires auxquels ils se croiraient exposés du còté de l'étranger. Il vaudrait donc mieux que la France cherchàt dès à présent à se concilier l'opinion publique de ce pays, en usant à son égard de modération et de ces ménagements qu'elle réclame pour son propre compte. Malheureusement, c'est trop demander, non pas à la sagesse de l'Empereur Napoléon, mais à l'extréme susceptibilité d'une nation qui ne veut souffrir à ses frontières, ni maitres, ni égaux. Sous ce rapport !es deux ou trois-cent mille faiseurs politiques à Paris et dans !es provinces, parmi lesquels il faut compter les anciens partis, ne se feront pas faute de déclarer que l'honneur Français est engagé à humilier son voisin vers l'Est et le Nord, à lui barrer la route au moins jusqu'au Mein etc. Est-il probable que l'Empereur aura assez d'autorité, après les échecs récents subis par sa diplomatie, pour contenir à la longue ce mouvement des esprits? Il est au moins permis d'en douter.

En attendant, je crois que de son còté la Prusse aurait tout intérét à ne pas trop tarder à remplir les engagemens qu'elle a contractés de rectifier le tracé de la fronttère du Schleswig vers le Jutland. En agissant ainsi elle fournirait à l'Empereur Napoléon III un excellent argument pour accentuer une politique de pacification. Si mes renseignemens sont exacts, j'ai lieu de penser que

le Comte de Bismarck s'occupe sérieusement de cette affaire, et certes il vient de faire prevue d'assez de courage civil en résistant depuis un mais aux entrainemens du parti militaire, pour qu'on puisse compter qu'il ne négligera rien pour écarter, autant qu'il dépendra de lui, tout prétexte à de nouvelles complica tions.

M. de Thiele m'a répété combien le Gouvernement Prussien avait eu à se louer de l'attitude de notre nouveau Ministère durant cette dernière crise. Je ne lui avais pas laissé ignorer, ainsi qu'il résultait de la correspondance du Marquis Incontri, que le Marquis d'Azeglio avait reçu des instructions analogues à celles du Baron de Brunnow, et cela précisément parce que nous savions que les vues de la Russie se rapprochaient plus que toute autre de celles de la P russe.

Le Sous-Secrétaire d'Etat m'a dit qu'il avait vu avec beaucoup de regrets que malgré toute sa vigilance certains journaux se livraient de tems à autres à des insinuations malveillantes contre notre Cabinet. Il ne pouvait donner que des avis officieux; mais il y avait des rédacteurs opiniàtres qui n'en tenaient pas toujours compte. Il n'en continuait pas moins sa surveillance. Il me priait méme de lui signaler les articles qui ne seraient pas tels que je pourrais le désirer.

J'ai répondu que la presse jouissant chez nous de la plus grande liberté, je ne me permettrais pas de porter atteinte, méme indirectement, au francparler des publications étrangères. Je ne les considérais que camme des indications sur les dispositions de tel ou tel parti; mais que du moment où les journaux officieux se montraient corrects je n'avais rien à dire; surtout quand je conneeissais les intentions amicales du Gouvernement Prussien. Je ne me préoccupais pas davantage des bruits, qu'on faisait circuler ici sur de prétendus engagements que nous aurions pris envers la France pour lui assurer notre concours armé en cas de lutte avec la Prusse. La calomnie avait été jusqu'à affirmer que le Roi, en échange de quelques millions que la France lui avancerait pour le payment des dettes personnelles, avait promis d'envoyer sur le Rhin un corps d'armée. Et cela au moment méme où Sa Majesté renonçait généreusement à quatre millions de liste civile. Ce serait se discréditer que de répondre à des insinuations aussi stupides. Il me suffisait que le Gouvernement Prussien sut officiellement par le représentant de l'Italie, duement autorisé à l'affirmer, que notre politique étrangère n'avait pas varié dans ses dispositions des plus bienveillantes pour la Prusse, et que d'ailleurs nous étions libres de tout engagement vis-à-vis de qut que ce fù.t.

(l) Si pubblica qui un brano del r. 701/264 di Azeglio del 13 maggio:

511

IL MINISTRO A VIENNA, DE BARRAL, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI CAMPELLO

R. 34. Vienna, 13 maggio 1867 (per. il 17).

* Conformément aux instructions de V. E. (l), je n'ai point manqué de remercie au nom du Gouvernement du Roi, le Baron de Beust pour l'adhé

sion de l'Autriche à notre admission à la Conférence de Londres. J'au cru devoir y ajouter l'expression d'une reconnaissance personnelle envers le Président du Conseil qui, au premier mot que je Lui avais dit sur notre désir de voir l'Antriche donner son consentement à la proposition de l'Angleterre, s'était montré très empressé d'y accéder, et avait immédiatement télégraphié dans ce sens à l'Empereur * (1).

Malgré le succès rapide qu'a obtenu la Conférence de Londres et dont la nouveHe arrivée avant-hier soir ici, a immédiatement imprimé une hausse considérable aux fonds publics, le sentiment général cependant persiste à ne voir dans l'accord intervenu, qu'un répit de quelques mois.

L'Ambassadeur de France m'a exprimé cette opinion en termes tellement catégoriques qu'il faut qu'il ait par devers lui des raisons secrètes puisées à bonnes sources dans son récent voyage à Paris.

«La solution du différend luxembourgeois, m'a-t-il dit hier, ne change absolument rien à notre situation vis-à-vis de la Prusse, ni aux sentiments de profonde méfiance qui règnent entre nous. Après, camme avant, il n'en est pas moins vrai que la Prusse a violé tous ses engagements, résultant des préllminaires de Nikolsbourg, et dont la France, en sa qualité de médiatrice, s'est portée, pour ainsi dire, garante. Les traités secrets d'alliance offensive et défensive avec les Etats du Sud sont venus apprendre à tout le monde quel degré de confiance l'on devait avoir dans la bonne foi de M. de Bismarck et quel cas l'on doit faire de ses plus formels engagements. Il n'a tenu qu'à fort peu de choses que la guerre éclatàt à propos de l'occupation injustifiable du Luxembourg, mais le droit que, au mépris des traités s'arroge la Prusse d'étendre sa main avide sur le Midi de l'Allemagne, d'occuper Mayence, de s'emparer, comme elle va bientòt le faire, d'UJm et de Restadt, de faire disparaitre en un mot toute espèce d'indépendance chez des Souverains à qui elle avait été solennement garantie, tout cet ensemble d'actes violents constLtue une situation bien autrement grave que la question du Luxembourg, et contre laquelle la France doit, à un moment donné et dans son propre intéret, réagir énerglquement. Ce que je vous dis là, a ajouté le Due de Gramont, tous les MLnistres de France, près les Cours du Midi de l'Allemagne, l'écrivent chaque jour à Paris, en affirman.t de plus que, si les Etats secondaires ont paru dans ces derniers temps pousser à la guerre, c'est qu'ils espéraient qu'elle leur apporterait la délivrance de joug prussien, et que ·les populations en apparence soumises ne sont au fond pas moins contraires que leurs Gouvernements à la domLnation de la Prusse ».

Il est possl:ble que les prévisions de l'Ambassadeur de France ne se réalisent pas de sitòt et que les visites du Roi de Prusse et de l'J!:mpereur de Russie à Paris, annoncées aujourd'hui comme officielles, déterminent une réconclliation sLncère entre les deux Gouvernements. Cependant, jusque là, je dois constater que l'opLnion unanime du Corp diplomati:que s'accorde à reconnaitre que la solutlon pacifique qui vient de sortir de la Conférence de Londres, n'est qu'un temps d'arrét motivé d'un còté par ì'insuffisance des préparatifs militaires de la France, et de l'autre, par l'idée arrétée de l'Empereur de ne pas priver le

commerce français des profits considérables que doit lui apporter l'Exposltion Universelle.

M. de Gramont, qui avait été chargé au nom de l'Empereur Napoléon d'inviter l'Empereur d'Autriche à se rendre à Paris pour visiter l'Exposition, a reçu de M. de Beust, avec l'expression des remerciements de Sa Majesté, la réponse que son intention serait de se mettre en route après le Couronnement de Pest.

(l) Cfr. n. 500, nota 2.

(l) Il brano fra asterischi è edito In LV 11, p. 63.

512

IL MINIS'I1RO A VIENNA, DE BARRAL, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI CAMPELLO

R. 35. Vienna, 13 maggio 1867 (per. il 17).

J'ai l'honneur d'accuser réception à V. E., et de La remercier des 19 documents diplomatiques qui accompagnaient Sa dépèche du 10 courant, S.P. n. 30, ainsi que de Sa circulaire portant la date du 8 (1), dans la,quelle se trouve exposée la politique à la fois ferme et habile du Gouvernement du Roi à l'intérieur camme à l'extérieur.

Dans les documents diplomatiques relatifs aux affaires d'Orient, portant la date du 26 avril, je vois que l'Envoyé de Russie à Florence s'est adressé à

V. E. pour que, à l'exemple de la France, le Gouvernement du Roi consentit à ce qu'une nouvelle tentative mais cette fois-ci collective et formulée en termes identLques, fùt faite auprès de la Porte, par les Représentants des grandes Puissances, en faveur de Candie. La mème démarche vient d'ètl'e faite auprès du Baron de Beust par l'Envoyé russe pour engager le Gouvemement autrichien à se joindre à la tentative indiquée. Mais le Président du Conseil lui a répondu que, à son avis, cette seconde démarche n'avait aucune chance d'aboutir tant que l'Angleterre n'y prètemit pas son concours, et qu'ainsi c'était à Londres qu'il fallait avant tout s'adresser. Le Comte Stackelberg a interpreté cette réponse camme une fin de non-recevoir, dénotant tout au moins peu d'empressement à s'associer aux vues de la Russie. A son tour l'Ambassadeur de France vient de recevoir l'ordre de faire la mème proposition au Gouvernement Impérial, mais jusqu'à présent il ne s'est point encore acquitté de la commission tant il est persuadé, m'a-t-il dit, que c'est un nouveau coup d'épée dans Z'eau.

Au reste le langage de l'Ambassadeur de Turquie ici ne laisse aucun doute sur l'accueil formellement négatif qu'attend la démarche des Puissances, si tant est que l'on détermine l'Angleterre à s'y joindre. «La question aujourd'hui, m'a-t-il dit en termes très explicites, n'est plus à Candie où l'insurrection est complètement domptée: elle s'attaque en réalité à l'existence mème de l'Empire dont nous signerions la dissolution immédiate en consentant à ce qui nous est demandé. Tout ce qui touche à l'amélioration du sort des chrétiens, nous sommes disposés à le faire dans la plus large mesure, mais nous ne pouvons crolre

que les memes Puissances qui il y a à peine 12 ans, sont venues défendre en

nuos le principe de réquilibre européen, ne finissent pas par reconnaitre qu'i

ne s'agit en définitive dans cette affaire que des ambitions territoriales de la

Russie, qui croit que le moment opportun est venu de nous renverser pour

nous dépouiller ensuite.

Nous refuserons dane péremptoirement la nouvelle proposition dont la Russie se fait la promotrice intéressée. Gette Puissance est notre seule et véritable ennemie, mais tant qu'elle en sera réduite à ses propres forces, nous ne la craignons pas. Elle le sait parfaitement, et c'est pour cela qu'elle cherche à organiser une coalition contre nous. Pas plus que la Russie nous n'avons, il est vrai, d'argent à donner à nos soldats, mais nous avons en abondance du pain dont leur patriotisme se contentera ».

Un pareil langage ne peut etre dicté que par une connaissance exacte des dispositions arretées du Gouvernement Ottoman et dénote à l'avance l'inutilité de la démarche collective patronnée par la Russie (1).

(l) Cfr. n. 492 e n. 500, nota 2.

513

IL MINISTRO A PARIGI, NIGRA, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DELL'INTERNO, RATTAZZI

(ACR)

L. P. Parigi, 13 maggio 1867.

Nell'affrettarmi ad accusar ricevuta e a ringraziarla della sua lettera del 9 corrente, mi fo un dovere d'assicurarla che eseguirò senza ritardo le istruzioni in essa contenute pel pagamento al Colonnello Palazzi per mezzo del Dottor Conneau.

La pace finalmente è assicurata, almeno per quest'anno. Il fare pronostici per un avvenire più lontano sarebbe cosa molto temeraria e poco sicura. Contentiamoci di questo respitto e procuriamo che duri più che può. In fondo la soluzione della Conferenza di Londra è qui accettata dall'opinione pubblica. Ma certamente non si può dire che i francesi siano interamente soddisfatti. Rimane una certa irritazione e un certo malumore che si durerà fatica e tempo a far scomparire. L'arrivo a Parigi del Re di Prussia, preceduto o susseguito da quello degli Imperatori di Russia e d'Austria contribuirà forse a diminuire questo malcontento. L'Imperatore Napoleone è lieto, in sostanza, d'essere uscito da una cattiva situazione. La guerra non era preparata e l'esito non era sicuro. È bene ch'Ella sappia che quando Gramont tornò a Vienna ebbe ordine di proporre un trattato di alleanza, e che l'Austria si rifiutò d'impegnarsi. L'attitudine nostra fu buona, ed incontrò l'approvazione di tutti. Ne fummo ricompensati coll'ammissione alla Conferenza. È questo un successo diplomatico

di cui il Governo del Re ha diritto di chiamarsi soddisfatto. Anche l'esposizione finanziaria di Ferrara fu bene accolta qui, e la borsa di Parigi la salutò con un rialzo. Coraggio adunque e macte animo.

(l) Con r. 23 del 12 maggio Launay aveva informato invece che erano state date istruzioni a Brassier di associarsi al nuovo passo presso la Sublime Porta per la questione di Creta proposto dalla Francia.

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IL MINISTRO A PARIGI, NIGRA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI CAMPELLO

R. 446. Parigi, 14 maggio 1867 (per. il 17).

Il Governo imperiale diede jeri comunicazione ufficiale al Senato ed al Corpo legislativo del risultato della Conferenza di Londra. Riservandosi di pubblicare il trattato dopo che ne saranno state scambiate le ratifiche, il Ministro imperiale degli affari esteri ne fece conoscere intanto le disposizioni principali. Accennò alla partecipaz:one del Governo italiano alla Conferenza; disse che la Francia aveva ottenuto la distruzione d'una fortezza che pei cangiamenti avvenuti in Germania sarebbe divenuta in mano della Prussia un mezzo di offesa; si rallegrò infine che la diplomazia sia riescita questa volta ad evitare una guerra, anziché limitarsi a constatare, come è avvenuto per lo più fino ai giorni nostri, i risultati di lunghe e sanguinose lotte.

Questa comunicazione fu accolta con qualche segno di approvazione al Senato; ma al Corpo legislativo essa non fu seguita che da una domanda di pubblicazione dei documenti. Questa venne rimandata all'epoca in cui saranno scambiate le ratifiche, ma forse riuscirà al Governo di evitare ·una discussione ritardando sinché il Corpo legislativo abbia compiuto i suoi lavori ordinarj.

Sarebbe difficile di dire sino d'ora quale impressione abbia prodotta in Francia l'annunzio del trattato di Londra. V'ha un partito abbastanza numeroso che crede la guerra inevitabile per mantenere o per dir meglio ristabilire la preponderanza francese sul continente. Questo partito non approva naturalmente la pace e finge di vedere nel trattato di Londra uno stratagemma per pigliar tempo e prepararsi con maggiori sforzi alla lotta contro la Prussia. Ma la maggioranza della popolazione francese, se fu unanime nel disapprovare la condotta del Governo imperiale durante la guerra del 1866, non lo è però nel cercare in una nuova guerra i mezzi di riparare agli errori commessi. La questione del Lussemburgo, divenuta ad un tratto così pericolosa, non fu mai considerata come un terreno acconcio ad una grande lotta nazionale, e l'aver suscitata questa cagione di contesa in un momento in cui la Francia non era sufficientemente armata fu considerato in generale come un nuovo errore. I fautori della guerra si consolano quindi pensando che non sarà difficile trovare un pretesto di contese che equivalga almeno a quello del Lussemburgo; mentre i fautori della pace sperano nella influenza degli interessi materiali e confidano in quella specie di pudore che rattiene in questo secolo ogni Governo dall'incorrere nella taccia d'aver leggermente e senza sufficiente cagione provocata la guerra. Il solo modo di far cessare le diffidenze reciproche fra la Francia e la Prussia sarebbe stato il disarmo: ma in questo momento di tra

sformazione di fucili, di riforme generali nell'organizzazione militare, l'idea di disarmo può parere un anacron'smo. Ad ogni modo un anno è guadagnato alle influenze pacifiche, e giova sperare ch'esse riacquistino a poco a poco il sopravvento.

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ANNOTAZIONI DEL SECONDO DELEGATO ALLA CONFERENZA DI LONDRA SUL LUSSEMBURGO, BLANC (Carte Blanc)

Londra, 14 maggio 1867.

Parti de Chambéry pour Londres le Lundi 6 de ce mais, immédiatement après avoir reçu du courrier Longa les dépeches que S. E. le comte Campello m'a fait l'honneur de m'adresser, j'arrivai à Londres le lendemain soir à s'ix heures. Je n'avais pas cru, d'après l'urgence du pli que j'étais chargé de remettre au Marquis d'Azeglio, devoir m'arreter à Paris pour passer à la Légation.

M'étant mis aussitòt à la disposition du Marquis d'Azeglio, il voulut bien me témoigner une bienveillance dont je lui garde une sincère gratitude. Je trouvai aussi chez le comte Maffei, faisant fonctions de Conseiller et chez les autres membres de la Légation les dispositions les meilleures.

Je ne me permettrai point de prétendre compléter ici les dépeches que le Marquis d'Azeglio, avec l'activité zélée qu'il déploie pour le service de Sa Majesté a pris soin de rédiger de sa propre main pendant la durée de la Conférence, seulement la rapidité de la marche des négociations, et l'inconvénient de se confier à la poste dans ces circonstances, ne m'ayant permis de faire parvenir à Florence aucune communicat:on pendant mon séjour à Londres, je me crois en devoir de consigner dans ces notes quelques appréciations personnelles et quelques détails qui n'ont pu trouver place dans la correspondance de la Légation. Les deux objets importants à considérer dans notre admission à la Conférence de Londres étaient: l'avantage d'etre traités camme une grande puissance, et l'intéret réel pour nous de la consoli:dation de la paix entre la France et la Prusse.

La netteté avec laquelle le Ministère a demandé notre admission n'a pas été de trop pour que ce beau succès diplomatique fiì.t obtenu: l'habitude sagement et naturellement contractée par la Légation du Roi à Londres de ne pas prendre d'initiative qui piì.t n'étre pas suive de résultats favorables, et les relations personne1lement amicales plutòt qu'empreintes d'une déférence misonnée envers l'Italie, entretenues avec le Marquis d'Azeglio par certains hommes d'Etat Anglais et par des Ministres étrangers qui s'étaient liés avec lui avant l'époque où l'Italie est devenue un grand Etat, telles étaient, pour les indiquer en quelques mots, les circostances qui rendaient indispensables les instructions formelles dont le Ministre du Roi a pu s'autoriser dans ses démarches. Il trouva d'abord chez lord Stanley une inerti,e persistante et une résistance passive qui ont été sur le point de lui inspirer quelque découragement. Une démarche finale flllite da la manière catégorique auprès du Sous-Secrétaire d'Etat pour les Affaires Etrangères, lord Edgerton, décida enfin lord Stanley à admettre la justesse des observations du Marquis d'Azeglio et à adhérer à notre admission dans le cas OÙ les autres puissances y adhéreraient de leur còté. Le Sous-Secrétaire d'Etat est trés sympat:ique à l'Italie, comme j l'ai constaté avec plasir dans une conversation intéressante que j'ai eue avec lui; son influence a été utile pour contrebalancer la timidité et la froideur que l'on s'accorde à attribuer à lord Stanley.

Dès le soir de mon arrivée, le 7, j'eus une longue conversation avec le Marquis d'Azeglio sur notre situation et sur le parti à en tirer.

Le Ministre du Roi, dans la lère séance de a Conférence, qui avait eu lieu le meme jour, avait formulé, comme il ressort du procès verbal, un remerciment plutòt qu'une affirmation positive de nos titres réels à faire partie de la Conférence; il avait jugé, et il était sans doute en situation d'en juger sainement, qu'il était bon de laisser à autrui le soin de reconnaitre nos droits, nos titres, et qu'il convenait de se borner à ces expressions de courtoisie en quelque sorte personnelle; mais nul ne serait fondé à contester pour cela, et le Gouvernement du Roi peut évidemment le rappeler toutes les fois qu'il le croira opportun, que nous avons les titres les plus naturels au point de vue des intérets et les plus réguliers au point de vue de la légalité diplomatique, à intervenir aux actes internationaux concernant les relations de l'Allemagne avec le reste de l'Europe.

Ces titres, il n'est pas besoin de le dire, consistent en premier lieu dans les intérets positlfs qui se relient pour nous à la situation extérieure de l'Allemagne, dans le poids que nous pouvons apporter à la balance des forces respectives de la Prusse, de la France, de l'Autriche. Ils consistent en second lieu dans notre partici:pation aux traités qui sont le point de départ de la réorganisation actuelle de l'Allema.gne, participation des plus étroites, un protocole forme! nous constituant comme les co-signataires des traités de Prague.

L'Italie, depuis son alliance avec la Prusse, est compétente, à l'égal au moins de tout autre puissance, dans les questions extérieures que l'état de l'Allemagne pourra soulever, et notre pays tirera de là, on peut l'espérer, non moins de parti pour les affaires de l'Europe Centrale, qu'il n'en ·a été tiré pour les affaires d'Orient, de sa participation au traité de Paris de 1856.

La forme dans laquelle le traité admet et constate la participation de l'Italie laisse à désirer. Au lieu de mentionner le désir exprimé par le Gouvernement de S. M. il eflt été plus convenable, ou que l'Angleterre parut avoir pris toute l'initiative, ou que les puissances semblassent avoir spontanément et d'un commun accord invité l'Italie, ou mieux enfin que le mode dans lequel s'était produite notre intervention ayant été suffisamment consacré dès la première séance, la teneur du traité se bornàt à mentionner purement et simplement le Roi d'Italie à sa place parmi les souverains invités à traiter la question du Luxembourg.

On peut noter encore en passant que l'expression Leurs Majestés de concert avec le Roi d'Italie, proposée par le prince de La Tour d'Auvergne, et a.doptée dans la première Séance, est molns correcte que n'eussent été ies

44 -Documenti diplomatici -Berle I -Vol. VIII

mots Leurs Majestés ... ainsi que S. M. le Roi d'Italie. Mais il ne parut pas au Ministre du Roi qu'en présence de la hate où l'on était d'en finir et du danger de tout retard il fut opportun de revenir, pour des questions de forme sur le texte déjà rédigé quoique non encore signé.

La participation du représentant du Gouvernement du Roi à la Conférence étant par elle meme un progrès important dans l'ordre de notre posìtion internationale, il importait qu'en ne perdant pas de vue le but de conciliation et de pacification que la réunion se proposait, il gardat une réserve et une circonspection très marquées, afin de ne pas perdre par une exagération d'imtlative le fruit du succès obtenu. Non seulement l'Italie devait paraitre dans la Conférence avec un complet désintéressement pour elle méme, démontrant ainsi par les faits l'utilité absolue de sa coopération au concert Européen mais il était convenable d'éviter meme de sembler trop pressés de jouer un ròle à effet. II importait en un mot de reconnaitre le bon vouloir des puissances envers nous en prouvant que notre seui voeux était d'apporter un sérieux et efficace concours à l'oeuvre de paix. La tache principale du Plénipotentiaire du Roi devait etre de s'associer aux efforts de Iord Stanley. II fallait cependant aussi etre prets à les concerter activement avec lord Stanley soit pour exercer la part de spontanéité que les circostances pourraient nous attribuer, soit pour nous charger éventuellement des motions ou des démarches que le Président de la Conférence n'aurait pas cru pouvoir faire par lui meme. Ceci quant à la position à prendre dans la Conférence. -A l'égard de l'esprit dans lequel le Ministre de Sa Majesté avait à travailler pour sa part à l'entreprise pacificatrice, il était clair que conformément aux instructions du Ministère, le représentant du Roi pourrait donner autant plus d'autorité à ses bons offices qu'il accentuerait plus nettement la complète impartialité la stricte neutralité morale de l'Italie. Méconnaitre les exigences légitimes de la dignité de l'Empereur Napoléon eu t été contraire à tous nos sentiments; négliger les voeux nationaux de I'Allemagne eut été contraire à tous nos principes. Lié par des souvenirs impérissables et par des attaches de civilisation et de tendances communes aux deux grandes nations qui viennent

d'aider l'Italie à s'affranchir, le Gouvernement du Roi ne pouvait leur témoigner une amitié plus éclairée qu'en n'encourageant ni d'un còté ni de l'autre par ,la moindre adhésion des instincts de rivalité et de Iutte qui appartiennent à un autre àge.

L'Italie doit encore, et elle peut, dans une certaine mesure contribuer à sauvegarder le principe de nationalité des atteintes que lui porterait le réveil des haines de peuple à peuple oubliées depuis 1813. Pour qu'elle pulsse exercer une action utile en ce sens, il est de la dernière importance que l'indépendance complète de notre politique soit au dessus de tout soupçon, et que l'on ne puisse plus prétexter meme d'une apparence pour insinuer que nous apportons dans les Conseil Européens les inspirations d'une autre puissance.

Telle est l'interprétation que comportaient les instructions si nettes d'ailleurs, émanées de S. E. le comte Campello. Le langage des membres de la Légation et le mien s'est réglé en conséquence, et nous avons pu recueillir les témoignages de <l'effet favorable que produisit dès le principe l'attitude

du Gouvernement du Roi, par le langage sincère sur les parties plus directement engagées dans le conflit. Le trait caractéristique de la conférence a été celui-C'i pendant que les séances se suivaient avec rapidlté et succès, et que les plénipotentiaires, tous fort désireux personnellement d'éviter une rupture, apportaient tous leurs soins à aplanir les ditncultés, la situation, on peut l'affirmer sans risque d'exagération, n'a pas cessé jusqu'au dernier moment, d'etre au fond réellement dangereuse. Le danger ne venait pas, bien entendu, des difficultés soumises à la Conférence, et elles étaint loin d'etre insolubles comme le résultat l'a prouvé, et il y avait d'allleurs accord en principe entre les puissances intéressées, avant meme l'ouverture de la Conférence, sur les solutions à y donner. Mais la situation était si tendue entre la Prusse et la France, le parti belliqueux très fort à Paris désirait tellement une guerre prochaine, la Prusse enfin semblait si convaincue qu'il faudrait inévitablement vider tòt ou tard la querelle de suprématie avec la France, que le Prince de la Tour d'Auvergne et le comte de Bernstorff ont craint jusqu'au bout, ils l'ont dit eux memes, que le moindre embarras de détail venant enflammer des susceptibilités trop excitées, ne fit éclater l'orage «par dessus la tete des

plénipotentiaires ».

Le danger venait des dispositions des deux puissances en conflit, dispositions sur lesquelles leurs agents eux memes n'étaient pas tranquilles et qui pouvaient éclater au moindre embarras «par dessus la tete des plénipotentiaires » comme me le dit le prince Latour d'Auvergne.

Le 8, lendemain de l'ouverture des Conférences, on remarqua qu'ìl y eut toute la journée un échange exceptionnellement actif de dépeches télégraphique entre le Ministre de Prusse à Londres et son gouvernement. Le soir, après une réception chez lord Stanley, à laquelle j'eus l'honneur d'assister, le comte de Bernstorff disait devant moi avoir déclaré à ce personnage qu'il serait obligé de se retirer sans retard de la Conférence si le Cabinet britannique persista! t dans ses répugnances à garantir la neutralité du Luxembourg; le Comte de Bernstorff avait meme pris sur lui d'ajouter à lord Stanley qu'en ce cas le Baron de Brunnow se retirerait aussi: témoignage de l'étroite union de ces deux plénipotentiaires.

Lord Stanley, sur ces entrefaites, disait confidentiellement au Marquis d'Azeglio qu'il ne prendrait pas la responsabilité de faire manquer la Conférence en refusant définitivement la garantie en question; H était visible qu'il n'était pas fàché de dire en Conseil des Ministres, pour décider ses collègues, qu'il y avait nécéssité d'accorder la garantie pour éviter une rupture avec toutes ses conséquences.

Mais il se produl:sit dans beaucoup de cercles à Londres, surtout dans le

monde des affaires, une vive opposition contre l'admission de cette garantie,

où l'on voyait un engagement compromettant; quelques uns des Ministres

partageaient ce scrupule, et il n'était pas impossible que l'hésitation du Cabinet

duràt quelques jours encore. Les nouvenes qui arrivaient justement alors des

armements plus actifs que jamais de la France et de la Prusse -on disait

meme en bon lieu que celle-ci était prete à mobiliser une partie de son

armée -faisaient appréhender beaucoup les conséquences d'un tal retard.

L'on éprouva donc une vive satisfaction lorsque dans la séance du Iendemain 9, après un Conseil de Ministres, lord Stanley annonça l'acceptation par l'Angleterre de la' garantie collective de la neutralité du Luxembourg.

Des inquiétudes plus graves encore, car cette fois H ne dépendait pas de l'A:ngleterre de les dissiper, régnaient dans la soirée du 9 et la journée du 10, sur la question du terme de l'évacuation du Luxembourg par les Prussiens. Le Chevalier Nigra m'a confirmé qu'à Paris on était livré en ce moment à de grandes incertitudes, et que des ditncultés, des conditions ou des temporisations mises en avant par la Prusse auraient pu tout gater et rendre sans délai la guerre inévitable. Les instructions conciliantes adressées sur ce point de Berlin au Comte Bernstorff le vendredi 10, fl.rent naturellement le plus grand plaisir à l'Ambassade de France fort amie de la paix à l'exception de l'attaché milita1re, mais an remarqua beaucaup qu'H se mélait à ce plaisir une surprise réelle.

Le Prince de la Taur d'Auvergne qui allait jusqu'à se dire décidé à madifl.er au besain les instructians que lui enverrait M. de Maustier si elles semblaient de nature à entraver les négaciatians, ne s'attendait pas à une condescendance si prampte de la Prusse. D'après ce que le Chevalier Nigra m'a dit de san còté, à man retaur, le Parti qui, à Paris veut la guerre a été désagréablement surpris des cancessians Prussiennes, il sauhaitait et attendait quelques tergiversatians qui amenassent un caup d'Etat de la part du gauvernement français.

En résumé, de méme que la questian du Luxembaurg n'était pas la cause la plus sérieuse du canfUt, et n'avait acquis de la gravité que parceque la France et la Prusse semblaient l'avair chaisie camme accasian de vider une querelle de rivalité, de méme, la salutian si aisée de cette questian n'a pas été la cause mais l'effet d'un changement dans les dispasitians un mament menaçantes de la France et de la Prusse.

La prampte réussite de la Canférence à Landres est généralement attribuée à quelque revirement que le Ministère aura sans daute été à méme de cannaitre mieux qu'an ne l'a pu à Londres méme, et à ce que les deux puissances engagées se sant appliquées, au dernier mament à eviter si saigneusement de prendre la respansabilité d'une rupture, selan l'expressian de l'un d'eux, que l'an a pu trauver dans leur cancessians réciproques de quai canjurer le péril actuel.

Il était nature! que l'an se demandat, au mament de clare la canférence, si taut devait se barner à un replàtrage superficie! dant le bénéfl.ce le plus net pauvait n'étre que d'avair gagné du temps; s'il n'y avait pas quelque chase à faire pour dévelapper les germes d'apaisement défl.nitif que pauvait cantenir le règlement de la questian du Luxembaurg. Il est trop évident qu'il ne pauvait s'agir d'abarder, méme alars les abjets délicats qui tauchent à la canstitution présente au future de l'Allemagne, au aux canditions territariales de la France; mais ne pouvait-il pas étre utile qu'une grande puissance praposàt dans cette circanstance heureuse, de rechercher ,Jes moyens de s'entendre sur la réductian des armements de taus les Etats à une propartian rassurante apprachant plus au mains, par exemple, des réductions que l'Italie apporte présentement à son effectif de paix? Le Ministre du Roi n'aurait-H pas pu faire comprendre confidentiellement à lord Slianley que s'il faisait une motion de ce genre elle aurait n otre adhésion? L'impossibilité extreme de faire accepter une telle proposition, surtout par la France, et une certaine crainte de paraitre viser à se donner de l'importance en faisant ds motions irréalisables, dissuadèrent le Marquis d'Azeglio de demander à cet égard des istructions au Ministère. Malgré le bruit qui en a couru, Lord Stanley ne parait pas avoir manifesté à personne l'intention de rien proposer dans ce sens.

Quelle est donc la portée du résultat obtenu par la Conférence? Un fort petit, faudrait-il dire, si l'on en jugeait d'après la défiance profonde, d'après les inv·incibles inquiétudes que la situation n'a pas cessé d'inspirer après comme avant les négociations, aux principaux hommes d'Etat anglais et aux diploma;tes accrédités auprès du Gouvernement de la Reine. Le jour meme où il accordait la garantie de la neutralité du Luxembourg, lord Stanley ne dissimulait pas dans ses conversations particulières qu'il prévoyait le cas où une guerre éclatant entre la France et la Prusse, mettrait en question la portée de l'engagement pris à cet égard par l'Angleterre et il convenait que cet eng81gement is not worth a dam. La légation de Prusse à Londres continue à montrer de graves préoccupations au sujet des armements français, et le comte de Be.rnstorff, après la signature du traité, a dit à l'un de ses collègues: « Maintenant, après tout ce que nous avons concédé, si la France veut nous faire la guerre, à elle toute la responsabilité des conséquences ».

On entend dire ça et là dans le corps diplomatique que la Hollande est fatalement attirée dans l'orbite Allemande ce qui doit mettre en question un jour l'existence de la Belgique. Et le digne Ministre de Belgique,

devenu il est vrai Anglais par un mariage qui lui a constitué de grands intérèts en Angleterre, a l'air résigné d'avance pour son Pays à tous les événements. Il est permis d'espérer toutefois qu'en éloignant le danger d'une conflagration, la Conférence de Londres aura préparé la possibilité de le conjurer déftnitivement. C'est beaucoup d'avoir gagné du temps et d'avoir supprimé un prétexte plaus1ble de conflit. Un nouveau prétexte, un nouveau motif, si l'on veut, de recommencer la partie ne se trouvera peut etre pas de sitòt, et dans l'intervalle, le idées de droit et d'humanlté que réveille de plus en plus dans les consciences la perspective d'une guerre non nécessaire, auront fait leur chemin et rendu cette guerre de plus en plus difficile.

Il y a certainement quelque chose de changé en Europe depuis Sadowa; il est devenu moins aisé qu'auparavant de dire quelle est la première puissance militaire du continent; mais pourquoi cette situation nouvelle ne deviendrait elle pas un état norma!, plus rassurant pour tout le monde que la suprématie d'une seule puissance?

Dans une visite que j'eus l'honneur de faire un de ces jours à lord John Russe!, à Richmond, l'illustre homme d'Etat me disait: « Maintenant que cette diff.iculté du Luxembourg est Ievée, si dans deux ans, par exemple, la Prusse vient à réunir, par des liens plus étroits, l'Allemagne du sud à celle du nord, la France, cette fois, n'aura pas de raison valable de s'y opposer, et si elle le fait, tout le monde sera moralement contre elle, car l'Allemagne a le droit

de se constituer comme elle l'entend ». Si cette observation est vraie, n'est-il pas permis d'en conclure que la paix est devenue plus assurée, pulsque la guerre est devenue moins justifiable'/

C'est la stricte vérité de dire qu'en France, en dehors de l'élément militaire, les hommes des divers partis qui désirent la guerre, ne la désirent qu'au point de vue transitoire et secondaire de la force qu'ils croient que la guerre donnerait à leur parti. Les uns croient que la guerre consoliderait l'Empire, les autres qu'elle ,l'ébranleralt. Mais quant à l'idée de la nécessité d'une guerre en vue d'une extension de f,rontières, ou par un besoin du sentiment national, cette idée, on peut le dire sans hésitation, n'est pas celle qui domine les esprits en France. Dès lors, quelque incident survenu dans l'état des partis, quelques courtoisies dont userait la Prusse pourraient ramener les deux puissances à une entente dont la sage circulaire de M. de Lavallette, à laquelle le Cabinet des Tuileries ne s'en est pas toujours tenu dans ces derniers temps, fournirait assurément la base.

En terminant ici ces quelques notes trop librement et trop rapidement écrites, je puis constater d'après ce que j'ai vu et entendu par moi meme à Londres et à Paris, que le Gouvernement du Roi n'a qu'à se féliciter de la manière dont il a conçu et rempli sa tàche dans ces conjonctures. Sa neutralité indépendante, son impartiaHté bienveillante, son sincère désir d'une conciliation ont été universellement approuvés. Le Gouvernement français qui se loue hautement des bons omces de l'Angleterre, nous associe à elle en cela. Et la Prusse qui, obéissant à un préjugé encore trop répandu et qui doit disparaitre, ne nous croyait peut etre pas aussi libres dans notre politique extérieure, la Prusse a vivement apprécié notre attitude, le Comte de Bernstorff a bien voulu me le dire -bien qu'il se plaigne amicalement que nous ayons attribué à l'Angleterre l'initia1Jive de notre invitation à la Conférence, initiative dont il revendique le mérite pour le Cabinet de Berlin. -(ce diplomate aime à se vanter d'avoir décidé en 1862, la reconnaissance de l'Italie, ce premier pas, m'a-t-il dit, vers l'alli:ance Italo-Prussienne) «le nuage qui a plané sur les rapports de nos deux pays pendant les premiers temps du Ministère du Comte de Bismark ne m'a pas trop surpris, car je connaissais les résistances du Parti Conservateur qui m'avait déclaré guerre ouverte à la suite de cette reconnaissance; cependant je n'ai manqué aucune occasion d'en dire mon sentiment au comte de Bismark, et il finit par me dire un jour: c'est vrai, si le royaume d'Italie n'existait pas, il faudrait l'inventer ».

Ce n'est pas un des moindres s!gnes des progrès que fait l'Italie dans ses relations extérieures, que les conversion qui s'opèrent de plus en plus en sa faveur dans des partis tels que celui des Conservateurs Prussiens et celui des Tories Britanniques.

516

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI CAMPELLO, AL MINISTRO A PARIGI, NIGRA

(Ed. in L V 11, pp. 84-85)

D. 234. Firenze, 15 maggio 1867.

Approfitto della partenza del Conte di Collobiano che ritorna al suo posto per farle avere * in modo sicuro * (l) un mio dispaccio del giorno 11 corrente (2) circa le apprensioni destate in Prussia dagli armamenti che si proseguirono in Flrancia anche durante la riunione della Conferenza.

Benché la conclusione del recente Tratta-to di Londra dia fondata ragione di sperare che la situazione venga ad essere radicalmente mutata, ciò non di meno ho stimato util cosa farle conoscere qualti. apprezzamenti si fanno tuttora in Germania sul contegno del Governo francese. A questo fine * qui unito * Le trasmetto alcuni estratti di corrispondenza a me dirette.

È d'uopo riconoscere come ad accrescere la diffidenza purtroppo generale contro le intenzioni della Francia contribuisca in parte l'ti.mprudente linguaggio di personaggi i quali, sovra tutto mentre soggiornano all'estero, dovrebbe["O esprimersi colla moderazione che si addice all'elevata loro posizione nell'Impero.

Dai miei dispacci precedenti e particolarmente da quello che Le scrissi il 2 Maggio (3) Ell.a ha potuto scorgere quali fossero i veri intendimenti del Governo del Re di fronte al pericolo di una vicina guerra. Qualunque siano gli eventi che l'avvenire ci riserva, il Governo italiano dovrà sempre ed anzitutto tener conto della propria posizione e dei suoi veri interessi i quali gli impongono e gli imporranno per qualche tempo un assoluto raccoglimento. Le esigenze di una tale situazione sono siffattamente sentite ed apprezzate dalla grande maggioranza della nazione che sa-rebbe impossibile al Governo Italiano il dipartirsene in * qualsiasi * caso di future complicazioni. Vorremmo che di questa disposizione, d'altronde ben naturale, degli animi si rendessero ragione i Gabinetti esteri e s1 convincessero che, intenti sempre a,d impedire, se sia possibile che la guerra scoppi m Europa, ove non potessimo a ciò riuscire, cercheremmo almeno di localizzare e restringere il conflitto nei più amgusti limiti.

Queste cose scrivo a Lei confidenzialmente, non già perché Ella ne abbia a fare argomento di ufficiale od ufficiosa comunicaZ'ione al Ministro ImpeTiale degli Affari Esteri, ma affinché Ella possa trarne opportuna norma nelle sue private conversazioni, contribuendo cosi, coll'autorità del suo linguaggio, a rettificare qU3ilsiasi meno esatta interpretazione o f~lso apprezzamento che si potesse fare della nostra futura condotta poHtica.

(l) -Le parole fra asterischi sono omessi in LV 11. (2) -Cfr. n. 507. (3) -Non pubblicato.
517

IL MINISTRO A LONDRA, D'AZEGLIO, AL MINISTRO DEGI,I ESTERI, DI C.AJMPELLO

R. 704/266. Londra, 15 maggio 1867 (per. il 19).

In risposta a .quanto V. E. ben volle scrivermi nel Dispaccio di cui devo accennarle ricevuta Serie Politica n. 28 degli 11 Maggio (1), mi limiterò a far questa osservazione, o quella riferire che mi venne fatta dall'Ambasciatore di Francia avamt'ieri cioè che una corrispondenza telegrafica attivissima e soprattutto d'una vivacità un po' extra diplomatica ebbe luogo tra giovedì e venerdì scorso tra Parigi e Berlino in cui si fecero prevedere i risultati poco soddisfacenti per lui che avrebbe avuto pel Capo del Ministero Prussiano il suo persiste·re a spargere voci insidioise sui preparativi guerreschi in Francia onde scusare quelli che era il primo desso ad iniziare.

Nell'istesso tempo egli mi fece rimarcare la precisione con cui egl1, l'Ambasciatore di Francia, aveva tenuto a costatare in principio della seduta di lunedì che tutto che ci fossimo adunati per scambiare le copie del trattato non ci si

poteva più considerare come in conferenza. E questo perché da qualche espressione usatagli in conversazione privata da lord Stanley temeva che il Ministro degli Esteri fosse per far cenno di disarmi e che non era d'opinione che questo argomento convenisse portarlo davanti ai plenipotenziarii.

Del resto anche se non dovesse riescir gradito e per conseguenza non venir adottato, nulla impedirebbe che la questione si potesse metter innanzi diplomaticamente. Ma soprattutto la presenza a Parigi di tanti Sovrani sarebbe al caso d'offrir loro l'occasione di mette·rsi d'accordo a questo proposito, se le loro viste si combinano assieme.

Il Commendator Blanc il quale lasciò Londra ieri mattina credo intendesse pa.rtire da Parigi per Firenze questa sera siccome ebbi l'onore telegrafarlo a V. E. Penso che le ratlfiche dovranno scambiarsi con ciascuna delle potenze segnatarie. E credo siasi deciso di mandarle direttamente alle Corti rispettive. Onde

V. E. deciderà se alla Corte dei Paesi Bassi intenda mandarne una o due. Unisco una copia completa degli stampati relativi alla Conferenza.

P. S. Per maggiore precauzione ho pensato di mandare a chiedere al Foreign Office come realmente intendessero fare. E contrariamente a quanto avevano assenito alcuni fra i plenipotenziarii pare che si dovran mandare le ratifiche tante quante sono Ie potenze segnatarie. Mandarle inoltre a Londra dove saranno scambiate simultaneamente e finalmente mandarle quanto più presto sia possibile onde non vi si frapponga a questo scambio un inutile indugio.

Resterà a decidersi da V. E. sempre la questione del dar ratifiche separate ai Luxemburghesd.

(l) Non pubblicato.

518

ISTRUZIONI DEL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI CAMPELLO, AL MINISTRO DESTINATO A COSTANTINOPOLI, BERTINATTI

Firenze, 16 maggio 1867.

La posizione speciale dell'Italia nelle cose d'Oriente, la gravità della situazione presente di quel paese ed i molti interessi che noi abbiamo negli Stati del Sultano sono notA abbastanza alla S. V. perché io mi soffermi a ragioname a lungo. Sarà però utile che brevemente le esponga la parte che ebbe l'Italia negli ultimi negoziati relativi alle cose delJ'Impero ottomano, affinché Ella coll'impegno e lo zelo dei quali ha già dato tante prove nel servizio del Re possa applicarsi ad accrescere la nostra politica influenza ed a promuovere i materiali interessi che gli italiani hanno in quelle contrade.

Era appena firmato il Trattato di pace coll'Austria che già l'Italia veniva chiamata a spiegare in Oriente l'azione diplomatica che le compete.

Rumori di guerra in Serbia, agitazione degli animi in Grecia e nelle finitime provincie Ottomane, torbidi nel Libano ed in Siria, aperta insurrezione in Creta, timori di prossime e gravi perturbazioni in tutti gli Stati del Sultano, tale era la situazione delle cose di Turchia quando le Potenze interessate ad dmpedire mali maggiori stimarono fosse divenuto necessario il concorso della loro opera pacificatrice.

D'accordo cogli altri Governi l'Italia rivolse ogni cura ad impedire che la veTtenza sorta per l'evacuazione delle fortezze di Serbia conducesse ad aperte ostilità fra la Porta ed il Principato e nel mentre faceva sentire consigli di moderazione a Belgrado, teneva un Hnguaggdo disinteressato ed amichevole a Costantinopoli, dimostrando quaH vantaggi sarebbero derivati alla Sublime Porta dall'accogliere la dimanda di evacuazione direttale dal Principe Michele e dall'accettare per tal modo le guaTentigie di pace che questi le offriva.

Varid indi:zlii e voci qua e là raccolte facevano credere, senza che di ciò si avesse prova sicura, che esistesse un accordo fra 1 Serbi e gli altri popoli di razza Slava soggetti al dominio turco e che qualche intelligenza segreta fosse occorsa fra di loro pel caso in cui il Sultano ricusando di aderire alle domande del Principe Michele, la guerra dovesse accendersi nel Principato. AJleati naturali del Principe Serbiano sarebbero stati i Montenegrind, i Bosniaci e gli Erzegoviani, fors'anche i Bulgari e certamente, il moto slavo avrebbe trovato ajuto nella rivoluzione ellenica.

Di eventualità cosi gravi dovea necessariamente preoccuparsi il Governo Italiano dappoiché qualsiasi rivolgimento che possa far uscire le questioni o·rientali dalle vie pacifiche non può essere favorevole ai veri interessi dell'Italia, la quale per molte ragioni è condotta in questo momento a concentrare ogni suo sforzo nel riordinamento delle sue cose interne.

Noi abbiamo il convincimento che l'opera paciflcatrice alla quale ci associammo d'accordo con altre Potenze in Serbia, mentre ha risparmiato all'Europa c<>mplicazioni gravissime ha d'altra parte riservato compiutamente l'avvenire delle nazionalità slave che un moto prematuro avrebbe fors'anche potuto compromettere.

È infathl sovra questo principio delle naziona1ità che l'Italia può radicare la propria influenza rin Oriente. Non vi ha Governo il quale meglio del nostro lo rappresenti ed ognun comprende che è la logica stessa quella che ci porta a non ricercare altrove le basi della nostra politica. Le aspirazioni e le simpatie dei popoli Orientali sono perciò naturalmente rivolte verso il nostro paese.

Il principio di nazionalità va acquistando vigore anche fra le popolazioni del levante a misura che la civiltà vi si introduce, e tende a surrogare poco a poco il principio religioso nel quale dalla conquista in poi s'erano concentrati gli ultimi elementi superstiti della vita autonoma e nazionale dei popoli cristiani soggetti alla Turchia.

Nei frequenti moti a cui soggiacquero le contrade d'Oriente, sotto pretesto di religione si nasconde quasi sempre una agitazione politica ed alle influenze religiose più che a vero impulso di sentimento nazionale son dovuti quegli inconsulti ed <intempestivi rivolgimenhl che avevano poi per effetto costante di impedire o di ritardare i progressi della vera civiltà.

Le due influenze contrarie e gelose che cercano dominare in Oriente, quella cioè che rappresenta l'ortodossia greca e l'altra che vorrebbe introdursi all'ombra del cattolicesimo, hanno ciò d<i comune fra di lor che esagerando entrambe la prevalenza dell'elemento religioso, anziché favorire allontanano la ricostituzione delle razze orientali, dando alimento al fanatismo e suscitando dissidii e confilitti gravissimi fra gli abitanti degli stessi territori.

Noi non neghiamo che nelle condizioni presenti dell'Oriente il sentimento religioso sia ancora un mezzo considerevole di influenza per chi sappia usarne con accorgimento e moderazione, né l'Ital1a deve all'occorrenza omettere di giovarsene, ma ciò non toglie che noi dobbiamo cercare un fondamento più solido alla nostra influenza in una politica disinteressata che informandosi saggiamente e costantemente ai principii sui quali è fondata ~a ricostltuzione del nostro paese, avrà per effetto di promuovere lo sviluppo di tutti gli interessi morali, economici e politici delle popolazioni orientali. È questo l'indirizzo che il R. Governo stimò dover dare sin qui alla sua condotta politica in Oriente.

Seguendo le recenti tradizioni della Sardegna H nuovo Regno Italiano propugnò costantemente nei Consigli delle Potenze tutto ciò che poteva condurre i Rumeni ed i Serbi a dar solido assetto alle loro autonomie nazionali, ed a fronte della insurrezione cretese, pur mantenendosi nei limiti prescritti dal rispetto dovuto alle relazioni internazionali, non esitò a dimostrare le simpatie che risvegliava in Italia lo spettacolo di una lotta che con varia fortuna durava da più mesi. Misurata ad una stregua giusta e prudente la condotta del Governo ItaUano mentre non ci alienava le simpatie deUe popolazioni elleniche veniva dalla Porta stessa riconosciuta come franca ed imparziale.

Questo intento raggiungeva H Governo del Re coll'attenersi strettamente al

principio di non intervenzione e limitandosi soltanto a provvedere che consigli

di moderazione fossero dati dai suoi Agenti in Grecia ed in Turchia e che la

azione diplomatica dell'Italia avesse ad associarsi sempre a quelle delle altre Potenze nel raccomandare provvedimenti capaci di calmare gli animi e di lasciare aperta la vìa alla concilia~ione.

L'Inghilterra fedele alla sua politica tradizionale verso la Turchia e ritrosa sempre a prendere impegni, ha reoisamente ricusato di associarsi a tutto ciò che potrebbe condurla ad uscdre dal limite dei puri consigli e degli amichevoli suggerimenti.

La Russia dopo avere proclamato il bisogno di una generale e radicale riforma nell'Impero Ottomano, chiese che il Governo del Sultano fosse lasciato solo a fronte delle difficoltà interne che incontrerebbe e che il princip:o di non intervenire fosse applicato nel suo più ampio significato per parte di tutti i Governi cointeressati anche nel caso in cui i popoli oriental'i cercassero di porgersi aiuto fre di loro.

Poi quando altri propose uno smembramento ~n favore della Grecia sostenne non poter associarsi ad una soluz,ione così favorevole all'elemento ellenico se al tempo stesso non si provvedeva in qualche maniera ai bisogni delle popolazioni Slave soggette al dominio turco, e per ultimo seguendo le evoluzioni della politica francese sembrò voler limitarsi a chiedere una generale organica riforma, la quale avrebbe per base H riconoscimento parziale delle varie nazionalità esistenti, e per effetto la ricostruzione delle varl:e autonomie nazionali.

Nemmeno Ia politica francese ha seguito una linea di condotta costante nell'ultimo periodo dei negoziati relativi all'Oriente. Partendo da un punto di vista pratico il Governo deLl'Imperatore stimò dapprima che nelle presenti condizioni sociali della Turchia tl proclamare in modo assoluto l'applicazione del principio di non intervenzione potrebbe condurre a conflitti e confusioni tali da rendere poscia necessaria l'azione delle potenze, quando H ma[e che avrebbe potuto antivenirsi richiederebbe rimedi estremi. Quindi si faceva a promuovere una soluzione che, ove fosse stata adottata, avrebbe consacrato la supremazia della razza eilenica mediante un importante ingrandimento territoriale del Regno di Grecia. Ma desistendo ad un tratto da tale proposta si riduceva a chiedere alla Porta la rinunzia al possesso di Candia e l'adozione di un piano completo di riforme amministrative, le quali, onde dovessero essere applicate ad uno stato formato a principi unitarii tradizionalmente stabiliti, sarebbero certamente savie, ma in nessun caso potrebbero produrre effetti pratici se non dopo un lungo periodo di tempo.

Il programma francese avrebbe a parer nostro il gran difetto di non dare alcuna soddisfazione immediata alle popolazioni cr-istiane ed ammetterebbe inoltre come possibi!le la continuazione dell'opera assimilatrice delle varie parti dell'Impero sotto un Governo centralizzatore; epperò indirettamente si opporrebbe alla ricostituzione graduale e progressiva dei popoli orientali in nazionalità viventi di vita propria ed indipendente.

L'Austria e la Prussia non sembrano per ora volersi impegnare in una politica di principi; forse la prima non dispera trovar propizia occasione di far prevalere anche in Oriente il sistema sul qua,le è fondato il suo impero; e la seconda intenta ad interessi per lei ben più gravi non vorrebbe precludersi la via a concessioni eventuali in una questione che non la tocca davvicino.

In mezzo a tante divergenze d'opinioni la Porta Ottomana respingendo sempre le proposte di cedere anche la più piccola parte del suo te'rritorio, si applicava a sua volta a ricercare se con riforme interne potesse scongiurare i danni di una situazione tanto pericolosa.

Mandò in Oreta nel Febbrajo scorso un suo Commissario latore d'un firmano Imperiale tendente a rappacificare g1i spiriti, e ad introdurre nell'Isola riforme, che, stabilite d'accordo con deputati cretesi, le sembravano dover bastare a dar soddisfazione alla popolazione dell'Isola.

Alla comunicazione ufficiale fattaci di queste disposizioni noi rispondevamo rrullegrandoci in genere col Govel"no del Sultano della via nella quale sembrava volersi mettere. Consultare i voti ed i bisogni delle popolazioni è secondo noi rendere omaggio ad un principio che va diventando la base del diritto pubblico moderno.

Ma appunto perché l'Italia crede all'efficacia di questo principio stimava opportuno esporre qualche dubbio sulla portata delle disposizioni contenute nel firmano Imperiale. Nel fervore della lotta ed in mezzo all'eccitamento delle passioni come credere infatti che la popolazione cristiana dell'isola avesse a riconoscere come sufficiente guarent:gia un modo di rappresentanza della quale non si diceva altro nel firmano se non che sarebbe indifferentemente composta di musulmani e di cristiani? E non sarebbe Costantinopoli ove dovrebbe convocarsi l'Assemblea tal luogo in cui predominerebbero 'influenze poco disposte a rispondere alle dimande anche le più ragionevoli? Ed in che modo si provvederebbe all'indipendenza dei deputati?

A muovere tutti questi dubbi il Governo del Re era indotto dall'esperienza fatta che ben dimostrava qual fede convenga mettere nell'efficacia di provvedimenti che spesso non vanno più in là delle vane promesse.

Esprimeva .però ,n Governo Italiano in quella occasione l'opinione che ove la Porta fosse persuasa che H solo rimedio contro le rivoluzioni sta nelle rifo·rme liberamente date e largamente applicate, ed ove volesse entrare con risoluzione e coraggio in questa via non le mancherebbe il plauso di tutti i Governi civili e la riconoscenza del:l'Europa.

Come poi il Governo del Sultano ascoltasse questi savi consigli e quanta ragione d'essere avessero i nostri dubbi, dimostrarono gH avvenimenti indi a poco succedutisi.

A questo punto un'azione collettiva delle potenze essendo divenuta necessaria, sulla proposta della Russ·ia e deJ.la Francia che sembravano essersi fra di loro preventivamente poste d'accordo, noi abbiamo stimato dover ricordare alla Porta che sino dal principio dei moti di Candia eravamo stati fra coloro che le consigliavano di appigliarsi ai mezzi di conciliazione ed usarne largamente senza aspettare dalla sottomssione completa dell'Isola una condizione di cose che ci sembrava difficile se non .impossibile di ottenere ed insistevamo sovra ciò che niuno potendo ragionevolmente dubitare dei nostri veri intendimenti, noi eravamo in diritto di aspettarci che la Sublime Porta non disconoscesse le nostre disinteressate intenzioni ed avesse anzi ad accogliere favorevolmente i nostri su&gerimenti. Pronte, energiche e generose risoluzioni del Governo Ottomano potevano solo, a nostro avviso, scongiurare maggiori pericoli ed altri sicuri danni. Noi credevamo come crediamo tuttora, che nella comune soddisfazione delle Potenze, che vedrebbero tolte di mezzo le difficoltà presenti, la Porta dovrebbe ricercare elementi di autorità e sicurezza per l'avveni·re. Quanto più grave si faceva ti pericolo di una generale perturbazione, tanto più esplicito doveva essere il nostro linguaggio nel senso d1 conservare la pace epperò il Governo Italiano non volendo andar contro i proprH principU ed il proprio interesse, dichia,rava che una soluzione da prendersi d'accordo fra tutte le Potenze era resa ormai indispensabile e che in quella via soltanto la Sublime Porta troverebbe una guarentigia per i suoi interessi.

Il Governo del Re teneva questo linguaggio perché era animato da sentimenti amichevoli verso la Turchia e dal desiderio di impedire una conflagrazione generale in Oriente. Il R. Governo infatti è d'opinione che la migliore politica e la più veramente conservatrice sia quella che ha il coraggio di fare a tempo le concessioni necessarie per non essere poi costretti a subirne più tardi di assai più gravi e dolorose.

Questi ed altri simili concetti ripeteva poi il Rappresentante d'Italia a Costantinopoli quando uscendo dalle vie officiose dovette rinnovare le medesime rimostranze amichevoli in via officiale e d'accordo coi Rappresentanti d'Austria, Francia, Prussia e Russia.

Eransi infatti tutte queste potenze concertate fra di loro (22 marzo) per chiedere alla Sublime Porta: l) che i Cretesi fossero lasciati liberi di esprimere i loro voti sulle sorti future dell'Isola; 2) che le ostilità venissero sospese in Candia.

Il Governo F·rancese esprimeva l'opinione alla quale per altro noi consentimmo volentieri, che per non offendere le suscettività Inglesi era conveniente evitare la forma collettiva, ma che in ogni caso le dimande dei varii Rappresentanti dovrebbero essere concordanti, simultanee e verbali.

È bene che la S. V. conosca come le istruzioni che noi dobbiamo credere fossero date in questi sensi dal Governo francese venissero poi eseguite dal suo Ambasciatore il signor di Bourée, perocché nella condotta del Rappresentante della Francia in tutto questo negoziato, forse già a quest'ora si nasconde una causa prossima di divergenze gravi fra quei Governi che nell'apparenza almeno sembravano dapprima dover procedere d'accordo.

Il signor di Bourée anziché conformare la propria condotta a quella che appariva tracciata dalle comunicazioni fatteci dallo stesso Governo Imperiale di Francia, senza concertarsi con alcuno de' suoi Colleghi si recava solo alla Porta e vi faceva le due dimande che Ie Potenze erano rimaste d'accordo di proporre simultaneamente al Governo del Sultano. Gli Inviati di Russia, d'Austria, di Prussia e l'Incaricato d'Affa·ri d'Italia venivano informati il giorno stesso dall'Ambasciatore Francese del reciso rifiuto oppostogli da Fuad Pascià, ma ciò nondimeno per compiere gli ordini ricevuti credettero dover l'indomani rinnovare le medesime proposte. La Porta mantenne siffatto rifiuto e si limitò di poi a farci conoscere, come risposta a. quanto il Conte della Croce era stato incaricato di chiedere, H sunto della conversazione che aveva avuto luogo fra il Ministro degli Affari Esteri del Sultano e l'Ambasciatore di Francia.

Quale effetto fosse per produrre questa discordanza nell'azione dei rappresentanti, la S. V. potrà facilmente apprezzare quando dopo un breve soggiorno in Turch1a avrà avuto campo di conoscere che l'arte di Governo della Porta consiste soprattutto nel saper c,reare screzi fra le Rappresentanze estere per sottrarsi così alla per lei irresistibile forza dell'azi,one diplomatica collettiva.

Ed invero mentre Rustem Bey era incaricato di leggere a Fi'renze il dispaccio contenente la comunicazione poc'anzi indicata, sì spedivano da varii punti dell'Impero nuove truppe in Creta, Omer Pascià vi inaugurava il regime del terrore e dal Gabinetto del Ministro del Sultano si spedivano note risolute alla Grecia.

Per altra parte il Gabinetto di Pietroburgo non volendo ristarsi dal fare nuove e più efficaci rimostranze a Costantinopoli, proponeva a Pa,rigi ed il Governo francese accettava che la dimanda di sospendere le ostilità in Candia si rinnovasse dai rappresentanti delle Potenze presso la Porta Ottomana, ma questa volta in forma identica e collettiva, e, dappoiché fra il Governo francese ed il russo erasi già proceduto ad uno scambio di idee sulle riforme necessarie in tutto l'Impero del Sultano, da Parigi e da Pietroburgo ci venivano simultaneamente comunicati gli studii fatti dai due Governi sovra quel difficile argomento.

Le apparenze avrebbero portato a credere ad una intelligenza e ad un accordo ben stabilito fra i Gabinetti di Parigi e di Pietroburgo se non sui singoli rimedi da applica,rsi almeno sui principi generali da seguire.

Qual non fu dunque la nostra meraviglia nel trovare tanto disaccordo fra le proposte messe innanzi dalla Francia e quelle fatte dalla Russia?

Come già fu detto innanzi le riforme che l'una e l'altra Potenza sono concordi nel riconoscere necessarie, partirebbero nel concetto dei due Governi da principii diversi epperò riuscirebbero ad opposte conseguenze.

Per evitare intanto che in Candia si applicassero mezzi di barbara repressione l'Ambasciatore Francese fece di nuovo un invito alla Porta perché vi sospendesse le ostilità e ne ebbe nuova ripulsa.

I Rappresentanti di Italia, di Prussia e di Russia vollero essi pure officiare Fuad Pascià in questo senso per mezzo dei loro interpreti rispettivi, ma ne sortirono il medesimo negativo effetto.

Il solo Internunmo Austriaco s'astenne dal fare alcun passo allegando non aver istruzioni.

È sovra un terreno così mal disposto che dovranno ora agitarsi questioni gravissime che si collegano ad interessi vitali non solo delle popolazioni orientali ma anche delle Colonie europee.

Ella sarà sin dal suo primo giungere in Costantinopoli chiamato a studiare il gravissimo problema della costituzione della proprietà fondiaria in Turchia, alla quale un progetto di legge recente porterebbe una radicale mutazione consistente nello estendere il diritto di possedere stabili anche agli stranieri.

Questa concessione che viene proposta come compenso ad una parziale rinunzia che i Governi esteri farebbero al regime speciale 1ntrodotto dalle capitolazioni, costitul<rebbe una vera eccezione al sistema della proprietà che nel

concetto orientale non è che una forma della Sovranità e prende origine nel diritto divino.

Quindi occorre anzi tutto esaminare se nelle condizioni presenti dell'Impero una trasformazione di tal fatta possa .riuscire opportuna e se in ogni caso la situazione di cose qua,l'è in molte parti della Turchia offra guarentigie che bastano ad assicurare la pratica applicazione della ·riforma progettata.

Nello esaminare le varie proposte contenute nelle memorie presentateci dalla Francia e dalla Russia sulle altre rUorme da introdursi negli stati del Sultano, Ella potrà giovarsi delle utili investigazioni fatte in questi ultimi mesi, dietro ordine del Ministero, dai Consoli di Sua Maestà in Levante.

Ella troverà negli archivii della Legazione affidataLe non poche relazioni di questi R. funzionarli, le ·quali meritano un attento esame non solo per i molti ragguagli che contengono circa la situazione delle varie provincie ottomane, ma anche per le pratiche proposizioni che in esse sono formulate.

In questo stato di cose il Gabinetto di Pietroburgo (30 aprile) ci ha invitati ad esaminare le diverse proposte già messe innanzi ed a fargli conoscere il nostro particolare modo di vedere a questo riguardo. Qualora le Potenze giungessero a mettersi d'accordo sulle 1nisure che la ·Porta dovrebbe poi applicare in tutte le sue provincie, una conferenza si riunirebbe a Costantinopoli onde discutere coi Ministri del Sultano sulle questioni concernenti l'applicazione delle nuove riforme da introdursi. Abbiamo risposto alla Russia rinnovandole l'assicurazione dell'impegno che noi mettevamo nel concorrere alle deHberazioni che si tratterebbe di 'Prendere per ricercare un rimedio efficace alla situazione presente della Turchia. Noi non crediamo però che il Governo del Sultano voglia faci.J.mente aderire ad entrare in una Conferenza che avrebbe per programma una generale riforma della legislazione economica civile e politica dell'Impero.

Questa nostra opinione è divisa anche dall'Inghilterra la quale espressamente invitata (lo maggio) a farci conoscere il pensier suo a questo rigua.rdo ci rispondeva che non essendo probabile che la Sublime Porta voglia aderire alla proposta di una siffatta conferenza, l'Inghilterra non vi avrebbe partecipato. Ove infatti né i Ministri del Sultano né il Rappresentante della Gran Bretagna dovessero prender parte alla progettata Conferenza, noi pure non comprenderemmo come questa potrebbe riunirsi, né in ogni caso quale scopo potrebbe prefiggersi.

In questi ultimi giorni la Francia, dopo nuove intelligenze da Lei prese colla Russia, ritornò sulla proposta di rinnovare a Costan1:1i.nopoli la dimanda che s'abbiano a sospendere le ostilità in Candia e che le popolazioni siano consultate sulle loro sorti future. Uno schema di nota identica da dirigersi alla Sublime Porta da tutte le Potenze ci venne presentato dal Governo Francese e questi ci lasciò intendere che non disperava di poter condurre il Governo Britannico ad accettare ed a sottoscrivere quel documento.

Se ciò dovesse verUicarsi noi ne saremmo oltre modo lieti. Noi non possia

mo abbastanza desiderare che tutti i Governi interessati nelle cose della Tur

chia si mettano d'accordo ed abbiano ad unire la loro azione diPlomatica allo

scopo di trovare un componimento soddisfacente pelle difficoltà presenti e tale da preparare una regolare e definitiva soluzione del vasto problema Orientale.

Sino dal marzo scorso abbiamo fatto quanto per noi si poteva nell'intento che la Gran Bretagna non a v esse a separare ,la sua azione da quella delle altre Potenze nelle questioni dell'Impero Ottomano. All'Inviato Italiano che agiva in questo senso, lord Stanley ha costantemente risposto che se gli altri Governi riuscissero a stabilire un migliore assetto di cose in Turchia, l'Inghilterra non vi si opporrebbe in alcuna guisa; ma fintantoché gli interessi diretti della Gran Brettagna non fossero impegnati il Gabinetto Inglese stimava doversi tenere in disparte ed osservare un contegno di prudente riserva.

Non è mestieri che io Le dimostri, signor Cavaliere, come avvenga che questa politica del Gabinetto di Londra susciti difficoltà alla posizione dell'Italia negli affari d'Oriente, dappoiché noi non potremmo facilmente segU!ire la politica di assoluta astensione adottata da lord Stanley senza esporci al pericolo gravissimo di lasciare che una lotta di influenze esclusive si ,impegni fra due Potenze delle quali l'una sembra farsi campione dell'Ellenismo e l'altra invece pare voler promuovere la supremazia dell'elemento slavo. Non è difficHe scorgere che ove si voglia efficacemente neutralizzare gli effetti di queste due tendenze rivali ed impedire le crisi ed i conflitti che ne potrebbero sorgere non basta asserke come fece il Gabinetto Derby che la Turchia qual'è deve necessariamente o trasformarsi o perire. Noi opiniamo che per allontanare pericoli vicini e gravissimi le Potenze dovrebbero esercitare la loro azione concorde nel senso di impedire tutto ciò che può introdurre uno squilibrio nello sviluppo dei due ,elementi che le influenze contrarie tendono a far predominare in Oriente. Noi non potremmo lusingarci di essere seguit;i costantemente in questa via che da una sola Potenza, l'InghHterra, la quale riconoscendo come noi che lo stato attuale della Turchia più non presenta le condizioni di stabilità necessarie perché l'esistenza dell'Impero possa essere assicurata nell'avvenire dovrebbe associare l'opera sua a quella dell'Italia nello scopo di mantenere l'equilibrio fra le due razze rivali e farle cospirare ad un medesimo fine.

È in questo senso che il Governo del Re intende spiegarsi col Gabinetto di Londra appena saranno chiuse le Conferenze pel Lussemburgo e noi vogliamo sperare che la nostra voce possa essere ascoltata dall'Inghilterra.

Ora rimarrebbe che io La 1intrattenessi di varie questioni speciali concernenti alcune parti dell'Impero Turco e di quelle che particolarmente riguardano le provincie ormai indipendenti di fatto, sebbene sotto l'alta sovranità del Sultano. Ma la S. V. troverà negli Archivii della R. Legazione a Costantinopoli non pochi ragguagU sovra questi varii argomenti e per ciò che concerne particolarmente i nostri diretti rapporti colla Tunisia, coll'Egitto e colla Rumenia mi pregio qui uniti di trasmetterLe tre documenti speciali.

ALLEGATO II (1).

Firenze, 16 maggio 1867.

MEMORIA RELATIVA AGLI AFFARI ITALIANI IN TUNISI

Oltre agli affari speciali, l'ingerenza nei quali spetta all'Italia in dipendenza del Trattato di Parigi del 1856, il Governo del Re ebbe pur parte in questi ultimi anni ad altre questioni particolari riflettenti l'Impero Ottomano.

Toccherò anzi tutto di quella relativa ai rapporti politici tra la Sublime Porta e la Reggenza di Tunisi.

Della prima fase di siffatta questione, quella cioè della insurrezione interna e della dimostrazione navale fattavi dalla marina d'Italia, di Francia e d'Inghilterra è inutile parlare perché siffatti avvenimenti son ormai pienamente noti e rientrarono nel dominio della storia contemporanea.

Mi fo a rammentarLe solamente come, cessata l'insurrezione ed allontanata l'eventualità di complicazioni straniere, un progetto di nuovo Regolamento dei rapporti tra la Reggenza e la Sublime Porta sia stato proposto dal Governo tunisino all'accettazione della Corte alto-Sovrana e all'adesione delle maggiori Potenze. Quel progetto non poté essere tradotto in atto. Tra la Francia che sosteneva essere quel nuovo Regolamento una modificazione profonda della situazione attuale e l'Inghilterra che sosteneva esserne una semplice constatazione la divergenza rimase nel campo teorico, né l'Italia vide utilità a pronunciarsi.

Limitassi pertanto finché fu pendente il negoziato a dichiarare semplicemente essere suo desiderio che lo statu-quo non fosse turbato nella Reggenza.

Dappoiché per comune consenso fu lasciata cadere la cosa, il Governo del Re stima essere savio consiglio di non risollevare codesta questione ove gli interessi di due grandi Potenze, a cui stretti legami ci avvincono, naturalmente divergono e v. S. Illustrissima vorrà ogni qualvolta ne occorra l'opportunità rimanersi nei termini della dichiarazione generica, essere nel desiderio del Governo del Re che nulla si innovi nella regola delle relazioni tra il Bardo e la Porta.

È però debito di verità di constatare che il Governo del Bey dimostrassi, in questi ultimi tempi animato dalle più benevole disposizioni per rispetto al R. Governo.

Due che erano le principali vertenze pendenti tra i due Governi furono appianate con reciproca soddisfazione, e con non lieve vantaggio della colonia nazionale, che è la più rilevante per numero nella Tunisia.

L'una di siffatte questioni concerneva debiti contratti dal Governo tunisino verso negozianti stranieri e segnatamente italiani, i quali debiti risultanti da teschere ossia obbligazioni rimborsabili con diritti doganali erano in più rate successive scaduti senza che l'ammontare ne fosse stato soddisfatto.

È evidente quanto dissesto dovesse soffrirne il commercio estero, i cui capitali trovavansi per tal guisa impegnati senza frutto e quanto dovessero patirne altresì quelle piazze d'Europa e più specialmente d'Italia che hmmo più frequenti traffici coi porti della Reggenza.

Il Governo tunisino grazie all'opera del R. Agente e Console Generale, si indusse a combinare con alcuni fra i negozianti stranieri, tra cui la maggior parte Italiani parecchie operazioni finanziarie per cui quei negozianti s'incaricarono di ritirare dal Commercio le teschere scadute, ed ebbero in compenso dal Governo tunisino delle nuove teschere per l'esportazione degli olii, a varia scadenza, negoziabili sulla piazza e di cui avrebbero potuto valersi per comprare dagli attuali detentori le teschere scadute.

Alcuni principi della famiglia Husseinita, attualmente regnante in Tunisi, avevano contratto con sudditi esteri di varia nazionalità debiti, la cui efficacia era contestata dal Bey che nell'anno 1859 con una sua circolare ai Consoli aveva dichiarato non si sarebbero riconosciuti come validi.

Nondimeno il valore eU siffatta Circolare per ragioni di forma che sarebbe troppo lungo di esporre, era stato contestato dagli interessati, e da più anni pendeva insoluta la vertenza. Le pretese dei creditori di gran lunga esagerate per aggiunta di somme fittizie e di interessi esorbitanti salivano circa a sette milioni di piastre tunisine.

Il R. Agente e Console Generale ottenne in questi ultimi giorni dal primo Ministro del Bey un componimento mediante il quale furono rimesse ai Consoli delle Cambiali private del primo Ministro stesso per l'ammontare di 2.750.000 piastre che distribuite fra i varii creditori dei Principi avrebbero loro rifuso il 40 % circa dei crediti rispettivi contro rinunzia ad ogni ulteriore pretesa.

Oltre a quella somma che fu ricevuta in saldo dai varii Consolati la somma di Piastre 250.000 fu rimessa segretamente in altrettante cambiali del Kasnadar al R.

45 -Documenti diplomatici -Serle I -Vol. VIII

Agente e Console Generale per essere distribuite fra taluni sudditi Italiani i cui crediti verso uno dei Principi tunisini erano ineccezionabili ed irreducibili.

n Governo del Re fu doppiamente lieto della soddisfacente soluzione data a quella materia. La situazione di cose che per tal guisa venne a cessare, non solo era fatale pei commerci delle colonie estere stabilite nella Tunisia, ma costituiva nel tempo stesso una sorgente costante di pericoli ed un permanente addentellato a maggiori complicazioni.

Diffatti quelle stesse cagioni che suggerirono al R. Governo di assumere un'attitudine risoluta verso il Governo della Reggenza, avrebbero potuto provocare per parte di altri Governi, atti d'indole più decisiva, e tali da poter profondamente alterare nella Reggenza quello statu quo territoriale in cui si concreta il nostro più essenziale interesse a tal riguardo.

ALLEGATO III.

Firenze, 16 maggio 1867.

MEMORIA RELATIVA ALL'EGITTO NE' SUOI RAPPORTI COLL'ITALIA

Nel numero delle questioni delicate e difficili che l'Inviato del Re a Costantinopoli può essere chiamato a trattare, primeggia quella che concerne la situazione presente dell'Egitto.

Ella ebbe occasione prima della Sua partenza, di leggere le corrispondenze che in questi ultimi tempi vennero dirette al Ministero dall'Agente e Console Generale di Sua Maestà in Alessandria ed ha potuto scorgere che mentre il Governo Egiziano sembrò voler spingere l'Italia a prendere iniziativa di appoggio diretto ad una politica di emancipazione assoluta dalla Turchia, per parte nostra si tenne invece col Vice-Re e col suo Governo un linguaggio ed un contegno misurato.

L'indipendenza assoluta dell'Egitto, ché a tanto mirano gli ultimi atti del Governo Vice-Reale, è, e sarà per molto tempo ancora una questione che susciterà infinite difficoltà e diffidenze vivissime fra le Potenze.

Nel leggere le corrispondenze della Legazione Italiana in Londra, ella avrà osservato che lord Stanley tanto alieno dal prendere una parte attiva nelle altre cose d'Oriente, non esitò a dichiarare che ove si trattasse dell'Egitto l'Inghilterra saprebbe mostrare come sappia tenere il posto che le spetta quando sono impegnati i suoi diretti interessi.

L'influenza che ora domina in Egitto è la francese, e sebbene il Vice-Re ed il suo Governo in occasioni recenti abbiano espresso l'opinione che l'Italia sola potrebbe sottrarli a quella specie di soggezione in cui si trovano verso il Governo Imperiale di Francia, noi cadremmo in grave errore ove stimassimo aver mezzi che bastano ad esercitare in modo permanente in quel paese una politica che valga sin d'ora a controbilanciare da sola le contrarie influenze di Francia e d'Inghilterra.

A Lei, signor Cavaliere non è mestieri che io indichi quali interessi noi abbiamo in Egitto e come avvenga che ogni questione politica o commerciale di quel paese possa avere le più gravi conseguenze pel nostro avvenire economico, ma Ella sa egualmente apprezzare quanta sia la differenza che passa fra l'azione che l'Italia può legittimamente esercitare in vista di futuri vantaggi ed interessi che risguardano il suo avvenire e quella che sono invece chiamati a spiegare i Governi i quali hanno interessi diretti, presenti e gravissimi già impegnati in Egitto. Noi faremmo illusione a noi medesimi se non facendo un calcolo comparativo dei più elementari non ci rendessimo esatto conto della vera situazione relativa delle nostre Colonie nel Vice-Reame in confronto di quella delle colonie francesi ed inglesi. Le nostre sono numerose ma povere e non rappresentano nel loro insieme che una limitata frazione degli interessi economici che l'Europa ha impegnati in Egitto. Questa situazione di fatto esiste e se per avventura potrà modificarsi in nostro vantaggio noi ne dovremmo andar contenti, ma per ora sarebbe errore non volerne tenere il debito conto nel tracciare i limiti della nostra azione politica. Non avendo elementi di forza sufficienti per imporre la nostra preponderanza economica, dobbiamo evitare qualunque passo meno proporzionato alla nostra vera pos1z10ne presente, il quale col suscitare contro di noi diffidenze e sospetti, potrebbe nuocere a quel progressivo, graduale e lento sviluppo degli interessi Italiani che noi siamo in diritto ed in dovere di promuovere in Egitto.

Queste considerazioni stimate al loro giusto valore dal Governo del Re, dovettero necessariamente contribuire non poco a stabilire la sua linea di condotta verso il ViceRe ed il suo Governo.

Allorché ci venne annunziato che Nubar Pascià partiva per Costantinopoli onde chiedervi concessioni che Ismail Pascià sollecitava dal Gran Signore, il Ministero non esitò a dare istruzioni al R. Incaricato d'Affari presso la Sublime Porta affinché usasse all'Inviato del Vice-Re quelle cortesie che erano in rapporto colle buone relazioni che noi vogliamo mantenere coll'Egitto; ma un'azione diplomatica diretta od anche ufficiosa avrebbe per ora a nostro avviso ecceduto il limite della politica convenienza se da parte degli Ambasciatori di Francia e d'Inghilterra non si fosse contemporaneamente esercitata una consimile azione.

Ella però non ignora, Signor Cavaliere, che il Governo del Re pur desiderando tenersi entro i limiti tracciatigli dalla sua vera posizione e volendo fare tutto quanto può giovare a mantenere l'accordo delle Grandi Potenze nelle questioni che oggidi si agitano in Oriente non potrebbe senza disconoscere i propri principii ripudiare quei sentimenti di naturale simpatia che ly'Italia professa per tutti i popoli senza distinzione di razze e di credenze. Non le debbo quindi tacere che il Governo del Re ha veduto con giusta soddisfazione che il Governo Egiziano stimò doversi rivolgere anche all'Italia perché più facile riuscisse la soluzione di delicate vertenze che tanto lo interessano. L'Italia che nel concerto delle Potenze reca un elemento di concordia e di sicurezza per gli interessi generali, sarà ben lieta di poter contribuire entro la sfera della sua legittima azione alla prosperità ed allo sviluppo civile e politico dell'Egitto.

Benché la pubblica opinione si sia molto commossa della missione di Nubar Pascià a Costantinopoli, le Potenze non accennarono sinora, per quanto sia giunto a nostra notizia, in qual maniera vorrebbero si risolvesse la questione egiziana. Nella stampa periodica si trovò ripetuto con qualche insistenza il progetto di rendere l'Egitto indipendente, ma di neutralizzarlo per ciò che concerne i suoi Rapporti verso le Potenze Europee. Noi che non aspiriamo a conquiste e che non vorremmo che altri vi aspirasse, in tutto ciò che accresce le guarentigie morali dell'indipendenza vera dei paesi Orientali, non troviamo cosa alcuna che contrarti il nostro interesse.

(l) L'allegato I erano le istruzioni a Susinno del 25 febbraio 1867 (cfr. n. 206).

519

IL DIRETTORE GENERALE DEGLI AFFARI POLITICI, ULISSE BARBOLANI, AL MINISTRO A BERLINO, DE LAUNAY

D. 6. Firenze, 18 maggio 1867.

Volendo coordinare la Rappresentanza diplomatica di Sua Maestà in Germania coll'attuale assetto politico d•i codesti Stati, il Gove•rno del Re ha deciso che il R. Ministro in Berl'ino sia accreditato anche presso tutte quelle Corti facenti parte della Conf.ederaztone del Nord, colle quali ril Regno d'Italia è in regolari rapporti, e che il R. Ministro in Monaco lo sia presso la Corte Gran Ducale d'Assia.

Il Conte di Barrai pertanto farà pervenke direttamente a Dresda, a Brunswich e ad Oldenburgo le lettere sovrane che pongono termine aUa sua missione presso quelle Corti, ed il Marchese Oldoini trasmetterà a Lei le sue lettere di richiamo dirette ai Sovrani del ramo ernestino di Sassonia. V. S. vor·rà inoltrare al loro alto indirizzo queste ultime, annunciando ch'Ella è designato

come successore del Marchese Oldoini e richiedendo l'aggradimento di quei Governi. Quest'ultima formalità vorrà essere fatta anche presso le Corti di Dresda, di Oldenburgo e di Brunswich.

Più tardi Le invierò le lettere credenziali presso gli Stati membri della Confederazione del Nord ed aventi col Regno relazioni diplomatiche, cioè il Regno di Sassonia, il Gran Ducato di Sassonia Weimar, i Ducati di Sassonia Meining, Altenburgo e Coburgo Gotha, il Gran Ducato d'Oldenburgo ed il Ducato di Brunswich.

Le segno ricevuta de' suoi interessanti rapporti numeri 20, 21 e 22 di serie politica (l) di cui vivamente la ringrazio, e Le trasmetto 15 documenti diplomatici dandoLe nel tempo stesso notizia che altri 13 precedenti Le furono inviati fin dal 13 corrente unitamente ad un piego aperto diretto al Marchese Incontri.

520

IL DIRETTORE GENERALE DEGLI AFFARI POLITICI, ULISSE BARBOLANI, AL MINISTRO A VIENNA, DE BARRAL

D. 32. Firenze, 18 maggio 1867.

La ringrazio di avermi riferito col suo Rapporto del 13 corrente n. 34 politico (2) l'apprezzamento che l'Ambasciatore di Francia reca della situazione attuale. È sempre importante per me il conoscere qual linguagg,io tengano i Rappresentanti delle principali Potenze in codesta capitale. V. S. mi dice essere avviso del Duca di Gramont, avviso che il Duca afferma poggiare sui rapporti quotidiani dei Ministri di Francia presso le Corti della Germania del Sud, che gli Stati seconda,rii anelino a scuotere il giogo prussiano, che a siffatta speranza appunto debbonsi ascrivere le tendenze bellicose da essi dimostrate in questi ultimi temp~. e che le popolazioni di quegli Stati in apparenza sommesse, non sono in realtà meno dei loro Governi impazienti della dominazione della Prussia.

Essendo utile che V. S. abbia conoscenza di ogni elemento atto a definire il vero stato delle cose in Germania, ho stimato conveniente inviarLe varii rapporti dei RR. Rappresentanti presso gli Stati tedeschi del Sud. Ella avrà potuto rilevare dai medesimi come le informazioni dei RR. Agenti differiscano completamente da quelle che il Duca dii Gramont afferma essere state riferite a Parigi dagli Agenti francesi, così relativamente alle disposizioni dei Governi e delle popolaz:oni verso la Prussia, come in ordine alla condotta tenuta da quegli Stati durante i recenti rivolgimenti.

Vuol essere pul'e osservato che quanto l'Inviato di Turchia Le disse sulla situazione delle cose in Creta è in contraddizione coi documenti diplomat~ci che Le furono comunicati.

Sarebbe naturalmente inopportuno che gli Agenti del Re si scostassero nei loro apprezzamenti da quella riserva e da quella imparzialità che sono os

(.!J Cfr. n. 511.

servate dal R. Governo. Ma quando si tratta di nozioni di fatto è sempre bene che si mostrino informati della vera condizione delle cose. Io non dubito anzi che Ella si sarà appunto espressa nelle due circostanze sovraccennate in modo da lasciar comprendere che al Governo del Re pervennero diverse notizie.

Le segno ricevuta de' suoi pregiati rapporti n. 34, 35 e 36 della Serie politica (l) e Le trasmetto diciassette documenti diplomatici.

(l) Cfr. n. 510; gli altri rapporti non sono pubblicati.

521

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI CAMPELLO, AL MINISTRO A VIENNA, DE BARRAL

D. 34. Firenze, 19 maggio 1867.

La ringrazio del rapporto n. 35 politico direttomi in data del 13 corrente (2) dal quale ho rilevato che il Gabinetto di Vienna ricusa di associarsi al nuovo ufficio collettivo stato concertato tra la Russia e la Francia relativamente agli affari di Candia.

Siffatto rifiuto segnerebbe una nuova fase della politica austriaca nella questione Orientale, ma non Le posso tacere che la notizia da Lei trasmessami non mi giunse inaspettata, poiché da Costantinopoli m'era già pervenuto l'avviso che l'Internunzio, si era astenuto dall'appoggiare la domanda fatta, d'ordine del suo Governo, dall'Ambasciatore dii Francia per ottenere dalla Sublime Porta che Omer Pascià sospendesse le sue operazioni militari in Candia. Ella può comprendere facilmente quanto mi sarebbe riuscito gradito che S. E. il Barone di Beust Le avesse tenuto discorso delle ragioni che motivarono questo nuovo contegno dell'Austria.

Ad ogni modo non sarebbe forse inutile ravvicinare tale mutamento della politica austriaca colla notizia che mi è giunta da fonte attendibile, che cioè alcuni Reggimenti austriaci sono stati concentrati lungo la Sava in vicinanza del confine ottomano.

522

IL MINISTRO A PARIGI, NIGRA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI CAMPELLO

R. CONFIDENZIALE 448. Parigi, 19 maggio 1867 (per. il 22).

Ringrazio l'E. V. dei dispacci di serie politica ch'Ella mi fece l'onore di dirigermi in data dei 2, 11 e 15 maggio sotto i numeri 233 confidenziale, 232 e 234 (3), e dei loro annessi. Questi dispacci si riferiscono tutti all'attitudine del Governo francese verso la Prussia, che diede luogo, e dà luogo tuttora a giudizi molto diversi.

Anzi tutto *m'affretto ad assicurare l'E. V. che avrò cura, in ogni mia conversazione politica, di ben precisare le intenzioni del Governo del Re nell'eventuaUtà, oramai più lontana e meno probabile, d'una guerra, nel senso che l'E. V. mi ha indicato nel d:spaccio del 15 corrente, n. 234, cioè a dire che l'Italia dovrà sempre ed anzitutto tener conto della propria posizione e de' suoi veri interessi i quali Le impongono e Le imporranno per qualche tempo un assoluto raccoglimento. Del resto io mi sono costantemente pronunziato contro ogni idea bellicosa, deplorando apertamente, semprecchè l'occasione si presentava, l'eventualità d'una guerra come una grande sventura.

Io nutro fiducia che l'opera della Conferenza di Londra avrà risultati più durevoli che non si creda generalmente. Non è facile il far sorgere di nuovo una cagione seria di guerra. E il sollevare pretesti leggieri poco dopo la conclusione d'un atto così importante come il trattato di Londra, non sarebbe senza pericolo per chi lo tentasse, perché senza nessun dubbio una simile condotta incontrerebbe una disapprovazione generale in Europa * Cl). D'altra parte non si può negare che il trattato di Londra non soddisfa interamente 1la popolazione francese. Né mi fa meraviglia che agenti dell'Imperatore Napoleone ed alti funzionari francesi tengano un linguaggio bellicoso e mostrino poca fiducia nella durata della pace. L'eccitazione in Francia fu grande. Vi fu un momento in cui la guerra si poté credere inevitabile, per poco che la Francia fosse stata materialmente pronta ad intraprenderla. Se H Governo Prussiano, non ascoltando consigli savii ed amichevoli, avesse rifiutato la base dell'evacuazione di Lussemburgo, le ostilità si sarebbero aperte in breve. Al Conte Goltz che parlando all'Imperatore Napoleone s'era lasciato sfuggire questa frase, che la Francia non aveva ancora indossato la sua armatura mentre la Prussia non aveva peranco smessa la propria, l'Imperatore Napoleone aveva risposto: «Vi sono circostanze in cui si deve andar sul terreno vestiti come si è». Il linguaggio bellicoso, i preparativi militari, le eccitazioni della stampa, tutte queste cose sono perciò spiegabili e fino ad un punto naturali prima che la pace fosse assicurata col trattato di Londra. «Dopo il trattato però si manifesta qui una vera pacificazione negli spiriti». Le ripeto: la popolazione francese non è interamente soddisfatta; le antipatie prussiane perdurano; l'amor proprio francese è ferito, e la ferita darà ancor sangue per lungo tempo; v'è, non dirò un partito, ma una moltitudine di gente d'ogni partito e d'ogni classe che desidera ancora la guerra, e che dichiara il Governo perduto se non la fa. È possibile al postutto che un nuovo incidente scoppii improvviso come una bomba e venga a sconcertare le previsioni più legittime degli uomini di Stato i più ponderati e i più oculati. Gli armamenti continuano. Ma essi sono piuttosto diretti nel senso del riordinamento dell'esercito e del cambiamento delle armi che non nel senso d'un'entrata in campagna. Il loro carattere attuale è di precauzione non d'aggressione. Però comunque siano, è certo che la Prussia se ne preoccupa e che la confidenza fra i due Governi non è ancora ristabilita.

Cionondimeno *io persisto quindi a credere che per un tempo abbastanza considerevole H pericolo di· un conflitto è scongiurato*. L'Imperatore Napoleone personalmente non è disposto a metter l'Europa in fiamme. Egli è più sa

vto e più moderato che buona parte del popolo ch'egli governa. Non può contare sulle grandi Potenze per un'alleanza. La Russia non accettò un'alleanza separata sulla questione di Oriente; non è probabile che l'accetterebbe in una guerra ·colla Prussia. Quanto all'Austrìa, il Duca di Gramont, quando tornò a Vienna ebbe ordine di proporre un'alleanza tra la Francia e l'Austria, e d'afferire a questa, come prezzo dell'alleanza, la Baviera; ma anche essa rifiutò. A meno quindi che si presenti un'occasione facile e sicura all'Imperatore Napoleone di impadronirsi del Reno senza grave pericolo (il che in verità non sembra probabile), oppure a meno che eglj_ fosse spinto a cercare in una guerra anche disastrosa una via di salute ed una situazione disperata alnnterno (il che non si verifica ora, e spero non si verificherà mai), non è a credere che l'Imperatore Napoleone si decida ad un fatto così grave, come sarebbe quello di rompere la pace dell'Europa. Queste speranze sono, ben inteso, subordinate alla condotta della Prussia; condotta che sarà, spero, improntata a quello spirito di moderazione che prevalse nella Conferenza di ·Londra. L'arrivo prossimo dei Sovrani di Rus..o;;ia,. d'Austria e di Prussia in Parigj_, gioverà anche, credo, a confermare le speranze di pace. Tuttavia devo segnalare all'E. V. un fatto che potrebbe aver un signift.cato. L'Imperatore di Russia arriva in Parigi il l o Giugno e partirà il 9 o il 10. Il Re di Pruss·ia avrebbe des1derato trovarvisi nel medesimo tempo. Ora sembra che alle Tuileries si desideri che il soggiorno dei due Sovrani a Parigi non coincida, e questo desiderio fu fatto conoscere al Re di Prussia.

(l) -Cfr. nn. 511 e 512; il r. 36 non è pubbl!cato. (2) -Cfr. n. 512. (3) -Cfr. nn. 507 e 516; il d. 233 non è pubbl!cato.

(l) I brani fra asterischi sono editi in LV 11, pp. 85-86.

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L'INCARICATO D'AFFARI A PIETROBURGO, INCONTRI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI CAMPELLO

T. 341. Pietroburgo, 20 maggio 1867, ore 20,46 (per. ore 21,50).

L'Autriche a formellement refusé de s'associer à la démarche collective auprès de la Porte. Malgré cela la Russie est d'avis que les quatre puissances devront donner cours à Ieur note identique.

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IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI CAMPELLO, AL MINISTRO A PARIGI, NIGRA

D. 235. Firenze, 20 maggio 1867.

Ho ricevuto il Dispaccio di Serie Affari privati e contenziosi (l) con cui la S. V. Illustrissima mi ha inviato copia di una Nota direttaLe dal Marchese di Moustier in risposta alla domanda fatta da codesta R. Legazione per la estradizione di tre malfattori arrestati a Marsiglia.

Dal mio telegramma del 3 corrente (l) Ella avrà potuto scorgere, non doversi attribuire ad errore quanto noi a tale proposito praticammo, ma soltanto alla ignoranza assoluta in cui noi eravamo di quegli accordi ufficiosi e verbali che ci dicono essere intervenuti nello scorso dicembre fra la Legazione Imperiale di Francia ed il mio predecessore Cavaliere Visconti Venosta, secondo i quali il Governo Italiano avrebbe accondisceso a non reclamare la estradizione di quei malviventi Ita'liani, che in virtù di Convenzione conchiusa fra la Santa Sede e la Francia si trasporterebbero da questa nell'Algeria.

Si potrebbe discutere sino a qual punto un impegno verbale, del quale non esiste alcuna traccia negli atti di questo Ministero, possa vincolare l'attuale Amministrazione per modo che fosse impedito il Governo Italiano dal far uso dei diritti e delle facoltà concessigli da un Trattato solenne di estradizione stipulato fra la Francia e l'Italia. Ma tosto che il Governo Imperiale ha in piena buona fede fatto assegnamento sulla acquiescenza del Governo Italiano, può questo bastare a coprire d'un velo il passato.

Senonché trattandosi d'uomini segnalati alla fama pubblica, come fra quanti mai ve ne furono scelleratissimi, vi sarebbe a rimarcare, se non sia troppo fuori d'ogni ragione lo estendere ad essi una impunità, dalla quale ponna nascere gravi inconvenienti ed un esempio il p:ù pernicioso e funesto. Non è egli a temersi che ovunque essi si rechino, e si mostrino liberamente vagando, la loro presenza inspiri raccapriccio, tolga prestig;o alla giustizia, e strascini gli altri a delinquere? Comunque sia H Governo Italiano penetrato da giusti riguardi verso la Francia desisterà dal ,richiedere quei malfattori, a cui in buona fede poté essa applicare nmpunità. Una condizione per altro è costretto ad aggiungervi ed è che siano essi con la più gran cura guardati e custoditi, cosi che sia reso impossibile il loro ritorno fra quelle infelici provincie, che empirono di desolazione e rovina.

Quanto all'avvenire, quanto cioè a quei ma-lviventi, che sudditi Italiani, d'or innanzi si ricoverassero nello Stato Pontificio, il Governo del Re pensa che non si possa loro estendere simile condiscendenza; e che recandosi in altro Stato col quale si è stipulato un patto di estradizione, debbono andarvi come tutti gli altri soggetti. Oltreché, altrimenti facendo, male egli potrebbe dinanzi al pubblico giustificare la sua condotta, egli teme anche che pessimi effetti da una mal intesa clemenza conseguirebbero. Quanto più i briganti sanno di trovar luogo e modo per isfuggire alla giustizia, tanto più s'accrescono ed imbaldanziscono. Allorquando essi ricorrono all'espediente di consegnarsi da se medesimi, segno è manifesto, che comprendono non rimanere loro altro scampo; nel qual caso meglio varrebbe perseguitarli e distruggerli.

Ella comprenderà di leggieri Signor Cavaliere che questo dispaccio è del tutto confidenziale e non è quindi il caso di darne lettura al signor Ministro degli Affari Esteri, ma Ella potrà valersi delle considerazioni che vi sono svolte nella risposta che farà al Marchese di Moustier per fargli conoscere le risoluzioni adottate dal Governo dei Re in proposito de' tre delinquenti italiani· arrestati in Marsiglia.

(l) Non pubblicato ma cfr. n. 482.

(l) Cfr. n. 461.

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IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI CAMPELLO, AL MINISTRO A PARIGI, NIGRA, E ALL'INCARICATO D'AFFARI A PIETROBURGO, INCONTRI

T. 208. Firenze, 21 maggio 1867, ore 14,30.

Nous avons appris (regrettons) (l) que l'Autriche refuse de s'associer à la démarche collective auprès de la Porte. Dans ce cas nous sommes d'avis que la démarche, perdant san caractére, n'atteidrait pas san but. Le refus serait certain. Il vaudrait mieux dane, avant de ne rien faire, bien établir d'avance la position dans laquelle nous serions placés aprés un second refus.

526

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI CAMPELLO, ALL'INCARICATO D'AFFARI A COSTANTINOPOLI, DELLA CROCE

T. 209. Firenze, 21 maggio 1867, ore 14,30

Par ma dépeche du 10 courant (2) vous avez été autorisé à une démarche collective avec les représentants de France, Russie, Autriche et Prusse. Si quelqu'un d'eux se refusait de se joindre aux autres, suspendez aussi votre communication, en prétextant manque d'ìnstructions pour un tel ìncìdent imprévu.

527

IL MINISTRO A BERLINO, DE LAUNAY, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI CAMPELLO

R. 24. Berlino, 21 maggio 1867 (per. il 29).

D'après ce qui m'a été dit aujourd'hui par le sous-secrétaire d'Etat, les ratifications du Traité du 11 Mai sont expédiées à Londres ce soir meme. Le Marquis de Moustier a exprimé au Comte de Goltz combien on avait eu lieu d'etre satisfait de l'empressement mis de part et d'autre par les Souverains à apposer 'leur signature à l'acte international qui met fin au différend du Luxembourg. Il ne reste plus dès lors qu'à accomplir la dernière formalìté de l'échange des ratifications, auquel il sera ainsi procédé bien avant le délai fixé par le Traité.

L'Empereur Alexandre est attendu à Berlin le 30 de ce mais, et ne s'arretera que 24 heures dans cette capitale avant de poursuivre san voyage vers Paris. Il ne se confirme pas que le Tsar fera route avec le Roi Guillaume. Celui-ci ne le suivrait que quelques jours plus tard. Dans les circonstanues actuelles, le lendemain d'une réconciliation qui ne s'est pas faite sans quelques frois

«avons appris ».

sements d'amour-propre, il eut semblé assez naturel que les bonnes dispositions des Souverains de France et de Prusse fussent rapprochées et réunies par un intermédiaire amicai qui épargnàt à chacun d'eux I'ennui des premières avances et les froissemens du premier contact. Ce ròle aurait pu échoir à la Cour de Russie. Mais l'Empereur Napoléon, sans que je puisse cependant le garantir, aurait laissé comprendre qu'il préférait recevoir séparément les deux Souverains du Nord. Ce désir pourrait s'expliquer par des raisons d'étiquette, d'un cérémoniel embarrassant pour les préséances. Peut-~tre préfère-t-on isoler chacun des Augustes visiteurs pour se ménager des tete-à-téte dans lesque,ls la supériorité serait indubitablement acquise à Napoléon III. lls n'auraient pas le moyen de se concerter journellement et preteraient ainsi ,plus facilement le flanc au systhème d'enguirlandage. Il est vrai que ces visites en détail ne produiraient pas autant d'effet en France que la présence simultanée de plusieurs Souverains. L'opinion publique pourrait admettre qu'ils s'y seraient donné rendez-vous non seulement par un sentiment de curiosité au moment de l'exposition universelle, mais aussi dans le but d'échange,r leurs vues sur la situation politique en Europe. Ils auraient l'air de préparer les assises d'un Congrès Européen sous les auspices de la France, et de mieux relever ainsi son prestige passablement ébranlé dans ces dernières années.

Quoi qu'H en soit, pour le moment du moins, on croit généralement dans le corps diplomatique que Ie Roi Guillaume ne partlra pas avant le trois juin, si ce n'est meme plus tard. Dans tous les cas, il serait précédé par Son Auguste neveu accompagné du Prince Gortschakoff (l). Il est assez facile de prévoir que le Comte de Bismarck sera dans la suite de son Souverain. La position de ce Ministre sera assez délicate, car à Paris la défiance est à son comble contre lui. Bien à tort cependant; car je suis convaincu que sans l'autorité de sa parole, la guerre eut été inévitable. Il s'est trouvé seul à peu près dans les conseils de la Couronne pour résister aux entrainemens du parti militaire. Et il faut bien le dire, jamais guerre se ne fùt faite dans des conditions plus favorables pour la Prusse. Si Ie Sud de l'Allemagne n'avait pas encore son contingent au complet, la confédération du Nord, d'après ,les calculs de l'Etatmajor, pouvait en moins de temps que le Gouvernement Français réunir des forces supérieures vers le Rhin, et elle disposait de 150.000 hommes de plus. En outre sans parler d'une nation électrisée par de récens succès, l'armement et l'instruction des oftkiers et des soldats ne laissent ici rien à désirer. Les fusils Chassepot, et les amours de petits canons avaient encore à faire leurs preuves dans les mains d'une infanterie qui, quelle que fùt la bonté de ses armes, n'avait pas encore eu le temps de s'exercer à leur maniement. D'aiUeurs ,la France se

« Un manque de tact avait été commis en laissant entrevoir le désir que l'EmpereurAlexandre et le Roi Oulllaume ne se trouvassent pas en mème temps à Parla. Les motifs d'encombrement, d'ètlquette, de préséance ne pouvalent étre envisagés que camme des prétextes pour masquer des intentlons dont j'ai parlé dana un de mes rapporta précédents. Le

falt est que ces insinuations ont produit le plus mauvais effet à Berlin aussl bien qu'à

S. Pétersbourg. D'un autre còté le Oonvernement Français n'avait peut-étre pas assez réfléchi qu'en voulant éviter la présence simultanée de ces deux Souveralns, 11 s'exposalt à ce que la visite du Rol de Prusse coincldll.t avec l'annlversalre de la batallle de Waterloo, et avec d'autres dates néfastes de l'histolre de France.

D'après ce qui me résulte aujourd'hul une mellleure comblnalson a prévalu. Le Rol partiralt d'le! avec le Comte de Bismarck vers le 4 ou le 5 Juln, et se rencontreralt alnsl encore à Par!s avec son Auguste Neveu. Ce dernler aura!t, d'un commun accord, la préséance qui lui appartlendra!t selon la date plus anc!enne de son avènement au trOne ».

trouvait isolée, car l'Autriche ne serait pas de sitòt sortie d'une attitude expectante qui lui était imposée par ses circonstances intérieures. Tandis que si plus tard il se présente une nouvelle complication, une bonne partie de ces avantages auront disparu, ou se seront amoindris.

En attendant, le Prince Royal de Prusse partira après-demain pour aller remplir à l'exposition ses fonctions présidentielles de la section allemande. C'est un indice de plus que la paix est assurée, mème aux yeux des pessimistes, pour quelques mois.

Gomme il fallait s'y attendre Ies journaux officieux en Prusse, comme en France, entonnent l'hosannah, et des hymnes d'espérance. Chacun se donne le mot d'observer une attitude satisfaite. Chacun se vante de n'avoir fait que des concessions compatibles avec sa dignité. Ce que est parfaitement exact, surtout quand on connait le texte du Traité de Londres. On doit en conclure qu'on a en effet trouvé un biais équitable. Selon l'assertion d'un homme d'Etat anglais, une guerre ajournée serait une guerre évitée. Il serait à souhaiter que les événements ultérieurs vinssent lui donner raison. Mais le spécifique de la conférence de Londres, n'a pas la ,prétention d'etre une panacée. Le fait est que les dispositions sont toujours aigres-douces, en deça comme au delà du Rhin, et camme je l'ai fait ressortir dans ma correspondance Ies motifs, ou les prétextes de confl.its, ne manqueront pas dans l'avenir si à Paris on ne tient pas assez compte de Ia force des choses qui pousse i:rrésistiblement l'Allemagne vers l'unification.

Nous ne devons pas moins nous féliciter sous tous les rapports du résultat de la Conférence de Londres, de celui-ci entre autres: la France, en renonçant plus ou moins volontairement à ses velléités sur le Luxembourg, a créé un heureux précédent. Elle a dO. se convaincre qu'elle ne pouvait prétendre à ce pays de nationalité douteuse, sans provoquer une énergique résistance chez ses voisins, et sans déchainer une grande guerre. Combien devrait-elle mieux reconnaltre Ia nécessité de renoncer à l'ac·quisition d'un territoire vraiment allemand ou italien si jamais elle en avait l'arrière pensée?

C'est là un enseignement pratique qui ressort de la dernière crise, et dont la justesse n'aura pas échappé au Gouvernement Français.

J'ai l'honneur d'accuser réception de la circulaire de V. E. du 8 Mai, et de sa dépeche du 10 du meme mois n. 5 (Série politique) (l) contenant 18 documens diplomatiques du n. 29 au n. 46. D'après les ordres télégraphiques de

V. E. j'avais déjà exprimé au Cabinet de Berlin notre satisfaction de l'assentiment de la Prusse à l.a proposition de l'Angleterre pour notre admission à la conférence et j'ai rendu compte de ma démarche par mon rapport n. 20 Série politique (2).

Je dois aussi vous remercier. M. le Comte, d'un autre envoi de documents diplomatiques du n. 47 au n. 57 qui me sont parvenus le 17 en meme temps qu'un pli pour le Marquis Incontri.

Gonformément aux instructions qui m'étaient tracées dans votre dépeche du 14 Mai (direction politique, hors série) (2), j'ai remis au Sous-Secrétaire d'Etat la croix de Commandeur de St. Maurice destinée au Comte Donhoff;

j'ai donné en méme tems les explications qui ont produit le meìlleur effet. J'ai Ueu de croire que le Comte Puliga aura à son tour une distinction de la méme catégorie.

(l) -Il telegramma spedito a Parigi recava «regrettons » e quello spedito a Pietroburgo (2) -Cfr. n. 499.

(l) SI pubblica qui un brano del r. 25 di Launay del 28 maggio:

(l) -Cfr. nn. 492 e 500, nota 2. (2) -Non pubbl!cato.
528

L'INCARICATO D'AFFARI A PIETROBURGO, INCONTRI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI CAMPELLO

T. 344. Pietroburgo, 22 maggio 1867, ore 23,50 (per. ore 0,15 del 23).

Le prince Gortchakoff conserve un faible et vague espoir que l'Autriche finira par s'associer à nous. Si méme elle persiste dans son refus il juge indispensable que la démarche soit faite au plus-tòt possible malgré refus presque certain de la Turquie: quant à la position après il se réserve de voir quelles sont les dispositions à Paris pour où il part le 28 avec Empereur. Il propose que si la Turquie refuse on ordonne aux navires de guerre qui stationnent à Candie de procéder au sauvetage des familles crétoises.

529

IL DIRETTORE SUPERIORE DEGLI AFFARI POLITICI, ULISSE BARBOLANI, ALL'AGENTE E CONSOLE GENERALE A BUCAREST, SUSINNO

ANNESSO CIFRATO (1). Firenze, 22 maggio 1867.

Je regrette infiniment ce que Vous m'avez mandé à plusieurs reprises au sujet des tendances séparatistes de la Moldavie. Je ne crois pas qu'il puisse étre de l'intérét de la Russie de pousser à une séparation. Toujours faudrai:t-11 en avoir des preuves convaincantes avant d'y croire. Vous n'ignorez pas que le Prince Couza et son parti n'ont jamais eu d'attaches sérieuses avec le Cabinet Russe. L'agitation et le mouvement que l'on attribue aux menèes russes ne pourraient-ils pas avoir leur centre de direction ailleurs qu'à Saint-Pétersbourg?

N'oubliez pas que la Russie n'aspire qu'à s'occuper activement des intéréts slaves et que les vues de l'Autriche sur la Roumanie ne seraient pas un fait nouveau. Le Prince Couza, Vous le savez aussi, a toujours fiotté entre la France et l'Autriche.

530

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI CAl'viPELLO, AL MINISTRO AD ATENE, DELLA MINERVA

T. 212. Firenze, 23 maggio 1867, ore 15,50.

Veuillez faire savoir confidentiellement au commandant de l'« Authion '> qu'H ne lui est pas défendu de prendre à son bord des personnes qui se sauvent de Crète pour échapper à un danger imminent pourvu qu'il agisse avec discrétion et prudence et évite les susceptibilités des tures.

(l) Al d. 6, non pubblicato.

531

IL MINISTRO A VIENNA, DE BARRAL, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI CAMPELLO

R. 41. Vienna, 23 maggio 1867 (per. il 26).

Je m'empresse de venir donner à V. E. l'analyse détaillée du remarquable discours prononcé hier par l'Empereur à l'ouverture du Reichsrath et que l'on sait etre tout entier l'oeuvre du Baron de Beust.

Après avoir exprimé sa satisfaction de voir autour de Lui les Députés de la Nation (satisfaction dont l'expression n'est point banale puisque tous les efforts de l'opposition en Bohème comme en Moravie portaient sur une abstention complète), l'Empereur a tout d'abord commencé par déclarer que le premier but qu'H se proposait était de rétablir sur de solides bases les institutions constitutionnelles décrétées par le diplòme du 20 Octobre 1860, et la Patente du 26 Febrier 1861; mais que pour atteindre ce but il était indispensable de mettre ces institutions en harmonie avec I'ancien droit constitutionnel Hongrois qui, en donnant la garantie de l'entier devoiì.ment de la Hongrie à l'Empire, assure en meme temps aux autres Royaumes la libre jouissance de leurs libertés. «Mes efforts, a continué Sa Majesté, n'ont pas été stériles, il a été pris un arrangement satisfaisant pour les pays de ma Couronne de Hongrie, lequel assure leur union avec l'ensemble de la Monarchie, la paix intérieure de l'Empire, sa puissance à I'extérieur, et j'ai la ferme confiance qu'en lui donnant son adhésion, le Reichsrath fera disparaitre des i!nquiétudes qui me causeraient de grands soucis, et rendra prospère le nouvel état de choses. Le présent, le passé, l'avenir nous avertissent qu'il faut promptement mettre la main à l'achèvement de l'oeuvre commencée, et déjà l'on a piì. s'apercevoir de la bonne position qu'a faite à l'Autriche dans le concert des Etats Européens la nouvelle voie dans la quelle on la salt engll!gée, et qui, en entourant de garanties inviolables les libertés et droits constitutionnels de Hongrie, a forcément pour conséquence une égale sécurité pour les autres Royaumes et pays ».

Pour rassurer les petites nationalités qui se trouvent englobées dans les deux groupes constituant désormais l'ensemble de l'Empire, Sa Majesté a dit ensuite que son Gouvernement était tout disposé a leur accorder un élarg:ssement d'autonomie convenable à leurs tzsoins, pourviì. qu'il fiì.t sans danger pour la Monarchie.

Passant ensuite à l'arrangement conclu avec la Hongrie en tant qu'il concerne les affaires communes, (arrangement qui est noeud gordien de la nouvelle combinaison) l'Empereur a annoncé que, avant tout, il serait bientòt soumis aux délibérations du Reichsrath les modifications nécessaires à apporter à la Patente du 26 Fébrier 1861. ainsi qu'une loi sur la responsabilité ministérielle à la quelle viendrait se joindre la présentation d'autres projets de loi conformément aux besoins constitutionnels.

Quant aux affaires financières qui, par leur importance et le mauvais état où elles sont, devaient nécessairement trouver leur place dans un discours appelé à inaugurer tout un nouvel ordre de choses, Sa Majesté s'est bornée à dire que le Reichsrath serait saisi de communications étendues sur les mesures extraordinaires qu'avaient nécessitées une guerre désastreuse; et que pour que l'Assemblée put, sans se préoccuper des embarras du moment, vouer toute son attention à la solution de la question financiére permanente, il avait été pourvu d'une manière rassurante aux besoLns de l'année courante.

Enftn l'Empereur a terminé son discours par ces paroles remarquables qui indiquent une ,résolution bien arrétée d'oublier les rancunes du passé pour ne plus penser que à l'avenir et qui, à ce point de vue, semblent s'adresser aussl bien à l'Italie que à la Prusse: « Aujourd'hui que nous voulons fonder une oeuvre de paix, jetons le voile de l'oubli sur un ,passé tout récent qui a fait de profondes bléssures à l'Empire, et ne nous en souvenons que pour y puiser le courage et la volonté de rendre à !''Empire la tranquillité, et la prospérité à l'intérieur, la considération et la puissance au dehors, que ce ne soit pas l'arrière-pensée des revanches qui nous guide, mais le but bien plus noble de transformer la défaveur et l'hostilité d'autrefois, en respect et sympathies. Mors les peuples d'Autriche, à quelque race qu'ils appartiennent, et quelque langue qu'ìls parlent, se grouperont autour de la bannière Impél'iale et auront foi dans ces paroles de mon aieul: l'Autriche existera et fleurira jusque dans les temps les plus reculés sous la protéction du Tout Puissant ».

Ce discours qui a touché aux questions les plus vitales de l'Emp:re, en en indiquant la solution, a produit un très bon effet et a été souvent interrompu par les approbations de l'assemblée. Les assurances données par l'Empereur rélativement aux droits constitutionnels de l'Empire et à la responsabilité ministérielle ont été accueHlies avec d'autant plus d'enthousiasme qu'elles constituent précisement cette parité absolue de traitement avec la Hongrie, dont l'autre portion de la Monarchie s'est toujours, avec raison, montrée si jalouse.

En résumé le discours impérial n'a fait que confirmer ce que l'on savait déjà des intentions essentiellement libérales de M. de Beust et qui, jointes à sa remarquable habileté, constituent sa principale force; mais dans un pays courbé depuis si longtemps sous le despotisme, l'opinion publique a vu avec une véritable satisfaction des assurances aussi Ebérales émanant de la bouche méme de l'Empereur.

532

IL DIRETI'ORE SUPERIORE DEGLI AFFARI POLITICI, ULISSE BARBOLANI, AL VICE CONSOLE A SERAJEVO, DURANDO

ANNESSO CIFRATO (l) Firenze, 24 maggio 1867.

Le bruit a couru ces derniers jours en Croatie et dans les autres pays slaves de l'Autriche que des négociations ont eu lieu, et méme qu'elles ont abouti, entre la Serbie et la Porte, en vue d'arriver à un arrangement par lequel l'administration des districts serbes de la Bosnie serait conflée au Prince Mlchel contre une redevance que ce dernier payerait au Sultan. On s'est servi du bruit de ces prétendus arrangements pour agir auprès du Prince de Monté

nég·ro afin de le détacher complètement de la Turqu.ie. Je crois qu'on doit avoir réussi tout au moins à semer de la méfiance entre les deux Principautés alliées. Il est bon que Vous connaissiez cette situation, afin que vous puissiez contLnuer à me renseigner sur ce qui se passe dans Ies provinces de votre district.

(l) Al d. 3, non pubblicato.

533

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI CAMPELW, AL MINISTRO A LONDRA, D'AZEGLIO

D. 29. Firenze, 25 maggio 1867.

Le Gouvernement Italien a été heureux de s'associer à l'oeuvre de paix qui vient de s'accomplir à Londres. Il espère que l'Europe après avoir écarté les diftl.cultés de la question du. Luxembourg pourra jouir d'une période de calme dont l'Italie éprouve le besoin plus que tout autre pays. Gràce à l'initiative amicale de l'Angleterre nous venons de pr.endre oftl.ciellement dans le concert des Puissances :la piace que l'Italie s'était acquise par l'intéret sincère qu'elle porte à tout ce qui concerne la tranquillité générale. Nous nous tl.attons de l'espoir que de son còté le Gouvernement Anglais aura trouvé dans notre attitude pendant la Conférence et les négociations qui l'ont précédée, la meilleure preuve de lé intérét qu'il y a pour nos deux pays à suivre une politique dont le but ne peu.t étre que de travailler ensemble à aplanir les dilll.cultés qui surgissent dans les affaires de l'Europe. Nous avons la conviction que l'entente de l'Italie et de la Grande Bretagne constitue une des meiHeures garanties du repos général.

C'est pourquoi nous croyons érninnemment utile au but pacifique que nous poursuivons de saisir ce premier moment de répit pour nous ouvrir confidentiellement, mais sans hésitations et sans réticences au Cabinet de Londres au sujet de la situ.ation générale de l'Orient et pour l'inviter à procéder avec nous à un échange d'idées plus intime et plus suivi que par le passé. Dès que les Puissances justement émues par les événements de Candie ont paru vouloir prendre une ingérence plus directe dans ies affaires intérieures de l'Empire Ottoman, le Gouvernement du Roi s'est adressé par Votre entremise au Cabinet Anglais atl.n d'obtenir de lui qu'il vouliìt bien s'associer à i'oeuvre des autres Puissances pour éloigner des dangers plus graves et des complicat:ons qu'il était encore temps de prévenir. Vo·us m'avez fait connaitre M. le Marquis, que le Cabinet Anglais se montrait toujours de plus en plus décidé à conserver son attitude expectante tant que ses propres intéréts ne se trouveraient point directement en jeu.

Nous ne voulons certainement pas chercher à apprécier ici les ra'sons qui peuvent avoir suggéré au Gouvernement Britannique une pareilie abstention, mais pourquoi n'envisagerions-nous pas avec une entière franchise les conséquences, qui découlent naturellement de cette politique de l'Angleterre quant à la position de l'Italie dans les affaires de l'Orient?

Il y a là un còté de la question sur lequel il nous parait ne pas devoir

hésiter à nous expliquer ouvertement avec un Gouvernement qui vient de nous

donner une preuve éclatante de sa bienveillance et de son amitié.

L'Italie est trop directement intéressée dans toutes les grandes questions

continentales de l'Europe pour espérer pouvoir se tenir totalement en déhors

des graves compllcations qui surgiraient du jour où une lutte éclaterait entre

les influences contraires et exclusives qui agitent l'Orient. Les derniers événe

ments, la marche des négociations, la nature meme des propositions qui ont

été formulées par la France et la Russie, sont des preuves évidentes qu'une

lutte de rivalités est à craindre et qu'un conflit pourrait se produire s1 dès à

présent les Gouvernements intéressés ne s'appliquent point à en écarter soigneu

sement toutes Ies causes.

Jusqu'ici les Cabinets de Paris et de Saint Pétersbourg ont marché d'accord

dans les Affaires Orientales, mais un germe de discorde profonde existe dans

la nvalités des principes dif!érents dans lesquels chacun d'eux est naturelle

ment porté à chercher un appui pour son influence.

Le Gouvernement Russe a demandé que lorsque les Puissances seront tombées d'accord sur les mesures à proposer à la Sublime Porte, une Conférence des Représentants à Constantinople ait à se réunir pour y discuter avec les Ministres du Su:ltan les détails de l'application des réformes qu'il s'agirait d'introduire dans l'Empire.

Comme il est probable que les Ministres Ottomans se refuseront à entrer dans une pareille Conférence, tout porte à croire qu'il n'y aura pas lieu à la réunir. Mais la situation se trouvera-t-elle bien améliorée par ce fait? Nous ne le pensons pas.

Le Cabinet de lord Derby s'est montré convaincu, comme nous, de la nécessité pour la Turquie de se transformer ou de périr. Si cette transformation avait pu s'opérer lentement et graduellement par la force meme des choses, une observation attentive de l'oeuvre intérieure que s'accomplissait aurait peut etre sutn pour garantir les intérets de chacun; mais maintenant que la lutte a éclaté et que le champ est ouvert aux influences rivales, serait-il de bonne politique de ne rien faire de tout ce qui pourrait empécher le conflit de s'étendre et de prendre des proportions encore plus grandes?

En présence d'une pareille situation un seul ròle nous parait naturellement indiqué pour tout ceux qui comme nous désirent le repos de l'Europe. Mais la Italie comprend qu'un pareil ròle pourrait devenir pour Elle trop difficile à remplir, si par la suite des événements elle allait se trouver engagée toute seule dans cette voie. On ne peut pas ignorer à Londres que la politique de Cabinet qui ne voit dans la Turquie qu'un empire à partager, cont1nue à avoir cours à Vienne, et d'autres part les intérets de la Prusse dans la question d'Orient la touchent-ils d'assez près pour qu'elle se croie obligée de suivre une ligne de conduite bien définie et constante dans sa politique Orientale?

L'Angleterre seule en s'unissant à l'Italie pourrait contrebalancer les tendances opposées, qui paraissent vouloir se disputer une prépondérance absolue en Orient. En marchant d'accord dans toutes les questions les Gouvernements des deux pays pourraient maintenir entre les deux courants opposés l'équilibre indispensable pour que le développement pacifique et progressif des différentes races puisse s'accomplir graduellement.

C'est dans ce sens que Vous etes chargé de Vous exprimer avec Lord Stanley.

Vous voudrez bien, M. Ie Marquis, faire comprendre a S. S. toute l'importance que nous attacherions à connaitre les vues du Gouvernement britanni·que sur les moyens de maintenir dans des voies pacifiques les principales questions du vaste problème Orientai.

Nos efforts les plus sérieux ont réussi tout derniérement à écarter une des nombreuses difficultés qui se présentaient. Vous savez que la situation de la Tunisie s'est beaucoup arméliorée depuis que nous avons obtenu du Gouvemement de la Régence des remèdes efficaces contre une situation de choses qui laissait ce pays exposé aux attaques de tous ceux qui avaient contre lui des griefs. L'arrangement adopté par le Gouvernement du Bey gràce à l'entremise des négociateurs italiens s'étend à tous les sujets étrangers. En éloignant les dangers d'une crise économique qui menaçait l'existence méme de la Régence, l'Italie a eu l'occasion de démontrer qu'elle a dans ce pays des intéréts essentiellement conservateurs.

L'Egypte aussi se trouve actuellement dans une situation dont il serail inutile de vouloir se dissimuler toute la gravité.

Les intéréts commerciaux et politiques que nous avons dans ce pays ne nous permettent point de rester indifférents aux questions qui s'y agitent. Si le statu quo pouvait etre maintenu nous ne désirerions certainement pas voir introduire des modifications dans les rapports du Vice-Roi avec son Suzerain. Mais en Egypte, comme dans tant de provinces de l'Empire Ottoman, peut-on espérer qu'une solution se présente d'elle-méme sans conflits et sans secousses? Si débouté de ses demandes à Constantinople, le Vice-Roi voulait maintenant proclamer son indépendance, l'Egypte se trouverait-elle déjà dans des conditions à pouvoir satisfaire aux exigences de la nouvelles position qu'elle se serait créée vis-à-vis de l'Europe? Il y a dans cette situation un sujet fort grave que Vous ne devez point hésiter à aborder dans Vos entretiens avec Lord Stanley. Dans ce pays, comme ailleurs, nos propres intéréts nous font désirer de marcher d'accord avec la Grande Bretagne.

En Vous autorisant, M. le Marquis, a donner lecture confidentielle de cette dépéche au Premier Secrétaire d'Etat de S. M. la Reine,

534

IL MINIS'.I'RO A LONDRA, D'AZEGLIO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI CAMPELLO

R. 709/268. Londra, 25 maggio 1867 (per. il 29).

Essendomi altra volta già recato al Foreign Office senza trovare lord Stanley vi tornai ieri onde, conformandomi al contenuto del Dispaccio Politico di V. E.

N. 27 lO Maggio (l), ringrazia·rlo *a nome del Governo della parte presa da

S. S. nella nostra ammissione alla Conferenza e sopratutto per l'iniziativa che egli avevane preso.

Lord Stanley mi parve oltremodo toccato da quei sentimenti che ero incaricato esprimergli a nome del Gabinetto e rispose con cortesissime parole che

46 -Documenti diplomatici -Serie I -Vol. VIII

egli eras1 m quest'occasione reso puramente interprete delle simpatie della nazione per le cose italiane e aggiunse quelle espressioni che si potevano aspettare da un sì distinto personaggio * (1).

Ero intanto stato prima dal Sotto Segretario di Stato onde combinare l'affare delle ratifiche oggetto dei miei telegrammi di ieri e avant'ieri (2). Anzi trovai in anticamera il Ministro Belga e ci andammo insieme. Tanto più che egli affermava che nonostante la clausola per un più celere operare le ratifiche non s'usavano scambiare che all'epoca estrema indicata dai trattati. Ma il Signor Hammond fu di parere diverso e opinò che si dovessero scambiare appena fosse giunta ad ognuno di noi.

Però la data del 29 o 30 indicata da V. E. parve pienamente sufficiente poiché le ratifiche russe non credo arrivino prima. Onde se arrivano le nostre alla fin del mese basterà.

(l) Cfr. n. 500.

535

IL MINISTRO A LONDRA, D'AZEGLIO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI CAMPELLO

R. 710/269. Londra, 25 maggio 1867 (per. il 29).

Profittai della mia visita a lord Stanley per chiedergli qualche notizia sulla situazione degli affari in Creta. La versione che con mio telegramma d'avant'ieri (3) avevo avuto l'onore trasmettere a V. E. veniva da un rappresentante estero, epperciò egli la vedeva a modo suo. Ma lord Stanley mi disse ad un dipresso quanto segue.

La Francia pareva essersi accorta d'aver errato andando troppo oltre col voler distaccare Candia dall'Impero; voleasi ora riparare l'errore tornando all'idea prima, che anche il Governo Inglese patronava, cioè l'autonomia del Governo Candiotto sotto la supremazia Turca. Aggiunse che il Gabinetto Inglese non aveva difficoltà ad assisterla in questo ravvedersi. Onde non era lontano dall'aderire ad una inchiesta da farsi bensì dai Turchi, ma sotto per così dire al controllo delle potenze Europee.

Solo per combinar la cosa conveniva assicurarsi di uno o due punti per convocare questa inchiesta con buoni risultati. Non parendo a lord Stanley il metodo seguito da M. de Moustier H più logico, cioè d'adunare gli elementi di un'inchiesta e poi di determinare lo scopo dell'inchiesta. Egli diceva invece: facciamo pure l'inchiesta, ma quando sapremo su di che.

Poiché vedevo il Ministro degli Esteri gli domandai se fosse vero, che nel movimento diplomatico Inglese che si preparava vi fosse pure il Ministro Inglese a Firenze. Egli mi rispose affermativamente annunziandomi, che era all'incirca determinata per parte sua la nomina di Sir Augustus Paget, attualmente Ministro a Lisbona. Parlò con elogi di questo giovane diplomatico e della sua

gestione durante il suo soggiorno in Danimarca. Sir Augustus è figlio di lord Anglesey, che comandò un reggimento di cavalleria a Waterloo ed una delle primarie famiglie d'Inghilterra.

(l) -In LV 11, p. 87, è pubblicato il brano fra asterischi, preceduto dalle parole seguenti: «Conformandomi agli ordini di V. E. fui ieri al Foreign Office per ringraziare lord St!lilley ». (2) -Non pubblicati. (3) -Non pubblicato.
536

L'AGENTE E CONSOLE GENERALE A BUCAREST, SUSINNO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI CAMPELLO

T. 354. Bucarest, 26 maggio 1867, ore 16,30 (per. ore 21,40).

Le Gouvernement pour avoir un parti en Moldavie prend des mesures violentes contre les juifs. On les prive de leur industrie et on les expulse. J'ai vivement recommandé au Gouvernement abandon d'un système contraire à l'humanité.

537

IL MINISTRO A PARIGI, NIGRA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI CAMPELLO

T. 356. Parigi, 27 maggio 1867, ore 22,25 (per. a Torino ore 23,55).

Empereur de Russie arrive à Paris le l er juin. Roi de Prusse arrive le cinq. On m'a fait savoir aux Tuileries qu'on serait bien aise que l.e prince Humbert arrive le quatre pour pouvoir assister au spectacle de gala qui aura lieu le mème jour à l'opéra. Je vous prie de dire au général Cugia de me télégraphier si l'on peut compter sur l'arrivée du prince Humbert pour le quatre matin. Il serait également utile qu'on me télégraphie l'arrivée du due d'Aoste.

538

IL DIRETTORE SUPERIORE DEGLI AFFARI POLITICI, ULISSE BARBOLANI, AL MINISTRO A LONDRA, D'AZEGLIO

D. 31. Torino, 27 maggio 1867.

Segno ricevuta de' suoi rapporti di questa medesima Serie che sono segnati coi Numeri 259 sino a 267 Cl).

Fui informato dal telegramma ch'Ella mi diresse (2) della nomina del signor Paget a Rappresentante della Regina presso questa R. Corte. La partenza del signor Elliot che seppe acquistarsi una così buona posizione in Firenze è cosa spiacevole pel Governo del Re. Siamo però persuasi che colla venuta del nuovo Inviato Britannico continueranno gli ottimi rapporti esistenti fra l'Italia e l'Inghilterra. La pregherei di farmi sapere se lord Stanley ha presentito la

S. -V. sulla scelta da lui fatta del nuovo Ministro inglese a Firenze; sembra che il signor EUiot, contrariamente all'uso esistente f.ra i vari Governi, non abbia avuto incarico di domandare qui se la scelta del signor Paget sarebbe stata gradita.

Accenno questo incidente perché sarà opportuno ch'Ella in un'occasione qualsiasi faccia in modo che al Foreign Oflìce si sappia che la dimenticanza fu qui osservata.

(l) -Cfr. nn. 493, 497, 501 e 517; gli altri rapporti non sono pubblicati. (2) -Non pubblicato ma cfr. n. 535.
539

IL MINISTRO A BERLINO, DE LAUNAY, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI CAMPELLO

R. 27. Berlino, 28 maggio 1867 (per. il 3 giugno).

Depuis mon retour à Berlin V. E. aura remarqué que ma correspondance n'est plus aussi active qu'à S. Pétersbourg, sur Ies affaires d'Orient.

Je ne néglige cependant aucune occasion de chercher à me renseigner sur les vues du Comte de Bismarck. Mais je dois constater une fois de plus que ces questions ne sont traitées ici qu'en ligne secondaire. L'attitude de la Prusse en Orient, où ses intéréts sont nuls ou très minimes, n'est que le refiet de la politique qui lui est tracée par ses rapports avec l'Occident. Elle vise à marcher d'accord avec la Russie; mais en évitant de froisser la France. Du moment où, camme aujourd'hui, il se manifeste quelque désaccord entre ces deux pays, le Cabinet de Berlin se tient sur la réserve. Il laisse aux autres le soin de déblayer le terrain et se rallie ensuite à la majorité, surtout quand la France et la Russie emboitent ou semblent emboiter le méme pas. Par conséquent lors meme que l'Autriche déclinerait de se joindre à la remise d'une note identique à Constantinople, on n'hésiterait pas ici, du moins j'ai tout lie,u de le supposer, à autoriser le Comte de Brassier à passer outre, d'un commun accord avec l'Italie, la France et la Russie.

Au reste, il est évident que le Cabinet des Tuileries cherche maintenant à temporiser, à tenir autant que possible la balance égale entre les Puissances dont les différens Souverains vont devenir ses h6tes. D'ailleurs s'il est vrai, comme on l'assure de plusieurs c6tés, que le Prince Gortschakoff, durant san séjour à Paris se propose de pousser à une révision du Traité de 1856, il est à présumer que le Marquis de Moustier attendra ses ouvertures avant de s'engager plus avant dans le guépier qui a nom question d'Orient.

Jusqu'ici le Gomte de Bismarck ne s'est encore prononcé sur aucun des projets de réformes présentés par M. de Moustier, par le Prince Gortschakoff et par la Turquie. L'échéveau n'en est devenu que plus mélé. En présence des diflìcultés que présente déjà la tàche de débrouiller tous les replis de la question allemande, il est assez nature! que le Président du Conseil ne s'occupe que d'une manière indirecte, pour ne pas dire en amateur, des affaires de l'Orient.

Je me rendrai prés-demain à Potsdam, pour me ménager, si posslble, un entretien avec le Prince Gortschakoff.

540

IL MINISTRO A CARLSRUHE, GIANOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI CAMPELW

R. 84. Baden, 28 maggio 1867 (per. il 2 giugno).

Continuano le negoziazioni tra i Governi della Germania meridionale allo scopo di accordarsi sulle basi, da proporre al Governo Prussiano, di nuovi rapporti a crearsi tra essi e la Confederazione del Nord.

Il Barone Freydorf, con cui ebbi jeri l'onore di intrattenermi a lungo mi disse ch'egli sperava, quei negoziati sarebbero stati tra non molto condotti a buon po.rto, e che quindi i ministri dell'Estero dei rispettivi paesi sarebbero andati a Berlino per ivi discutere col Presidente del Gabinetto Prussiano i mezzi propri a rendere le basi convenute accettabili alla Confederazione del Nord.

Egli però nell'espTimermi quella sua speranza di prossima intelligenza tra i Governi meridionali mi lasciò intravedere che la Baviera si mostrava assai meno facile e condiscendente anche del Wilrttemberg; ma egli è d'avviso che ciò non pertanto l'accordo su basi larghe e generali non è impossibile, e che, se su queste basi larghe e generali la Baviera consentirà a farsi rappresentare in Berlino, sarà in ultima analisi o condotta ad accettare quanto sarà dagli altri proposto od accettato, o si vedrà relegata in un pericoloso isolamento.

Chiesi al mio illustre interlocutore quanto di vero vi fosse nelle rivelazioni fatte dal Badische Beobachter del mattino, a proposito di una nota diretta sotto la data 6 cadente dal Principe di Hohenlohe ai Gabinetti degli altri tre Stati meridionali, nella quale le seguenti opinioni sono espresse: «essere impossibile la durata nello stato attuale della Germania meridionale: non potere essere questione, dal punto di vista di una pratica politica, dell'entrata dei paesi meridionali Germanici nella Confederazione del Nord. Perché, da una parte, il Gabinetto di Berlino è deciso a non accostarsi ad una tale combinazione, sulla considerazione che la riduzione in atto di siffatta idea avrebbe per immediata conseguenza una guerra colla Francia, e per l'altra parte perché la Baviera pure, come il Ministro Bavarese espressamente dichiara, non potrebbe mai decidersi ad entrare in detta Confederazione accettandovi una posizione pari a quella che, in forza delle circostanze, fu accettata dalla Sassonia. In questo stato di cose il Ministro Bavarese pensa, l'unica via possibile a seguire essere quella che gli Stati meridionali anzi tutto s'abbiano a mettere d'accordo sopra una base comune sulla quale si possano attivare quei negoziati che valgano a rannodare, conformemente alla riserva contenuta nel Trattato di Praga, i rapporti nazionali fra il Sud della Germania e la Nordica Confederazione».

n Barone Freydorf, che non aveva ancora avuto notizia di questa pubblicazione dei Badische Beobachter rimase non poco sorpreso da questa rivelazione, ed assenti che quel giornale non si scostava dal vero né in riguardo alla data, né sul merito dei passaggi più salienti della nota bavarese. Gli domandai se H Wilrttemberg avesse accettato i principj del Principe di HohenIohe, giusto quanto la voce ne era corsa in questi ultimi giorni. Il Ministro

Granducale senza rispondere direttamente a questa mia domanda, mi disse che la condotta del signor VarnbUler non lasciava più nulla a desiderare. ch'egli si era pienamente convertito, e che fra il Governo Badese ed il Wurttemberghese non correva pel momento la menoma discrepanza di viste e di opinioni.

Io tentai di sapere da S. E. se veramente tra Baden, Stoccarda e Darmstadt esistesse perfetta intelligenza e su quali basi, il Barone mi rispose: «que quelques petites nuances pouvai:ent encore ètre observées: nuances se rapportant à des sujets d'une importance secondaire, et qu'il avait lieu de croire que ces nuances s'effaceraient bientòt '>.

Quanto alle basi poi non mi fu dato saperne altro, senonché era nel voto concorde di questi Governi di avere un Parlamento solo, quello cioè della Confederazione del Nord, cui mandare i loro rappresentanti.

Il Ministro Granducale mi disse che dovevano quanto prima incominciarsi le trattative per la costituzione del nuovo Zollverein, e ch'egli nutriva speranza che queste trattative relative alle condizioni materiali ed economiche della Germania avessero potuto facilitare la via a tutte quelle altre di ordine politico. « Toutes ces négociations, mi disse egli, meme celles relatives à l'unité du Parlement ne sortent pas du cercle des affaires intérieures; il nous est dane permis de croire que les Puissances n'aient pas à y trouver un sujet d'immixtion >>.

È giunto 11 nuovo Ministro di Francia Conte di Mosbourg in compagnia del suo predecessore Marchese di Cadore, destinato a Monaco. Essi furono ambedue ricevuti in udienza solenne da S. A. R. il Granduca, il 25 corrente, ed ebbero l'onore di rimettere le rispettive loro credenziali.

La nomina del Marchese di Cadore alla Corte di Baviera ha dato origine nel corpo diplomatico qui residente a varie congetture le quali sono di certo poco favorevoli alle apparenti disposizioni pacifiche della Francia. Io ho avuto l'occasione di vedere il Marchese di Cadore, e di intrattenermi seco lui assai lungo tempo. Nulla traspirò, dal contesto della nostra conversazione, di natura a convalidare il sospetto ch'egli possa aver istruzioni di recarsi a Monaco per ivi seminare la zizzania tra gli Stati del Sud, ed ispirare il coraggio della resistenza all'attrazione esercitata dalla Prussia, e dalla Confederazione del Nord. Ciò nonpertanto è sorto il sospetto (né mi pare di troppo infondato) tra i diplomatici in Carlsruhe, non meno che nelle aule ministeriali, che la rimozione per parte del Governo Francese del Barone aes Mélolzes <Ial posto ,<Il Monaco a causa di inettitudine, e la fattagli sostituzione del Marchese di Cadore, uomo dotato di intelligenza e mezzi non comuni, intimamente iniziato ai segreti del Gabinetto Imperiale, possa avere in mira il dare più saldo appoggio in Baviera al partito dinastico-cattolico, e scavando il terreno sotto ai piedi del Principe di Hohenlohe, facilitare l'installazione di un nuovo Ministero, inclinevole all'Austria, e preparare la via ad un'alleanza intima tra quest'ultima potenza, Baviera e Francia, in vista di eventualità di cui si vuoi prevedere lo sviluppo nella prossima primavera.

Nel farmi interprete di questi sospetti presso l'E. V. io adempio non solo all'obbligo di cronista, ma ben anche a quello di ragguagliarla sulle circostanze che hanno promosso il cambiamento da Carlsruhe a Monaco del Marchese di Cadore, e chiamare la di Lei particolare attenzione sull'attitudine che verrà colà presa dal nuovo Ministro di Francia.

Non credo dover omettere di far comunicazione all'E. V. del seguente arti

colo della Gazzetta di Carlsruhe di avanti jeri, abbenché esso si riferisca a

confutazione di notizie che per la loro stranezza non hanno trovato gran cre

dito nel pubblico.

«Noi abbiamo già a più riprese dovuto, dice la Gazzetta di Carlsru, rendere avvertiti dal modo affatto strano e con quale disprezzo di ogni verità od anche soltanto di ogni probabilità, sono fabbricate e sparse mediante telegrammi di giornali (frequentemente da Parigi) notizie a sensazione, le quali non possono che contribuire ad eccitare il pubblico, ignaro dei veri rapporti esistenti. Oggi ci si presentano due di tali comunicazioni. L'una parla di una protesta del Governo Imperiale francese contro una occupazione della fortezza di Rastatt per parte di truppe prussiane; l'altra conosce trattative condotte per una cessione del Granducato alla Prussia. In vista della goffaggine di tali invenzioni, noi possiamo tanto più disperarci di una ulteriore confutazione, inquantoché la esperienza ci insegna, che gli organi dei partiti avversi al Governo Granducale non si lasciano ,punto frenare dalle formali smentite, che colpiscono cotali invenzioni, dal propagarle, e dal manifestarle ».

541

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI CAMPELW, AL MINISTRO A LONDRA, D'AZEGLIO

D. 32. Torino, 29 maggio 1867.

Ho ricevuto il Dispaccio del 25 maggio n. 269 Serie Politica (l), col quale Ella mi riferisce ciò che Le fu detto da lord Stanley sul proposito in cui sarebbe ora venuto il Governo Britannico di rientrare nel Concerto europeo per le cose di Oriente, appoggiando il progetto messo innanzi dalla Francia e consistente in consigliare alla Sublime Porta la concessione di un'amminlstraZ!i.one separata, ovvero di una specie di autonomia all'Isola di Creta.

Noi non possiamo che rallegrare! di questa determina~ione del Gabinetto Inglese, la quale risponde perfettamente alle idee da me svolte nel dispaccio che Le ho diretto per mezzo del signor Malvano. A noi pa,re che una proposta basata sull'autonomia dell'Isola quando venisse appoggiata a Costantinopoli da tutte le Potenze garanti avrebbe molto maggior probabilità di riuscita dell'altra assai più radicale e finora invano tentata dai rappresentanti europei senza la cooperaZ!i.one dell'Inghilterra. Questa proposta, come Ella ben conosce, consisteva nel consigliare il Sultano a lasciar decidere dagli stessi Cretesi, per mezzo di un plebiscito, sulle sorti future del loro paese.

Ella quindi potrà assicurare lord Stanley che noi ci associeremo volentieri al nuovo progetto, il quale vogliamo sperarlo, non susciterà invincibile ripugnanza da parte del Governo Ottomano.

Se non che stimo utile avvertirLa sin da ora che alcune non lievi difficoltà potrebbero attraversarne l'attuazione.

Principalissima fra esse, per tacere delle altre, sarebbe quella proveniente dal fatto che la popolazione di Greta si compone di circa 200 mila cristiani e di meglio che 100 mila musulmani. Da ciò sorgerebbe ostacolo grave non solo per la nomina del Governatore, ma ancora per la formazione dell'Amministrazione cui non sarebbe possibile dare un colore del tutto speciale sia in un senso, sia nell'altro. Né si potrebbe ricorrere all'espediente della separazione quaie fu adottato pel Libano, dappoiché le diverse razze, a differenza di ciò che accade nella Montagna, vivono in Creta intieramente frammiste e confuse fra loro.

Dobbiamo dunque aspettarci a veder affacciate sin dalle prime, da pa.rte della Sublime Porta, siffatte difficoltà, epperò non sarebbe superfluo il preparare! a ribatterle in tempo, se vi fosse modo di farlo utilmente.

Lascio, signor Marchese, al suo accorgimento la scelta deH'occasione più opportuna che Le si presenterà per intrattenere Lord Stanley di si interessante soggetto, come ancom la cura di riferirmi poscia quanto Le verrà da S. S. manifestato a tal proposito.

Per sua confidenziale informazione reputo da ultimo utile cosa H mandarLe copia di un dispaccio del R. Incaricato d'Affari a Pietroburgo relativo pur anca alla fase attuale della questione d'Oriente (1).

(l) Cfr. n. 535.

542

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI CAMPELLO, AI MINISTRI, A LONDRA, D'AZEGLIO, E A PARIGI, NIGRA

D. (2). Torino, 30 maggio 1867.

L'Incaricato d'Affari di Sua Maestà in Pietroburgo mi informa per via telegrafica che l'Austria sarebbe disposta ad associarsi al proposto passo collettivo da farsi presso la Sublime Porta a condizione però che se esso sortisse un esito felice non si dovesse ricorrere tn Candia all'applicazione del suffragio universale ma invece ad una inchiesta europea diretta ad accertare quali siano i veri voti della popolazione dell'Isola e in tal caso pare che l'Inghilterra si risolverebbe a prendere parte a tale inchiesta.

La Russia però è d'opinione che sarebbe mestieri innanzi tutto procedere al progettato passo collettivo e dopo la risposta della Porta decidere sul da fare.

Noi veramente non sappiamo renderei ben ragione del contegno che serba l'Austria nella presente congiuntura. Ella ben s•a, Signor Ministro, come il dispaccio identico combinato fra i Governi Imperiali di Francia e di Russia ad altro non mirasse se non a rinnovare in modo più solenne la domanda già precedentemente diretta dai rappresentanti europei al Governo Ottomano nello scopo di ottenere che fosse convocata la popolazione cretese, per mezzo di un plebiscito, ad esprimere i suoi voti sulle future sorti dell'isola.

Ora posciaché questo non si vorrebbe, non si comprende come l'Austria possa consentire ad associarsi ad un tal passo; e perché essa non proponga in

cambio francamente ed unicamente la domanda di una inchiesta alla quale sappiamo esser l'Inghilterra disposta ad aderire. Dal mio dispaccio di ieri (l) Ella avrà scorto quali siano le mire del Governo del Re nella presente questione.

Noi siamo convinti che la domanda di un'inchiesta nell'attuale condizione di cose avrebbe maggior probabilità di successo soprattutto se venisse appoggiata anche dalla Gran Bretagna e fosse quindi attuata di accordo col Governo turco. Essa riuscirebbe poi di più pratica utilità se dopo l'esame coscienzioso dello stato di Candia, de' veri bisogni della popolazione e de' rapporti delle diverse razze fra loro, dovesse scaturirne come conseguenza lo stabilimento dell'autonomia amministrativa dell'Isola sotto la dipendenza della Sublime Porta.

(l) -Lo stesso 29 maggio venne inviata a Nigra copia di questo dispaccio perché si valesse delle osservazioni in esso contenute ove Moustier lo interpellasse in proposito. (2) -Il dispaccio venne inviato a Londra, col n. 33 e a Parigi col n. 242.
543

IL MINISTRO A VIENNA, DE BARRAL, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI CAMPELLO

R. 45. Vienna, 30 maggio 1867 (per. il 2 giugno).

La lettre que Kossuth vient d'écrire à M. Deak pour lui reprocher la conduite qu'il a tenue dans le rapprochement de la Hongrie avec l'Autriche n'a produit aucun effet et a été regardée par tout le monde camme un véritable anachronisme. Le célèbre patriote a été évidemment mal renseigné sur la situation de san pays et n'a pas compris qu'en obtenant après vingt années de lutte tout ce qu'elle avait demandé, la Hongrie a le plus grand intért\t maintenant à rester unie à l'Autriche qui, dans le nouveau systéme des grandes agglomérations Européennes, lui sert de point d'appui et devient mt\me pour san existence un élément de sécurité.

C'est bien ainsi que I'ont compris le anciens partisans de Kossuth qui pour la plusart siègent aujourd'hui dans le Parlement de Pesth, et qui, pour donner un éclatant démenti aux appréciations surannées de leur ancien Chef sur M. Deak, ont accueilli ce dernier par de bruyantes acclamations au moment où, quelques instants après la publication de la fameuse lettre, il se présentait devant l'Assemblée.

544

IL CONSOLE GENERALE A BELGRADO, SCOV ASSO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI CAMPELLO

ANNESSO CIFRATO (2). Belgrado, 30 maggio 1867.

Je savais déjà que le bruit répandu que le Prince Michel avait obtenu l'administration de la Bosnie était faux, cependant aussitòt reçu la dépt\che chiffrée de V. E. (3) j'ai interpellé Garachanine. Il m'a répondu: un de vas collègues

m·a déjà questionné sur ce sujet, je me suis borné à lui dire que quant à moi je n'avais fait aucune démarche pour obtenir le gouvernement de la Bosnie, que j'ignorais si le Prince en avait fait lorsqu'il était à Constantinople, mais à vous je ne vous parlerai pas en Ministre mais en ami. Cette idée m'est passée un moniment par la téte, ma,is je ne lui ai donné aucune suite, ni moi ni le Prince, nous n'avons fait la moindre démarche dans ce but. Donc la nouvelle donnée par les journaux n',a aucun fondement, c'est un faux bruit et rien autre. Pour ce qui regarde nos relations avec le Monténégro elles sont bonnes, mais elles pourraient étre meilleures. On a tout fait auprès du Prince Nicolas I pour le brouiller avec nous, pour le déta,cher de notre alliance (1), mais ils n'ont réussi jusqu'ici qu'à le refroidir. La malheureuse perte que nous venons de faire dans

M. Lechanin m'a obligé d'appeler auprès de moi M. Pirociana mais bientòt j'enverrai un autre Secrétaire de ma confiance à le remplacer auprès du Prince Nicolas I. Une preuve que le Prince Nicolas I n'est pas détaché de nous c'est qu'il m'a écrit l'autre jour pour consulter s'il ferait hien d'envoyer une Commtssion à Constantinople pour demander au Sultan la cession d'un petit port sur l'Adriatique (2).

Je lui ai demandé s'il approuvait cette démarche, et j'ai cru pouvoir comprendre qu'il ne la désapprouvait pas.

J'ai eu cet entretien téte à téte en langue serbe qui ne m'est pas trop iamilière, cependant je crois d'avoir bien compris et exactement rapporté cette conversation.

Garachanine fera tout son possible pour retenir Nicolas I dans l'alliance Serbe. Du reste, comme j'ai déjà eu l'honneur de le dire dans mon rapport chiffé du 26 courant (3), il parait que le Prince Nicolas I est d'un caractére impressionnable et il croit facilement aux bruits méme les plus absurdes, mais le peuple du Monténégro est pour l'alliance Serbe. C'est la Serbie qui lui a fourni de l'artillerie, des fusils, des instructeurs pour sa petite armée, il n'y a qu'un mois que 5000 fusils sont arrivés au Montenegro, envoyés par le Prince Michel.

Cantacuzène, l'Agent Roumain à Belgrade, n'a pas pu faire grande chose auprés du Pince Nicolas I, car comme on lui prétait, à tort ou à raison, l'intention d'appuyer la politique du Consul de France, l'agent Serbe a préparé le Prince Nicolas I de manière à ce que les insinuations que l'Agent Roumain aurait pu faire n'eussent pas d'influence sur l'esprit du Prince, sans compter qu'il a été très bien surveillé.

J'ai cru pouvoir comprendre par quelques mots échappés à l'Agent Roumain que son Gouvernement aurait eu et aurait peut-étre encore la velléité de se mettre à la téte du mouvement roumain-slave contre la Turquie. Cela justifierait, si la chose éta1t vraie, les craintes qu'on avait sur sa mission au Monténégro, et ça prouverait en méme temps que le Gouvernement Roumain s'il manque de toutes les qualités et de tous les moyens nécessaires et méme du bon droit pour une pareille entreprise, il ne manque pas d'ambition. Les

Roumains doivent penser à se bien diriger eux memes, s'ils y parviendront ce sera un véritable miracle, ainsi qu'à resserrer les liens d'amitié qui les rattachent aux Slaves de l'autre còté du Danube, chaque race doit diriger, selon moi, son mouvement, seulement il faut que les trois races (l) agissent d'accord.

Il me revient de très bonne source que le ,parti national de la Croatie s'est définitivement entendu avec la Serbi e; que Garachanine aurait conseillé aux Croates à ne pas s'unir à la Hongrie, et en meme temps il leur aurait promis l'appui de la Serbie en cas d'une collision avec les Hongrois. En outre il aurait fait espérer qu'en attendant il s'occuperait à faire éclater une révolut'on en Bosnie. Je ne puis pas vous assurer que tous ces renseignements soient parfaitement exacts, le Ministére m'ayant òté les moyens que j'avais de puiser mes informations à source certaine en me refusant à l'avenir les 1000 francs pour dépenses secrètes qu'il m'a payé annuellement depuis que je suis à Belgrade jusqu'à la fin de l'année dernière.

Le pian de Garachanine consiste à faire éclater d'accord avec Ies nombreux Croates une révolution en Bosnie et en Herzégovine moyennant le concours de volontaires et la distribution d'armes et d'argent. Les insurgés demanderaient d'etre administrés au nom du Sultan par le Prince Miche!. L'lnsurrection serait entretenue secrètement aux frais de la Serbie, et la Serbie bien armée, bien préparée, se tiendrait prete pour offrir à un moment donné, sa médiation à la Turquie. Si la Turquie l'accepte à la condition que le Prince Miche! soit nommé Gouverneur de ces Provinces, ou de la Bosnie seulement, bien; en cas contraire la Serbie prendra ou ne prendra pas, selon les chances favorables qu'il y aura, falt et cause pour la révolution. Ce plan aurait trois bonnes còtés: le premier, de ne pas entamer l'Empire Ture; le deuxième que la Serbie pourrait faire d'une manière plus efficace la propagande nationale parmi les Serbes Musulmans et Catholiques de ces pays là en leur donnant des gages de liberté religieuse et en les appellant aux emplo's de l'administration, enfi:n fraternisant avec eux; le troisiéme qu'il serait bien plus difficile que ces pays tombassent au pouvoir de l'Autriche, d'autant plus que si le Gouvernement Autrichien voulait les conquér~r par les armes il aurait contre lui, dans le cas que l'état actuel des choses n'eut pas été modifié, les Slaves et les autres Serbes de la frontiére militaire.

Il reste à savoir si ce plan est vraiment celui de Garachanine, comme j'ai lieu de croire, et s'il pourra réussir. Le Consul Autrichien surveille avec inquiétude le Gouvernement Serbe.

Dans tous les cas les dissentions des Magyares et des Croates et des Serbes autrichiens affai:blissent la force de l'Empire, car si le Gouvernement Autrichien laissait subsister cet état de choses, il est sur qu'en cas de guerre contre une puissance quelconque, cette puissance trouvera dans le mécontentement des yougo-slaves autrichiens un puissant allié contre l'Autriche.

Ici on se préoccupe beaucoup de 2 ou 3 officiers supérieurs et un Capitaine Russes qu'après avoir bien inspectionné la forteresse, toutes les casermes et l'académie de Belgrade, deux ou trois d'entre eux ont voyagé et voyagent encore actuellement dans l'intérieur du pays. Celui qui paralt s'en soucier de plus

c'est mon collègue d'Autriche. Du r~::ste, selon moi, il est impossible que ces officiers n'ayent pas une mission en Serbie, et je serais presque tenté de croire à ce qu'une personne vient de me dire: que le Prince était décidé d'organiser l'armée régulière, dont les cadres sont loin d'étre au complet, que des décrets qui devaient préluder à cette mesure avaient été déjà présentés à la signature de Son Altesse, mais lorque les Officiers Russes sont successivement arrivés à Belgrade, les décrets n'ont plus été signés et l'organisation de l'armée a été contremandée.

On avait aussi l'intention d'appeler au Service Serbe une dizaine de SousLieutenants et Lieutenants Slavons, et on avait alloué à cet effet dans le budget de la guerre, que le Sénat avait approuvé, une somme de 8000 francs, mals maintenant on n'en parle plus. On prétend méme que le Prince en cas de besoin il préférerait mieux avoir dans l'armée les Officiers Russes que (dit-on) le Gouvernement du Czar lui offre, que des officiers Grenzer. Je ne puis pas vous assurer que tout ceci soit bien exact. Je me borne pour le moment à soumettre à V. E. ce que la dite personne m'a dit, car, quoique je la sache bien renseignée, n'étant pas arnie des Russes, elle pourrait s'exagérer les choses, me réservant de mieux informer V. E.

Je sais d'une manière positive que Garachanine a conseillé au Prince de profiter de l'occasion de son voyage à l'étranger pour faire une visite à l'Empereur des Français lorsque les Empereurs seront partis de Paris, mais le Prince n'a encore rien décidé.

Le Consul d'Autriche a été chargé, il y a quelque temps, par M. de Beust de démentir auprès du Gouvernement Serbe les bruits qu'on avait répandus sur les prétendues ambitions de l'Autriche en Orient. Le Consul Général Autrichien a donc du se démentir lui méme, car c'est lui. Quant au premier a dit tout le monde ici qu'il fallait à l'Autriche la Bosnie et méme l'Herzégovine, et q'elle n'auralt jamais permis que ces provinces tombassent au pouvoir d'aucun autre.

(l) -Cfr. n. 535. (2) -Al r. 10. non pubbllcato. (3) -Non pubblicato ma cfr. n. 532. (l) -C'est le Consul de Fr"nce à Scut~>ri qui, ù ce qu'il parait, à le plus travaillé dans ce but. [Nota del documento]. (2) -Je pense qu'il s'agit d'une petlte anse près de Cattaro, ou m~r.-1e des bouches de Cattaro. [Nota del documento]. (3) -Non pubblicato.

(l) Les Roumains, !es Serbes et !es Grecs. [Nota del documento].

545

IL MINISTRO A LONDRA, D'AZEGLIO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI CAMPELLO (Ed. in italiano in L V 11, p. 87)

T. 365. Londra, 31 maggio 1867, ore 20,40 (per. ore 23) (1).

L'échange des ratifications a eu lieu aujourd'hui à cinq heures.

546

IL MINISTRO A BERLINO, DE LAUNAY, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI CAMPELLO

R. 29. Berlino, 1° giugno 1867 (per. il 6).

Dans le second entretien que j'ai eu avec le Prince Gortschakoff à Potsdam, il m'a fait des éloges sur la manière dont le Marquis Incontri remplissait ses

fonctions intérimaires. S. E. s'est également montrée parfaitement satisfaite de notre attitude dans les affaires orientales, et Elle espérait que nous continuerions à marcher d'accord.

Elle avaint reçu la nouvelle que, gràce aux remontrances de la Russie, l'internonce d'Autriche se joindrait à la démarche de notes identiques que les représentans de l'Italie, de la France, de la Prusse et de la Russie sont déjà autorisés à remettre à la Sublime Porte. Rien ne sera changé aux termes du projet de note rédigé par le Cabinet des Tuileries. Seulement il serait entendu qu'il ne s'agirait pas de consulter, tout d'abord au moins, les populations au moyen d'une votation, mais de procéder à une enquete européenne. Celle-ci serait confiée à des délégués nommés par chacune des Puissances. Le Vice-Chancelier nous recommandait vivement de faire choix d'une personne active et intelligente, parfaitement à méme de reconnaitre sur place l'état réel des choses. Comme de raison les Ministres à Constantinople, et moins encore les Ambassadeurs, ne sauraient étre chargés de ce soin. Il m'a été demandé en méme tems si je pouvais préjuger quel serait l'élu de :B'lorence.

Il ne m'appartenait pas de dévancer les intentions de V. E. J'ai cependant dit que dans les rangs de notre diplomatie il y aurait plus d'un candidat, entre autres le Chevalier Blanc et le Comte Tornielli parfaitement aptes à s'acquitter d'une mission aussi délicate.

L'Angleterre persiste à vouloir se tenir en dehors de cette démarche. Mais en présence de la résistance que rencontre méme Omer Pacha, on est un peu ébranlé à Londres. On commencerait à s'y rendre compte du mal profond qui règne dans les populations de la Crète et de l'urgence d'y appliquer un remède. Le langage de M. Erskine a Athènes, lors meme qu'il ne prétend exprimer que des vues personnelles prouve déjà un certain revirement d'opinions. Il commence à admettre, comme nous, la nécessité d'une cession de l'ile de Candie au Royaume Hellénique. Il y mettrait cependant une double condition. Celle que ce territoire fù.t acheté au Sultan, et celle d'une garantie contre tout soulèvement en Epire et en Thessalie, soulèvement qui, le cas échéant, devrait etre réprimé par les Puissances garantes. Son collègue, M. Novikoff ne pouvait à moins que de combattre ces idées. En effet les dévastations opérées par les Tures ne représentaient-elles pas un capitai supérieur à un prix d'achat; et les Etats Chrétiens pourraient-ils s'engager à canonner des coréligionnaires?

«Le fait est, ajoutait le Prince Gortschakoff, que chacun devrait se rendre à notre manière de voir. La cession de Candie à la Grèce se présente comme une nécessité, si l'on veut apaiser les esprits des populations en Orient, prévenir de nouvelles révoltes et laisser quelque loisir à l'Europe pour s'occuper à concilier le maintien de l'Empire des Ottomans avec le bien-etre et la sécurité des autres races. Tant que le sang coule, il est assez mal aisé de travailler à téte reposée aux différents plans de réformes qui sont déjà sur le tapis. En attendant jusqu'à ce qu'on en produise de meilleurs, nous croyons que le nòtre devrait avoir la préférence. Notre mémoire transmis à tous les Cabinets,

esquisse en traits généraux l'ensemble des mesures réclamées par la multiplicité et la complexité des intéréts qu'il s'agit de concilier. Nous op:nions qu'il faudrait décentraliser l'administration, et organiser l'existence parallèle des Chrétiens et des Musulmans, sans les sacrifter les uns aux autres etc. etc. C'est là, je le sais, un travail de longue haleine et dont je ne verrai probablement pas le terme. Mais si l'on veut arriver à quelque chose de pratique, il faut enfin sortir des phrases vagues. Que chacun formule hautement ses propres idées et les souttenne. On verra du moins quelles sont les Puissances qui auront le courage de leur opinion, et si parmi ces Etats il en existe qui ne prechent que du bout des lèvres les progrès de la civilisation. Je ne sais si à Paris, à còté du langage otllciel, on nous fera quelques confidences. Mais j'insisterai pour une entente entre toutes les Puissances. Je regrette méme que ma présence ne coincide pas avec celle de Fuad Pacha qui certes ne manque pas d'une certaine élévation d'idées et de vues. J'aurais été bien aise de lui développer mes principes, et de chercher à le persuader en faveur d'un système d'amélioration dont le besoin se fait de plus en plus sentir».

Le Vice-Chanceller m'a aussi parlé des fautes commises par Lord Stanley qui, par ses prétentions au dernier moment encore, a failli compromettre la paix entre la Prusse et la France. Sans la Russie, ces deux Puissances dégainaient. C'est aussi le Cabinet de Saint Pétersbourg qui a réparé l'étrange manque de tact de la Cour des Tuileries qui voulait elle-méme ftxer les plans de voyage de l'Empereur Alexandre et du Roi Guillaume, et leur interdire en quelque sorte de paraitre simultanément à Paris. On semble s'y étre donné le mot pour entasser erreurs sur erreurs, maladresses sur maladresses.

Bref le Prince paraissait extrémement content de l'action de la diplomatie Russe. Je crois méme qu'il a répété le mot de Voltaire: «La lumière nous vient du Nord!». Mais ce sentiment de propre contentement enlevait peu ou rien à san ancienne déftance contre le Cabinet Français. Et s'il faut tenir compte du jeu des passions humaines, et de son contact journalier à Paris avec le Baron de Budberg, plutòt enclin à faire certaines concessions aux idées françaises, et dans la personne duquel il voit un successeur, par esprit d'opposition il se tiendra sur la réserve. Pour qu'il levàt les écluses il faudrait que l'Empereur Napoléon fit miroiter à ses yeux une révision des Traités de 1856, Mais il est peu probable que Sa Majesté s'expose à exciter les ombrages de l' Angleterre.

Les dispositions du Roi de Prusse et du Comte de Bismarck qui partent décidément le 4 ou le 5 courant, sont encore moins conftantes. De part et d'autre, on cherche à sauver les apparences, mais la paix de Londres n'est encore que la tréve de Paris.

Le Tsar et son Ministre seraient de retour à Potsdam le 15 de ce mois, et ne s'y arréteraient que deux jours. Le Roi de Prusse les y precédera pour en faire nouvellement les honneurs à son Auguste Neveu.

Le Vice-Chancelier espérait que je reviendrais à Saint Pétersbourg pour présenter mes lettres de rappel. ll m'a une fois encore interpellé sur le voyage de Monselgneur le Prince de Piémont. Je n'ai rien pu lui répondre de positif.

(l) Il telegramma fu trasmesso al Ministro degli Esteri a Torino il l o giugno.

547

IL MINISTRO A LONDRA, D'AZEGLIO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI CAMPELLO

R. 716/272. Londra, 1° giugno 1867 (per. il 7).

Dopo aver presa conoscenza del dispaccio Serie Politica N. 29 (l) recatomi dal signor Cavaliere Malvano mi parve preferibile invece di andarlo a leggere a lord Stanley di portarlo io stesso al Sotto-Segretario Hammond onde potesse consegnarlo al Ministro degli Esteri dopo presane lettura.

Ieri lo scambio delle ratiftche ed altre occupazioni urgenti l'impedirono ricevermi. Presi appuntamento per questa mattina, e cosi differii la partenza del Cavalier Malvano onde potesse portare questo mio rapporto confidenziale. Questo mi pose altresì al caso di ricevere il dispaccio politico s.n. del 29 maggio (2) che era utile molto per interpretare l'altro.

Diffatti lord Stanley all'esordire della nostra conversazione mi disse che tuttoché gli paresse poter concorrere con il contenuto del dispaccio che gli aveva lasciato mi osservò che era un po' indefinito né sapeva dopo averlo letto esattamente cosa s'intendesse proporre.

Gli risposi che l'oggetto proposto era che l'Italia e l'Inghilterra cercassero coll'intendersela sopra un'azione comune di mantenere la questione d'Oriente in una via, bensì di progresso, ma non di turbamento.

I nostri due paesi avevano interessi possibili e gravi da custodire in Oriente. Ma altri Gabinetti vedevano nelle future complicazioni elementi di annessioni che non esistevano né per parte d'Inghilterra né per parte nostra.

Due gran paesi potevano unendo l'azione loro interporsi utilmente onde neutralizzare intrighi e impedire spoliazioni.

La Russia non occorreva parlarne ed era forse la Prussia disposta a chiuder l'occhio per altre viste sue speciali. L'Austria idem e forse la Francia non crederebbe per la sua politica dover mostrarsi troppo puntigliosa. Rimanevan dunque l'Inghilterra e l'Italia le quali avevano come dissi interessi anche loro ma non desiderj di conquista. Questi interessi erano per esempio l'indipendenza d'Egitto per una parte e per noi il vigilare che in questi ignoti destini che tendevano a compiersi in Oriente nulla sorgesse che potesse ledere questioni vitali per noi; e tra le altre per esempio se la Russia avesse voluto signoreggiare sul Bosforo non pretendesse poi signoreggiare sul Mediterraneo ed Adriatico e via dicendo. Dunque l'oggetto che si proponeva V. E. era che due potenze poste in condizioni comparativamente disinteressate o almeno interessate alla pace agissero d'accordo.

Avendo risposto così al primo quesito gli dissi conveniva rispondere pure a quello di V. E. e se mi permetteva gli direi come intendessi farlo nel presente dispaccio.

V. E. desiderava conoscere le ragioni della politica d'astensione in Oriente. Queste ragioni aveva soventi cercato spiegarle a Firenze onde lord Stanley mi correggesse se sbagliavo.

L'Inghilterra vuol astenersi dall'unirsi a certe iniziative che non si sa dove vadano a finire. Essa ha in Oriente certi interessi definiti e impreteribili. Ma son pochi. E per molti altri non sparerebbe un colpo di cannone, contentandosi dire agli altri che fanno male e avranno a pentirsene e che essa vuol starsene in fuori. Molte note, proposte, inchieste e conferenze si sa come principiano, ma poi sono o aborti con figura ridicola oppure per non essere ridicoli conviene essere imperiosi.

Onde ne viene una guerra in cui s'ha involontarj a prender parte mentre da principio credevasi dar consigli. Era questa cagione principale della ritrosia inglese.

Lord Stanley mi disse che ragionavo benissimo. V'aggiungessi poi la questione del diritto internazionale, la necessità di rispettare l'altrui indipendenza e s'avrebbe il caso completo. Egli aggiunse che vedeva da questo paese stesso quanta difficoltà vi fosse a governare con elementi indigeni. Era dunque cosa impossibile se si ammetteva l'esistenza dell'Impero Ottomano che si volesse pretendere di governarlo col mezzo d'un consesso d'Ambasciatori o discordi nelle loro viste o superficialmente conoscendo i meriti delle questioni. E si vedeva anche qua dai strafalcioni che dicevano certi ambasciatori che avrebbero pur dovuto conoscere l'Inghilterra quanto difficile fosse a un forestiero il cavarsela in questioni interne di un paese. Mi citò l'esempio d'un mio collega che gli diceva che un gran progresso per l'Inghilterra sarebbe quando un Ministro potesse prender parte ai dibattimenti della Camera anche ove non avesse riuscito a farsi eleggere. Mentre qua una simile proposizione fa l'effetto d'un blasfema costituzionale. Dunque governar Costantinopoli con diplomatici esteri era illusione. Anzi l'Inghilterra ammetteva talmente l'indipendenza del Sultano che era sempre condizione sine qua non che il Sultano fosse libero di ricusar qualunque proposta gli venisse fatta da una Conferenza o dai Governi ed anzi potesse opporsi alla Conferenza stessa. Se dunque parlavamo d'inchieste etc. dovevasi prima ottenere l'assenso del Sultano. Rispondevasi che questa prima condizione era come annullare qualunque speranza di riforma. A questo non poteva dir di no, ma non poteva che sperare che nel proprio interesse il Sultano non avrebbe ricusati buoni consigli non sentendosi coatto.

Allora diedi a lord Stanley verbalmente una traduzione del dispaccio s.n. del 29 maggio ricevuto jeri sera e che spiega molto più praticamente il concetto di V. E.

Lord Stanley prese in nota un sunto esatto del dispaccio che mi lesse dopo.

Osservò che quello che V. E. indicava come un rientrare nel concerto Europeo nella questione d'Oriente e pareva indicare un ravvedersi per parte dell'Inghilterra non era che un ritorno delle potenze e soprattutto la Francia alle idee anteriori.

Risposi che V. E. non poteva aver inteso altrimenti poiché esattamente io lo aveva tenuto al corrente di questo modo di vedere.

Ripeté a un dipresso quanto m'aveva detto e già scrissi a V. E. sull'inchiesta e sul doversi definirne l'oggetto onde pare da quanto anche mi disse l'Ambasciatore di Francia che non siasi fatto un passo avanti. Apprezzò anche molto il modo di vedere di V. E. e la cura presa di segnare gli ostacoli che potran

nascere e che erano verissimi. Ragionò sulla gran difficoltà che s'avrebbe per

sino per organizzare questo governo autonomo. Ma non indicò precisamente

un rimedio. In somma egli mi autorizzò a esprimere a V. E. la soddisfazione

che aveva provata per le proposte d'andar d'accordo che ero stato incaricato

esporgli e parve dispostissimo a discutere quei progetti che le circostanze po

trebbero far nascere. Ma per ora gli parve che fosse bene che per esempio il

Governo francese esponesse ora prima di tutto cosa intendesse fare esaminare

dall'inchiesta e come i Turchi ne formerebbero una principalissima parte non

v'era a dubitare che si proporrebbero questioni accettate da loro.

Egli non parve interamente d'opinione che l'Egitto fosse per cercar di rivendicare la sua indipendenza poiché disse che ,quest'indipendenza esisteva di fatto. Ma io gli feci osservare che appunto per questo poteva accadere che versando la Turchia in difficoltà il Pascià imitando gli altri spogliatori volesse dar un ultimo crollo stabilendo di diritto quello che forse esisteva di fatto. Ed allora l'Egitto con questa pretesa indipendenza diventerebbe stromento della Francia. Ergo questo non piacerebbe all'Inghilterra. Egli rispose che sicuramente l'indipendenza d'Egitto dalle Potenze Europee era parte fondamentale del loro credo politico. Ma non avevan difficoltà a lasciar che fosse terra neutra mantenuta dalle reciproche gelosie dei Gabinetti, e qualunque fossero per essere le sue relazioni col Sultano non gli importava molto.

Riguardo a Tunisi non aveva presenti le riforme che eran state in questi

ultimi tempi iniziate.

Ecco mi pare quanto si disse nel nostro colloquio questa mattina. Lord

Stanley non ha un piano definito né una proposizione speciale a fare. Bensì

è pronto a esaminare quelle che gli verran sottoposte e mostrasi disposto a

far la migliore accoglienza a quelle idee pratiche che venissero fatte da parte

nostra onde impedire la questione d'Oriente di turbare la pace d'Europa.

P. S. Accuso pure ricevuta degli estratti della corrispondenza diplomatica statimi da codesto Ministero inviati dal N. 51 all'86 inclusivamente.

(l) -Cfr. n. 533. (2) -Cfr. n. 541 che però reca Il numero 32.
548

IL MINISTRO A PARIGI, NIGRA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI CAMPELLO

R. 452. Parigi, 1° giugno 1867 (per. il 4).

Mi pregio d'accusar ricevuta dei dispacci di Serie politica che l'E. V. mi fece l'onore di dirigermi in data del 20, 27, 29 e 30 Maggio scorso (1), e dei loro annessi, e La ringrazio delle importanti comunicazioni in essi contenute.

Mi riservo di rispondere con dispaccio speciale a quanto l'E. V. mi fa l'onore di scrivermi sotto la data del 29 e 30 Maggio con dispacci di serie politica senza numero, intorno alla nuova fase in cui l'attitudine del Gabinetto inglese e quella dell'Austria potrebbero far entrare la questione dell'isola di Candia. Lo farò appena mi sarà stato concesso d'avere in proposito una Conferenza col Marchese di Moustier.

47 -Documenti diplomatici -Serie I -Vol. VIII

Mi servirò intanto dell'utile riassunto che l'E. V. mi spedì col dispaccio riservato n. 238 del 27 Maggio (1), intorno alla politica seguita dai Governo di Sua Maestà nelle cose d'Oriente per ben precisare nelle conversazioni che avrò l'occasione d'avere qui, le intenzioni e l'attitudine dell'Italia in questa difficile questione.

Non saprei dire finora se il soggiorno dell'Imperatore di Russia a Parigi possa avere qualche risultamento per una soluzione della questione orientale. Se si pensa alle offerte d'accordo fatte dalla Francia alla Russia nello scorso autunno, ed al freddo accoglimento ch'esse trovarono a Pietroburgo, se si pensa al numero grande di proposte messe in campo ora dalla Francia, ora dalla Russia, ora da altre Potenze con una facilità forse soverchia e finora con successo poco felice, quando infine si pensa alla molteplicità degli interessi messi in giuoco ed alle inestricabili difficoltà a cui dà luogo in tutto il Levante la miscela delle razze e delle religioni, veramente non par possibile il pronosticare che la volontà e l'accordo dei Sovrani che si troveranno riuniti a Parigi, anche quando questo accordo fosse perfetto, possano far scomparire ostacoli che hanno radice nella condizione intima delle cose e delle popolazioni d'Oriente.

Un risultato più probabile della contemporanea presenza a Parigi dei Sovrani di Francia, di Prussia e di Russia, sarà forse un riavvicinamento dei Gabinetti di Parigi e di Berlino che la questione del Lussemburgo aveva profondamente separato. Giova sperare che spiegazioni personali lealmente date e lealmente ricevute facciano scomparire molti malintesi e molte prevenzioni e lascino all'Europa bramosa di tranquillità l'assicurazione d'una pace durevole. L'Imperatore di Russia farà probabilmente buoni uffizii in questo senso. Induco ciò dalla circostanza che si fu principalmente in seguito al desiderio manifestato dallo Czar che l'Imperatore Napoleone s'indusse a consentire che il Re di Prussia arrivasse in Parigi contemporaneamente al soggiorno dell'Imperatore di Russia in questa città.

Se veramente, com'è da sperare, la presenza del Re di Prussia a Parigi produrrà un riavvicinamento tra la Prussia e la Francia, sarà questo il più grande risultato politico a cui avran dato luogo l'esposizione universale e l'arrivo contemporaneo in Parigi di tanti Sovrani e Principi.

(l) Cfr. nn. 524, 541, nota l, p. 675 e n. 542.

549

L'INCARICATO D'AFFARI A MONACO DI BAVIERA, CENTURIONE, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI CAMPELLO

T. 372. Monaco, 3 giugno 1867, ore 13,10 (per. ore 14,43).

Le prince Hohenlohe parti hier soir pour Berlin pour assister à une conférence des ministres allemands réunis sur invitation du comte de Bismarck dans le but d'arreter bases de la reconstitution du Zollverein avant départ de Bismarck pour Paris.

(l) Non pubblicato. Per la politica italiana in Oriente cfr n. 518.

550

IL CONSOLE GENERALE A TRIESTE, BRUNO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI CAMPELLO

R. CONFIDENZIALE S.N. Trieste, 3 giugno 1867.

Col mio riverente rapporto confidenziale del 27 maggio p.p. (l) io avea l'onore d'informare l'E. V. che, vedendo manifestarsi sempre più vivo il desiderio degli Italiani che fosse qui solennizzata la festa nazionale dello Statuto, lo aveva per evitare altre illegali ed inopportune dimostrazioni che si preparavano, preso il partito di domandare al Vescovo ed alla Luogotenenza l'autorizzazione necessaria per far celebrare una messa solenne. Il giorno successivo alla mia domanda S. E. il Luogotenente mi fece avvisare col mezzo del Segretario presidenziale che si autorizzava la funzione religiosa desiderata. Seppi poi indirettamente che il Barone De Bach ne aveva chiesto ed ottenuto il consenso da Vienna. Questa funzione fu celebrata stamattina nella Chiesa di S. Antonio nuovo. Io vi intervenni in grande uniforme accompagnato dagli ufilziali del Consolato e da parecchi fra i notabili italiani. Al mio arrivo la Chiesa, sebbene assai spaziosa, già era piena zeppa di gente d'ogni classe, di ogni sesso e di ogni età e la folla s'accrebbe talmente durante la funzione che i dintorni del tempio formicolavano di gente. Nella chiesa ognuno si contenne con dignità e decoro, ma all'uscire io fui accolto da un grido generale di «Viva l'Italia». La folla si adunò poscia sotto il balcone del Consolato dove sventolava la bandiera ed ivi ricominciarono le stesse grida e non cessarono se non dopo che io mi decisi a presentarmi al balcone per ringraziare e pregare il popolo a ritirarsi.

Io non intesi altre grida che quelle di «Viva l'Italia», e non credo abbiano avuto luogo questioni, risse od aLtri inconvenienti. Nessuna parola è stata pronunziata contro il Governo austriaco, le cui autorità si condussero in questa circostanza con grande circospezione e con grande prudenza, non essendosi veduto né prima né durante né dopo la funzione forza pubblica o soldati di polizia.

Io debbo ciò non ostante confessare all'E. V. che io ho domandato con animo trepidante l'autor:zzazione di poter celebrare questa festa e che già prevedendo quanto è successo avrei preferito mi fosse rifiutata.

Lo dissi anzi in termini abbastanza chiari tanto al Luogotenente quanto al Direttore di polizia, ai quali feci capire che io non poteva dispensarmi dal fare la domanda ma che l'autorità poteva liberamente prendere quelle deliberazioni che la prudenza le avrebbe consigliato.

Ché più Loro non nascosi che in molte città italiane l'autorità Ecclesiastica si ricusava ad ogni funzione religiosa afilnché ove lo credessero conveniente potessero far opporre il rifiuto dal Vescovo o dal Parroco.

La pacifica dimostrazione che profittando di questa circostanza qui si fece in favore all'Italia non può avere piaciuto al Governo locale.

I giornali italiani l'amplificheranno senza dubbio e le buone relazioni fra

due Governi non saranno certo migliorate da questo avvenimento.

Che che ne avvenga, io ho la coscienza di avere fatto quanto era in mio

potere prima per evitarlo, e poscia per impedirne le tristi conseguenze impe

gnando tutta la mia influenza e quella dei miei conoscenti per sconsigliare

qualsiasi dimostrazione come inopportuna.

E perché sono su questo argomento mi permetta l'E. V. che io Le dica fran

camente che se il Governo del Re desidera che la pace coll'Austria sia una pace

vera e duratura e non una tregua, io crederei che sia giunto il momento oppor

tuno per il Governo di fare qualche atto o qualche pubblica dichiarazione, la

quale sia diretta a scoraggiare questi che erroneamente credono che mediante

pubbliche dimostrazioni si possa annettere all'Italia Trieste e l'Istria come si

fece della Venezia.

Un atto od una dimostrazione che, permettendolo un'occasione propizia o promossa, venisse fatto in questo senso dal Governo del Re, nel mentre da un lato lascierebbe libero l'avvenire, avrebbe per conseguenza dall'altro di scoraggiare dei conati nobili ma intempestivi e delle speranze fallaci, e di rinforzare i legami d'amicizia che esistono fra i due Governi.

(l) Non pubblicato.

551

IL MINISTRO A LONDRA, D'AZEGLIO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI CAMPELLO

R. 719/274. Londra, 4 giugno 1867 (per. l'B).

Avendo ieri sera incontrato membri del Parlamento, i quali mi dissero quanto aveva lord Stanley risposto in Parlamento riguardo al non unirsi ad una nota collettiva alla Porta relativamente a Candia, ed avendo allo stesso tempo visto colleghi che m'assicurarono aver il Ministro degli Esteri telegrafato a Costantinopoli favorevolmente all'inchiesta, pensai bene, onde impedire impressioni false pei giornali, di telegrafare a V. E. come feci tornando a casa (l).

Questa mattina dovendo assentarmi da Londra pensai di vedere un momento lord Stanley e trovatolo diffatti gli ricordai che per andare d'accordo conveniva sapessi come stavano le cose, ed il suo modo di vedere.

M'era stato affermato essersi Egli deciso a mandare istruzioni favorevoli all'inchiesta. Onde, stando a quanto m'aveva detto, questa risoluzione pareva basata sopra uno stabilirsi di punti ad esaminare. Lo pregavo dirmi se fosse stata presentata qualche memoria francese a tal riguardo.

Lord Stanley mi rispose che Egli aveva qualche speranza che l'inchiesta non avrebbe necessità di farsi, poiché stando al pensiero dominante per parte del Governo francese si trattava, lasciando da parte idee di cessione, di stabilire una inchiesta, annuente il Sultano, e conservando il suo dominio, per stabilire un'equa parte alle popolazioni Cristiane nell'amministrazione. Questo

poteva la Porta farlo anche senza inchiesta, rendendola quindi inutile. Ed egli aveva qualche motivo di credere che così farebbe.

Egli disse che del resto egli aveva telegrafato a Costantinopoli nel senso di aderire all'inchiesta, sempre annuente il Sultano. Ma alla verità egli aveva dato queste istruzioni un poco a malincuore, e puramente per seguitar l'esempio d'altra Potenza, onde tenere la Russia a bada, e forse un poco anche la Francia. Questa del resto pareva intenta solo a ritirarsi un po' da una politica faccendiera in quest'affare, ed aver a cuore l'impedir sconquassi per opera altrui. Onde egli sperava, se i Turchi volevano s'exécuter che questo, dando soddisfazione all'opinione, renderebbe inutili misure che pur dovevano finire per una coazione, alla quale l'Inghilterra non voleva partecipare.

Egli aggiunse che questa linea egli l'aveva anche assunta dietro al linguaggio, che io ero stato incaricato tenergli. Facendo così sentire che sperava che anche noi avremmo battuta la stessa via.

Io del resto presi da questo suo linguaggio occas'one di rammentargli, che era stato scopo del dispaccio a lui comunicato il fargli vedere, non la prospettiva dell'inazione, ma la necessità di assumere una linea, attiva bensì, ma con moderazione; onde non vi fosse da una parte chi non facendo niente ne risultasse dall'altra chi facesse tutto.

Gli chiesi del progetto di plebiscito, ma, come prevedevo, rispose che egli non ne aveva mai sentito a parlare seriamente e con seguito e ad ogni modo convenne che questo progetto l'Inghilterra non lo poteva ammettere. Del resto disse che i Turchi promettevan mari e monti finita la guerra, onde egli aveva speranza che consentissero a cedere anche prima.

Insomma mi parve confermato quanto mi disse, che, benché vi avesse consentito, se poteva far a meno d'aver l'inchiesta lo preferiva.

E ad ogni modo non voleva note collettive, poiché gli parevano un voler forzare la mano al Sultano. Mentre invece si vedeva, che aveva circondata l'inchiesta di tante precauzioni da quasi nullificarla.

P. S. Lord Stanley parlando delle proposte francesi disse che avran cura di farle molto poco prec.ise e di lasciarsi margine per qualunque cosa potesse succedere.

(l) Non pubblicato.

552

IL CONSOLE GENERALE A NEW YORK, DE LUCA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI CAMPELLO

R. 6. New York, 2-4 giugno 1867 (per. il 20).

2 giugno

Credo essermi apposto al vero nel mio rapporto del 27 Maggio p.p. N. 3 prestando poca credenza ai grandi preparativi che, secondo la stampa locale, i Feniani facevano per una nuova formidabile invasione del Canadà, malgrado tutto l'apparato e la serietà di notizia autentica, che si dava a tale rumore. Da un piccolo brano che acciudo (A) dello stesso giornale di Nuova York, ch'era stato il primo a propagarlo, potrà scorgersi come il tutto siasi risoluto in fumo. Io ritengo sempre che l'allarme suscitato tendeva unicamente a in

fl.uenzare la decisione del gabinetto inglese sulla esecuzione della condanna capitale pronuziata contro Burke e consorti. Appena saputasi pel cable la commutazione della pena, la minaccia è svanita.

La sommossa recente degl'indiani, dapprima circoscritta a poche tribù, prende ogni giorno proporzioni più vaste a segno da far temere un sollevamento generale. Per reprimerla si è dovuto ricorrere al mezzo di arrolare numerose bande di volontari tra i veterani delle ultime battaglie americane. Non trattasi più d'una fazione armata, ma d'una vera guerra, condotta d'ambo le parti con eccessiva severità, che s'è compatibile in gente semi-selvaggia, non lo è certamente da parte d'un governo illuminato. Che anzi leggendo le relazioni che giungono dal Kansas, si direbbe che le crudeltà degli indiani sono commesse più per rappresaglia che per propria iniziativa. La Compagnia di Trasporti Americana (American Express Company) ha dato il seguente ordine ai numerosi agenti che ha sul cammino di Smoky Hill, che mena alla lontana Denver-City: «Fucilate ogni indiano ch'è alla portata del vostro moschetto. Non abbiate alcuna pietà». Lo stesso Generale Hancock, che comanda le truppe mobilizzate, ha dato ordine di far fucilare tutti gl'indiani che fossero trovati al Nord del fiume Arkansas e al Sud del fiume Piatte, senza tener conto che vi sono molte tribù, come i Cheyennes, gli Arapahoes e i Sioux, che per stipulazioni particolari con gli Stati Uniti hanno il dritto di aggirarsi in quelle contrade. Tanto rigore contro le Pelli rosse, (che sorprende a dir vero quando pongasi in confronto all'apoteosi attuale dei Negri) potrebbe eccitare una lotta interminabile che costerebbe la perdita di molte altre centinaja di vite e di milioni di dollari agli Stati Uniti. Ma pare che il Governo federale sia dec'iso ad ogni costo a sbarazzare interamente il Kansas e il Colorado dalla presenza degl'Indiani.

La notizia a questa ora già conosciuta in Europa che il Governo brasiliano ha recisamente rifiutato la mediazione degli Stati Uniti per la sistemazione pacifica del già lungo conflitto in cui è impegnato sul Rio della Plata, ha prodotto qui molta irritazione. Si vede o si affetta di vedere un insulto in tale declinazione d'assistenza.

In continuazione delle tristi notizie contenute nel poscritto del predetto mio rapporto debbo ora aggiungere correre il rumore che Massimiliano e tutti i suoi ufficiali al di sopra del grado di luogotenente siano stati fucilati effettivamente la sera del 17 Maggio alle ore sette. Ma io debbo in pari tempo manifestare all'E. V. che havvi qualche lontana ragione di credere che tal enotizia, come anche ,quelle stesse contenute nei telegrammi del giorno 27 Maggio potrebbero essere prive di fondamento o per lo meno premature. All'ora che qusto mio rapporto perverrà al Ministero si saranno certamente ricevute informazione decisive per mezzo del cable. Ciò non ostante non credo affatto inutile constatare i seguenti fatti. Quando Queretaro cadde il Presidente Juarez trovavasi in altra città (credo San Luigi del Potosi) distante per lo meno tre giorni da Queretaro. Un Signore americano di mia conoscenza, che ha lungamente viaggiato nel Messico l'anno scorso per conto d'una Compagnia telegrafica americana mi assicura che, meno il caso poco probabile che sia stato installato in questi ultimi mesi, non esiste alcuna linea di telegrafo da Queretaro a San Luigi. Se ciò è vero, come spiegare che lo stesso giorno che la resa

ebbe luogo, cioè il 15 Maggio, il Presidente Juarez ne sia stato informato a

120 miglia di distanza tra paesi in cui i mezzi di comunicazione sono così diftì

cili? Oltracciò lettere di Monterey di data posteriore di sette giorni al 15 Maggio,

giunte in N. Orieans, non fanno alcuna menzione né della resa di Queretaro

né della cattura di Massimiliano.

Ma si domanda naturalmente: ammettendo che tali notizie siano apocrife, qual motivo avrebbe potuto dettarle? Non saprei darne conto io stesso,ammenoché non sembrassero degne di nota le seguenti osservazioni particolari da me fatte nella lettura dei periodici locali di queste due ultime settimane. Ricordo di aver Ietto, ora è una decina di giorni, che il Governo juarista trattava la compra di qualche nave corazzata dei cantieri americani, ma che incontrava diftìcoltà per l'incompleta fiducia che si aveva tuttavia nella vittoria del suo partito. Non mi sorprenderebbe ora, dopo gli ultimi telegrammi, che tale compera sia stata effettuata. Inoltre una Compagnia americana, cui Juarez aveva fatto vistose concessioni di terre nella Bassa California, aveva sempre incontrato le stesse diftìcoltà per negoz~are le sue azioni su questo mercato, sinché un giorno o due prima dell'arrivo dei noti telegrammi vendé o simulò di vendere la sua concessione ad un'altra Compagnia a prezzo relativamente basso. Può bene immaginarsi se le azioni della nuova Società acquirente siano aumentate rindomani. Il tutto quindi avrebbe potuto essere il risultamento di una mera manovra mercantile.

Ma disgraziatamente queste mie vedute, lo ripeto, sono puramente personali. Io stesso non ardisco dar loro alcuna importanza seria, e mi son permesso di disvelarle unicamente come un tenue raggio di luce innanzi ad una prospettiva sì fosca.

Allego diversi brani dello Herald di oggi e di jeri relativi alle recenti notizie. Essi contengono tra l'altro lo scambio di note passato tra il Ministro federale Campbell e il Ministro degli Affari esteri di Juarez, con cui il primo chiede a nome del suo Governo l'assicurazione che sarebbe risparmiata la vita di Massimiliano e ,la chiede con una istanza quasi minacciosa, ed il secondo non solo rifiuta di venire a qualunque compromesso ma dichiara apertamente che ove Massimiliano fosse catturato sarebbe trattato come un fuorbandito e non come un prigioniero di guerra. Ammesso che tale corrispondenza oftìciale sia autentica e letteralmente esatta, deve ritenersi o che Seward ne avesse permesso la pubblicazione o che fosse stata divulgata per cura dello stesso Governo juarista, entrambi in giustifica della propria azione. Ma non potrebbe per avventura essere stata fabbricata dal giornalismo nello unico scopo di creare sensazioni o per altro fine indiretto? Sembrerebbe invero alquanto strano che il Signor Campbell, destinato a Ministro plenipotenziario degli Stati Uniti presso la Repubblica del Messico sin dal mese di Ottobre dell'anno scorso, attenda sinora per iscusarsi presso il Presidente Juarez di non poter presentare le sue credenziali, secondo apparisce dalle prime linee della nota pubblicata dai giornali. Lascerebbe quasi supporre che nel lungo intervallo egli non abbia avuto alcuna corrispondenza col Governo repubblicano del Messico.

Come ho detto dianzi, tali articoli della stampa accreditata di qui, qual'è l'Herald, sono alcuni in data di jeri 1°, ed altri 1n data di oggi 2. Noto questa circostanza per le seguenti ragioni. La risposta negativa e quasi sprezzante del Ministro juarista è pubblicata nel numero di jeri, la nota di Campbell, che l'ha provocata, è nel numero di oggi. Di più nel numero di jeri è riportata la notizia precisa della fucilazione già avvenuta, mentre in quello di oggi è detto che tal rumore non si conferma e che son giunte lettere a N. Orleans da Monterey in data del 21, che non parlano né della resa né della cattura. Ciò non astante l'editore dell'Herald nell'articolo di jeri intitolato «The imperial prisoners of the liberal Mexicans » si sforza a tutto uomo ad infondere la convinzione nell'animo dei suoi lettori che Massimiliano non sarà fucilato e lungi dal mostrare alcun risentimento contro il rifiuto subito, si scaglia contro gl'imperialisti, dà il titolo di filibustiere a Massimiliano e si adopra a gittare il ridicolo sulla sua persona, mentre negli articoli di oggi («Our position in Mexico -Small insults to a great Nation -What can they think ot it in Europe? »). malgrado le notizie più rassicuranti da lui stesso pubblicate in altra pagina, affetta di credere come inev,itabile l'assassinio (murder) di Massimi

liano, che non è più il filibust!ere, ma un uomo coraggioso ch'era ispirato dalle migliori intenzioni (a brave and well-meaning man) e grida a tutta possa all'oltraggio arrecato alla bandiera stellata dal doppio rifiuto del Brasile e del Messico juarista, quello un Impero da trastullo e questo non più il popolo che combatte pei suoi dritti legittimi (come erasi detto sinora) non più la Repubblica sacra e inviolabile, non più il solo Governo legittimo del Messico,

ma un popolo barbaro, abietto e miserabile (barbarous, paltry and miserable

people) una repubblica di vagabondi (vagrant republic) un sedicente Governo

ch'è il disonore e la vergogna (so called government of Juarez -Disgrace of a

govemment).

Tanta ira, troppo subitanea ed esagerata per non destar sospetti, e cosi poco giustificata dal linguaggio stesso del giorno innanzi, non può essere stata provocata che da una delle tre cause che accenno qui sotto, o anche da tutte tre assieme. O si vuole incitare gli animi a profittare subito del pretesto, in apparenza generoso, per esercitare un intervento armato nel Messico, consigliato del resto dallo stesso Generale Grant alcuni mesi or sono; o è un attacco diretto a Seward, cui il gran Giornale di Broadway non ha mai perdonato i servigi officiosi di qualche altro foglio rivale; o gli articoli di oggi sono stati fatti inserire per suggerimento ed opera della Legazione o Consolato del Governo europeo più interessato moralmente nella quistione.

P. S. 3 Giugno -Sino a stasera non è giunta alcuna altra notizia, che confermi l'annunziata esecuzione dell'Arciduca e dei suoi generali. Alligo due brani (B) del gionale Evening Post. Uno di essi contiene una lettera che si attribuisce al Signor Romero, Ministro del Messico presso gli Stati Uniti, diretta a dimostrare la necessità politica in cui si troverebbe Juarez di sbarazzarsi a qualunque costo di Massimiliano.

4 Giugno -Ho lasciato aperto il piego sino alla ultima ora del corriere. La notizia della esecuzione non si conferma, anzi perde credito. Secondo un telegramma da Galveston, Massimiliano, dicesi, avrebbe passato il Rio Grande e si troverebbe ora negli Stati Uniti. Unisco alcuni estratti di giornali di oggi, segnati (C). Vi si trovano le opinioni dei principali giornali americani. Senza distinzione di partiti, la stampa periodica è unanime in protestare contro l'atto barbaro; havvi anzi qualche foglio che consiglia apertamente l'immediato intervento armato.

553

L'INCARICATO D'AFFARI A CITTA DEL MESSICO, CURTOPASSI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI CAMPELLO

R. CIFRATO S.N. Tacubaya, 5 giugno 1867.

Après une grande opposition de la part des autorités de Mexico je suis parvenu à sortir de la Ville (l): impossible de trouver a Tacubaya, d'où j'écris, un moyen de transport pour Queretaro avant demain matin; aprés demain j'y serai et l'on me fait espérer que j'arriverai à temps pour assister au conseH de guerre. Opinion publique demande la mort de Sa Majesté, mais je ne désespère pas encore. Excellente réception de la part de Porfirio Diaz. Plusieurs autographes de S. M. envoyés en ville et engageant les corps étrangers à mettre bas les armes, ont été interceptés par les généraux Marquez, Tabera et Horan, les quels sont décidés à se défendre malgré la pleine connaissance du triste événement: ils aiment à détruire tout document qui pourrait éclairer les incrédules et fabdquer les nouvelles les plus absurdes.

Generai Diaz m'a dit vouloir encore attendre avant d'attaquer la Ville, désirant épargner une effusione de sang inévitable et les horreurs d'un sac.

Trente mille libéraux animés du plus grand enthousiasme assiègent la

Capitale.

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L'INCARICATO D'AFFARI A PIETROBURGO, INCONTRI, AL MINIS'!1RO DEGLI ESTERI, DI CAMPELLO

R. 108. Pietroburgo, 5 giugno 1867 (per. il 12).

Circa un mese fa aprivasi a Mosca per iniziativa di una società privata una esposizione etnografica nella quale figurano non solo tutti i popoli componenti l'Impero Russo, ma ben anco i modelli dei differenti popoli Slavi non soggetti allo Czar. In questa occasione giunsero qui di passaggio per Mosca un 70 circa Slavi abitanti paesi non russi come Tzechi della Boemia e della Moravia, Ruteni della Galizia ed Ungheria, Croati, Serbi dei Principati e della

Dlaz mais la tlédeur de J'attaque et de la défense ne falt polnt présager un prompt dénouement ».

Dalmazia. II municipio di S. Pietroburgo nominò una commissiOne incaricata di ricever1i e raccogliere denaro affine di supplire alle spese del loro soggiorno nella capitale: un banchetto fu loro dato per sottoscrizione, e dopo avere visitato i vari stabtlimenti di questa città hanno proseguito per Mosca dove uguali accoglienze sono loro fatte e dove rimarranno ancora alcuni giorni per poi ripassare per Pietroburgo e ritornare in patria.

Di questo viaggio hanno levato gran rumore alcuni giornali di qui, ma, malgrado quanto si va da loro ripetendo, la popolazione, in ispecie quella di qui, è rimasta assai indifferente alla venuta di questi confratelli, e solo una piccola parte della classe più elevata si è mostrata animata da un certo entusiasmo e si può dire che gli Slavi hanno avuto tutto al più quello che i francesi chiamano un succès de curiosité. II partito panslavista non è in Russia ben forte perché per lungo tempo represso, e sotto l'ultimo regno l'essere sospetto di panslavismo bastava per essere amministrativamente deportato in qualche lontana provincia; è quindi assai naturale se l'origine slava fu assai dimenticata dai Russi.

Un'altra ragione che non poco contribuì all'accoglienza ben poco entusiasta fatta dai russi ai loro ospiti, si fu che alcuni di loro, fra gli altri i signori Palczki e Rieger, che sono i più conosciuti fra i nuovi venuti, prima di venire qua ebbero a Parigi un abboccamento con il Principe Czartoriski ed altri corifei del partito polacco ai quali offrirono di servire loro di intermediari per una riconciliazione colla Russia sul terreno del panslavismo: tale offerta non fu accettata, o, come altri dicono, fu resa impossibile dalle pretese esagerate che i polacchi misero in campo. Si ebbe conoscenza di tale passo fatto appena giunsero qui, ed, a fine di dare loro a vedere chiaramente che il terreno non era neppure qui favorevole a tali idee, la sera dopo il loro arrivo trovandosi essi al teatro venne da tutto il pubblico ripetutamente fischiata una mazurka polacca che si trovava far parte dello spettacolo. Ciò non pertanto quei signori hanno a più riprese tentato di condurre la conversazione sulla questione della Polonia, ma ricevettero sempre r.isposte tali da mostrar loro a chiare note che non si intendeva punto discutere di ciò. II Governo si è tenuto in una grandissima riserva e nessuno dei personaggi ufficiali ha preso parte ad alcuna delle feste date loro tranne il Ministro dell'Istruzione Pubblica, il quale pronunziò un discorso al banchetto dicendo che parlava come russo e non come uomo politico senza mai uscire dai campo della scienza. Desiderando essere presentati all'Imperatore volevano esserlo per mezzo del Principe Gortchakow evitando cosi di avere ricorso alle Legazioni di Austria e di Turchia, ma ciò fu loro rifiutato, e si fu per mezzo di quei rappresentanti diplomatici che i principali di loro ebbero l'onore di una udienza Imperiale. Nulla di particolare offrì un tale ricevimento; solo fu osservato che l'Imperatore amabile, come sempre, con tutti, lo fu particolarmente con i Serbi ai quali disse: «abbiamo sempre considerati i serbi come nostri fratelli; spero che Iddio vi riservi un migliore avvenire, e che vorrà esaudire tutti i vostri voti presto».

II linguaggio che gli Slavi, sudditi austriaci, tengono è assai ostile alla Germania, ed in ispecie alla Prussia che temono di vedere in breve ,raggiungere lo scopo della unità alemanna, che finirebbe tosto o tardi per distruggere ogni

vestigio di Slavismo. I Serbi ed i Bulgari sono, come è ben naturale, assai vio

lenti contro i Turchi e quindi si spiega la migliore accoglienza che è stata loro

fatta qui non solo dall'Imperatore, ma ben anco in generale.

Ho creduto dover riferire quanto precede all'E. V. non solo perché molto

se ne parla qui ma benanco per mostrare quanto la Russia sotto l'Imperatore

Alessandro che disse a coloro i quali furongli presentati: riceverli come fratelli

Slavi su terra slava, sia diversa da quello che era sotto l'Imperatore Niccolò il

quale puniva chi aveva in sospetto di panslavista.

(l) Con r. s. n. del 5 maggio Curtopassi aveva comunicato: «Le Corps diplomatique est tombé d'accord de quitter la capitale et probablement le territoire Mexicain si de pareils actes vont s'y commettre contre !es étrangers. Tout est à craindre de Marquez et Horan dont la conduite à l'occasion des recouvrements des impòts fait honte à la civilisation. V. E. aura sans doute appris la chute de Puebla sulvle par la déroute du Général Marquez (10 Avril) qui était parti avec un Corps de 3500 hommes pour dégager cette Piace. Les restes de la Colonne ont été sauvés par la Cavalerie Autrichienne restée au service de l'Empereur. On n'a pas de nouvelles de Sa Majesté enfermé dans Queretaro depuis plusleurs semaines. Il y a vingt jours que nous sommes assiégés par Porfirlo

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IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, MELEGARI, AI MINISTRI A BERLINO, DE LAUNAY, A VIENNA, DE BARRAL. E ALL'INCARICATO D'AFFARI A PIETROBURGO, INCONTRI

T. 229. Firenze, 6 giugno 1867, ore 16,20.

S. A. le Prince Humbert, qui part demain de Milan pour Paris se propose de visiter Berlin (Pétersbourg, Vienne).

Prévenez-en le Gouvernement Impérial (Royal), Vous recevrez de Paris l'avis du jour précis de l'arrivée de Son Altesse.

556

IL DIRETTORE SUPERIORE DEGLI AFFARI POLITICI, ULISSE BARBOLANI, AL MINISTRO A BERLINO, DE LAUNAY

D. 8. Firenze, 7 giugno 1867.

Le comunicazioni contenute nei rapporti concernenti la questione d'Oriente dimostrano che nel convegno di Parigi si avranno a trattare gravi argomenti, pei quali è ormai tempo si trovi una pratica soluzione.

Nei documenti diplomatici che unisco a questo dispaccio Ella ,troverà la conferma di ciò che Ella pure ha osservato che cioè le cose d'Oriente sembrano dover entrare in una nuova fase, in cui il concerto europeo diverrà completo mercé 'l'adesione dell'Inghilterra alle domande che le altre Potenze si dimostrano disposte a fare alla Sublime Porta. Noi che fummo sempre pronti a ricercare d'accordo con tutti i Governi interessati una soluzione per le cose di Creta, abbiamo dichiarato che ci assoderemmo volentieri ad un'inchiesta europea in Candia. Sarebbe questa 'l'esecuzione parziale del programma più vasto ch'era stato prima tracciato ed al quale noi avevamo di già aderito.

La situazione speciale della Prussia di fronte alla questione Orientale ha suggerito a Lei varie savie osservazioni nel dispaccio che mi diresse sotto il

n. 27 di questa serie (1). Appunto perché 'la linea di condotta del Governo

Prussiano nella questione d'Oriente non è tracciata da permanenti interessi della Prussia in Levante, diviene sempre più opportuno attentamente vigilare da qual parte il Gabinetto di Berlino sembra protendere, perché la forza ch'egli rappresenta, non sarà certamente di piccolo conto nella soluzione d'ogni problema che si rannoda alle questioni europee.

(l) Cfr. n. 539.

557

IL MINISTRO A VIENNA, DE BARRAL, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI CAMPELLO

R. 50. Pest, 7 giugno 1867.

C'est hier que, suivant l'ancienne tradition, le dipl6me inaugurai du Couronnement a été, au sein de la Diète Hongroise, présenté au Roi de Hongrie. La lecture de ce document faite par le Comte de Festetics a soulevé des explosions d'enthousiasme auxquelles s'est associé mème le petit groupe de l'extrème gauche qui, composé seulement de quelques indivi:dualités, avait fait jusqu'à présent plut6t par système que par convinction, un simulacre d'opposition. Ainsi que l'on s'y attendant la Croatie n'avait pas envoyé de représentants officiels mais quelques membres des différents Comitats étaient venus isolément. Quant à la Députation officielle de Fiume, à la présence de laquelle la Hongrie tenait essentiellement, elle était au grand complex.

Mais ce n'est pas seulement au milieu des Députés de la Nation que la joie d'avoir, après 18 ans de luttes, conquis ce qu'eUe désirait, s'est manifestée avec tant d'expansion; la population tout entière accourue dans la capitale témoigne par l'expression bruyante de sa satisfaction toute la part qu'elle prend à la délivrance de la patrie. Toute la ville est pavoisée aux couleurs nationales, et I'on peut dire qu'une seule pensée patriotique prési:de aux fetes splendides qui s'apprètent pour le Couronnement de demain. Les anciens chefs du mouvement magyare, appartenant la plus part à la haute aristocratie du pays, ne dissimulent pas leur joie: «C'est à nous, me disait l'un d'eux, qu'appartient désormais l'avenir de la Monarchie, c'est nous qui sommes les plus forts, les plus homogènes, et c'est la Hongrie qui doit peu à peu devenir le centre de gravitation de l'Empire>>. Ces appréciations sont sans doute exagérées, et mème, dans leur propre intérèt, les Hongrois feront bien de ne pas les pousser trop loin de peur d'éveiller les jalousies déjà naissantes de l'autre fraction de l'Empire. Mais elles n'en dénotent pas moins le suprème contentement qu'a fait naitre ici l'inauguration du nouvel état de choses.

Le courrier d'hier soir a apporté le texte du discours prononcé par le Baron de Beust à la Chambre des Députés, dans la séance du 4, et qui, en répondant aux critiques de certains Députés, contient un véritable exposé de sa politique. Le Président du Conseil a dit en substance qu'il ne s'est jamais dissimulé les difficultés de la position, mais que sa convinction était que le seul moyen pour l'Autriche de rétablir son influence et son crédit au dehors, reposait uniquement sur une entente avec la Hongrie, le rétablissement du régime constitutionnel dans toutes les parties de la Monarchie, et l'adoption d'idées franchement libérales. Non seulement M. de Beust regarde l'entente avec la Hongrie camme le plus puissant moyen d'assurer la prospérité de l'avenir, mais il affirme que c'est ce défaut d'entente qui, pendant les dix dernières années, a amené toutes les catastrophes de l'Empire, Maintenant, en présence de la rapLde trasformation Européenne, a-t-il ajouté, il s'ag.it d'abandonner au plutòt le système des théories pour entrer dans la vaie des faits, basée sur une mutuelle confiance et une parfaite réciprocité de droits et de charges entre les deux fractions de >la Monarchie. C'est déjà à la force que, au déhors, est venue apporter à l'Autrkhe son changement de politique, qu'il faut attribuer le succès de sa médiation dans l'affaire du Luxembourg, médiation sans laquelle probablement la guerre eiìt déjà éclaté.

En terminant M. de Beust a expliqué ce qu'1l pensait de la situation délicate que dans l'opinion publique pouvait créer à l'Autriche Ia question des nationalités. Selon lui, tout en veillant aux troubles que pourraient agiter les esprits à l'intérieur ou étre provoqués par des événements extérieurs, le Gouvernement ne doit pas étre inquiet à ce sujet, c'est en échangeant des poignées de mains en signe de réconciliation, que les peuples de l'Autriche apprendront à vivre ensemble, et l'Europe saura gré à cette Puissance d'avoir ainsi, par cet exemple, dépouillé de ses dangers la question des nationalités, et écarté la cause d'armements inquiétants pour y substituer la tranquillité et la confiance mutuelle.

Ce discours a eu, à ce qu'affirment toutes les correspondances, un très grand succès, et quoiqu'il ne contint rien de bien nouveau, au sujet des vues politiques attribuées à M. de Beust, il n'en a pas moins été bien accueilli camme apportant dans toute sa netteté et sa largeur d'idées libérales, la consécration officielle de son programme.

P.S. Ainsi que j'ai eu l'honneur d'en informer hier V. E., li.'Ambassadeur de Turquie, en me parlant de la proposition d'enquéte, proposée par la France et acceptée par l'Autriche, à propos des affaires de Candie, m'a dit que si cette proposition était jamais faite à Constantinople (Ce qu'il ignorait) elle serait peremptoirement repoussée camme constituent une ingérence directe dans les affaires de l'Empire, et par conséquant contraire à l'article IX du Traité de Paris. Il a ajouté que la France avait mis vingt ans à pacifier l'Algérie; que la Russie eHe-mème en avait employé plus de 24 à soumettre le Caucase; et qu'ainsi l'an ne voyait pas pourquoi l'an n'accorderait pas encore quelque temps à la Turquie pour réprimer ses sujets révoltés.

558

L'AGENTE E CONSOLE GENERALE IN EGITTO, G. DE MARTINO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI CAMPELLO

T. 383. Alessandria, 8 giugno 1867, ore 9 (per. ore 10.26).

Vice Roi part demain pour Paris. J'ai appris avoir reçu hier au soir dépèche de Constantinople qu'on a accordé favorablement toutes ses demandes.

559

IL MINISTRO A VIENNA, DE BARRAL, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI CAMPELLO

R. 51. Pest, 8 giugno 1867 (per. il 13).

Ainsi que j'ai eu l'honneur d'en informer V. E. par mon télégramme d'aujourd'hui (1), le couronnement du Roi et de la Reine de Hongrie a eu lieu ce matin dans l'ancienne église de Bude au milieu d'un concours immense de populations. Je ne ferai pas ici la déscription des splendeurs de la cérémonie dont les correspondants des principaux joumaux étrangers accourus en grand nombre à Pesth donneront tous les détails. Je me bornerai seulement à en faire ressortir le còté et la physionomie politiques.

Et d'abord, à ce point de vue, il importe de bien constater que les acclamations prolongées qui éclataient de toute part sur le parcours suivi par Leurs Majestés pour se rendre à l'église, avalent un caractére d'enthousiasme e't de spontanéité que peut seul inspirer le sentiment patriotique des masses pleinement satisfait. Déjà lorsque Leurs Majestés firent leur entrée dans le temple précedées de nombreux Eveques, et que le Prince-Primat de Hongrie, prenant l'antique couronne de Saint Etienne des mains du Comte Andràssy (nomme Palatin pour la circostance) la posa sur la téte du roi en Lui mettant en meme temps dans les mains cette fameuse épée que du sommet de l'autel Sa Majesté brandit dans toutes les directions en signe de défense de la patrie, à ce moment solenne!, dis-je, l'on put voir un frémissement de joie se dessiner sur les physionomies de tous ces illustres patriotes qui avaient tant souffert pour arriver à cet heureux résultat. Mais lorque le Roi, la cérémonie étant terminée, monta à cheval portant la couronne, le sceptre, et le long manteau de Saint Etienne, les acciamations de la multitude se changèrent en véritable délire; et réellement en voyant ce long cortége d'Eveques et de Magnats tous à cheval dans des costumes d'une richiesse extraordinaire, l'on ne pouvait se défendre d'une certaine émotion, en croyant assister à une scène du moyen-àge. Arrivé sur la grande place de Pesth, le Roi monta au galop sur le tertre formé au milieu par la terre apportée de toutes les parties du territoire Hongro1s, et au moment où encore, suivant la tradition, il brandissait de nouveau l'épée dans les quatre directions, d'immenses acclamaitons partirent de la foule, accompagnées des « Eylen >> enthousiastes des 47 députations des différents comitats qui toutes également montées sur des chevaux du plus grand prix et dans des costumes d'un faste vraiment orienta!, formaient le cadre à ce tableau unique en son genze.

Une circonstance très remarquée et qui a eu aussi une signification politique trés accentuée a été l'accueil chaleureux qu'a partout reçu sur son passage le Baron de Beust qui, seul, dans son uniforme de Président du Gonseil précédait Sa Majesté. La population saluait en lui la pensée dirigeante qui avait longtemps médité la combinaison à la quelle la Hongrie doit l'accomplissement de ses voeux et y avait donné une forme pratique.

La prem.ière, comme la plus 1mportante conséquence à tirer de ce qui vient de se passer, c'est que l'Empereur d'Autriche en ceignant la Couronne de Hongrie, et en jurant la constitution qui en est le symbòle, a reconquis le coeur des Hongrois prets aujourd'hui, comme au temps de Marie-Thérèse, à crier: moriamur pro Rege Nostro; et que si l'habileté de M. de Beust parvlent à contenter, si non autant, au moins à peu près, rautre fractlon de l'Empire, l'Autriche reprendra peu à peu en Europe une grande partie de cette influence que lui avaient si rapidement faite pevdre ses fautes politiques et ses derniers desastres.

Comme j'ai eu l'honneur d'en informer V. E. le terrible accident dont les funestes conséquences viennent de mettre fin aux jours des l'Archiduchesse Mathilde, abrégera les fetes. Cependant, malgré le deuil de la Famille Impériale, il est encore quelques-unes d'officielles qu'il est impossible de supprimer. L'on croit donc que le séjour du Corps diplomatique devra se prolonger encore jusqu'au 12, et que ce n'est guère que jeudi prochain que nous pourrons etre de retour à notre poste.

P. S. La veille du Couronnement, le fils de Kossuth était venu ici clandestinement pour tàcher d'organiser une manifestation contraire, mais la Police Hongroise l'a immédiatement fait partir.

(l) Non pubblicato.

560

IL MINISTRO A VIENNA, DE BARRAL, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI CAMPELLO

T. 389. Pest, 9 giugno 1867, ore 15,10 (per. ore 18,35).

Angleterre, France, Prusse, Russie ont envoyé lettres de félicitation à l'Empereur pour son couronnement. Comme il seratt trop tard pour en faire autant, peut-etre le Roi pourrait lui adresser directement télégramme.

561

IL MINISTRO AD ATENE, DELLA MINERVA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI CAMPELLO

T. 392. Atene, 9 giugno 1867, ore 20,20 (per. ore 22,10).

L'« Authion » est arnve aujourd'hui, à deux heures aprés midi, de Candie, Bali, et Rettimo, ayant embarqué dans sa tournée 63 femmes et enfants qui lui ont demandé asyle. Le commandant est venu à Athènes pour en informer immédiatement le Ministère par le télégraphe. Il est reparti peu après pour Syra, laissant les personnes à Aegine. J'envoie son rapport par le prochain courrier.

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ISTRUZIONI DEL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI CAMPELLO, PER IL MINISTRO DESTINATO A WASHINGTON, CERRUTI

Firenze, 9 giugno 1867.

Con vera soddisfazione mi fo ad annunziarLe essersi S. M. il Re degnata di nominarLa a suo inviato straordinario e Ministro Plenipotenziario presso la Repubblica degli Stati Uniti d'America. La capacità di cui ha dato luminose prove nelle diverse missioni per l'innanzi affidateLe, la prudenza, l'intelligenza e lo zelo che ha sempre dimostrato nel prestare l'opera sua in prò dello Stato e del paese, ci rendono certi che il Governo del Re non avrebbe potuto fare scelta migliore per essere degnamente rappresentato presso d'una Nazione verso cui ci siamo sempre studiati di mantenere i più amichevoli rapporti.

L'Italia si è in ogni occasione mostrata desiderosa di vieppiù consolidare quei vincoli di buona intelligenza che già la legano con gli Stati Uniti. D'altronde la sua politica non può menomamente fare ombra all'Unione. Noi non perseguiamo, né abbiamo in mira nessuno scopo ambizioso in America; tutto quello che da noi si cerca si è di trovare nuovi sbocchi e nuovi mercati all'attività crescente delle nostre arti e manifatture e de' nostri traffici. Quindi è che nel maggiore e progressivo svlluppo dei rapporti commerciali tra i due paesi, noi scorgiamo un pegno sicuro di amicizia e di buon accordo duraturo. La sua presenza a Washington, signor Cavaliere, contribuirà grandemente tanto a spargere queste assicurazioni presso il Governo, e nel paese, quanto a promuovere l'attuazione del concetto che Le ho di sopra accennato.

Recandosi la S. V. Illustrissima al suo nuovo posto di Washington credo opportuno tenerLe discorso d'alcuni fatti, i quali ci sembrano per la loro peculiare natura, di dovere più specialmente richiamare l'attenzione dell'Europa e quindi anche quella del Governo del Re.

La terribile e gigantesca lotta che ha per più anni travagliato e diviso gli Stati Uniti non poteva non lasciiare dietro di sé tracce profonde di dissensi e corrucci fra le due parti avverse. Quindi è che ora, terminato felicemente il conflitto armato, gli animi si mantengono tuttavia irrequieti ed accesi, e, come suole in simiglianti casi accadere, la parte vittoriosa vorrebbe, abusando del trionfo, pesare su quella dei vinti. A questo desiderando il Governo di mettere rLparo, ne deriva quello stato di opposizione che vediamo perdurare tra il Congresso ed il Presidente. Giova nondimeno sperare per il bene della umanità e per il bene proprio dell'Unione, che questa triste condizione di cose debba al più presto cessare. E noi confidiamo nel senno e nella prudenza della maggioranza del popolo americano, il quale ci ha più volte dato chiare testimonianze di vero patriottismo prendendo tali risoluzioni che hanno fatto rallegrare quanti desiderano cordialmente che i veri principH di libertà civile vieppiù si sviluppino e si riaffermino nelle Società odierne.

Se non andiamo errati, pare che gli uomini politici degli Stati Uniti fra le altre vie per raggiungere questo scopo, vadano tentando anche quella di distrarre gli animi e l'attività dei propri concittadini dalle cose interne per

rivolgerle all'esterno. Ed a tale scopo prendono a fondamento ia famosa dot

trina del Monroe, la quale vuole che ogni straniera influenza fosse tenuta

lontana dal Nuovo Mondo. Di qui la tendenza che si fa ogni giorno più palese

agli Stati Uniti di ingerirsi nelle cose della rimanente parte d'America non

solo, ma ancora di quelle dell'Europa. E' questo un fatto di che non ci sembra

potersi ormai dubitare e che merita tutta la considerazione di quei Governi

europei che hanno chi più chi meno interessi a tutelare nell'una e nell'altra

America.

Per la qual cosa alla S. V. non isfuggirà quanto tornerebbe utile, ora

ch'Ella si reca in quel paese, che noi fossimo bene informati delle novità che

in questi ultimi tempi ebbero luogo agli Stati Uniti. Ed innanzi tutto ci sarà

grato conoscere l'impressione che abbia prodotto il recente fatto del Canadà;

che dopo la nuova costituzione ricevuta, può dirsi più uno stato federale indi

pendente dall'Inghilterra che una colonia. Questa trasformazione che ha su

bito la parte più ragguardevole delle Colonie Britanniche nell'America del Nord,

avrà dato a riflettere agli uomini politici degli Stati Uniti, e quindi non sarà

inutile l'indagare quello che ne pensano e gli intendimenti loro.

Le sarei parimenti tenuto se m'informasse dei negoziati che hanno in se

guito partorito la cessione dell'America russa agli Stati Uniti, quale sia stato

il vero scopo di questo acquisto e se questo fatto si colleghi con le voci che da

gran tempo corrono di alleanze già conchiuse tra la Russia e la grande Repub

blica Americana.

Ci gioverebbe anche conoscere quello che v'abbia di vero in queste voci, e se oltre alle antiche simpatie che sono sempre esistite tra questi due Stati, sia tra loro intervenuto qualche cosa di più, e ciò in vista forse delle possibili complicazioni in Oriente. E giacché mi è accaduto di accennare all'Oriente La prego di mettere ogni studio per conoscere quali sieno le intenzioni del Governo federale nella questione Orientale. Noi abbiamo veduto che fino dai primi moti di Candia, una squadra americana è rimasta sempre nel Mediterraneo, e questa dalle ultime notizie ricevute pare venga fra breve ad essere anche aumentata. È da giudicare questo come un fatto isolato, ovvero si collegherebbe per avventura a quelle tali voci di alleanza colla Russia?

In quest'ultima ipotesi la S. V. non deve trascurare, tutte le volte che gliene vien porto il destro, di dare al Governo e agli uomini influenti degli Stati Uniti di America salutari avvertimenti. Quella Repubblica sinora si è costantemente studiata di tenersi in disparte da tutte le estere complicaz:oni e segnatamente dalle europee; ed a tale saggia condotta è dovuto principalmente lo stato di prosperità e di grandezza a cui è giunta. Il deviare ora da tal cammino, il gettarsi gratuitamente in una politica di avventure non sarebbe forse per essa più che un'imprudenza, una colpa?

Se l'America che non è se non un prodotto dell'Europa è gelosa di qualsiasi estera influenza nel nuovo Continente, a maggior ragione la vecchia Europa di adombrerebbe di un'attitudine troppo spiccata dell'America nelle sue quistioni e sarebbe costretta a reagire con tutte le sue forze. Gravi sarebbero certamente i pericoli che sorgerebbero da una tale situazione; epperò la S. V. si

48 -Documenti diplomatici -Serie I -Vol. VIII

adopererà con quell'accorgimento che :;___lto la contrassegna. ad infondere negli animi sensi di moderazione e prudenza.

I molteplici interessi commerciali che abbiamo nelle Repubbliche dell'America del Sud per il grande numero di coloni italiani che vi sono sparsi, ci fanno des:derare di essere continuamente tenuti a giorno delle proposte di mediazione per la pace fatte ultimamente dall'Unione, tanto tra i belligerati al Plata quanto tra la Spagna e le Repubbliche sul Pacifico. E perciò la S. V. avrà cura di non !asciarci ignorare nulla che si possa riferire a questi importanti negoziati.

Da ultimo Ella non trasanderà di scrutare il pensiero del Governo federale intorno alle cose del Messico e come intenda regolarsi nelle presenti contingenze di quel paese. Sarebbe utile ancora che la voce autorevole del Governo dell'Unione, si facesse sentire affinché nelle presenti contingenze venissero rispettate e tutelate per quanto più sia possibile le persone e gli averl di tanti coloni stranieri fra i quali ve n'ha parecchi appartenenti all'Italia.

Sono queste le principali cose su cui ho stimato di dover richiamare l'attenzione di V. S. e non dubito punto che saprà con la sua prudenza ed attività soddisfare alla giusta aspettazione del Governo del Re.

563

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI CAMPELLO, AL MINISTRO DESTINATO A WASHINGTON, CERRUTI

D. L Firenze, 9 giugno 1867.

Da lunga pezza il Governo del Re volge in mente il disegno di trovare in remote contrade un sito che fosse adatto allo stabilimento di una colonia penale. Noi sentiamo tanto di più la necessità d'un tale provvedimento il quale varrebbe in parte a sostituire al sistema dei lavori forzati nei bagni l'altro più benefico e profittevole della deportazione. Fra i luoghi che si presterebbero a tale scopo, noi crediamo che meriterebbero la preferenza sotto tutti i riguardi, le terre poste all'imboccatura dello Stretto di Magellano e propriamente quelle che sono comprese sotto la denominazione di Baja Possession.

Come è noto alla S. V. Illustrissima questa baia è posta alì'estrema parte di quella regione del nuovo mondo conosciuta sotto il nome di Patagonia contrada che non appartenendo a nessun Stato né Europeo né Americano è percorsa soltanto da quaiche piccola tr:bù d'Indiani la quale ben di rado estende le sue escursioni fino alle coste che si vorrebbero da noi occupare. È ben vero che la Repubblica Argentina dice di vantare sulla Patagonia certi suoi diritti di dominio; i quali in ver~tà, non sappiamo quali possano essere non avendoli mai sperimentati né fatti valere all'occorrenza. Infatti è noto che l'Inghilterra ha occupate le Isole Falkland e quelle dette degli Stati che debbono conside

700 rarsi come una dipendenza geografica della Patagonia e la Repubblica Argentina I:mitandosi a qualche atto di semplice protesta non ha mai dimostrato alcuna velleità di opposizione effettiva contro questi stabilimenti inglesi.

La colonia penale che noi intenderemmo stabilire potrebbe inoHre per la sua postura tornare di non picco~a utilità alla navigazione ed al commercio di tutte le nazioni; imperocché riuscendo malagevolissimo il navigare in que' difficili paraggi ai legni a vela, noi per mezzo di piccoli rimorchiatori a vapore potremmo rendere loro possibile anzi facile il passaggio del canale. Inoltre non mancheremmo di stabilire lungo quelle coste, poco note e perciò pericolose, quel numero di fari che l'esperienza ed il bisogno dimostrerebbero necessarii.

Recandosi Ella ora al suo posto di Washington il Governo del Re desidererebbe che la S. V. Illustrissima cercasse un'occasione favorevole per intrattenere confidenzialmente di questo nostro disegno il signor Seward. La S. V. con quella prudenza ed accortezza che Le sono proprie dovrebbe fargli comprendere che, stabilendo no'i una Colonia di questa natura non abbiamo per nulla in mira né uno scopo qualunque politico, né, molto meno idee di conquista o di dominazione. Noi vogliamo solo provvedere al miglioramento morale e materiale d'una classe infelice de' nostri concittadini, i quali, traviati dal male si resero colpevoli verso la Società e ad essa nocivi, epperò fu giuocoforza allontanarli dalla medesima e punirli; ma in modo da non disperare di renderli un giorno migliori e utili a se medesimi ed al loro paese.

Facendo una simile comunicazione al signor Seward, sono sicuro che Ella eviterà di dire qualsiasi cosa da cui egli potesse inferirne un riconoscimento esplicito da parte nostra della famosa dottrina di Monroe. Il nostro scopo, come non deve essere sfuggito all'acume della S. V., è semplicemente quello di sapere, ovvero d'indagare, quale impressione produrrebbe presso il Governo dell'Un'one l'attuazione del nostro concetto e se esso lo guarderebbe sotto il suo vero aspetto e come è da pensare senza prenderne ombra

564

IL MINISTRO A VIENNA, DE BARRAL, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI CAMPELLO

T. 394. Pest, 10 giugno 1867, ore 16,05 (per. ore 17,55).

J'ai profité ce matin d'une audience de Sa Majesté pour lui annoncer moi-méme visite du prince Humbert à Vienne. Sa Majesté m'a répondu qu'elle serait très-heureuse de la visite de Son Altesse. J'ai également prévenu M. de Beust qui m'a dit que l'Empereur devant partir vers la moitié du mois prochain pour Paris il serait à désirer que le prince Humbert put venir avant.

565

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI CAMPELLO, ALL'AGENTE E CONSOLE GENERALE A BUCAREST, SUSINNO, E AL CONSOLE GENERALE A BELGRADO, SCOVASSO

ANNESSO CIFRATO (1). Firenze, 10 giugno 1867.

Le mouvement slave est très considérable. il doit attirer toute votre attention, mais le danger d'une assimilation dans une seule unité politique de toutes les populations qui prennent part à ce mouvement ne nous parait pas prochain. Plus tard cette assimilation pourrait trouver un obstacle sér:eux dans un royaume Serbe fortement constitué aussi bien que dans les intér~ts et les tendances particulières des Slaves de la Turquie. Il importe donc aux Puissances Occidentales d'appuyer le Gouvernement du Prince Miche! afin qu'il puisse devenir lui-m~me un centre d'attraction assez considérable pour neutraliser les aspirations d'un certain parti moscovite.

Nous croyons que jusqu'ici ces aspirations n'entrent point dans le programme du Gouvernement Russe, mais il est bon de se prémunir contre toutes les éventualités. Il ne serait pas sage et peut ~tre il ne serait m~me pas possible de s'opposer au courant du mouvement nationale slave; mais il est temps encore de le diriger de manière qu'il n·ait rien de contraire aux intér~ts légitimes de l'Occident. C'est des souvenirs de l'Empire des Serbes que doit s'inspirer la politique des Slaves du Sud.

Sur ce terrain rien ne saurait séparer la cause de la Roumanie de celle de la Serbie. Si on sait éviter de trop étendre le programme des questions à résoudre nous ne voyons que de nombreux points d'intérets communs et d'alliance possible entre !es deux pays. Il faudrait cependant que dès à présent leur politique s'inspiràt directement et uniquement de leurs propres intér~ts nationaux et que les influences étrangères fùssent soigneusement écartées. Soyez très prudent, évitez surtout de Vous prononcer de manière à exciter contre Vous et contre notre politique la méfiance des Agents Russes.

Remarquez bien que nous ne voulons pas prendre une position opposée a celle de la Russie, tout au contraire nous sommes d'accord avec elle sur bien des points. Il faut seulement se prémunir contre les excès de rèle de quelques esprits trop unificateurs.

Dans des occasions bien choisies et surtout dans des entret:ens confidentiels avec les chefs du pouvoir n'hésitez point à leur laisser entrevoir !es dangers de l'avenir, qu'une politique nationale sagement inspirée et appuyée sur l'alliance des nationalités roumaine et serbe pourrait maintenant écarter pour longtemps.

Par cette politique on éviterait bien des erreurs possibles de la part des Gouvernements et des populations, erreurs dont l'Autriche saurait habilement profiter. On ne doit pas oublier que !es impatiences intempestives et le défaut

d'unité et d'accord dans la direction du mouvement national ne pourraient que conduire à des échecs sur lesquels on a peut étre déjà compté à Vienne. Ne montrez point d'avoir reçu des instructions spéciales, et surtout évitez

tout ce qui pourrait donner l'éveil sur notre attitude dans cette question.

(l) Allegato al d. 7 per Bucarest e al d. 8 per Belgrado, non pubblicati.

566

IL CONSOLE GENERALE A BELGRADO, SCOV ASSO,• AL MINISTRO DEGLI ESTERI. DI CAMPELLO

ANNESSO CIFRATO ( 1). Belgrado, 11 giugno 1867 (per. il 18).

Ces jours derniers il y a eu à Agram des démonstrations en faveur de la Russie, mais je ne pense pas qu'elles soient sincères malgré tout ce qu'en disent les Croates et méme Orescovitch.

Celui-ci m'a assuré que l'Evéque Strossmayer lui écrit que pour le moment il n'y a rien à faire pour la Croatie; que entre le danger qui les ménace d'étre germanisés ou magyarisés les Croates et les Serbes doivent préférer d'étre les sujets d'un grand Empire Slave. Qu'il ne faut rien attendre de bon du Gouvernement Autrichien, que la France pousse l'Autriche vers l'Orient et dans cette politique désastreuse pour les Croates et les autres Slaves autrichiens; que M .de Beust est plutòt Min'stre de l'Empereur des Français que Ministre autrichien. Malgré l'assertion de Orescovitch je doute que Strossmayer pense que les slaves protestants ou catholiques de l'Autriche doivent se donner à la Russie. Le triste exemple de la Pologne doit faire refléchir les Croates. Je crois donc que ces démonstrations n'ont d'autre but que de faire une pression sur le Gouvernement Autrichien.

Je sais d'une manière positive qui est bien le méme conseil de Garachanine qui a poussé les Croates dans la voie où ils sont maintenant vis-à-vis de la Hongrie. Ceci est une preuve de l'entente qui règne entre les croates et les serbes de la Principauté. Le Ministre serbe pense que l'Hongrie unie à l'Autriche ne peut pas étre l'arnie des yougo-slaves, tandis que la Hongrie divisée de l'Autriche ayant le Banat et tout le pays serbe jusqu'à la rive gauche du Danube excepté la Sirmie, la Croatie, la Dalmatie etc. serait une nation forte et arnie des yougo-slaves. Je le crois bien que cela conviendrait aux yougoslaves de la Turquie et de l'Autriche car alors ceux-ci seraient 'les plus forts et le Royaume Hongrois divisé de l'Autriche serait un élément de force pour le Royaume Slave pour la Confédération danubienne et qui ne pourrait pas contrebalancer la puissance des yugo-slaves.

On parle ici d'engagements qui auraient eu lieu en Bulgarie entre les troupes turques et une bande d'insurgés. Garachanine ignare méme qu'ils existent dans ce pays là des bandes d'insurgés. Il pense comme moi, que ces bruits

n'ont aucun fondement. Du reste voici, Excellence, ce que je pense de la Bulgarie.

Il y a à Bucharest un Comité Roumain-Bulgare composé de jeunes gens de coeur, mais sans téte, on l'appelle le jeune comité et il travaille dans le sens d'unir la Bulgarie à la Roumanie. Garachanine n'a aucune rélation avec ce Comité mais il y en a un autre ailleurs composé de gens de téte et de coeur, d'hommes sérieux et expérimentés pouvant disposer de beaucoup d'argent avec lequel il est en rélation. Ce Comité travaille à la réunion de la Bulgarie à la Sw-bie et au reste des provices slaves de la Turquie.

J'espère m'a dit Garachanine que ce Comité peu à peu attirera dans son sein celui de Bucharest en le persuadant d'abandonner la folle idée de l'union de deux races si différentes et à faire cause commune avec lui. Je rencontre, a dit Garachanine, de grandes difficultés à mettre d'accord sur les futures frontières les Bulgares et les Grecs. Ils ont tous les deux des ambitions exagérées et jusqu'à ce que nous ne serons pas d'accord sur ce point, il sera imprudent attaquer la Turquie, car après la victoire, en supposant que Dieu nous la donne, nous aurons la guerre civile et alors nous serons perdus. Je crois donc que la Bulgarie ne doit pas encore bouger, elle n'est pas prete et d'ailleurs le mouvement doit éclater dans toutes les provinces à la fois et moi j'ajouterai que le Bulgares sont en général des paisibles et l'amour de leur nationalité n'a pas encore assez percé leurs coeurs.

Un aide de camp du Prince Nicolas I est arrivé ici, il a vu le Prince et Garachanine et il est parti hier pour Bucharest. Je crois qu'il a pour mission de remercier le Prince Charles de Roumanie d'avoir envoyé son Agent à Cettinje pour le complimenter. J'ignore s'il a quelque autre mission. J'ai su de lui que le Monténégro est impatient d'entrer en campagne contre les Tures, que tout retard mécontente le pays, que le Prince est contraire de voir la Serbie dilationner toujours le moment de l'action que les Monténégrins ne peuvent pas respirer dans l'étroit cercle de leurs montagnes où il sont en proie à la plus grande misère, que le Prince et tous ses sujets ne veulent qu'un seui Royaume Yougo-slave de la vieille Serbie à la M. Noire, que les milices du Monténégro sont bien armées et bien exercées et il ne m'a pas caché qu'on croit à Cettinje que le Prince Michel n'a pas été à Constantinople uniquement pour remercier le Sultan de l'évacuation des forteresses mais pour demander autre chose. Je lui ai dit que moi j'étais convaincu du contraire; ainsi il est prouvé une fois de plus qu'au Monténégro on se méfie un peu de la Serbie. De Bucharest il retournera à Belgrade où il s'arrétera huit ou dix jours. Il m'a encore dit que le Prince Nicolas I a vu avec peine l'éloignement du Chevalier Bosio de Scutari. C'est le Consul Russe qui en a étP. la cause.

Il n'y a aucun doute pour moi que le Gouvernement Russe a envoyé les omciers qui encore actuellement visitent minutieusement l'intérieur du pays, ses milices et ses armements pour se faire une idée juste de leur importance. A ce que m'a dit Garachanine le Colone! Van... (l) et le Capitaine Apponievich ce sont des officiers trés distingués.

Beaucoup d'ouvriers autrichiens et prussiens travaillent dans l'arsenal de Kragujewatz à la transformation des fusils. La première classe des milices nationales a été divisée en br!gades mais les cadres pour l'armée régulière ne sont pas encore au complet. Malgré toutes ces mesures malgré que !es armements continuent, je ne crois pas que le Gouvernement Serbe pense à précipiter les choses. Il me parait qu'il s'occupe plutòt à se préparer, à retenir !es impatients à encourager les timides, à secouer les indifférents, à mettre d'accord les intéréts si opposés des différentes provinces, à détruire les méfiances, enfin à aplanir les immenses difficultés qui s'opposent à un accord. à une entente parfaite de toutes les provinces chrétiennes de la Turquie, qu'à presser imprudemment l'action. En attendant l'influence Russe est très grande ici et parmi les peuples Yougo-slaves voisins de la Turquie.

On a envoyé deux ou trois individus à l'exposition de Moskou entre autre

M. Saferich et Petronovitch. Enfin la Russie travaille partout en Turquie et en Autriche et je crois méme que le Comité de Bucharest travaille aussi peutétre à son insu pour la Russie. Cet immense filet que la politique profondément habile de la Russie a jété en Autriche et en Turquie pour tàcher d'envelopper tous les peuples slaves de ces deux pays est manié par des hommes très adroits. Tous croient ou semblent croire au désintéressement de la Russie.

L'Autriche a mis aux trousses des officiers russes qui visitent la Serbie deux de ses officiers déguisés en gens du pays. Le Gouvernement Serbe le sait. On voit clairement l'inquiétude du Gouvernement Autrichien, l'importance qu'il attache à tout ce qui se passe dans ce pays. Son Consul est de nouveau parti pour Pesth et Vienne.

Je crois, Excellence, qu'en vue de cette situation, des événements qui pourraient s'en suivre et de l'intérét qu'll y aurait pour le Gouvernement du Roi d'étre exactement informé sur ce qui se passe en Bulgarie, il serait très utile de nommer un Vice Consul de carrière à Roustchouck. Je soumets au jugement de V. E. mon humble opinion.

L'aide de Camp du Prince Nicolas I et Garachanine m'ont dit que le Prince Nicolas I a renoncé d'envoyer la députation à Constant:nople pour demander à la Sublime Porte la cession d'un petit port ou d'une petite anse dans l'Adriatique. Il parait que la Russie et Garachanine ont déconseillé cette démarche comme inopportune. Le Sénateur qui devait la présider est parti pour représenter le Monténégro à J'exposition de Moskou.

(l) Al r. 12, non pubblicato.

(l) Gruppo !ndecifrato.

567

L'INCARICATO D'AFFARI A COSTANTINOPOLI, DELLA CROCE, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI CAMPELLO

T. 398. Costantinopoli, 12 giugno 1867, ore 14,50 (per. ore 18,30).

L'ambassadeur de France a reçu l'ordre de communiquer à la Sublime Porte d'accord avec ses autres collègues la note que V. E. m'a transmis par sa dépéche réservée du 10 mai (l) en passant outre sur le refus de l'Autriche.

L'ambassadeur demande mon concours. J'ai répondu que, mes instructions parlant d'une entente entre l'Autriche, la France, la Prusse et la Russie, je devais en référer à mon Gouvernement. Veuillez me fair econnaitre vos instructions (1).

(l) Cfr. n. 499.

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IL MINISTRO A CARLSRUHE, GIANOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI CAMPELLO

R. 87. Baden, 12 giugno 1867 (per. il 16).

Il Barone Freydorf è ritornato da Berlino Sabato scorso, grandemente soddisfatto degli accordi fatti col signor di Bismark, relativamente alla ricostituzione dello Zollverein.

S. E. assediata come era da tutti i capi m1ss10ne avidi di aver notizie, non aveva tempo a ragguagliare minutamente ciascheduno sulla natura delle fatte negoziazioni. Egli si comp:acque di dire che i particolari delle Conferenze tenute dai Ministri dei quattro Stati meridionali della Germania col Presidente del Consiglio Prussiano erano stati molto fedelmente svelati al pubblico dai varj organi della stampa, e ch'egli non poteva che confermare in questa circostanza la loro veracità. Egli mi soggiunse poi che recandosi a Berlino non nutriva di certo la speranza di poter giungere così tosto e così facilmente ad un accordo tra tutti gli intervenuti, e ch'egli poi era lontanissimo dall'aspettarsi che la ricostituzione dello Zollverein potesse essere occasione all'incoronamento del più caldo de' suoi voti, stabilendo l'ammissione dei deputati del Sud nel Parlamento del Nord, (Reichstag) e dei delegati dei Governi meridionali nel Consiglio della Confederazione (Bundesrath). Ancorché solo ammessi, per ora, tanto i primi quanto i secondi in occasione e per la trattazione di affari esclusivamente commerciali e doganali, i nostri deputati e delegati, dissemi il Barone Freydorf, giungeranno più o meno presto, più o meno tardi a farsi ammettere alla discussione ed alla trattazione anche degli altri affari che possono direttamente interessarci. « C'est un grand pas que le Zollverem nous a fait faire dans le chemin de l'Un'an, et je persiste à croire que pour le moment aucune puissance a le droit de voir de mauvais oeil les arrangements que nous avons faits. Il peut arriver qu'avec le progrès du temps et le développement de nos rélations avec le Nord, quelque puissance puisse se prétendre lésée et vienne à crier contre la violation du Traité de Prague; mais pour ce temps là, je l'espère, nous serons en mesure par notre position, et par l'entente qui régnera entre nous d'imposer le calme, et meme la condescendance à ceux qui pourraient etre tentés de se méler de nos affaires, et de nous créer des difflcultés. Pour moi, il n'y a pas de doute: la Bavière (dont le représentant, le Prince Hohenlohe est arrivé à Berlin sans instructions) ne pourra pas durer longtemps dans l'isolement où elle se trouve; et elle doit accéder aux arrangements qui ont été faits; M. Varnbtiler et moi seuls, nous étions autorisée à signer: M. Dalwigk qui à Berlin n'a pas signé non plus,

nous a annoncé récemment par le télégraphe que le Gouvernement Hessois accepte les bases qui ont été fixées dans la Conférence ».

Queste basi, come l'E. V. avrà senza dubbio letto nei giornali, sono la partecipazione degli Stati del Sud ad un Parlamento doganale (Zollparlement) per mezzo di deputati da eleggersi col suffragio universale, e l'ammiss:one nel Bundesrath di rappresentanti dei singoli Governi.

Si scrive alla Gazzetta di Colonia che la Germania meridionale manderà a quel Parlamento ottantasei deputati, così ripartiti, 48 la Baviera, 18 il Wurttemberg, 14 il Baden, e 6 il Granducato di Assia per la parte al di qua del Meno. Al Bundesrath poi 13 saranno i voti spettanti al Sud della Germania, 4 ciascuno Baviera e Wurttemberg, 3 Baden, 3 in totale l'Assia Darmstadt. Il principio che le decisioni, tanto nel Parlamento quanto nel Consiglio abbiano a prendersi a maggiorità di voti, abolito così l'assurdo sistema invalso nella Confederazione Germanica e nell'antico Zollverein della assoluta unanimità, è stato adottato.

Il Barone Freydorf nel darmi congedo alludendo a queste basi, ed alla mia prossima gita in Italia mi disse: «J'espère que vous ne manquerez pas de faire voir à votre Gouvernement que nous essayons tous les moyens de suivre l'exemple que l'Italie nous a donné, et que lorsque un obstacle insurmontable se présente, nous faisons comme elle, et au lieu de l'attaquer de front, nous le tournons: vous avez eu le traité de Zurich, mais malgré lui vous étes parvenus à l'unité; nous avons le Traité de Prague, mais malgré lui nous y parviendrons aussi. N'est-ce pas que l'Italie nous aidera de ses voeux. elle qui nous a précédé dans l'oeuvre difficile? '>.

Non ho creduto dovermi estendere in felicitazioni od incoraggiamenti, ignorando quali fossero a questo proposito le mire del Governo di Sua Maestà. Ho però detto al Barone Freydorf che il felice e pronto negoziato di Berlino era un gran passo nella questione tedesca, e che era certamente a desiderarsi che nessuna difficoltà interna od estera venisse ad incagliarne lo sviluppo.

Se però debbo dar retta e peso ad una conversazione avutami coll'Incaricato d'affari di Francia, la cosa pare non abbia a passare così liscia. Il Barone di Montgascon infatti, trattando la questione dei deputati da eleggersi col suffragio universale e da ammettersi nel Zollparlament, e ravvisando questo fatto come un nuovo anello alla catena che il Signor di Bismarck sta intrecciando per tirare a sé i Governi del Sud, mi disse che egli credeva una tal cosa un'aperta violazione del Trattato di Praga, e che come tale avrebbe certamente destato l'opposizione delle potenze interessate ad impedire che le due Germanie del Sud e del Nord vengano a costituirne una sola. «On a arrangé cette année-ci à l'amiable la question du Luxembourg parceque nous avions l'exposition en train et qu'il nous fallait la paix pour en tirer le plus grand parti possible. Vous voyez que nous n'avons pas eu tort d'étre coulants; notre exposition va grand train, et toutes les tétes couronnées d'Europe se rendent à Paris. Mais l'année prochaine l'exposition n'y sera plus et nous serons préts. On verra... ».

Lo stesso signor di Montgascon mi disse che dall'Incaricato d'affari Wurttemberghese gli fu chiesto perché l'Imperatore Napoleone non faceva invito al suo Sovrano di recarsi a Parigi in questa memorabile circostanza, e di avere

risposto che l'Imperatore si era proposto di astenersi dall'invitare i Sovrani della Germania meridionale, che però ove questi amassero, come farà a giorni S.AR. il Granduca di Baden, recarsi colà incogniti o no, avrebbero trovato presso la Corte Imperiale la più premurosa accoglienza.

Ho avuto l'onore di presentare il Signor Conte Litta al Signor Barone Freydorf, in qualità di Incaricato d'affari durante la mia breve assenza. Nella speranza di potere quanto prima personalmente presentare i miei omaggi all'E. V ...

(l) Cfr. n. 569.

569

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI CAMPELLO, AL MINISTRO A BERLINO, DE LAUNAY, E ALL'INCARICATO D'AFFARI A COSTANTINOPOLI. DELLA CROCE

T. 241. Firenze, 13 giugno 1867, ore 15,10.

(Per tutti) Le baron de Malaret nous a donné communication d'une dépéche de son Gouvernement, qui dit que l'Autriche, après les explications qui ont été échangées, s'associera à la demarche collective, et que l'Angleterre, sans y prendre une part directe, l'appuyera aussi. Il est convenu qua la démarche n'implique pas d'une manière absolue le recours au vote populaire, mais bien plutòt à une enquéte dont la Porte prendrait l'initiative. Dans ces conditions

(Per Costantinopoli) vous étes autorisé à

(Per Berlino) nous venons d'autoriser le comte Della Croce à

(Per tutti) communiquer à la Sublime Porte la dépéche du 10 mai d'accord avec vos (ses) collègues (1).

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L'INCARICATO D'AFFARI A COSTANTINOPOLI, DELLA CROCE, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI CAMPELLO

T. 399. CostanUnopoli, 14 giugno 1867, ore 0,40 (per. ore 9,20).

Internonce trouve que les termes de la note collective que V. E. m'a envoyé le 10 mai (2) ne coYncident nullement avec les explications données par le due de Gramont à Vienne et refuse de prendre le texte de ce document pour base d es nouvelles démarches; il se déclare prét à toute démarche qui serait conçue clairement dans le sens des explications données à Vienne. De Moustier a télégraphié à son ambassadeur qu'il n'y a aucune différence entre ces explications et le contenu de la note du 10 mai, et lui a donné ordre de passer outre sur le refus de l'Autriche. Si l'internonce persiste dans ce refus que dois-je-faire? (3).

(l) -In pari data venne inviato a Nigra il d. 245 dal contenuto analogo a quello di questotelegramma. (2) -Cfr. n. 499. (3) -Per la risposta cfr. n. 572.
571

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI CAMPELLO, AL MINISTRO A BERLINO, DE LAUNAY

T. 243. Firenze, 14 giugno 1867, ore 14,40.

Après démarches collectives deux hypothèses se présentent: ou bien la Porte répondra à la note collective par un nouveau refus suivi du voyage du Sultan, etc., ou bien elle admettra une enquéte dont elle se refusera à accepter les conséquences naturelles, entre autres une suspension d'armes.

Oes deux hypothèses doivent avoir été examinées à Paris. Tachez de savoir par le prince Gortchakoff quelle nouvelle proposition il ferait dans l'un ou dans I'autre des deux cas.

Portez aussi l'entretien sur la necéssité que l'Egypte, en obtenant son indépendance du Sultan, n'aie point à se soustraire au régime général qui établit une sorte de tutelle européenne sur tous les Etats de l'Empire Ottoman. Si le nouvel état des choses était examiné le plus tòt possible collectivement par les Puissances, on éviterait les complications d'une reconnaissance séparée de la part de quelques Gouvernements. Faites entendre que nous regrettons vivement les désordres intérieurs dont les Principautés Unies sont menacées. On les attribue aux menées séparatistes des agents russes en Moldavie. Nous ne pouvons y croire. La Russie ne peut vouloir que l'affranchissement des nationalités en Orient, et elle ne voudra certainement pas avoir une autre politique envers la Roumanie.

572

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI CAMPELLO, ALL'INCARICATO D'AFFARI A COSTANTINOPOLI, DELLA CROCE

T. 244. Firenze, 14 giugno 1867, ore 14,40.

C'est pour éviter perte de temps inutile qu'on n'a pas fait une nouvelle dépéche mais il est bien entendu qu'au lieu du plébiscite on se contentera de l'enquéte à la quelle l'Autriche a adhéré et jusque à un certain point l'Angleterre aussi. Si l'internonce n'a pas d"instructions précises et les autres ne croient pas devoir retarder la démarche, vous pouvez vous associer à ce que feront les représentants de France, Prusse et Russie.

573

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI CAMPELLO, AL MINISTRO A LONDRA, D'AZEGLIO

D. 36. Firenze, 14 giugno 1867.

Ella rileverà dal dispaccio che io diressi in data di ieri al R. Ministro in Costantinopoli (l) e che figura tra i documenti diplomatici compresi nella

spedizione d'oggi che fu dato ordine a quel R. Rappresentante di valersi della nota identica stata precedentemente concertata relativamente agli affari di Candia nel modo stesso che fossero per valersene i Rappresentanti d'Austria, Francia, Prussia e Russia. Debbo far notare in modo speciale alla S. V. che il

R. Governo si indusse a siffatta risoluzione sopratutto in seguito alle formali dichiarazioni fattemi d'ordine del suo Governo, dal Barone di Malaret, secondo le quali il Governo Britannico senza prendere una parte diretta nell'ufficio collettivo delle altre Potenze, consentirebbe però ad appoggiarlo, e d'altra parte la conseguenza necessaria dell'officio stesso sarebbe una inchiesta europea da effettuarsi per in'ziativa della Sublime Porta.

(l) Non pubblicato ma cfr. n. 569.

574

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI CAMPELLO, AL MINISTRO A PARIGI, NIGRA

D. 246. Firenze, 14 giugno 1867.

Da un mio dispaccio di ieri (l) Ella ha potuto vedere l'accoglimento che io feci alla comunicazione del Barone di Malaret sulla nota collettiva da presentarsi a Costantinopoli quale era stata convenuta sin dai primi giorni dello scorso maggio.

Un telegramma del R. Rappresentante in Turchia (2) mi ha annunziato testé che l'Internunzio d'Austria mostravasi restio a concorrere a tale presentazione collettiva dicendo che il tenore della Nota non corrisponde colle spiegazioni che erano state date al suo Governo. Cons~derando che queste difficoltà non possono essere che l'effetto di personale titubanza per parte del Barone Prokesch ho telegrafato al R. Rappresentante (3) di seguire la condotta che terrebbero in questa occorrenza gli Ambasciatori di Francia e di Russia e l'Inviato di Prussia.

L'arrendevolezza del Governo del Re nelle varie fasi cui andò soggetta la vertenza cretese nel mentre servi a dimostrare che per noi ogni partito è buono che abbia per effetto di assicurare stabilmente la pace e la tranquillità in Levante, ha pure provato ad evidenza che l'Italia trova il suo proprio interesse nel contribuire a mantenere nel miglior modo possibile il concerto di tutte le Potenze di fronte alle complicazioni crescenti della questione Orientale.

Ella comprenderà però, Signor Ministro, le difficoltà della nostra posizione ove seguendo l'esempio di questi ultimi giorni le comunicazioni del Governo francese relative agli accordi da stabilirsi ci dovessero giungere così tardive.

A Lei confidenzialmente io posso dire che il Rappresentante di Sua Maestà a Costantinopoli mi aveva di già avvisato della decisione presa di presentare alla Porta la nota coìlettiva, delle d:fficoltà opposte dall'Internunzio e delle reiterate istruzioni di passer outre sur le rejus de l'Autriche, date al signor Bourée dal Marchese di Moustier prima che il Gabinetto di Firenze fosse in qual

che modo diretto informato della decisione presa a Parigi. In questa circostanza l'avviso ufficiale di questa determinazione non poteva esserci dato da altri che dal Governo francese.

(l) -Non pubblicato. (2) -Cfr. n. 570. (3) -Cfr. n. 572.
575

IL MINISTRO A PARIGI, NIGRA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI CAMPELLO

R. 464. Parigi, 14 giugno 1867 (per il 17).

Oggi è partito da Parigi il Re di Prussia, insieme al Conte di Bismarck. Il Principe Reale di Prussia era partito la vigilia, e due giorni fa partirono pure l'Imperatore di Russia coi due Granduchi. Il risultato polit_co di queste visite parmi sia presso a poco conforme alle previsioni che ebbi l'onore di sottomettere in un mio precedente dispaccio. L'Imperatore di Russia fu ben accolto e cordialmente trattato dall'Imperatore Napoleone. L'accordo sulle pratiche da farsi a Costantinopoli per arrivare all'emancipazione di Candia e poi alla riunione dell'isola al regno ellenico, accordo che già esisteva in principio fra la Russia e la Francia, venne più esplicitamente confermato nei colloquii dei due Imperatori. Questo accordo credo che implichi anche la riforma da attenersi in favore delle altre popolazioni cristiane dell'Impero turco. Ma non penso che si sia proceduto al di là di questi limiti, e che impegni siano stati presi intorno alla questione della revisione del trattato del 1856. Tale almeno è l'opinione di Lord Cowley e quella del Conte di Bismarck coi quali ne ho parlato. Mi duole di non aver potuto avere in proposito una conferenza col Principe di Gortchakoff. Ma nei primi giorni del suo arrivo il primo ministro dello Czar fu troppo occupato perché io potessi vederlo, e negli ultimi giorni della sua dimora a Parigi io dovei assentarmi per andare a Marsiglia.

Ho potuto parlare a lungo col Conte Bismarck, il quale venne a vedermi jeri l'altro. Tralascio dal trascriverle qui quanto il celebre Ministro Prussiano mi ha detto relativamente alla questione del Lussemburgo. Le spiegazioni datemi dal Conte di Bismarck intorno a questa vertenza che per un istante minacciò la pace di Europa sono conformi a quanto Le scrisse a suo tempo la

R. Legazione a Berlino. Il Conte di Bismarck fa colpa naturalmente al Governo francese ed ai suoi agenti della cattiva piega data alla questione e dei pericoli a cui essa diede luogo. Passando da queste spiegazioni retrospettive a cose di maggiore attualità, io dissi al Conte di Bismarck che ero persuaso che se la Prussia si asteneva per l'avvenire da fatti che potessero rivestire il carattere d'una provocazione verso la Francia, era cosa quasi certa che si eviterebbe ogni probabilità di conflitto; e gli domandai se il Governo Prussiano intendesse procedere nella via d'una più stretta unificazione degli Stati dell'Allemagna Meridionale colla Confederazione del Nord. Egli mi rispose, che ammaestrato dall'esempio dell'Italia si guarderebbe bene dal procedere troppo frettolosamente in questa via. «Noi siamo ora sazii di ciò che abbiamo ottenuto, diss'egli; né per molto tempo cercheremo altro. La nostra grande occupazione sarà ora quella di lavorare all'organizzazione della Confederazione del Nord ed alle nostre cose interne, evitando con cura ogni cosa che possa dare alla Francia pretesti di collisione ». Il Conte Bismarck mi d sse che aveva veduto l'Imperatore e che era rimasto soddisfatto del colloquio avuto con lui. «Io sono oramai sicuro della pace, mi diss'egli prima di pigliar commiato da me». E difatti io credo che la presenza del Re di Prussia e quella del suo primo Ministro a Parigi ha avuto per effetto di dissipare molte prevenzioni. D'altro lato l'Imperatore Napoleone ha potuto ass:curarsi che era vano lo sperare che mai la Russia consentisse a staccarsi dalla Prussia. Il Conte Bismarck del resto mi si mostrò molto fidente nell'amicizia russa. «Non è la Prussia, mi diss'egli, che ha bisogno della Russia, ma è la Russia che ha bisogno di noi».

Ho domandato a Bismarck che cosa pensava della quest'one d'Oriente e quale sarebbe stata a questo riguardo la condotta della Prussia. Alla parola questione d'Oriente egli si mise a sorridere e mi disse: «La questione d'Oriente non esiste; ed è veramente deplorevole che la si voglia creare ». Il Conte Bismarck è d'avviso che non v'è nulla di maturo per la soluzione di una tale questione. Quanto alla condotta della Prussia, il Conte Bismarck fu nella risposta datami altrettanto esplicito quanto saggio. Anzi tutto non bisogna dimenticare, mi diss'egli, che agli occhi della Prussia, l'importante è di non mettersi male colla Francia. Ciò posto, l'attitudine della Prussia sarà di essere favorevole in massima alle popolazioni cristiane. Quando la Francia e la Russia sono d'accordo sopra una proposta, la Prussia vi si associerà. Se poi le proposte fatte dalla Francia e dalla Russia non fossero concordi, allora la Prussia esaminerà maturamente le une e le altre e appoggerà quelle che dopo maturo e serio esame saranno secondo la sua coscienza giudicate più eque.

Non prenderà la Prussia nessuna iniziativa in proposito; agirà con tutta riserva e si terrà per quanto è possibile in una attitudine piena di moderaz:one e di prudenza.

Queste sono in sostanza le cose dettemi da Bismarck. Non mi parlò della questione della continuazione del Lussemburgo a far parte dello Zollverein, questione che può ancora sollevare qualche difficoltà. Ma oramai spero che anche questa questione non verrà più a mettere in pericolo la pace d'Europa.

Non devo poi tacere all'E. V. che il Conte di Bismarck, pel quale si temevano insulti nelle vie e nei saloni di Parigi, ottenne invece dappertutto un successo, prima di curiosità, poi direi quasi di benevolenza. Mostrò coraggio civile a venire in mezzo ad una popolazione che gli era notoriamente ostile, si governò con disinvoltura, fu affabile senza bassezza, fu dignitoso senza alterigia, ebbe spirito senza affettazione, e certamente guadagnò nella stima e nella simpatia di quanti lo avvicinarono.

576

L'INCARICATO D'AFFARI A COSTANTINOPOLI, DELLA CROCE, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI CAMPELLO

T. 405. Costantinopoli, 15 giugno 1867, ore 16 (per. ore 19,50).

Ce matin les interprètcs d'Italie, France, Prusse et Russie ont remis à Fuad pacha copie de la dépeche du 10 mai (l) avec date du 17 du meme

mois. L'Autriche s'est abstenue. L'interprète de France prenant la parole a ajouté que dans opinion de son Gouvernement l'initiative des mesures d'exécut:on devait ètre laissée au Gouvernement ottoman. Sur l'invitation de la Porte les représentants des Puissances désigneraient des délégués pour assister les commissaires tures et assurer par leur présence la sincérité de l'enquète.

Fuad pacha à déclaré qu'il répondrait à la communication par une dépèche adressée aux [représentantsJ de la Sublime Porte auprès des Puissances Commandeur Bertinatti est arrivé ce matin.

(l) Cfr. n. 499.

577

L'AGENTE E CONSOLE GENERALE A BUCAREST, SUSINNO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI CAMPELLO

T. 406. Bucarest, 15 giugno 1867, ore 17,20 (per. ore 12,50 del 16).

D'après dépèche télégraphique arrivée ici quelques combats d'insurgés auraient eu lieu ces jours derniers en Bulgarie district Sistow. Les tures auraìent sévi contre les prisonniers et habitants, plusieurs chrétiens pendus.

578

IL MINISTRO A PARIGI, NIGRA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI CAMPELLO

R. CONFIDENZIALE 465. Parigi, 15 giugno 1867.

Informazioni att:nte a parecchie fonti, alcune delle quali sono degne di particolare considerazione, mi fanno supporre che alcune frazioni del partitv liberale a Roma siano venute nella determinazione di mutare con un fatto rivoluzionario l'ordine di cose attualmente esistente nello Stato pontif:cio. A questo intento verrebbero impiegate le somme ritratte dal prestito emesso da Garibaldi per Roma; le cartelle di questo prestito avrebbero trovato, a quanto dicesi, uno spaccio sufficiente in Inghilterra. Quanto alle armi, i congiurati disporrebbero di qualche deposito nascosto di fucili. Parte dell'emigrazione sarebbe raccolta sotto la direzione del Generale Garibaldi ed attenderebbe dai capi del movimento che stanno in Roma l'indicazione dell'epoca e dei modi di azione.

Credo mio dovere di richiamare su queste notizie, per quanto sieno generiche, l'attenzione del Governo del Re. Non già ch'io non sappia che il Ministero è naturalmente più in grado di me d'essere informato di quanto accade a Roma; ma perché controllando con altre più minute informazioni quelle che sono giunte a mia notizia V. E. possa conoscere con certezza quanto vi può essere di vero nelle voci di cui Le tengo parola riservatamente.

579

IL CONSOLE GENERALE A TRIESTE, BRUNO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI CAMPELLO

R. CONFIDENZIALE S. N. Trieste, 15 giugno 1867.

Spero che sia giunto a di Lei mani il rapporto confidenziale che mi sono · fatto carico di dirigere all'E. V. il 3 giugno volgente (l) relativamente alla festa nazionale stata qui celebrata ed alle dimostrazioni alle quali essa diede occasione. Ciò che io fin d'allora prevedeva, che cioè i giornali avrebbero amplificato i fatti avvenuti, si è purtroppo avverato. Io non parlerò a V. E. di quanto scrissero su questo argomento parecchi giornali italiani, tra i quali accennerò solamente Il Tempo dl Venezia, Il Giornale di Udine, e La Perseveranza, imperocché io non poteva fare alcun caso dei diversi apprezzamenti che quei giornali fecero della dimostrazione seguita, ma non posso tacermi e debbo chiamare la superiore di Lei attenzione sopra una corrispondenza di Trieste stata pubblicata sulla Gazzetta di Augusta il 12 volgente mese. In questa corrispondenza, di cui unisco la versione italiana, si dice che io sono stato non lievemente compromesso dalle ultime dimostrazioni e si aggiunge che il Governo del Re mi aveva impartito l'ordine di festeggiare la solennità dello Statuto. Poco mi cale che il corrispondente dell'Allgemeine Zeitung opini che io mi sia non lievemente compromesso, ma egli asseverò che il Governo mi ha impartito l'ordine di festegg are lo Statuto, ciò che è assolutamente falso. Se V. E. crede che questa asserzione erronea venga smentita, mediante una dichiarazione da inserirsi sovra alcuno dei giornali di Trieste, si compiaccia farmi conoscere la di Lei opinione ed a questa io avrò cura di uniformarmi.

Io credo che una mia lettera, concepita presso a poco in parole eguali a quelle contenute nell'unito foglio (l), potrebbe essere con vantaggio pubblicata sull'Osservatore Triestino, in riscontro all'unita corrispondenza dell'Allgemeine Zeitung. Se V. E. l'approva potrebbe autorizzarmi a pubblicarla mediante un telegramma in cifra.

Le dimostrazioni continuano ovunque se ne offra l'occasione opportuna. Cosi si profittò di due accademie di poesia estemporanea date dal Bindacci nei Teatri Comunale e Filarmonico, per fare chiasso e per applaudire ogni parola anche innocente purché allusoria all'Italia.

(l) Non si pubblica.

<
APPENDICI

49 -Documenti diplomatici -Serie I -Vol. VIII

APPENDICE I

LEGAZIONI DEL REGNO D'ITALIA ALL'ESTERO

(Situazione al 15 maggio 1867)

ARGENTINA

Buenos Ayres -N.N. inviato straordinario e ministro plenipotenziario; JOANNINI CEVA DI S. MICHELE conte Luigi, incaricato d'affari.

ASSIA

OLDOINI marchese Filippo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario (residente a Monaco).

AUSTRIA

Vienna -DE BARRAL DE MONTEAUVRARD conte Camillo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; AvOGADRO DI COLLOBIANO ARBORIO Francesco, segretario; ScOTTI Alberto, segretario; GUICCIOLI marchese Alessandro, addetto; AVARNA DEI DUCHI DI GUALTIERI Giuseppe, addetto.

BADEN

Carlsruhe -GIANOTTI Felice, ministro residente; LITTA BIUMI RESTA conte Baizarina, segretario.

BAVIERA

Monaco -OLDOINI marchese Filippo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; CENTURIONE marchese Enrico, segretario; TERZAGHI Carlo, addetto.

BELGIO

Bruxelles -DoRIR DI PRELÀ conte Rodrigo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; MAROCHETTI barone Maurizio, segretario.

BRASILE

Rio de Janeiro -FE' D'OsTIANI conte Alessandro, ministro residente; GONELLA Alfonso, segretario.

BRUNSWICK

DE LAUNAY conte Edoardo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario (residente a Berlino).

CHILì Santiago -N.N. incaricato d'affari.

CINA

SALLIER DE LA TouR conte Vittorio, inviato straordinario e ministro plenipotenziario (residente a Yeddo).

CITTA ANSEATICHE Amburgo -GALATERI, dei conti di Genola, Gabriele, incaricato d'affari.

COSTARICA ANFORA, dei duchi di Licignano, Giuseppe, incaricato d'affari (residente a Guatemala).

DANIMARCA

Copenaghen -N.N. inviato straordinario e ministro plenipotenziario; GERBAIX DE SoNNAZ Carlo Alberto, incaricato d'affari.

FRANCIA

Parigi -NIGRA Costantino, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; QUIGINI PULIGA conte Efisio, consigliere; BOYL DI PUTIFIGARI conte Carlo Alberto, segretario; RESSMAN Costantino, segretario; AVOGADRO DI COLLOBIANO ARBORIO Luigi, addetto; VIMERCATI conte Ottaviano, addetto militare col titolo di consigliere onorario di legazione.

GIAPPONE

Yeddo -SALLIER DE LA TouR conte Vittorio, inviato straordinario e ministro plenipotenziario.

GRAN BRETAGNA

Londra -TAPARELLI D'AzEGLIO marchese Vittorio Emanuele, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; MAFFEI DI BoGLIO conte Carlo Alberto, segretario; SAN MARTINO DI SAN GERMANO marchese Casimiro, segretario; VIGONI Giorgio, addetto.

GRECIA

Atene -PEs DI SAN VITTORIO conte della Minerva, Domenico, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; N.N. segretario.

GUATEMALA

Guatemala -ANFORA, dei duchi di Licignano, Giuseppe, incaricato d'affari.

HONDURAS

ANFORA, dei duchi di Licignano, Giuseppe, incaricato d'affari (residente a Guatemala).

MAROCCO

Tangeri -CASTELLINARD conte Adolfo, agente e console generale; TESI Giulio. ff. di vice console; TOLEDANO Giuseppe, interprete; BENATAR Raffaele, interprete onorario.

MESSICO

Messico -N.N. inviato straordinario e ministro plenipotenziario; CuRTOPASSI Francesco, segretario.

NICARAGUA

ANFORA, dei duchi di Licignano, Giuseppe, incaricato d'affari (residente a Guatemala).

OLDENBURG

DE LAUNAY conte Edoardo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario (residente a Berlino).

PAESI BASSI

Aja -CARUTTI DI CANTOGNO Domenico, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; FAVA barone Saverio, segretario.

PERù

Lima -GARROU Ippolito, incaricato d'affari.

PORTOGALLO

Lisbona -TAGLIACARNE marchese Andrea, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; PATELLA Salvatore, segretario.

PRUSSIA

Berlino -DE LAUNAY conte Edoardo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; Tosi Antonio, segretario; ZANNINI conte Alessandro, segretario; VIscONTI D'ORNAVAsso barone Carlo Alberto, addetto.

RUSSIA

Pietroburgo -N.N. inviato straordinario e ministro plenipotenziario; INCONTRI marchese Ludovico, segretario; CoNELLI DE PROSPERI Carlo, addetto.

SAN SALVADOR

ANFORA, dei duchi di Licignano, Giuseppe, incaricato d'affari (residente a Guatemala).

SASSONIA (Regno di)

DE LAUNAY conte Edoardo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario (residente a Berlino).

SASSONIA <Gran Ducato e Ducati di)

DE LAUNAY conte Edoardo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario (residente a Berlino).

SPAGNA

Madrid -Dr BELLA CARACCIOLO marchese Camillo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; CovA Enrico, segretario; PATERNÒ DI RADDUSA Michele, addetto; CATALANI Tommaso, addetto.

STATI UNITI DELL'AMERICA DEL NORD

Washington -N.N. inviato straordinario e ministro plenipotenziario; N.N. segretario; CANTAGALLI Romeo, incaricato d'affari.

SVEZIA E NORVEGIA

Stocco:ma ~ CoRTI conte Luigi, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; PRAMPERO conte Ottaviano, segretario; CoTTA Francesco, addetto.

SVIZZERA

Berna -CERRUTI Marcello, inviato stra.ordinario e ministro plenipotenziario; DE MARTINO Renato, segretario; SAN MARTINO DI SALE CASTELNOVO E CASTELLAMONTE Pietro, addetto; COMPANS DE BRICHANTEAU conte Edoardo, addetto.

TURCHIA

Costantinopoli -BERTINATTI Giuseppe inviato straordinario e ministro plenipotenzial'io; DELLA CROCE DI DOJOLA conte Enrico, consigliere; DI NOIA DE GREGORIO duca Leopoldo, segretario; GALVAGNA barone Francesco, segretario; FRANCHETTI Leone Giulio, addetto; DE NITTO Enrico, addetto; VERNONI Alessandro, interprete; GRAZIRNI Edoardo, interprete; BARONE Antonio, interprete; CHABERT Alberto, interprete; ANINO Giovanni, interprete.

no

URUGUAY

Montevideo -N.N. inviato straordinario e ministro plenipotenziario; RAFFO Giovanni Battista, incaricato d'affari.

VENEZUELA Caracas -DE LA VILLE conte Bartolomeo, incaricato d'affari.

WùRTEMBERG Stoccarda -GREPPI conte Giuseppe, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; BALBI SENAREGA marchese Giacomo, ff. segretario.

APPENDICE II

UFFICI DEL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI CONSIGLIO DEL CONTENZIOSO DIPLOMATICO

(Situazione al 15 maggio 1867)

MINISTRO SEGRETARIO DI STATO Dr CAMPELLO conte Pompeo, senatore del Regno.

SEGRETARIO GENERALE MELEGARI Luigi Amedeo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario.

DIRETTORI SUPERIORI

ULrssE BARBOLANI Raffaele, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; MIGLIORATI marchese Giovanni Antonio, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; PEIROLERI August0.

CAPO DIVISIONE CoRso Edoardo.

CAPI SEZIONE

ARNAUD DE CHATEAUNEUF Felice; CANTON Carlo; DE GOYZUETA Francesco; FALCONET Giuseppe; GAL Giovanni Battista; SANTASILIA Nicola.

SEGRETARI DI P CLASSE

I3RASCHI conte Daniele; BERTOLLA Giuseppe; CATTANEO Angelo; CARRERA Angelo; Mo Alberto; ScHMUCKE!l barone Pompeo.

SEGRETARI DI 2a CLASSE

AMATO Giuseppe; BARRILIS Diego Lorenzo; BIANCHINI Domenico; BOREA D'OLMO marchese Giovanni Battista; CAVACECE Emilio; MIRTI DELLA VALLE Achille.

UFFICIALI DIPLOMATICI E FUNZIONARI ADDETTI ALLE DIREZIONI

FESTA Carlo Stefano, console di 2a classe; LATTES Giuseppe, vice console di 1a classe; NEGRI Cristoforo, console generale di P classe, incaricato delle funzioni di ispettore generale dei consolati; RIVA Alessandro, vice console di 3a classe; SPINOLA marchese Federico, segretario di legazione di la classe; TROSSI Giuseppe, direttore e capo divisione onorario presso la direzione affari politici.

CONSIGLIO DEL CONTENZIOSO DIPLOMATICO

Presidente: DES AMBROIS DE NEVACHE Luigi, ministro di Stato, presidente del Consiglio di Stato, senatore del Regno. Vice presidente: PINCHIA Carlo, consigliere di Stato. Consigliere-segretario: FoRNETTI Tommaso.

Consiglieri: BARBARoux Carlo, consigliere della Corte d'Appello di Piemonte; MANCINI Pasquale, professore; ALFIERI DI MAGLIANO conte Carlo; GUERRERI GoNzAGA marchese Anselmo, deputato; D'ONDES REGGIO barone Vito, professore, deputato; MELEGARI Luigi Amedeo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario.

APPENDICE III

LEGAZIONI ESTERE IN ITALIA

(Situazione al 31 maggio 1867)

Austria -Ki.iBECK Aloys, barone von, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; BRUCK Karl, barone von, consigliere; DuBsKY Vietar, conte von, segretario.

Baden -ALESINA VON ScHWEITZER barone Ferdinand, ministro residente.

Baviera -HOMPESCH-BOLTHEIM Ferdinand, conte von, inviato straordinario e ministro plenipotenziario.

Belgio -SOLVYNS visconte Henri, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; BouNDER DI MELSBROECK Théodore, primo segretario; 0RBAN Henri, secondo segretario.

Brasile -LouREIRO Joao Alves, ministro residente.

Danimarca -N.N.

Francia -MALARET Joseph, barone de, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; VILLESTREUX, barone de la, primo segretario; VERNOUILLET, de, secondo segretario; WrMPFFEN, barone de, terzo segretario; LARDEREL, conte de, addetto; LAssus S. GENIES Pierre, barone de, addetto; LESPERUT barone

E. G., addetto; ScHMIDT, colonnello, addetto militare; Du CAssE barone Georges Hermann, cancelliere.

Gran Bretagna -ELLIOT Henri George, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; HERRIES Edward, primo segretario; JocELYN William Nassau, secondo segretario; RussELL James Ferguson, secondo segretario; DERING Henry Nevill, terzo segretario.

Grecia -CONDOURIOTIS Andreas, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; TYPALDO Georgios, segretario.

Messico -PEON DE REGIL Alonso, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; YBARRONDO Domingo, de, segretario.

Paesi Bassi -HELDEWIER Mauritius, ministro residente.

Perù -N.N., incaricato d'affari.

Portogallo -BORGES DE CASTRO J osé F'erreira, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; ALVES GuERRA Manuel, segretario.

Prussia -USEDOM Karl Georg, conte von, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; BUNSEN Karl, v o n, consigliere; DONHOFF Karl, conte v o n, segretario; RADOLINSKY I-lugo, conte von, addetto.

Repubblica Argentina -BALCARCE Mariano, inviato straordinario e ministro plenipotenziario (residente a Parigi).

Russia -KrssELEV Nikolaj, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; OsTEN SACKEN Nikolaj, conte di, primo segretario; DONAUROV Sergej, secondo segretario; MEYENDORF barone Ernest, addetto; GEREBzov Andrej, addetto.

Sassonia Reale -SEEBACH Albin Leo, barone von, inviato straordinario e ministro plenipotenziario (residente a Parigi).

Spagna -CuETO Enrique, duca di Rivas de Saavedra, marchese d'Aufion, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; REMON ZARCO DEL VALLE Mariano, primo segretario; NEIRA Y GAJoso Dositeo, addetto.

Stati Uniti -MARSH George Perkins, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; GREEN Clay, segretario; ARTONr Joseph, addetto; WuRTS George G., addetto.

Svezia e Norvegia -PrPER conte Karl Edward, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; AMINOFF Wilhelm, addetto.

Svizzera -ProDA Jean-Baptiste, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; SCHLAICH, segretario.

Turchia -RusTEM Bey, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; N.N., primo segretario.

Wil.rtemberg -Ow Adolf, barone von, inviato straordinario e ministro plenipotenziario.